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Mario Levi, Renzo Giua, Nicola Chiaromonte, Carlo Rosselli, Aldo Garosci

Lettere di un dissidio in Giustizia e libertà
Tratto da Mezzo secolo n. 3, 1978

I1
Lugano, den Domenica 
15 marzo 1934
Carissimi, vi scrivo da Lugano dove sono venuto a prendere la roba. Ho preso quasi tutto. Dall'Italia vi manderò la solita cartolina. E' stato impossibile venire prima per difficoltà materiali.
Neue Weltbuhne-Prag. Di qui ho provveduto anche a mandare un'assicurata di 1000 lire a tale giornale, pregandoli di destinarli nel modo che crederanno migliore, a favore dei caduti di Vienna.
Naturalmente l'invio è stato fatto a nome dei Gruppi italiani di GL. Riteniamo che questa mossa ci potrà essere utile a dare prestigio internazionale al movimento. L'invio è stato accompagnato da una lettera (di cui manderemo una copia anche dall'Italia, per dimostrare che si tratta proprio di italiani) ove vengono brevemente illustrate le finalità del movimento. Vi raccomandiamo di mandare subito a Praga l'ultimo quaderno e vedete di farci sapere quale è stata l'impressione lassù. La Weltbuhne è certamente la migliore rivista dell'emigrazione tedesca e l'unica che abbia tendenze che mi sembrano assai vicine alle nostre. (V/ atteggiamento di fronte ai fatti di Vienna, nell'ultimo numero c'era un bellissimo articolo di Schlamm. Odioso e stupido invece l'atteggiamento di Schwarzchild nel Tagebuch).
Art. Pens. Fateci sapere se è stato pubblicato nella République e in caso affermativo mandatecene un numero al più presto.
Art. Emiliano2 per la Libertà. Ve lo allego, mi sembra ottimo.
Tra poco vi manderemo, sempre per la Libertà un art. di M.S.3 sui fatti di Vienna.
Turbo. Vi ha risposto? Fatecelo sapere al più presto.
Olanda. Domenica scorsa con Monsignore, sono andato a trovarlo. Non lo conoscevo e mi ha fatto l'impressione di uno scemo, utile solo come vache à traire. Però da lui incontrammo altri elementi, tra cui quello giovanissimo, di cui già sapete, che mi fece impressione eccellente. Domenica prossima Monsignore andrà nuovamente a 56, 55, 43, 85, 86, 15 [Milano], dove vedrà ancora dell'altra gente. Questo per dirvi che curiamo anche l'organizzazione negli altri centri. Certo che lì bisognerebbe trovare elementi nuovi, perché quelli vecchi mi sembrano di scarso valore per quanto numerosi. Non abbiamo ancora potuto andare invece a 68, 15, 43, 15, 60, 87, 17 [Bologna], ma provvederemo nei prossimi giorni. Ci andrà quasi certamente Trap. A proposito di quest'ultimo, vi confermo per il 20 corr. venuta costì. Questa volta è certo perché gli scade il passaporto.
Prossima introduzione. Vi manderemo nei prossimi giorni una cartolina, in base alla quale dovrete fare una spedizione a 59, 83, 36, 36, 17 [Nizza], fermo posta. Dunque:
57, 17, 61, 43, 61 [Paolo] vuol dire fate la spedizione fermo posta al nome di Trap.
43, 49, 46, 53, 17 [Luisa] vuol dire fate la spedizione a nome di 45, 33, 71, 72, 42, 46, 63 - 10, 15, 17 [Vittorio Foa].
74, 61, 29,17, 87, 22 [Rosana] vuol dire 79, 37, 38, 86 - 29, 11, 18, 66, 11 [Sion Segre], se invece fosse Silvia, vuol dire naturalmente che sono io.
Da quanto mi disse Visani qui, il dissidio tra GL e la Concentrazione si sarebbe manifestato apertamente in seguito all'articolo di Tirreno4.
Fateci sapere qualcosa al più presto. Il ns. punto di vista è inutile che ve lo diciamo.
Fateci sapere qualcosa in merito alla prossima venuta di France.
Bisognera anche pensare a fare passare le valigie, ma io non prevedo per il momento di potere fare un viaggio. Il sistema da me usato l'ultima volta si è rilevato magnifico e credo che potremo utilizzarlo in seguito su larga scala. Avrei potuto fare entrare circa il doppio di quanto ho portato.
Vedo solo ora quanto ci comunicate riguardo a Pens. Mandateci la Depeche.
Credo che non ci sia altro. La n. organizzazione migliora continuamente, ora disponiamo anche di una macchina. Il manifesto finanziario verra spedito il 15 corr. Peccato che è gia molto invecchiato.
Saluti affettuosi. Selva [Mario Levi]

II5
[Ottobre 1934] Caro Carlo,
ti lascio questo «Memoriale» senza salire le scale perché ho un po' fretta. Ho cercato di mettere in forma concreta le mie critiche perché non mi diate del «solito ebreo distruttore». Affettuosamente.
