Il piccolo Hans - anno XI - n. 41 - gen./mar. 1984

Il corridoio degli atti perduti 1. Nelle pagine di un racconto di Achim von Arnim, Meluck Maria Blainville, un manichino di vimini inopinatamente agisce: batte tre volte le mani, mette una corona di fiori in capo all'occasionale recitatore di una scena della Fedra, e incrocia le braccia· sul petto. Questa gesticolazione, di là dall'apparente fine gratulatorio, provoca un effetto enigmatico nel contesto. Essa vi introduce una sequenza estranea, perché appartenente a un sistema diverso dalla diegesi. Ci si trova in presenza di una figura meccanica autosufficiente (autoesaustiva), circoscritta in maniera rigorosa, che enuncia, dirò così, un proprio emergere a caso. Ecco forse ciò che può dirsi un automaton. Il seguito del racconto di von Arnim reinscrive le performances del manichino in un codice metaforico, anzi simbolico, di lettura abbastanza evidente e tradizionale (dalla magia amorosa alla figura del doppio, alla regressione nel grembo materno etc.); ma non basta a cancellare quella efficacia iniziale dell'irruzione di «altro». Un'irruzione ancora più forte della meccanica corporale - ma qui preordinata a un fine che solo inizialmente resta sconosciuto al voyeur-narratore - è testimoniata da un passaggio davvero famoso, l'incontro del 11

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