tura che parla la lingua morta dei militari abbia in sé una riserva di energie tali da rovesciare il futuro che la condanna irreparabilmente? Impossibile aderire a tesi precostituite, impossibile scegliere o dichiarare una soluzione, l'opera non può che nascere aperta e si richiude solo quando diventa un organismo autosufficiente nella sua qualità di opera in cui tutte le parti si corrispondono e rispondono di sè dentro la scrittura. Ecco farsi strada l'idea di un gioco polisemico, tra palafitte e labirinti, dove le palafitte indicano l'ultima spiaggia della sopravvivenza e i labirinti le strade o i sentieri del futuro. Per passare di là occorre entrare nel labirinto con il filo di una possibile Arianna (la madre, l'amante, la sorella...). Di qui il nuovo titolo Palafitte e labirinti e uno sviluppo con un finale in cui un solo personaggio tenta la trasformazione e si inoltra (o inabissa?) nel labirinto (immaginato come una foresta fittissima e immensa). Fino a questo punto avevo lavorato scrivendo un inizio, una seconda scena, un possibile finale, una scena di mezzo, e così via e mi si apriva la prospettiva di un impianto tradizionale per la prima parte che si andasse man mano sfaldandosi per diventare quasi balbettìo nel finale, disfacimento, riscattato solo dal passo decisivo del personaggio che passa al di là. Ho ricominciato a scrivere il testo a partire dalla prima scena e seguendo l'ordine delle scene così come raggiunto, si sono susseguite dipanandosi l'una dall'altra seguendo la narrazione. Seguire la narrazione vuol dire cominciare a capire che cosa si vuole dire e farlo affiorare. Ma seguire la narrazione per la scena del teatro significa concentrarla in poche battute. Quasi nulla in teatro avviene sulla scena rispetto a ciò che accade fuori, prima e dopo. Il testo teatrale è la sintesi di un discorso sterminato e ogni battuta è iperdeterminata. La parola che entra in scena, che va sulla scena, deve 109
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