[Selva]

MEMORIALE A TUTTI I MEMBRI DEL CE6
I recenti avvenimenti e le discussioni che hanno avuto luogo in seno al nostro gruppo ci pongono di fronte ad alcuni problemi di impostazione generale e di azione pratica che è piuttosto urgente di risolvere. Qui si fanno alcune proposte concrete.
Si parte da una constatazione di fatto e cioè che le sinistre sono in piena rotta ovunque. Ne consegue:
l) che le cosidette masse si attaccano disperatamente alla trave di salvezza del fronte unico e non vogliono sentire altro.
2) che in queste condizioni ogni tentativo di raccogliere l'emigrazione attorno a una formazione che non sia di fronte unico è destinato a cadere nel vuoto o, meglio, ad essere dichiarato "disfattista". L'isolamento in cui si trova il nostro gruppo, accentuatosi negli ultimi mesi (diminuzione delle vendite e degli abbonamenti), è abbastanza significativo. Dal giorno che si è rotta la Concentrazione, siamo rimasti in quanti eravamo ed in più abbiamo perso qualche collaboratore di non scarso valore intellettuale.
La situazione di fatto è ancora più seria: se non il fascismo, almeno la reazione sembra trionfare in Francia e tutti gli emigrati politici si trovano di fronte alla prospettiva di dover cambiare fra pochissimo tempo.
In questo caso non c'è da sperare di poter continuare a svolgere qui la nostra attività, in modo sia pure clandestino. A parte il fatto che molti membri di GL hanno famiglia, essi sono troppo noti alla polizia francese per poter pensare che possano vivere qui nascosti. D'altro lato bisogna tener presente il pericolo gravissimo che incorreranno d'ora innanzi i nostri elementi italiani nel venire a contatto con noi, essendo prevedibile che dopo i fatti di Marsiglia non tarderà a formarsi -se già non c'è- un'internazionale delle polizie anche per i politici.
Questa la situazione. In relazione ad essa si propongono i seguenti provvedimenti:
1) Trasportare le tende a Bruxelles. E' da studiarsi se convenga farlo subito o attendere la soppressione del giornale.
Ad ogni modo tutti dovrebbero provvedere d'urgenza al passaporto.
2) In Francia potrebbe restare chi crede di farlo e soprattutto chi può. Uno però è indispensabile che rimanga e cioè Bittis.
Questi, come studente ha una grande libertà di movimento e inoltre non è affatto compromesso. Egli dovrebbe andare a fare i suoi studi a Grenoble e di lì incaricarsi dei contatti con l'Italia.
Non bisogna considerare questa proposta come una semplice misura di salvataggio, ma anche come atta a rendere i nostri servizi più efficienti di oggi perché:
a) Grenoble è più vicina alla frontiera di Parigi.
b) il nostro compagno non avrebbe altra occupazione all'infuori di quella (o le sue solite attività di carattere sessuale) e farebbe tale lavoro assai meglio di qualsiasi comitato residente a Parigi.
3) I Quaderni ed il giornale potrebbero fondersi in un'unica rivista mensile di cultura politica. Certamente la perdita finanziaria - usando carta e caratteri meno costosi di quelli dei Quaderni - sarebbe inferiore al deficit attuale per le due pubblicazioni, anche supponendo, come è probabile, una vendita bassissima.
4) In ogni modo - e cioè qualunque sia il carattere delle nostre pubblicazioni, GL all'estero dovrebbe perdere assolutamente il carattere di «movimento»; questo è il punto fondamentale. A parte il fatto che per qualunque polizia, e non soltanto per la polizia, un movimento si distingue dai partiti per il fatto che non ha fiducia nella «massa» ma solo in altri mezzi più energici di azione, restano le considerazioni che si sono fatte sopra, e cioè che il volerci contrapporre come nuova formazione alle formazioni esistenti è inutile e ci aliena delle simpatie cosidette «azione in Italia» che poi non è affatto «azione», a meno che si vogliano trasformare in realtà i segni delle polizie, si riduce di fatto a una questione di collegamenti, cioè un servizio (che noi rendiamo ai gruppi italiani), e potrebbe venire svolta anche meglio di ora nel modo che si è detto. Si tratterebbe semplicemente di cambiare atteggiamento. Cioè: premesso che:
a) esistono in Italia certe formazioni antifasciste che non hanno nulla a che fare con i soliti partiti perché hanno carattere unitario cioè raggruppano elementi di tendenze politiche diversissime e anzi in fondo si può dire che i vincoli che uniscono questi elementi non sono politici, ma affinità culturali, amicizie, comuni ripugnanze e oltre a un certo desiderio piuttosto generico di approfondire la situazione.
b) in sostanza la stessa indeterminatezza politica si ritrova nella maggior parte degli operai che si dicono comunisti, mentre in realtà il loro solo legame con il PC è che quest'ultimo fa soprattutto propaganda fra gli operai.
c) in queste condizioni c'è da scommettere che il giorno che la situazione tornasse ad essere dinamica in Italia le vecchie formazioni si scomporrebbero e se ne formerebbero delle nuove su delle basi interamente diverse.
E' perfettamente assurdo parlare di noi come di qualcosa di formato e porre la candidatura di GL alla successione al fascismo.
