Il piccolo Hans - anno XI - n. 41 - gen./mar. 1984

dere corpo. Un testo teatrale può sembrare scarno e povero sulla pagina e dilatarsi nella voce dell'attore (una specie di erezione?). Anzi, un testo teatrale deve, almeno per quel che mi riguarda, essere ridotto all'osso. L'attore non è un megafono o un fine dicitore: incarna la parola, la pronuncia, appunto. Un esempio classico di rarefazione, il Cecov teatrale rispetto a quello dei racconti (ancora: l'intervento del non detto pesa più di ciò che si può dire e più di tanto non si può, altrimenti si sfora nella chiacchera). Importanza fondamentale della scena, voglio dire della scrittura scenica intesa come struttura che delimita le entrate e le uscite, per esempio. Sono partito dall'idea di uno spazio vuoto, con alcuni relitti, una tenda, un fuoco conservato dentro un buco. Mi sono reso conto mentre scrivevo che il tono apocalittico rimaneva con accenti troppo forti: la scrittura scenica lo sottolineava invece che suggerire una possibile aria della fine (un'aria, un canto...). Poi ho ritrovato una struttura antica forse quanto il teatro: quella del simposio, del banchetto. Tutto s'incentra nel cibo e nella fame e il banchetto è la fondamentale cerimonia dell'esistenza sociale (cfr. Alberto Veca, Simposio, Bergamo 1983). Il banchetto della fame è diventato subito l'elemento catalizzatore della scrittura; il banchetto giustifica movimenti, pause, riflessioni, canti, danza (il banchetto di Erode) e rimanda al passato e preannuncia il futuro (l'ultima cena di Cristo). L'idea del banchetto ha cancellato il secondo titolo e ne ha preso il posto. Ora vorrei che il titolo coincidesse con la struttura portante: Il banchetto, punto e basta. Oppure: Simposio. Oppure: A tavola con un principe, perché il principe rimane personaggio centrale (per principe intendo una persona che ha dominato una certa cultura, un privilegiato, in fondo: quello è un principe, si dice a Milano di uno che fa la 111

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