Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 41 gennaio/marzo 1984 Sergio Pinzi 5 La ragionevolezza dell'incestuoso e la smorfia della sanità Giuliano Gramigna 11 Il corridoio degli atti perduti Italo Viola 25 Lo sfoggio della scimmia (sotto l'occhio fisionomico di G.B. Della Porta) Gianpaolo Sasso 53 Sulla « fonte comune » del linguaggio e dell'isteria Paola Zaccaria 89 L'artista è un seduttore? NOTES MAGICO Antonio Porta 108 Diario di lavoro Mario Spinella 121 Iride e la roccia (tra Virginia Woolf e Roger Fry) Roger Fry 133 L'artista e la psicoanalisi Sandra Cavicchioli 157 Roger Fry: « vedere » o « guardare »? LO PSICOANALISTA FUORI STANZA Cristina Calle 164 Forme particolari della memoria, il delirio, il passaggio all'atto MINUTE Ermanno Krumm 172 Cancroregina, creatura d'Odradek Leonardo V. Arena 181 Il nodo schopenhaueriano del Witz RUBRICA 186
Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Cailligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Leonardo V. Arena, Paolo Bollini,. Vincenzo Bonazza, Cristina Calle, Contardo Calligaris, Sandra Cavicchioli, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Roger Fry, Giuliano Gramigna, Erm• anno Krumm, Niva Lorenzini, Antonio Porta, Giampaolo Sasso, Mario Spinella, Itailio Viola, Paola Zaccaria. redazione: Galleria Strasburgo 3, Milano, tel. 790517-795557 abbonamento annuo 1984: (4 fascicoli) kire 25.000, estero lire 30.000 e.e. postale 11639705 intestato a edizioni Dedalo spa, cas. post. 362, 70100 Bari Registrazione: n. 472 del 7.5.74 del Tribunale di Bari Fotocomposizione e stampa: Dedalo litostampa spa, Bari
Il piccolo Hans Revue trimestrelle d'analyse matéria1'iste Directeur: Sergio Finzi Rédaction: C. Calligaris, S. Finzi, V. Fin�i Ghisi, G. Gramigna, E. Krumm, M. Spinella, I. Vàola Abonement 1 an (1984): 4 numéros: lire 30.000 Edi2lioni Dedalo spa, casella postale 362, 70100 Bari
La ragionevolezza dell'incestuoso e la smorfia della sanità A uno spunto iniziale del lavoro di Giuliano Gramigna per questo numero del Piccolo Hans corrisponde un esempio lungo il testo di Italo Viola: nel primo si parla di una scena della <<Fedra», il secondo ribatte con la matrigna innamorata del figliastro. Questa ricorrenza accidentale mi ricorda una frase pronunciata da Lacan, mentre gli parlavo di come era stranamente « ragionevole» la paziente sul cui caso svolgevo con lui un « controllo». La frase è questa: ciò non le impedisce di essere incestuosa, eco di un'altra colta a volo da Freud sulle labbra di Charcot. Sappiamo come Freud ne fu scosso e illuminato; a me si impose a poco a poco l'evidenza di un nesso in qualche modo necessario, ed enigmat. �co, tra incesto e ragionevolezza. Ciò che vi è di più disordinato e disastroso va di pari passo non con eccessi umorali e tem- · peramentali, miasmi corrotti, incandescenze, vapori, come forse ci aspetteremmo, ma con una part.iJcolarissima forma di moderazione in tutto. Veramente niente di umano ripugna... all'incestuoso. Non lo tocca invidia né gelosia, rivalvtà né ambizione. Egli è al di là del confronto e dell'affronto, disposto sempre a <<ragionare». Ma se l'espressione d.v Schreber sull'« assassinio delle anime» ha un senso è per questi spiriti così tolleranti. 5
Verso l'analisi li attira il desiderio di usare « professionalmente » di tutta la comprensione di cui si sentono capaci. E questo li rende facilmente complici di aberrazioni dei loro eventuali pazienti o loro eventuale zimbello. Spesso i pazienti si lamentano in analisi, con se stessi, per non riuscire a « lasciarsi andare». E sull'importanza degli « affettiJ », che Freud avrebbe un po' trascurato, possiamo dire che si ritrovino concordi quasi tutti gli analisti: gli� affetti e l'importanza di ricambiarli o di mettersi comunque, come si dice, espressivamente in gioco. Piano inclinato dalla psicoanalisi alle psicoterapie centrate sul corpo, dove l'isteria da forma da curare diventa metodo di cura e sistema di vita. Ma se è all'animale che rimanda, si_a in base a G.B. della Porta che al Darwvn dell'Espressione delle emozioni, tutto ciò che per l'appunto attiene a espressioni e fisionomie, c'è un solo punto in cui la traiettoriJa dell'esperienza psicoanalitica incrocia, per struttura, un tratto di vita animale. E questo punto, così l'abbiamo chiamato, è il luogo della fobia. La sfera dell'espressione è legata al luogo della fobia. Così per esempio un'espressione innocente come un breve riso dell'analista, per simpatia o solidarietà con l'analizzato, se ha l'effetto prevedibile di sdrammatizzare un poco, come si dice, ciò che il nevrotico tende a ingigantire, risuonando in realtà dal luogo della fobia, che è luogo di scelte, produce istantaneamente un rafforzamento dell'ideale dell'Io. E che cos'è l'ideale dell'Io se non l'oggetto fobico trasfigurato in fisixmomia? l'animale ucciso risuscitato in caricatura? La fisionomia ha i vizi e le virtù dell'animale che il bambino ha incontrato per primo e col quale ha stabilito, nel bene e nel male, un oscuro sodalizio. 6
Un passo fuori dal luogo della fobia e siamo nella perversione. La perversione segna il passo, è un passo ginnico, è un passo a suon di musica, sono i movimenti, lo vedemmo, delle marionette di Mister Meister. L'opposizione crescente alla psicoanalis� si va organizzando, con l'apporto di medici e neurologi, intorno a un motto programmatico: non occorre perdere tempo con sogni e sintomi psichici; quello che si deve fare, a cui si devono dedicare v migliori sforzi terapeutici è: forgiare il corpo. A « forgiare il corpo » si dedicano in_ vari modi i pazienti in analisi e in questo è da riconoscere un modo specifico, nuovo forse, di resistenza alla psicoanalisi, non solo ma anche l'indizio di una propensione a rimpiazzare all'analisi, come via di guarigione dalla nevrosi, la scelta di una perversione. Tutto ciò che in un modo o in un altro tende a modificare il corpo -nel peso, nell'estensione, nella linea, nell'energia -mediante aggiunte o sottrazioni che, indipendentemente dal normale sviluppo somatico nel tempo, mirano ad alterare puramente e semplicemente il rapporto fisico del soma allo spazio, ebbene tutto ciò rileva della perversione. Forgiare il corpo, plasmarlo, vrrobustirlo, renderlo più alto e più largo è la tecnica con cui talvolta i più giovani fra i pazienti oppongono al disordine programmatico della regola fondamentale, cui pure si attengono scrupolosamente, il ritmo regolare di un allenamento sportivo, il passo cadenzato e prudente di un'arrampicata in montagna, la rigida organizzazione di un esercizio ginnico. Così l'analisi può conti',nuare nel tempo, per un tempo indefinito, secondo modalità tali che a nessuno possa venire in mente che essa non si svolga nel modo migliore, più fedele ai presupposti che la reggono, ma anche tali tuttavia che ne dimostrino, scientificamente potremmo 7