La nostra superiorità sugli altri deve essere invece che noi ci rendiamo conto di questa enorme confusione e non abbiamo né presunzione né illusioni. Alcuni membri delle formazioni di GL in Italia hanno dovuto rifugiarsi all'estero per necessità di cose: in base alla loro esperienza e per il desiderio di rischiarare le idee e di mettere al corrente l'opinione pubblica su certi fatti, stampano una rivista.. Che poi a questa collaborino gli elementi italiani e che qualche numero di essa vada a finire in Italia, è affare nostro e non c'è bisogno di metterlo in giro né di vantarsene.
Esempi pratici di atteggiamenti da prendere in alcuni casi concreti. 
a) Non parlare continuamente di GL. Basta il titolo. 
b) Non parlare dell'azione in Italia. Come azione in Italia il fascismo ci batte tutti quanti. Inoltre è assurdo -e tutti se ne rendono conto- di considerare come merito nostro il fatto che ci sia in Italia della gente che va in galera sotto il nome di GL. I cosidetti «gruppi rivoluzionari» sotto il fascismo si formano spontaneamente e non in seguito ad un'azione nostra. Se domani a Canicatti ci fosse un gruppo che si mettesse in contatto con noi, gli daremmo anche la camicia, senza chiedere loro se preferiscono Marx o Proudhon. (I comunisti metterebbero forse il postulato, ma la risposta non avrebbe nessun valore). 
c) Il fatto che noi non ci contrapponiamo agli altri partiti di emigrazione -supposto che fra qualche mese ne esistano ancora- ci permette di criticarne l'atteggiamento in casi concreti, ciò che oggi non possiamo fare senza tirarci sulla testa un vaso di spazzatura. (Ricordare che lo scrivente si è sempre opposto alle polemiche).
d) La nostra rivista potrebbe e dovrebbe assumere un carattere piu europeo (questa tendenza c'era gia nei Quaderni), cioè promuovere i contatti con i migliori gruppi di sinistra all'estero, cercare la collaborazione con scrittori di valore, ecc.
e) Restare aperti, anzi diventare, aperti. Utilizzare nei limiti del possibile la collaborazione dei pochi elementi di valore dell'emigrazione italiana che non fanno parte del nostro gruppo, riconoscenti ogni volta che qualcuno ci aiuterà nella ricerca di un livello di probità intellettuale e di conoscenza politica.
Postilla
Supposto che la soluzione della rivista mensile venga accettata, resta la difficoltà di tenere informata l'emigrazione su quanto accade in Italia.
Questa potrebbe venire superata con la stampa di un bollettino mensile di informazioni (ma fatto su un tono più tranquillo di quello che si pubblicava a suo tempo), come appendice ai Quaderni e come foglio staccato, salvo tornare a un giornale settimanale di informazioni, non appena esisteranno i fondi.
Quanto alla Sigla7, nella forma datale nelle ultime riunioni, cioè non di gruppo politico, ma di riunioni culturali, va benissimo.
Bisognerebbe accentuare questo carattere in modo da persuadere a parteciparvi anche i socialisti e comunisti intelligenti.
Le osservazioni contenute in questa postilla hanno lo scopo di dimostrare che lo scrivente non propone in alcun modo di diminuire l'attività di GL, ma unicamente di cambiare leggermente la forma e il tono della nostra stampa, cioè di renderlo più rispondente a quello che siamo noi e quella che è la situazione.
Selva

III8
Parigi, 11 maggio 1935 
Cari Levi e Bittis, vi sarete forse meravigliati della mancata pubblicazione delle vostre firme sotto la lettera di Luciano che esprimeva consenso e ammirazione all'articolo di Andrea9. Come ho detto a Luciano, questa vostra manifestazione collettiva - una specie di votazione (voi, gli antielettorali!) in materia di idee, era estremamente inopportuna e irritante. Pare che ormai la vostra massima preoccupazione sia quella di profittare di tutte le occasioni per mettere in luce i dissensi interni nostri e per esasperare una situazione che sapete già quanto sia delicata. Se almeno questo atteggiamento si accompagnasse con un'attività qualsiasi per il movimento. Da questo lato invece disinteresse totale, scandaloso.
E' bene che sappiate che noi -parlo anche per Cianca e Magrini10- siamo assai urtati dal vostro modo di fare. E certo se le cose dovessero continuare così meglio sarebbe arrivare ad una chiarificazione definitiva che lasciasse voi condurre in piena libertà il vostro esperimento. Sono due mesi che ci perdiamo in discussioni, urti, incomprensioni e soprattutto accademie. lo, Magrini e Cianca lavoriamo; voi vi limitate di quando in quando a farci avere un articolone o una firma con la degnazione di chi possiede la verità e guarda con compassione gli altri perdersi nell'errore. Finché si arriva al colmo di Bittis che, dopo avere assunto spontaneamente degli obblighi precisi in materia di organizzazione, se ne frega allegramente di tutto e di tutti e giunge a dire ai compagni della Sigla coi quali doveva fare un modesto ma utile lavoro di propaganda che quelle sono manifestazioni da esercito della salute a cui lui, maestro di rivoluzionarismo e di attivismo, non può aderire.
