Il piccolo Hans - anno XI - n. 41 - gen./mar. 1984

barone di Charlus e del giletier Jupien all'inizio di Sodome et Gomorrhe. Se il barone va e viene, guarda nel vuoto con aria sciocca e distratta, sgrana gli occhi; Jupien mette in moto un'intera articolazione di gesti legati a una coerenza totalmente diversa da quella che ha retto finora lo spettacolo: «[il] avait redressé la tete, donnait à sa taille un port avantageux, posait avec une impertinence grotesque son poing sur la hanche, faisait saillir son derrière...»: Non sono nemmeno necessari i riferimenti zoologici, oltre che botanici, che pullulano nel testo, per sospettare che qui qualcosa ha a che fare con la «parata» animale, ossia l'esibizionismo preordinato all'accoppiamento - ma qualcosa soltanto, e in fondo di superficiale, perché il meccanismo che viene a rompere, nel testo, e a coprire/scoprire, nel teatro immaginario dei soggetti, sposta l'accento verso ciò che Lacan ha definito la «mascherata», sul piano simbolico. Tale meccanica autonoma, superfetatoria rispetto al1'economia della narrazione, può benissimo ridursi al mi- . nimo, a un elemento fisionomico, come il « breve labbro superiore velato di peluria» della principessina Lise, nella sequenza della morte in Guerra e pace, elemento usato finallora da Tolstoi come condensatore e depositario della grazia fisica del personaggio. Esso d'improvviso «fa isola», non molto diversamente dallo scatto motorio del manichino di Arnim; è una pura emergenza materiale cui non corrisponde nessun cartiglio interpretativo, nemmeno il «che cosa voi avete fatto di me?» messo avanti dal testo e peraltro traducibile nell'interrogazione essenziale e invertita: «che vuoi? >�. Il tratto si pone come cosa, come reale cui non occorre nessun supporto di significato. Il «breve labbro ombreggiato» non identifica nemmeno più la principessina, giacché non vale più come punto di riferimento costante, cioè ripetibile, dove qualcosa possa cauzionare qualcos'altro. È ciò che avviene a riempire uno spazio, o si dovrebbe dire: 12

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