diire, cioè per ragioni interne e obiettive, l'assoluta mancanza di validità e di efficacia. La clinica diventa così il terreno, più che di un gioco di resistenze, di una sfida epistemologica pratica nel tentativo di portare la psicoanalisi ad autosconfessarsi. L'analista si vede di giorno in giorno sopravanzare in statura e non avendo contro ciò rimedio alcuno, è naturale, dovrà cercare nella tecnica della psicoanalisi una soluzione che non sia quella di iscriversi ' a sua volta a una palestra. (Cosa che cercai di far capire a un giovanepsichiatra-in-formazione-come-analista favorevolmente colpito dall'abbronzatura invernale -presa dove? non certo dietro un divano - dei più anziani e per lui arrivati autorevoli colleghi.) Ma forgiare il corpo si può anche in altri modi, cui accennerò fugacemente: per esempio lasciando che una nuova vita incominci a crescere dentro di noi, formulazione che vale per le isteriche, o votandosi a riempire, appunto, il gran vuoto dentro di loro, al che si addicono gli isterici. Il risvolto « fisionomico » di tutto questo forgiare appare nei tentativi di mimare la voce i gesti le fattezze persino, dell'analista, plasmare il proprio corpo su di lui. Forgiare il corpo, forgiare un corpo, forgiare il proprio corpo: la gimnastica, la gravidanza, la scimmiottatura. Qualcosa prende forma, esce dalla nebbia, si staglia, è un profilo, è un viso, è un corpo, ma il viso e il corpo di un mostro e la sua sola « espressione » è il riso. L'Uomo che ride di Victor Hugo è un'opera squisitamente « fz1sionomica »: la sua maggiore originalità sta nel mostrarci il carattere artificioso, fabbricato, della fisionomia. La fisionomia è un atto. I comprachicos la scolpiscono nella carne di un bambino comprato (è importante la regola che il bambino non sia rapito ma acqui,stato appunto, là dove si comprano i bambini) e costui non serberà memoria dell'« operazione», come se 8
non fosse mai awenuta. (Segno per noi dell'essere già là del perverso.) Il mostro-bambino è dunque semplicemente un bambino? Un altro modo di uscire dal luogo della fobia è quello di dimenticarlo. Il rapporto con l'animale viene cancellato ma rimane a tenere il nevrotico legato a quella forma di sanvtà che la rimozione impedisce e la perversione sembra in qualche modo contraffare, la smorfia. La fisionomia: questione di somiglianze, più o meno, ai genitori o ai parenti, questione di essere (esseri) troppo alti o troppo bassi, troppo grassi o troppo magri. In questo senso la fisionomia è la grande nemica dell'espressione. Essa ci è scolpita nelle membra e una foto la fissa. La fotografia è il prolungamento della scultura perché nell'andarla a rivedere, come facciamo, periodicamente, quello che ci aspettzlamo, è che si sia mossa. Contiguità della fobia alla perversione. Un recupero di produttività, o meglio, usiamo la parola, ài creatività, passa dunque per una smorfia, uno sberleffo rivolto alla foto che, eventualmente idealizzandoci, ci imprigiona. Non a caso questo numero del Piccolo Hans dedicato alla fisionomia è contemporaneo al convegno che la Pratica Freudiana tiene in questi giorni a Milano e a qualcosa che comparirà su un prossimo numero della rivista, qualcosa che ha a che fare con l'eclissi della fobia in analisi e con il ritrovamento di un « fondamento psicotico della nevrosi ». Forse è possibile oggi cominciare da là dove Freud chiudeva un suo scritto del 1923. Nevrosi e psicosi contiene infatti un passaggio assolutamente sorprendente. Questo punto, che riguarda il problema di come mantenere la salute psichica, come non ammalarsi di nevrosi, ci colpisce per una strana antinomia. Abbiamo visto la « ragionevolezza dell'ince9
stuoso », vediamo qui profilarsì una sorta di « follia della sanità ». « Le incoerenze, le stravaganze e le follie degli uomini, dice Freud, potrebbero essere viste in una luce analoga alle loro perversioni, accettando le quali gli uomini riescono a evitare le rimozioni ». Sergio Finzi 10
Il corridoio degli atti perduti 1. Nelle pagine di un racconto di Achim von Arnim, Meluck Maria Blainville, un manichino di vimini inopinatamente agisce: batte tre volte le mani, mette una corona di fiori in capo all'occasionale recitatore di una scena della Fedra, e incrocia le braccia· sul petto. Questa gesticolazione, di là dall'apparente fine gratulatorio, provoca un effetto enigmatico nel contesto. Essa vi introduce una sequenza estranea, perché appartenente a un sistema diverso dalla diegesi. Ci si trova in presenza di una figura meccanica autosufficiente (autoesaustiva), circoscritta in maniera rigorosa, che enuncia, dirò così, un proprio emergere a caso. Ecco forse ciò che può dirsi un automaton. Il seguito del racconto di von Arnim reinscrive le performances del manichino in un codice metaforico, anzi simbolico, di lettura abbastanza evidente e tradizionale (dalla magia amorosa alla figura del doppio, alla regressione nel grembo materno etc.); ma non basta a cancellare quella efficacia iniziale dell'irruzione di «altro». Un'irruzione ancora più forte della meccanica corporale - ma qui preordinata a un fine che solo inizialmente resta sconosciuto al voyeur-narratore - è testimoniata da un passaggio davvero famoso, l'incontro del 11