Mi darete atto che sinora io sono stato estremamente paziente e liberale. Ma, per quanto mi concerne, da ora in là divento intransigente. GL è e resterà un movimento politico con una disciplina e un minimo di solidarietà interna. Chi nega il movimento, chi se ne frega del lavoro pratico, chi, per correr dietro alle sue esperienze personali intellettuali o ai suoi disperati pessimismi, butta per aria quel poco che da anni facciamo tra difficoltà infinite, secondo me è meglio o che si tiri in disparte o dica ben chiaro che per l'avvenire egli si limiterà a fornire di quando in quando un articolo che la direzione del giornale pubblicherà se lo riterrà opportuno. Almeno la situazione sarà chiara e ciascuno, nel suo campo, potrà camminare liberamente. Coi vostri eccessi intellettualistici e ipercritici prima avete possentemente contribuito a esasperare la crisi Lussu; poi a urtare Tarchiani; ora Magrini; e, finalmente me e Cianca e qualche altro. Se almeno voi concludeste qualcosa. Ma non concludete nulla e non concluderete nulla. Liberi voi di continuare per la strada per la quale vi siete messi. Ma decisi noi a resistere da ora in là nel modo piu netto.
Vi scrivo quanto sopra con dispiacere e soprattutto molta amarezza. L'anno scorso, quando iniziammo la nostra esperienza autonoma, speravo che del nostro gruppo, in ragione proprio della diversità e ricchezza delle personalità che conteneva e dell'impeto nella lotta [...] rinnovamento di posizioni pratiche e teoriche che era nel desiderio comune. Passato il primo periodo, sempre difficile, di reciproco adattamento, ci saremmo fusi sempre più sino a creare in GL e attorno a GL quell'atmosfera ardente e appassionata che alla lunga ci avrebbe dato e nell'emigrazione e in Italia il prestigio e la forza che ancora non abbiamo. A voi più giovani e più di recente venuti dall'Italia toccava evidentemente la parte di animatori. Dovevate essere voi, con l'esperienza piu diretta e immediata della situazione in Italia, [a] fare e fare meglio ciò che noi, cioè Lussu, Tarchiani, Ci[a]nca, Magrini ed io eravamo riusciti a fare durante quasi cinque anni. Invece ...
Ma è meglio che non mi ripeta.
Vi ho scritto con una franchezza assoluta dicendovi tutto quello che ho sullo stomaco da tempo. Vi scrivo assieme perché mi pare che abbiate ormai deciso di procedere assieme nelle rare manifestazioni pubbliche a cui credete di poter accedere. Non abbiatevene a male. E, se un ultimo consiglio mi è lecito darvi, riflettete sulla questione prima di decidere.
Ricordatevi che è facilissimo disfare quel poco che tra sforzi accaniti di anni si è venuti costruendo; ma che poi, quando si tratta di fare qualcosa di diverso e di meglio che non siano delle conversazioni peripatetiche o delle letture per il proprio perfezionamento personale, le difficoltà sono enormi e i più, anche i più dotati, falliscono.
Vi saluta il vostro
[Carlo Rosselli]

IV11
Parigi, 14 maggio 1935 
Caro Carlo, sebbene tu non ami le manifestazioni collettive ti rispondiamo assieme, sia perché Bittis è ancora ammalato, sia perché la tua lettera è indirizzata a tutti e due.
Siamo troppo amici per fare delle questioni di forma; tuttavia, anzi appunto perché siamo amici, non possiamo nasconderti che il tono della tua lettera ci ha un po' stupito per una sfumatura - è il meno che si possa dire - «caporalesca». Nella tua lettera tu ci inviti a riflettere prima di rispondere. A nostra volta non possiamo fare a meno di dirti che se tu avessi riflettuto prima di scriverci ti saresti forse ricordato di qualche punto che troviamo strano che ti sia sfuggito: 1) «paziente e liberale» può dirsi un padrone rispetto ai suoi dipendenti, non un compagno con i suoi eguali, i quali sono capitati dove sono per non voler sopportare un «duce che ha sempre ragione». 2) Un movimento politico con un minimo (o un massimo) di disciplina non è cosa che si acquista come un'automobile o un giornale e si mette su non appena si abbia un'insegna o una bandiera. Non è neppure un esercito (dove del resto la «disciplina non impedisce ai soldati di scappare, e non per vigliaccheria, come credono i generali») e ancor meno un ufficio per l'evasione delle pratiche:
«azione», «articoli sulla situazione economica», «polemica con la Chiesa», «attacco a Stalin», ecc. Per fare un movimento politico ci vogliono, oltre a certe qualità di uomini, qualche cosa come delle idee precise e soprattutto certe circostanze di fatto che non siamo liberi di improvvisare e che tutta la situazione del mondo contemporaneo contribuisce a creare. Ora la questione seria è appunto se tali condizioni oggi sussistano e a quale forma di movimento politico le circostanze, sia dell'Italia, sia dell'Europa diano la possibilita di esplicarsi. Volere eludere sotto pretesto di «intellettualismo» un esame serio di tale problema è, secondo noi, disfattismo peggiore di qualunque «disperato pessimismo». 3) «Quel che si è riusciti a fare durante quasi cinque anni» è il punto più doloroso del malinteso che evidentemente sta fra noi. Se veramente tu fossi soddisfatto di quel che è stato intrapreso, allora evidentemente ogni discussione seria non avrebbe più oggetto. 