Il primo cartiglio sotto cui allogare una certa tipologia della rappresentazione, lo esibisce in forma flagrante il titolo di una pièce di Samuel Beckett, Acte sans paroles. Per la verità, gli Acte sans paroles sono due, ma qui mi riferisco al primo, come più esemplare. Come è stato osservato, la pièce « sembra conclamare, sin dal titolo, l'abbassamento del linguaggio a una funzione secondaria». A dirla tutta, gli scambi verbali, propri del genere teatrale, vi mancano completamente. Il « personaggio» è stimolato a una serie di gesti da colpi di fischietto, comparsa/sparizione di oggetti , ukase e divieti situazionali; dentro uno « schema di riferimento» sempre più frustrante, ridotto all'atarassia. Cesare Segre ha dedicato ad Acte sans paroles un saggio molto fine, che tendeva a mettere in valore la funzione delle didascalie, a costituire in testo le istruzioni per la messinscena. Questa lettura semiologica unificatrice a livello del senso, di interesse indubbio, porterebbe tuttavia fuori strada rispetto alle intenzioni limitate del mio rimando: il quale si appoggia al rilievo fenomenico di una cancellazione del discorso verbale a esclusivo profitto del gesto. La ginnastica da manichino o da automa (Segre parla, per l'« agente» di Acte sans paroles, di « posizione infima nella scala evolutiva») si offre come una catena di significanti divorziata radicalmente dalla sottostante catena dei significati - nel caso il senso rappresentato dal discorso verbale, dalle parole. L'uomo della pièce re-agisce, si è detto. A dispetto dell'etimologia corretta, vi si legge che agisce in re, nella pura reificazione dinamica del suo corpo, che nemmeno gli appartiene, devoluto com'è all'articolazione chiusa e irrelata della ginnastica. Se si dia qui comunicazione, non sarà altro che quella « che si identifica con il comportamento», come annota Segre. Dal suo scritto, del resto as• sai ricco, deduco que14
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