barone di Charlus e del giletier Jupien all'inizio di Sodome et Gomorrhe. Se il barone va e viene, guarda nel vuoto con aria sciocca e distratta, sgrana gli occhi; Jupien mette in moto un'intera articolazione di gesti legati a una coerenza totalmente diversa da quella che ha retto finora lo spettacolo: «[il] avait redressé la tete, donnait à sa taille un port avantageux, posait avec une impertinence grotesque son poing sur la hanche, faisait saillir son derrière...»: Non sono nemmeno necessari i riferimenti zoologici, oltre che botanici, che pullulano nel testo, per sospettare che qui qualcosa ha a che fare con la «parata» animale, ossia l'esibizionismo preordinato all'accoppiamento - ma qualcosa soltanto, e in fondo di superficiale, perché il meccanismo che viene a rompere, nel testo, e a coprire/scoprire, nel teatro immaginario dei soggetti, sposta l'accento verso ciò che Lacan ha definito la «mascherata», sul piano simbolico. Tale meccanica autonoma, superfetatoria rispetto al1'economia della narrazione, può benissimo ridursi al mi- . nimo, a un elemento fisionomico, come il « breve labbro superiore velato di peluria» della principessina Lise, nella sequenza della morte in Guerra e pace, elemento usato finallora da Tolstoi come condensatore e depositario della grazia fisica del personaggio. Esso d'improvviso «fa isola», non molto diversamente dallo scatto motorio del manichino di Arnim; è una pura emergenza materiale cui non corrisponde nessun cartiglio interpretativo, nemmeno il «che cosa voi avete fatto di me?» messo avanti dal testo e peraltro traducibile nell'interrogazione essenziale e invertita: «che vuoi? >�. Il tratto si pone come cosa, come reale cui non occorre nessun supporto di significato. Il «breve labbro ombreggiato» non identifica nemmeno più la principessina, giacché non vale più come punto di riferimento costante, cioè ripetibile, dove qualcosa possa cauzionare qualcos'altro. È ciò che avviene a riempire uno spazio, o si dovrebbe dire: 12
a determinare lo spazio in cui avviene; con la qualità di essere, anche per un istante solo, estraneo alla logica comunicativa del testo. Gli esempi erano sufficientemente casuali: altri, forse più pertinenti, potrebbero rimpiazzarli. Comunque indicano un fenomeno di localizzazioni successive del corpo, secondo un ingranaggio che le costituisce in qualcosa di simile a ciò che Artaud chiamava« chaine magi,que». Per il momento, in mancanza di meglio, raccoglierò tutti gli aspetti del fenomeno, fino al caso estremo del tratto fisionomico, della grimace etc. , sotto l'etichetta di ginnastica in cui si congiungono «meccanismo» e« forma». Ciò che hanno in comune i brani citati è infatti una precisa emergenza formale, organizzata secondo proprie leggi di rigore. La gimnastica recinge del senso, intendendo che così chiude fuori dal proprio perimetro o meccanica di atti tutti quegli altri sensi che il testo, dirò così normale, costruisce e addensa intorno. Essa è dunque qualche cosa che esclude il senso e insieme vi si ricollega. Si può allora parlare della sua« forma» e della sua «macchina», ohe vengono a coincidere; magari rimandando un po' al valore che assume la mechané in un capitolo (il XV) della Poetica di Aristotele, soprattutto in rapporto con l'àlogon - e c'è anche un passaggio piuttosto stimolante su ciò che si colloca fuori. Ma appunto: le gesticolazioni delle •quali ho parlato, rompono la tessitura diegetica, se ne proiettano fuori. F J.Ori, da che? e verso dove? 2. Se non proprio risposte, articolazioni evidenziatrici del problema sono offerte da una serie di testi che appartengono alla contemporaneità, anzi a un'area specifica di ricerca, sia pure in maniera anomala rispetto al canone. Dato distintivo sarà il rapporto di opposizione atto/parola. 13
Il primo cartiglio sotto cui allogare una certa tipologia della rappresentazione, lo esibisce in forma flagrante il titolo di una pièce di Samuel Beckett, Acte sans paroles. Per la verità, gli Acte sans paroles sono due, ma qui mi riferisco al primo, come più esemplare. Come è stato osservato, la pièce « sembra conclamare, sin dal titolo, l'abbassamento del linguaggio a una funzione secondaria». A dirla tutta, gli scambi verbali, propri del genere teatrale, vi mancano completamente. Il « personaggio» è stimolato a una serie di gesti da colpi di fischietto, comparsa/sparizione di oggetti , ukase e divieti situazionali; dentro uno « schema di riferimento» sempre più frustrante, ridotto all'atarassia. Cesare Segre ha dedicato ad Acte sans paroles un saggio molto fine, che tendeva a mettere in valore la funzione delle didascalie, a costituire in testo le istruzioni per la messinscena. Questa lettura semiologica unificatrice a livello del senso, di interesse indubbio, porterebbe tuttavia fuori strada rispetto alle intenzioni limitate del mio rimando: il quale si appoggia al rilievo fenomenico di una cancellazione del discorso verbale a esclusivo profitto del gesto. La ginnastica da manichino o da automa (Segre parla, per l'« agente» di Acte sans paroles, di « posizione infima nella scala evolutiva») si offre come una catena di significanti divorziata radicalmente dalla sottostante catena dei significati - nel caso il senso rappresentato dal discorso verbale, dalle parole. L'uomo della pièce re-agisce, si è detto. A dispetto dell'etimologia corretta, vi si legge che agisce in re, nella pura reificazione dinamica del suo corpo, che nemmeno gli appartiene, devoluto com'è all'articolazione chiusa e irrelata della ginnastica. Se si dia qui comunicazione, non sarà altro che quella « che si identifica con il comportamento», come annota Segre. Dal suo scritto, del resto as• sai ricco, deduco que14
st'altro rilievo ohe risulta pertinente al problema in questione: un quadro di « schizofrenia sperimentale » in cui va a iscriversi Acte sans paroles, per effetto delle sue determinazioni drastiche. Si tratta, beninteso, meno di un rimando a una nosografia che di un indice del « modo di significare ». Mi auguro che diventerà più chiaro strada facendo. 3. È nella forma del chiasmo (acte sa:ns paroles/paroles sans acte) che può disegnarsi il passaggio a una seconda tipologia; che i testi relativi appartengano, come si è già detto, allo stesso codice di sperimentazione, cauziona contro l'eventuale sospetto di arbitrarietà negli aocostamenti. Due libri di Nathalie Sarraute, in particolare, offrono le indicazioni più significative: Vous les entendez? e Disent les imbéciles, esempi di come ogni rappresentazione dell'agire sia delegata al flusso sonoro. Non è trascurabile che fin dall'indice del titolo i due libri vengano a ricoprire rispettivamente i campi complementari dell'udire e del dire. · « iDisent les imbéciles » è la formula comminatoria, terroristica che solidifica in un'etichetta l'indefinitezza, la libertà del soggetto: pronuncia sostenuta dagli altri, ma anche dal soggetto ,stesso. Attraverso tutto il libro, i «personaggi» e i loro atti sono costruiti e continuamente disfatti da un mormorio anonimo e molteplice, che non si appoggia a nessun vero emittente. « Et toute notre construction, cet objet patiemment recollé se défait... les morceaux emboités les uns dans les autres se séparent, s'éparpillent... ils disparaissent... les mots les recouvrent... Par toutes leur voyelles, leur consonnes, ils se tendent, s'ouvrent, aspirent, s'imbibent, s'emplissent, se gonflent, s'épandent à la mesure d'espaces infinis... »; « Il n'y a plus de mè>i, plus de lui... il n'y a que leur ibalancement, leur vibration, leur respiration, leur battement... ». 15