4) Tu citi Lussu, Tarchiani, Magrini. Ciascuno di questi tre nostri compagni ha idee precise che non sono le medesime per loro tre e che certamente per tutti e tre si distinguono da quel che in tutta coscienza credono di dover sostenere, Luciano, Bittis, Selva. Più importante forse sarebbe definire esattamente come la pensi tu in merito alle questioni che sono state ultimamente dibattute e che sono state origine dei dissensi. Quanto sappiamo di più preciso in merito a questo è che tu hai fatto appello (in passato) a «tutte le eresie». Se questo appello fosse stato fatto ai fini di un reciproco adattamento, bisognerebbe credere che tu alle idee non annetti il minimo valore e che credi che il valore del pensiero stia non nello sviluppo ma nello smussamento degli angoli, cioè nella confusione permanente. Come da un tale miscuglio di idee dimezzate potrebbe nascere «l'atmosfera ardente e appassionata» che tu vorresti, è un mistero. E' vero senza dubbio che si può evitare di prendere posizione su alcune questioni troppo brucianti (come quella nazionale), per «non urtare» chi non è d'accordo, ma questo è appunto il metodo adottato da quegli stessi partiti e gruppi politici contro cui si è sempre messa GL, ed è questa precisamente la tabe che li corrode. Si può certamente anche salvare capra e cavoli (nel caso concrete le eresie e i conformismi) con la formula del «liberalismo», cioè concedendo la «libertà di stampa». Ma tu devi essere come noi abbastanza nemico di queste libertà formali per riconoscere che, perché le «eresie» diano qualche frutto, non basta concedere loro di regola due, a titolo assolutamente eccezionale quattro colonne sul giornale. Sinché le eresie rimangono, per così dire, sulla carta, allora davvero il loro valore non è che «intellettualistico» o, per meglio dire, letterario. Ma per avere cercato di far vivere davvero un'eresia, creando intorno a una persona della classe di Andrea un'atmosfera e una «comunità» come, tra parentesi, non abbiamo trovato in alcun altro punto della GL di Parigi, ci siamo tirati addosso tutte le scomuniche della Direzione del Giornale. 5) L'ironia sul «rivoluzionarismo e l'attivismo di Bittis» sarebbe stata pertinente quando Bittis, stando in Italia, rischiava qualcosa per compiere un «modesto ma utile lavoro» a favore di GL.
Passando quindi al particolare, rispondiamo anzitutto al punto che ha sollevato i tuoi (o i vostri?) maggiori sdegni, alludiamo alla firma apposta alla lettera di Luciano. Ci dispiace che tu abbia frainteso completamente il senso di questo nostro atto, parlando, come fai, di «una specie di votazione estremamente inopportuna e irritante». Secondo le nostre intenzioni si trattava semplicemente di esprimere un nostro parere in merito a una discussione aperta a tutti sul giornale, parere che era ed è di consenso assoluto alle idee di Andrea. Può darsi (e non è neanche detto) che con la sincerità si corra il rischio di «esasperare i dissensi» ma crediamo di averti già spiegato a lungo perché reputiamo necessario che un "movimento politico" debba correre questo rischio. Però sappiamo benissimo che non è questo il punto che ti interessa di più e che - per parte tua almeno - ci perdoneresti in fondo tutte le eresie di questa terra, a condizione che noi due «come te, Magrini e Cianca lavorassimo e non ci limitassimo di quando in quando a farvi avere qualche articolone o una firma con la degnazione di chi possiede la verità».
Siamo qui alla famosa questione del «lavoro pratico» che dividerebbe, secondo te, i buoni dai reprobi, o, per meglio dire, gli scolari diligenti dai fannulloni. Ora ci sembra che qui ci sia una serie di equivoci. In quest'anno di nostra residenza a Parigi le manifestazioni più importanti di GL sono state senza dubbio: 1) il giornale, 2) il 12° Quaderno, 3) la Sigla di Parigi. Per quanto riguarda le prime due, il contributo dei «fannulloni» non è stato certamente inesistente. Non vogliamo negare che esso è andato calando in quest'ultimo tempo; però è assolutamente ingiusto attribuire questo esclusivamente a colpa loro e non al disprezzo da te piu volte manifestato per questo genere di lavoro che definisci anche adesso «eccessi ipercritici» e «articoloni». Per quanto riguarda la terza attivita di GL, potresti tutt'al più rimproverare a Selva di non essere intervenuto regolarmente alla Sigla (anche questo assenteismo data dagli ultimi mesi); per quanto riguarda Bittis egli è intervenuto sempre con la massima regolarità, salvo che in quest'ultimissimo periodo in cui si è ammalato.
Ma non siamo ancora al centro della questione perché, secondo te, le prime due forme di attività non sono ancora «lavoro pratico» o almeno ne costituiscono la parte meno importante. «Importante» sarebbe esclusivamente l'organizzazione dei gruppi all'estero e l'introduzione del materiale di propaganda in Italia. Per quanto riguarda queste attività è ingiustissimo da parte tua muovere dei rimproveri a Bittis che è l'unico che se ne sia occupato con continuità e ottenendo dei risultati. Per quanto riguarda Selva egli non ha avuto occasione né incarico di occuparsi, in questo ultimo tempo, dell'introduzione di stampa in Italia, mentre per l'organizzazione ha dichiarato sin da principio di non esservi tagliato.
