affrontare un silenzio più pesante, più ostile di quello che è alluso dalla pagina bianca. Il silenzio della scena è fisico, ha uno spessore di labirinto, e quando la parola viene pronunciata ha un peso quasi intollerabile. Questa sfida è la ragione per cui scrivo per il teatro. È il tema della scrittura teatrale. Per questo vi sono così palpabili affinità tra teatro e poesia, con il comune denominatore di una necessità di sintesi che deve fare intendere più quello che non viene detto, quello che rimane fuori di ciò che sta dentro, di ciò che si pronuncia. Ma le parole non possono cadere sulla testa del coro (gli spettatori) come fossero macigni. Dunque la necessità di essere lievi, ritmici, divertenti, di alleggerire la tensione oppure di far pesare il silenzio. Le scene si snodano tra un silenzio e il successivo. Ogni volta si ricomincia daccapo, con il coraggio rinnovato della prima pronuncia. Scrivendo le scene di fila, dalla prima alla XIV (per il momento questo è il numero definitivo...) la trama pensata al principio si è lentamente ma inesorabilmente modificata. Il personaggio femminile, destinato a morire, in ipotesi, continua invece la vita; così Musa, dopo essere rimasta incinta fa volgere la narrazione tutta a suo favore, nella difesa del nascituro, tanto per fare un esempio. Il personaggio di Riccardo, il cacciatore, viene ucciso in una determinata scena, come previsto, ma ritorna un suo doppio, questa volta a cavallo, e incarna l'estrema possibilità del passaggio, della salvezza (o della definitiva rovina, se l'altrove sarà peggio del qui e ora), per fare un altro esempio. 11.12.1983 Il problema più delicato, forse non mai del tutto resolubile né risolto in alcun testo teatrale, rimane il rapporto tra parola che agisce sulla pagina e contemporaneamente si proietta sulla scena dove deve pren110
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==