Spostando ogni peso dal dire all'udire, Vous les. entendez? si abbandona alla pulsazione neppure della parola ma del riso, delle risa giovanili che vengono da un'altra stanza, da un altro piano e sono raccolte da due ascoltatori/locutori indefiniti, o almeno definibili solo in virtù di quelle risate che ne allarmano e ne spostano p1an piano il discorso. Ciò che accade (se accade) in queste , storie non viene ·riferito dalle parole, dal dialogo, passa al disotto, o piuttosto attraverso quel medium che è una fonicità diffusa, pervasiva, pulsionale, che sembra avere inizio, e continuare, ben oltre il limite d'apertura e di chiusura del volume. Essa si configura come « ces messages produits par des réactions chimiques ,subtiles et compliquées, élaborées au course d'une langue évolution, qui assurent le fonctionnement d'un organisme vivant». Qui l'opposizione parola/atto, o piuttosto l'assorbimento dell'uno nell'altra, sembra voler risalire a quel momento di « dicotomia fonematica» (come direbbe Lacan) in cui si rifugia la mdice stessa dell'agire nella sua forma primaria. È, al limite, nello spazio fra fonema e fonema che per la Sarraute emerge qualche particola di reale - nella pura interiezione o in quella polverizzazione ultima del suono che sono i suoi puntini di sospensione. È per tale fissione che « ciò che accade» nei libri della Sarraute sembra tanto vicino a « ciò che accade» nel momento ben famoso del Fort-Da, dove l'atto del far sparire e ricomparire il rocchetto si riassorbe, per il suo valore sintomatico, nella giaculatoria infantile. La ripetizione ha dunque molto a che fare con il modo in cui la Sarraute realizza, direi allo stato puro, il progetto della « parole sans acte» - tenendo presente che, niente affatto paradossalmente, non si dà ripetizione (coazione a ripetere) se non di ciò che non c'è stato. 16
4. Tutto è servito solo di sgombero del campo per introdurre la terza tipologia, figura non tanto complementare delle due altre quanto loro sbocco inevitabile, e debitamente assurdo. La esibisce un breve romanzo di Jean Reverzy, Le corridor, uscito nell'aprile del 1958 (per stare alle referenze cronologiche, Les gommes di Robbe-Grillet è del '53, del '56 Le voyeur, del '57 La jalousie). La dimenticanza caduta su questo libro è fin troppo spiegata (non giustificata) dalla natura oltranzista, a cul-de-sac, dell'esperimento. Il �< corridoio» è quello di una pensione, dove un personaggio, senza altre determinazioni che il pronome (« je»), appare in cerca di alloggio (antefatto supposto); dove lo riceve una cameriera che lo guida su per una scala, lungo un corridoio appunto, alla sua stanza; e poi alla sala da pranzo comune. In questi, e pochi analoghi tragitti, i soli eventi sono gli incontri/scontri con qualche pensionant , e lungo il passaggio, su per le scale, a tavola, la serie delle pantomime reciproche, l'avanzare e il ritirarsi, lo spingere e lo sgusciare via, il saggiare la resistenza o l'elasticità di muri e membra, le insidie tese dagli oggetti disseminati nei luoghi; e finalmente, evento degli eventi, la meccanica mistificatoria del corpo che si muove, frantumandosi in una pluralità di minime catastrofi muscolari e geometriche. « J'encandrai le héros d'un plafond, d'un plancher, de deux muraille lisses...» annotava Reverzy in uno scritto destinato a fare da introduzione al racconto, in effetti pubblicato postumo sotto il titolo Un jour. Il corridoio definisce uno spazio, e nello stesso tempo lo rinnega; si offre come luogo di deambulazione irrisoria, perché continuamente privata di un « da dove» e di un « verso dove». In realtà le distanze non hanno altro appoggio che un'ottica parecchio incerta (« où je crus voir une forme claire, animée de battements...»), uno sguardo via via ,spinto avanti ad agganciare la luminescenza di 17 ---
un'applique o il riflesso di una maniglia; mentre si liquefa immediatamente tutto ciò che passa dietro le spalle. Nemmeno la durata offre un supporto, segmentata com'è in tempuscoli sempre più fitti. «Je posais le mannequin à l'entrée d'un couloir... »: prima di dare il giusto rilievo al termine di mann[!quin, può giovare fermarsi su « couloir », a cui peraltro il testo narrativo preferisce la forma «corridor ». Che cosa vi si può costruire sopra? Nella sfilza delle esemplificazioni del lemma relativo, emerge un uso specifico: « le corridor de Dantzig», che appartiene equamente alla lingua della politica e a quella della geografia. Ma in un sogno ricordato in nota aHa Traumdeutung, la geografia funziona, insieme con un motto di spirito, come chiave per dissipare un'incertezza, un'incomprensibilità: è insomma la catena: « fra il ridicolo e il sublime non c'è che un passo» - Pas de Calais - canale della Manica. Nor1 meno (storicamente, politicamente...) che il suo omonimo di Danzica, il corridoio del testo di Reverzy è un vicolo cieco che non può portare in nessun luogo. Esso non canalizza un movimento, ossia una serie finalizzata di atti situati nello spazio e nel tempo ma, come credo si vedrà, l'inesistenza del movimento. Se vogliamo giocare con gli omofoni, non permette neppure quel «passo» (fra ridicolo e sublime, fra Dover e Calais) suggerito dall'associazione. 5. Il corridoio è una impasse: vi si colloca il personaggio anonimo come manichino o marionetta. «Et déjà la domestique s'éloignait sous l'effot du vigoureux élan imprimé par son pied, ébranlant le genou, le buste et les bras dont l'un s'avançait, de travers, comme pour déblayer un passage encombré, alors que l'autre, sa besogne accomplie, se rabattait. Et le chancellement du tronc qui suivait, bientòt redressé, puis s'écroulant encore, et toujours en avant, l'entrainait et 18