Sin qui ti abbiamo seguito sul tuo terreno perché non ci potessi rimproverare di cercare delle scappatoie. Per l'ennesima volta però dobbiamo constatare che tu, nel farci le tue «osservazioni», non hai tenuto il benché minimo conto di quelle che, per esempio, ancora recentemente ti faceva Selva (nel colloquio avuto con te a casa tua) e che tu deflnisci molto sbrigativamente come «pessimismo disperato». Ti ripeteremo quindi ancora una volta che non abbiamo fiducia nei risultati del lavoro «pratico, organizzativo e propagandistico», almeno finché è condotto con i mezzi soliti delle altre organizzazioni politiche esistenti e che GL non ha fatto finora che seguire pedissequamente: posizione di concorrenza in confronto degli altri partiti, reclutamento effettuato tra gli element! politici dell'emigrazione, orientamento politico generale dato al movimento, vincolo esclusivamente politico fra i membri. Tutte le volte che si è sollevata la discussione a questo proposito è stato un disastro; ma tu per non perdere ulteriormente tempo in «sterili discussioni» hai creduto opportuno di non tenere nessun conto di quanto ti è stato detto e che, se non ti portava bello e fatto un «programma positivo di azione» era per lo meno giustificato da alcune circostanze di fatto: la situazione catastrofica dell'«antifascismo», lo sgretolamento progressivo di tutte le formazioni politiche in tutto il mondo, la violenta antipatia degli italiani (e, sarebbe più esatto dire, di tutta la gioventù europea) verso le varie organizzazioni politiche dell'antifascismo. Ma tutto ciò è secondo te, «disperato pessimismo». Del resto non è neanche giusto di dire che le osservazioni che ti sono state fatte da Selva fossero esclusivamente critiche. Nel memoriale presentato da questi a suo tempo egli, partendo dalle premesse di cui sopra, era giunto alia conclusione che convenisse per il momento concentrare tutte le forze e le attività di GL per fare una rivista «europea» e di primo ordine in tutti i sensi (ciò che il settimanale, per quanto notevole sotto diversi punti di vista, è lungi da essere), riducendo il «lavoro pratico» a quella parte concreta e molto limitata che, nella situazione attuale, è la sola che abbia dato e possa dare dei risultati. Ad ogni modo, visto che le proposte di Selva sono state scartate (e, a dire il vero, non sono state neanche prese seriamente in esame) era perfettamente giusto che il «movimento» continuasse a seguire quelle direttive sulle quali la maggior parte dei membri era d'accordo, però è assolutamente arbitrario e fuori luogo da parte tua di qualificare di «intellettualistica» e «sterilmente critica» una posizione che non è quella ufficialmente consacrata e di condannarla in nome di non sappiamo quale militaresca disciplina. Del resto la stessa «disciplina» da te invocata, sia in senso generico, sia perche Bittis si è permesso di criticare di fronte a un compagno un'iniziativa a cui doveva prendere parte e per la quale non era stato neanche interpellato (per giudicare a che cosa si riferisca la critica di Bittis ti consigliamo di andare a vedere il film «XX° Siecle») mette in luce una volta di più l'equivoco del «movimento politico», il quale non è, sino a prova contraria, un'organizzazione disciplinare. Ma nel clima che si è creato in quest'ultimo tempo anche una constatazione elementare come questa rischia di essere qualificata di «disfattista». Non vogliamo ripeterci; ma una volta di più dobbiamo dirti che la gente (e qui parliamo in generale e non solo di noi due) trova dei moventi di azione soltanto quando questa «azione» li persuade?
Un'ultima osservazione ancora; tu dici (implicitamente): se ci separiamo che cosa sarete capaci di fare ? niente probabilmente. Se questo è lo sfratto dato dal «proprietario» non abbiamo niente da dire. E' probabile che, privi di mezzi, noi «continuando per la strada per la quale ci siamo messi», non faremo grande concorrenza alla Ditta GL. Il fatto però che noi non siamo forse in grado di fare niente non significa che le nostre opinioni non valgano niente. Se si dovesse misurare la gente (o i gruppi politici) dalla quantità delle cose che intraprendono, e non da quello che sono, il confronto tra, mettiamo, il fascismo e GL, non sarebbe precisamente a favore di quest'ultima.
Molti cordiali saluti da
M. Selva - Renzo Bittis [Renzo Giua]

V12
Parigi, 14 maggio 1955 
Cari Selva e Bittis, se essere pazienti e liberali significa essere «caporaleschi» non so più che cosa significa la parola «caporale». In ogni caso vi faccio osservare che un «caporale», un «padrone» non chiedono ai propri «soldati» e «dipendenti», come io vi chiesi e vi chiedo, di diventare gli «animatori».
