Il piccolo Hans - anno XI - n. 41 - gen./mar. 1984

bettiano che la Woolf culturalmente prediligeva, un'immissione di propri, personali, Moments of Being, momenti di vità, per riprendere il titolo degli scritti autobiografici pubblicati postumi da Jeanne Schulkind. Ed è la Schulkind a ricordare, nella sua introduzione, quale idea la Woolf si facesse dell'autobiografia, citando, dal suo saggio su De Quincey: «Per raccontare l'intera storia di una vita, chi scrive un'autobiografia deve escogitare un qualche sistema per registrare i due livelli del1'esistenza: il rapido passare degli eventi e delle azioni; il lento affiorare di singoli, solenni momenti di concentrata emozione». Tempo della cronaca e tempo della narrazione sono perciò destinati a non coincidere. Virginia Woolf, che aveva appena pubblicato Gita al faro, traspone in Orlando, A Biography, i vuoti che separano le due parti del romanzo: anche qui, lungo un arco di quattro secoli, il faro proietta per un istante la sua luce, fa vivere di vita effimera un paesaggio dell'anima, e già il raggio si sposta altrove, nel suo ruotare senza fine. Ciò che rimane sono queste «intermittenze», queste «epifanie», questi «moments»: i soli che «fanno storia». Tempo, dunque, soggettivo contro tempo naturale, esterno; presa del soggetto sulla storia naturale. Ma se il soggetto può attraversare quattro secoli, e sintetizzarli, può anche elegantemente attraversare un'altra barriera «naturale», quella del sesso: Orlando è alternativamente il signor o la signora Orlando. Entra qui in gioco, direttamente, un altro motivo woolfiano; la biografia torna a farsi autobiografia. Nel '78 Mario Praz intitolava un suo scritto su Orlando « Cinquantanni fa nasceva il travestito in letteratura» (ora in Studi e svaghi inglesi, Milano, Garzanti, 1983): vi sottolineava come, in questo suo libro, Virginia Woolf riesumasse « il compiacimento elisabettiano nei «travestimenti», e aggiungeva: « Questi travestimenti in Sha124

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