la précipitait plus loin, sans que ses jambes glissant obliquement, pied cambré, talons joints et rassemblés ainsi que dans un battement de crawl, parussent affecter le mouvemente qui l'emportait ». La lettura qui deve farsi microscopica, in parallelo al procedimento di frantumazione che opera la scrittura. La lente linguistica circoscrive rigorosamente e magnifica ogni frazione minimale di colpi e contraooolpi (« détente du genou, coup d'arret de la jambe brisant son erre, bascule de l'épaule, sursaut du buste, décollement du pied...»). Ecco quale meccanismo mostruoso scatena il muovere semplicemente un passo: « •.. jeu monotone d'arrachement du membre au sol, tout de suite abandonné à son sort, puis roidi le temps qu'il servit de pivot sur lequel basculait le corps, chacun, une fois encore, répétait la manoeuvre avec le meme effet de progression dérisoire...». Il testo esibisce esso stesso, direttamente, la figura di ciò che vi accade: « gésticulation disloquée», che si precisa più avanti con il ricorso a un termine che ho già usato: « gymnastique funèbre ». I campi fonici e semantici attivati da una frase come « flexion du genou, tressautements de la hanche, retrait du pied, recroquevillement de l'orteil» attestano nella tessitura verbale la ,qualità ultima di questo movimento, che fissa alla fine la doppia formula di « bascule» ed « effraction». Ma sia l'« altalena» che l'« effrazione» isolate come sono nella loro fenomenologia molecolare ed istantanea, si consumano senza effetto tangibile - ossia, con quale effetto? lo scrollo, la divagazione « imprevedibile e disordinata» delle gambe e delle cosce della cameriera dà l'illusione « qu'elle s'éloignait à folle allure, quand, en fait, elle ne progressait qu'à peine». Se Le corridor è un piccolo trattato di prossemica, la sua conclusione (implicita) è ben più che la presa di coscienza che mai « aucune opération de l'esprit» interviene a ordinare il ritmo del gesto, ma che non si dà 19
gesto assolutamente. Rintracciando segmentazioni sempre più ridotte del movimento del mannequin, il racconto approda alla stessa conclusione dell'aporia celebre che dà Achille battuto per sempre dalla tartaruga. Meccanica della frase e meccanica anatomica restano a tal punto solidali, anche attraverso la vaporizzazione dello spazio e del tempo, che la lettura non ha bisogno, per dir così, di traduzione. 6. Kleist, nel breve saggio sul teatro delle marionette geometrizza i due momenti della grazia nella struttura che ha «o nessuna o infinita coscienza», vale a dire nella marionetta o in Dio. Dove si trovano, rispetto a questi punti, le figure ·semoventi, non si ha la disinvoltura di chiamarle «personaggi», del Corridor? in una posizione intermedia e indefinibile, che attiene all'impenetrabile, al dislocato piuttosto che al connesso, a una serie d'«attitudes plus eprouvées et moins obscu!'es que les balbutiement , s de la parole...». Una minima e fittissima separazione in compartimenti stagni, che il testo di Reverzy chiama «ignoranza», occupa tutto lo spazio dell'agire: «une fois de plus j'étais en mouvement, sans m'étonner che chaque moité de mon corps, agissant pour son compte, se déplacat en ignorant l'autre». Ogni fase di movimento (piegarsi della rotula, stenderisi del piede, flettersi del polso, gioco dei muscoli e delle articolazioni etc.) non sa nulla della fase successiva o di quella immediatamente antecedente. Come in ogni singolo fotogramma del filmato di un gesto purchessia, l'immagine frazionaria del moto unicizzandosi fino al delirio, si annulla. Ciò che viene a mancare assolutamente èl il montaggio in una sequenza coordinata, in una sequenza-frase («aprire una porta», «salire una scala », «camminare per un corridoio »). Se si vuole portare a compimento la serie delle eti20
chette abbozzata, ma non più che per un gioco o Witz, si dirà che Le corridor esibisce l'esempio che in qualche modo chiude il circuito: a:Cte sans paroles, paroles sans acte. adesso acte sans acte. Ipotesi teoretica che si supporta di una sorta di negativa dell'atto mancato, che è viceversa un atto pieno, se, come osserva Lacan, occorreva scoprirlo ·« perché finalmente lo statuto dell'atto fosse decisamente distinto da quello del fare». C'è una folla di ,gesticolazioni millesimali attraverso il testo di _Reverzy, senza che esse arrivino mai a connettersi in un agire, in un fare - in un saper fare del quale il soggetto possa ricev, ere e fornire notizia. In questo senso il corridoio è un luogo strozzato dove non si muove un passo; quanto vale a dire che vi si onora l'affermazione per cui ogni atto è senza atto. 7. Il filo del discorso, per quanto possa venire sospettato di forzature, ha un vantaggio; qualche volta provoca echi. Il tessuto verbale di Le corridor srotola una successione irrelata di cinèmi, meglio: di frammenti di cinèmi (« unità di espressione gestuale»), nella forma primaria, olofrastica, senza, per dir cosi, suffissi, flessioni che li aggancino l'uno all'altro, gerarchizzandoli secondo una finalità operativa. Vi si disegna l'incapacità « di combinare unità... più semplici in unità più complesse» - di ricomporre, mettiamo, i moti parziali , articolari e muscolari, del piede e della gamba nell'azione del passo. Non è difficile riconoscere la fonte della descrizione del fenomeno, sia pure estrapolata e applicata metaforicamente. Sono le pagine che Jakobson ha dedicato ai due tipi di afasia, l'afasia motoria e sensoriale, e in particolare agli effetti dei disturbi della contiguità. Se si sostituisce ai fonemi, alle sillabe, alle parole, alle propo21