Voi mi scrivete che un movimento politico non si acquista come una automobile o un giornale. E' vero. Intendo il riferimento e non voglio giudicarlo. Ma vi rispondo che appunto per sfuggire al mecenatismo, al paternalismo, alle influenze del denaro personale era, è, sarà sempre più indispensabile darsi un'organizzazione politica. Giornale di GL a Parigi o rivista europea a Bruxelles, con quali soldi credete che si debba fare? Io credo che si debba fare coi soldi di una organizzazione. Ma quali sforzi hai tu fatto, Selva, in questo senso? Ti sei mai interessato, nonostante le mie ripetute preghiere (e mai comandi) della parte pratica del giornale o del movimento? Ricordi quando ti raccomandai di occuparti di pubblicità, sottoscrizioni, abbonamenti, spedizioni? Era l'ex redattore capo del Corriere della Sera che doveva fare l'amanuense, perché gli altri, i più giovani non si prestavano. E' facile disinteressarsi di questi aspetti poco nobili, ma ahimé indispensabili, del problema, in nome di una generica «volontà di libero accordo» che fa, essa sì, caporalesco assegnamento sullo sfacchinaggio degli altri. E tralascio il disinteresse per i prigionieri, per la Sigla per l'esposizione antifascista, per le traduzioni, per la collaborazione economica, lo spoglio dei giornali tedeschi, le lezioni di economia e gli infiniti altri casi di menefreghismo e di rifiuto.
Pessima concezione della divisione del lavoro, pessimo criterio è il vostro. Ma non fosse che per quell'unica considerazione finanziaria che io del resto vi sottoposi tante volte, voi dovreste essere sempre, e oggi, dopo quello che mi scrivete, necessariamente, per un rapporto organizzativo e politico che emancipi movimento e giornale dal «furiere».
Sono stanco e non ho il tempo di proseguire la discussione con note diplomatiche. Vediamoci, se volete, appena Bittis, che mi dissero rimesso, sta bene. Un ultimo punto prima di chiudere.
Voi ritenete che io abbia frainteso completamente il senso delle vostre firme apposte alla lettera di Luciano. Però sta in [sic] fatto che quando Luciano, il lunedì o il martedì, mi accennò a una sua nota ad Andrea con possibile aggiunta della firma di Selva, gli feci subito osservare che la cosa sarebbe stata assolutamente inopportuna e glie ne spiegai i motivi. Il fatto che abbiate insistito, che alla firma di Luciano si sia aggiunta quella di Bittis, benché con 39 di febbre, che la lettera sia stata spedita, che non vi foste piu fatti vedere per almeno una settimana (la madre di Bittis, se male non ricordo, partì giovedì e la sua malattia è del venerdì successivo), faceva supporre una volontà meditata contro cui mi sono ribellato e mi ribello.
Non ha sentito Bittis, che sul giornale sino a due mesi fa ha sostenuto tesi opposte a quelle che oggi convalida con una semplice firma (il suo ultimo scritto dalla Costa Azzurra lo dovemmo modificare tanto era nazionalista), non ha sentito Bittis l'incoerenza e l'assurdo di quella firma? Egli ha ragione di dire che per il passato lavorò praticamente per GL con intendimenti e in senso diametralmente opposti a quelli di Selva. Ma perché non lavora più da quando è rientrato dal sud? Non abbiamo allora noi ragione di dire che certe posizioni di pensiero, prima ancora che siano mature, paralizzano anche i migliori, proprio quelli che sono nati per l'azione e che, fino a che furono in Italia, agirono?
Tralascio il resto. Tralascio la polemica. Non la finiremmo più. E torno a deplorare queste dispute di intellettuali sempre sterili quando non hanno il correttivo e la spinta dell'azione e della collaborazione operaia.
Cordialmente.
[Carlo Rosselli)

VI13
Campione, 28 maggio [1935] 
Carissimo Carlo, l'altro giorno ho ricevuto Giustizia e Libertà e sono rimasto «esterefatto» (non posso usare un termine più ... delicato) nel leggere la vostra missiva al signor Herriot14. Ho quindi preparato una lettera che Bittis, il quale mi assicura, ti presenterà. Devo dirti che desidero assolutamente che tale lettera venga pubblicata nel prossimo numero di GL. GL è un «movimento» al quale collaboro e per il quale mi sono discretamente impegnato. Ora io non posso assolutamente ammettere che qualcuno pensi che io mi associo a una manifestazione quale quella da voi fatta a una bagascia parlamentare qual è l'attuale Ministro senza Portafogli del gabinetto Flandin, l'uomo dalle 100 pipe, Tartarin scopritore dell'URSS collaboratore a tutti i ministeri di destra e sinistra, responsabile del 6 febbraio (per il suo odio a Daladier) che, sedendo in due Ministeri reazionari, ha convalidato la legge dei due anni, i provvedimenti contro gli stranieri, gli accordi di Roma (questo dovrebbe avere colpito piu voi di me) la riduzione degli stipendi ai funzionari, le persecuzioni contro i pacifisti, quella contro gli istitutori e potrei riempire tutta la pagina con la lista.
