Il piccolo Hans - anno XI - n. 41 - gen./mar. 1984

dri di frutta e terraglie sopra un comunissimo tavolo di cucina. Rammento il momento in cui tutto ciò mi apparve chiaro. La circostanza può essere d'aiuto nel chiarire il mio pensiero. A un'esposizione d'oggetti d'arte mi trovai a ridosso d'uno Chardin. Era un'insegna esterna per un negozio di farmacista. Rappresentava alcune storte, un alambicco e varie bottiglie di vetro: l'armamentario di un laboratorio chimico dell'epoca. Converrete che non c'era molto materiale per l'appagamento del desiderio (a meno che l'alambicco non suggerisca remote associazioni con l'alcool). Orbene, mi procurò un'intensissima e vivida sensazione. Le sole forme di quelle bottiglie, le loro reciproche relazioni, mi trasmisero la sensazione di qualcosa d'immensamente grande e impressionante e le parole che mi vennero subito alla mente furono « questo è proprio quanto sentii la prima volta che vidi gli affreschi michelangioleschi nella Cappella Sistina». Là si rappresentava l'intera storia della creazione con le tremende immagini della Sibilla e dei Profeti. Esteticamente, tuttavia, significavano qualcosa di molto simile alle bottiglie di Chardin. Permettetemi ancora di citare un curioso fenomeno che ho frequentemente notato. Ed è questo: sebbene al primo impatto con un grande quadro è il soggetto che pare avere parecchio a che fare con le reazioni emotive di ciascuno, tali sensazioni svaniscono molto rapidamente. Le sensazioni indotte dalle idee associate con le immagini si esauriscono presto e ciò che rimane, ciò che mai decresce o svanisce, sono le sensazioni dipendenti dalle relazioni puramente formali. Questa può essere davvero la spiegazione del curioso fenomeno cui alludevo: la persistenza nel tempo delle opere in cui la perfezione formale è raggiunta e la rapida scomparsa e poi l'oblio di opere le cui istanze primarie passano attraverso le idee associate delle immagini. 151

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