sizioni e alle frasi quei tratti sempre più estesi e complessi di gestualità in cui si segmenta ma anche si reimpasta il corpo umano in azione, si scopre che la ginnastica, che il lettore insegue attraverso Le corridor senza mai ridurla a un continuo, riproduce fedelmente i disordini di una anomalia del linguaggio. Che cosa voglio dir , e? Cioè: che cosa voglio dire che sia accaduto in questo testo narrativo, da conferirgli un privilegio di attenzione e di interesse? Quello che chiamerei, certo un po' rozzamente, una inversione dei canoni della raffigurazione letteraria. Non è la scrittura, non dico a descrivere ma a mimare, mediante i suoi istituti, accidenti e lacerazioni del reale (farò un rimando, grossolano, a tutta una letteratura dei nostri anni, che riproduceva in un agrammatismo stilistico la discontinuità e indecifrabilità della storia e dell'organizzazione sociale o la radicale inesplicabilità del mondo, etc.); stavolta ·sono le peculiarità, 1e idiosincrasie del sistema linguistico a irrompere nel reale - sia pure quel reale di secondo grado che si costruisce, per effetto di scrittura. nel luogo narrativo - in un'emergenza incoordinabile del corpo. La nuda ginnastica s'impadronisce anche dello scritto, lo trafuga. È nell'atto senza atto che il lettore riceve notizia di quanto accade al linguaggio. Notizia, beninteso, allucinatoria, com'è allucinatoria la caduta del dito per mutilazione nella storia dell'uomo dei lupi. 8. Ciò che fanno (possono fare) leggere i mannequins del Corridor non manca d'interesse, di là dall'omaggio a un testo letterario degno dì maggior fortuna. Ne derivano, se non risultati, idee e problemi. Vedi caso, Ergebnissen, Ideen, Probleme è la rubrica sotto cui sono state raccolte annotazioni frammentarie di Freud; fra le a:ltre, questa: « Lo spazio può essere la proiezione 22
dell'estensione dell'apparato psichico. Nessun'altra derivazione è verosimile... La psiche è estesa, di ciò non sa nulla». La ginnastica .fluttua in questo spazio in cui si rovescia un interno, come accade per certi animali che vomitano i propri intestini. Tanto varrebbe dire che la ginnastica è l'armatura che modella alla benemeglio il vuoto che ci riguarda; come peraltro potrebbe a buon diritto affermare di aver sempre , sostenuto Schreber père. di nome Daniel Gottlieb Moritz. A che cosa si riduce il corpo « in questa economia»? « Si profondément méconnu d'etre par Descartes réduit à l'étendue, il faudra à ce corps les excèl s imminents de notre chirurgie pour qti'éclate au commun rega11d que nous n'en disposons qu'à le faire etre son propre morcellement, qu'à ce qu'il soit disjoint de sa jouissance». (È quanto dichiara Lacan in un passaggio di « Intorno alla psicoanalisi nei suoi rapporti con la realtà»). Se il corpo, nel suo agire, subisce l'effrazione che a:bbiamo vista nel Con-idor, ,esplodendo in frantumi non più ricomponibili, qualche buona ragione ci sarà. Ginnastica e Logos si sono scambiati i posti; ma è pur sempre il Logos, in quanto veicolo del desiderio, che taglia la realtà. I mannequins di Reverzy sono attraversati ,da questi tagli (•sono i tagli stessi?). Nelle Esperienze di Guglielmo Meister, dal racconto che Guglielmo fa a Marianna della prima recita di burattini cui abbia assistito emerge un particolare forse significativo: smontato il teatrino domestico collocato nell'apertura fra due locali, « di nuovo si passava attraverso quella porta, da una stanza all'altra». Il movimento incantatorio del teatro avviene dunque in un entre-deux, lungo una linea invisibile di passaggio. « Impossibile che vi potessero essere solo due battenti ove il giorno prima v'erano tante meraviglie... etc. ». Su un 23
filo fra il « qua » e il « là » si produce il simbolico; a buon diritto il teatro è qualcosa legato a un passaggio. Ma nel Corridor il corridoio è una barra d'interdizione che nessun atto che vi si compia riesce a superare senza restarne polverizzato. Giuliano Gramigna REFERENZE Ari'Stotele, Dell'arte poetica, a cura di C. Galavotti, Fondazione L. Valla, Mondadori. Jacques Lacan, « Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse », in: Ecrits, Seuil. J. Lacan, « De la psychanaly,se dans s-es rapports avec la ;réalité », in "Scilicet 1 ". Samuel Beckett, Fin de partie suivi de Acte sans paroles, Editions de Minuit. Cesare Segre, « La funzione del linguaggio nell'Acte sans paroles di Samuel Beckett », in: Le strutture e il' tempo, Einaudi. Nathalie Sarraute, Disent les imbéciles, Gallimard. N. Sarraute, Vous les entendez?, Gallimard. Jean Reverzy, Le corridor, Julliard. J. Reverzy, « Un jour », in: A la recherche d'un miroir, JuHiard. Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli. Sigmund Freud, « Risultati, idee e problemi », in: Opere, vol. XI, Boringhieri. 24
Lo sfoggio della scimmia (sotto l'occhio fisionomico di G.B. Della Porta) L'origine e lo stile Il primo tratto che l'uomo espone all'arte di Giovan Battista Della Porta è scimmiesco: ma non appartiene all'enciclopedia del corpo, e non ha posto tra i molti segni, animaleschi e no, che ,sono descritti e interpretati nell'ordine, dispiegato in sei libri, del trattato De humana physiognomonia. In quest'ordine, che tra il secondo e il quarto libro si compendia appunto in enciclopedia, la molteplice fisionomia umana è scomposta e scrutata anche in linee e espressioni -scimmiesche; ma direi che queste sono relativamente poche - per esempio, al paragone delle leonine, taurine, canine, lupesche, asinine, caprine, porcine, tigresche, leopardesche, aquiline, corvine, gallinacee, gattesche -, né alcun rilievo casuale inconsapevole di filogenesi le estende all'origine e alla figura complessiva dell'uomo. Stanno nel catalogo, tra tutte le altre, distinte e applicate nel loro proprio significato. Del resto, l'ordine di questo studio cinquecentesco dell'umana fisionomia ha fondamento e si svolge nella materia minuta, numerosa della rassomiglianza, e ammette anche che un segno o carattere del corpo umano possa cambiare o sparire, per mutazione di luogo e di clima, 25
per influsso e operazione dei costumi e del comportamento, anche dei cibi, e magari di qualcuna delle pozioni e misture, delle purgazioni di sangue e d'umori che, nel libro sesto, la medicina naturale contro i vizi consiglia caso per caso: ma ogni alterazione e cancellazione, ogni somiglianza che si perda o affiori nel corpo umano prende valore e competenza, come in un codice, nel catalogo delle specie animali scritto nella natura dal principio. Ogni mutamento è individuale e risulta significante tra le distinzioni e le concordanze contemplate dal catalogo, cui corrisponde, nella scansione del significato, il sistema di · «costumi», viziosi e virtuosi, dell'animo umano, un sistema minuto e numeroso come quello del corpo, e investigato fin nei particolari «più ,segreti». Così non si inferisce, neppure per caso o per errore, mutazione o scambio, anche minimo, da specie a specie: andrebbero in frantumi, col « fisonomico sillogismo», la logica e l'apparato, e si dissolverebbe questa fisionomia o fisiognomica o fisiognomonia, questa curiosa investigazione, che nel volume è nominata e professata come scienza. No, il tratto scimmiesco fissato nella prima pagina del De humana physiognomonia non ha luogo e delimitazione tra i lemmi e le equivalenze dell'enciclopedia corporale: investe l'origine, l'essenza e tutti i possibili aspetti dell'uomo, proprio perché non si forma nel corpo. Direi che attiene, come un carattere dominante, allo stile: certo con l'irreparabilità di uno stile distingue - è - l'umana fra tutte le nature. «Perché,» comincia appunto la traduzione con cui esporrò alcuni passi e motivi ,del De humana physiognomonia, « l'uomo ... non par ch'abbi conseguito mai nulla, se come una simia di Dio... non lo vadi emulando et limitando ,J.e sue grandezze». La scimmia, di cui il volume è sfoggio, è, dunque, l'uomo: e certamente lo sfoggio - tra grandezze e bassezze umane - dovrebbe essere, riguardo all'emulato e imitato, un'abissale infinitamente goffa scim26
miottatura - un modo comunque, che coniuga uno stile. Il segno che distingue l'uomo nell'origine non è fisico, ma metafisico e, come « raggio ,divino participato ». parrebbe riflettersi nel « lume della ragione» (infimamente, e dall'esilio della colpa originale); ma, come raggio dell'immagine e somiglianza, informa l'origine intera dell'uomo - spirito e materia -, poiché « Iddio creò l'uomo alla sua immagine; egli lo creò all'immagine di Dio, egli li creò maschio e femmina» (Gen., 1.27). E questo segno è il principio e il fine del naturale stile scimmiesco dell'uomo. Lo stile ha una perfezione: ad essa è volto continuamente e da ogni segno, con la sua idea è confrontato in ogni particolare. Nella tensione, nel confronto - e nei modi dell'una e dell'altro - il volume forma la sua ragione e il suo linguaggio, i quali rimuovono e spengono - in modo innocente, per lo spessore delle cifre e delle parole - il lume dell'origine appena attinto, quella somiglianza memorata in apertura. La perfezione dell'uomo - che il volume significa per una fisionomia armoniosamente compiuta nelle auree misure della mediocritas - ha i suoi termini e la sua essenza nell'uomo stesso: nessun carattere o archetipo, che dal sublime, dal trascendente, intervenga a segnarla, può - per quanto si nomini - prendere rilievo in questa trama e in questa lingua. In principio, dunque, l'uomo è stato chiamato « simia di Dio»; ma da questo principio, nella voluminosa materia in cui si cerca e si mostra la sua perfezione, l'uomo desiste dallo scimmiottare. La perfezion� della « simia » si nega ad ogni miserabile imitazione: si svolge come gloria dell'uomo « misurato e esemplare», centro e punto di riferimento di « un universo conchiuso». 1 Lo stile è cancellazione di quell'origine, e nel libro non prende mai « paradigmi» fuori della propria natura. Ogni richiamo alla sublime somiglianza, ogni segno che in 27
qualche modo l'accenni, mi pare episodico e marginale: un gesto di devozione, un segnacolo messo con affabilità condiscendente, forse anche accorta, a proteggere la molteplice estesissima sostanza sensibile, tutta visibile, e il radicale naturalismo del libro. Dunque, lo stile della scimmia di Dio non si produce mai in una scimmiottatura: si svolge in infinite bassezze e in numerate e ordinate virtù; ma l'abisso della sua miseria non si affonda e non si fa mostruoso nell'infinito smarrimento di quella somiglianza, come il sommo della ·sua perfezione non sublima né precipita per la presenza, nel libro, nello sguardo fisionomico, di quel segno trascendente. Mantenuto innocente e limpido, e protetto (anche contro resipiscenze e sospetti, per altro improbabili) da un rituale devoto, fors'anche bigotto, allestito già nel cominciare e scandito da locuzioni, formule, immagini puntuali quanto consuetudinarie, quest'occhio fisionomico s'abbandona pienamente aUe proprie attitudini e alle proprie attività, e dispiega e delucida minuziosamente, in fervida libertà, la propria materia. Così, anche in questo libro, Giovan Battista Della Porta può « connettere senza sforzo una religiosità non priva di bigottismo con una sconfinata e innegabilmente feconda operosità», la quale con predilezione si svolge - a quel modo protetta e dimentica - in curiose materie sperimentali, in ricerche naturali insolite, 'meravigliose ', ma anche in 'ingegnose ' e calcolate attività tecniche, se non, o quasi mai, nel rigore e nell'esattezza delle scienze. 2 De miraculis rerum naturalium La perseverante versatile ricerca e la conversazione 3 gustosa del napoletano Giovan Battista Della Porta iri materie naturali e sperimentali, per lo più lontane dalla 'normalità ' della scienza, di cui l'ideologia rinascimen28
tale aveva già elaborato la moralità e stava istituendo il metodo, ma non lontane, anzi frequentate e intrigate dalla industriosa meraviglia e, appunto, dal calcolo ingegnoso di invenzioni e applicazioni tecniche, si produssero in numerose opere, alcune delle quali tuttora inedite. Nel 1558, a ventitré anni, pubblicò i quattro libri della Magia, 4 opera che si estese smisuratamente e si stabilì, nei venti libri della seconda edizione del 1589, 5 in enciclopedia dei misteri della natura e compendio del1'«avventurosa» invest:iJgazione. La Magia, tra la prima edizione e le ristampe che precedettero la seconda, procurò al Della Porta (probabilmente attorno all'anno 1585) un procedimento dell'Inquisizione, «per aver scritto intorno alle meraviglie della natura», che suona come una larvata accusa di stregoneria. Il procedimento si risolse con _una raccomandazione tra bonaria e ironica, che, se certo non trasformò, senza preamboli e per vera insospettata magia, lo sperimentatore e mago in esperto e vivace autore di commedie, lo dovette in qualche modo rendere più persuaso e applicato in quest'arte, già da lui praticata con risultati conosciuti nell'ambiente e apprezzati da un pubblico, sempre a lui caro e indispensabile, di amici. La sentenza del S. Uffizio, infatti, mentre sospendeva ogni procedura formale contro il Della Porta, gli raccomandava di lasciare le sue ricerche nei miracoli della natura, di «menar vita più colta» e di comporre commedie «per passatempo». Il procedimento certo lo intimorì e gli ispirò lo zelo accorto e disarmante quanto sincero delle assidue meticolose pratiche di pietà e misericordia; il consiglio di comporre commedie dovette trovarlo buono e tempestivo; quanto ad abbandonare le pericolose investigazioni non ci pensò neppure, e continuò ad assecondarne l'attrattiva e a tentarne la meraviglia fino alla fine dei suoi giorni. A procurargli le attenzioni dell'Inquisizione (che non lo avrebbero più abbandonato del tutto) 6 quasi certa29
mente non fu, nonostante il parere dell'interessato, l'accusa di Jean Bodin, imperterrito (e arrischiato, come ugonotto «convinto», «a mala pena scampato alla notte di S. Bartolomeo») 7 oppugnatore di pratiche magico-demoniache, che, nella sua Demonomania, aveva indicato i libri della Magia dellaportiana come «digni incendio»; fu molto probabilmente (e c'è da credere al suo biografo, Pompeo Sarnelli, 8 e a lui stesso, quando nel protestare si mantiene sulle generali) la malevolenza di gente che gli era più vicina, gente invidiosa della sua fama, delle sue ricerche e applicazioni industriose, dei suoi intrattenimenti ammirati, frequentati. Quella sua singolare conformazione (per usare un termine che familiarizza coi suoi studi fisionomici) , un impasto arguto di candore - quell'«infinito candore che disarmava» - e di sicura perspicacia, ebbe allora buon gioco contro le accuse, ma, quel che più conta per noi, si espresse in scelte e persuasioni radicali, accordate, senza margine critico o sfumature di termini e di giudizi (ingenuamente, appunto), con le tendenze e le figure del1'· «estremo naturalismo rinascimentale». 9 Sosteneva, il Della Porta, che i miracoli della sua Magia erano prodotti in �< termini naturali» e che i suoi procedimenti erano pura tecnica. Del resto egli definiva la magia «naturalis philosophiae consummatio» e la vede va come esplicazione e apogeo della scienza. Tra natura, filosofia naturale e arte magico-sperimentale si articola un «unico procedimento reale»: e il mago, tutto assorbito in questo procedimento, addetto al suo dominio con le specie e le particolarità innumerevoli del suo sapere, che va dalla medicina alla botanica, alla conoscenza di metalli, pietre e gemme, all'arte della distillazione (arte benefica e feconda, con cui si spremono e sublimano essenze da luoghi ed elementi segreti), e prende ordine e modelli dalle matematiche come dall'astronomia e dall'astrologia, 30
il mago o« professore di Magia»- lui stesso, dunque - diviene « quasi un organo della Natura» . 10 Il Della Porta ricercò finché morì, a ottant'anni, nel 1615, la pietra filosofale, e oerto professò credenze demonologiche e tentò pratiche occulte, spede nella vecchiaia, come dimostra la Taumatologia; ma, al di là delle dichiarazioni di ortodossia, con cui cavillosamente (o ancora con candore?) cercava persino un'autorizzazione per i suoi interessi e procedimenti in segrete materie naturali che volevano la collaborazione dei demoni, restavano fermi i termini della sperimentazione ·e di un' opzione realistica, per cui tutto ciò che egli eseguiva e argomentava - anche senza prove e per supposizioni e arcani, e fin per -libresca pedanteria - doV'eva attenere e ricondursi ai princìpi e alle proprietà della natura, ed egli come professore di magia era« Naturae minister». Seppe comunque svolgere alcuni elementi della sua multiforme investigazione e della sua alacrità tecnica in procedimenti esatti o, per dirla con lui, conformi ai « tempi opportuni» della Natura, sicché ottenne risultati concreti e gli riuscirono o, per certe sue intuizioni ed applicazioni, gli furono attribuite formulazioni nuove e invenzioni. Nella Magia del 1589 si vede ideata, in precise osservazioni, la camera oscura; Keplero e gli accademici Lincei gli attribuirono l'invenzione del telescopio, e di questa sua paternità o, quanto meno, priorità sostenne, in più di uno scritto, una difesa gelosa; di ottica si occupò, con atteggiamento tra curioso e proclive all'intrattenimento, in un libro della seconda edizione della Magia, ma già qui seppe disciplinare o risolvere la vena manieristica della conversazione particolareggiata e meravigliosamente variopinta nell'esattezza, sorprendente come un estro, della definizione scientifica, della formula otticogeometrica della visione, che poi svolse e argomentò nel rigore fisico-matematico del trattato De refractione; 11 31
con analoghi impulsi ed esercizi di rigore , si occupò di magnetismo, come del vapore, della sua forza elastica, u e praticò la farmacopea e, in molte specie e operazioni, l'agricoltura, di cui divulgò esperienze e metodi nuovi 13• Anche nelle materie più curiose, nei percorsi azzardati e segreti, che attraggono più vivamente e intrigano la sua ricerca, con la rarità, l'arguzia, la sorpresa, il Della Porta suscita, per certi tratti e pagine di fervida ed esperta osservazione e didascalica narrazione, l'idea o l'impressione ammirata di un accurato sicuro coerente allestimento del lavoro, che investe e adibisce dati e procedimenti in « finezza e ricchezza» di osservazioni, m « cautela e perizia» di raffronti, in un felice ordine di « raccolta e catalogazione», e in un'efficace articolazione di rapporti e di scambi tra la visione d'insieme e « la precisione delle nozioni individuali». 14 La prefazione alla Chirofisonomia che espone, in forma di narrazione - nel dar conto e notizia di cose intraprese e compiute -, un esempio di questo lavoro, tra fervore e accuratezza, piacere intellettuale e puntuale industriosa investigazione, è stata da più di uno studioso letta e chiosata d'ammirazione, 15 e segnalata per certo « sapore leonardesco». 1 6 Un lettore moderno, il Corsano, trova che il pregio di questa pagina, e ,di altre analoghe del Della Porta, è « piuttosto artificioso che propriamente scientifico»: e intende dire che « l'oculata insaziabile vivacità della osservazione» è motivo di ·« artistica spregiudicatezza» e trama la ricerca e il testo - anche nell'ordine e in tratti e procedimenti di fruttuosa sperimentazione - di rappresentazioni attraenti, di cose �< piuttosto intuite che pensate, piuttosto viste-e disegnate che percepite e analiticamente fissate». 17 Il Della Porta sa applicare le « ragioni matematiche» in certi suoi studi, specialmente in quelli ottici, e nelle sue ideazioni tecniche, e, in modo astratto e pregiudiziale, prescrive a tutte le ricerche il modello ( « di sempli32
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