Che cosa serve che GL se la prenda con le attuali democrazie d'Europa e ne dica corna, se poi alla prima occasione è pronta a prostituirsi di fronte a uno dei più sinistri buffoni che le rappresentano? Ti confermo che la questione per me è essenziale; ti prego di non prendere la cosa alla leggera perché, ti ripeto, è grave. Tu dici che «io (o noi) manco (o manchiamo) di passione». Può darsi; certo però non mi mancano il disgusto né l'odio per gli equivoci (come quello di voler fare la Rivoluzione con un Herriot alla testa) e per le [...] compagnie di disciplina.
Credo di essere abbastanza tuo amico per doverti dire ancora una volta il mio parere: GL è su di una pessima strada. Col «ni» non si è mai andati lontano. Bisogna guardare la realtà con chiarezza anche se, guardata con chiarezza, la realtà dei vari Herriot che compongono il mondo attuale non è edificante né consolante. Se voi in omaggio alla «politica» volete andarvene con questi signori, dovete dirlo e dirlo in modo preciso: così ognuno potrà scegliere la propria strada. La mia non è certamente quella.
Molti saluti affettuosl.
Mario Selva
vs.. Per quanto la presente non abbia carattere ufficiale, avrei molto piacere che tu la facessi leggere anche a Cianca, Magrini e Bittis.

VII15
Maggio, 1935 Caro Direttore, siamo rimasti oltremodo stupiti, dovremmo dire scandalizzari leggendo sul numero di GL del 24/v la lettera al sig. Herriot. Non riusciamo neppure a capire come non sia stata intuita l'estrema sconvenienza di questa demarche da parte di fuorusciti che pure qualche senso devono attribuire alla loro qualifica di «rivoluzionari» e che almeno devono tenere in qualche conto le simpatie e solidarietà che ci uniscono a rivoluzionari di altri paesi, i compagni francesi non esclusi.
La persona di S.E. Herriot, vincitore del «fronte unico antifascista» nelle recenti elezioni di Lione e le vicende del suo «grande partito» associate al governo ed a tutte le misure che hanno colpito i profughi stranieri, non ci interessano.
Nella nostra qualità di ospiti tollerati abbiamo accettato e vogliamo rigorosamente osservare il riserbo assoluto; questo ben inteso non esclude la nostra intima solidarietà con i numerosi elementi del popolo francese che lottano per gli stessi nostri fini di totale emancipazione umana.
Tale riserbo lo vogliamo appunto dignitoso cioè vorremmo che nessuno dei nostri si rendesse ridicolo con effusioni sentimentali, rampogne inutili, meschini effetti di provinciale retorica o belle trovate di stile come quella che vi ha fatto chiamare il Conte Galeazzo Ciano «figlio di un matrimonio» come insomma sarebbe giusto dire di ogni figlio non pregiudicato da una immacolata concezione.
E vedete un po' dove vi ha condotto il desiderio d'una «machiavellica» adulazione: se esaltate S.E. Herriot perché è salito a fastigi sì alti quale «figlio delle sue opere» non potrete negare questa qualifica - con l'incenso che l'accompagna - a S.E. Mussolini.
E vogliamo pure sperare che molti altri rivoluzionari di GL preferiranno, come noi, il coraggio e la spregiudicatezza di cui ha dato prova il Duce nello sbarazzarsi della «democratica Italia dei Facta-Nitti ecc.» alle «opere» o meglio operazioni per cui si è giunti alla situazione politica che impersona l'alto personaggio a cui rivolgete le vostre doglianze. («Deh infedele cuor!» parte per tenore o per castrato).
E non è provincialismo lagrimevole attaccarsi all'insignincante episodio di Lione dopo che si è dovuto registrare fra i «fatti compiuti» l'alleanza franco-italiana con tutte le sue conseguenze sul Danubio, in Africa e nella diaspora antifascista.
Lo diciamo con dispiacere: ma l'inanità d'un meschino risentimento veramente indegno di militanti per la rivoluzione ci è apparsa in quella parola «cretinismo» che lanciate addosso al Conte Galeazzo Ciano il quale ci sembra invece che abbia dato prova nell'occasione «di cui vi duole» di molta arguzia. Egli infatti potrebbe ingenuamente rispondervi: «non è colpa nostra se la democrazia si sceglie dei capi che per inveterata abitudine tengono un piede in due staffe (quando non possono metterli tutti e due nel piatto ... l'assiette au beurre)». Cordialmente.
R.B.

VII16
Parigi, 31 maggio 1935 
A Selva e Bittis. La vostra lettera è insensata e ingiuriosa. Perciò non sarà pubblicata. Intendiamo difendere il giornale e il movimento da chi ormai non si propone che di attaccarlo dall'interno rifiutandosi a ogni concreto lavoro antifascista.
Quanto al significato della lettera aperta a Herriot, favorite interrogare la prima persona che passa per la strada. Vi dirà che la lettera, lungi dall'essere di «esaltazione», è di forte critica al sig. Herriot. La forma volutamente cortese fu usata per ragioni ovvie trattandosi di attaccare in Francia un ministro in carica.
La migliore riprova di quanto sopra è costituita dalla richiesta di copie del giornale che da più parti -e in particolare da Lione- ci venne da avversari del sig. Herriot.
per il CM
ps. A Selva infine facciamo osservare che, alla stregua del suoi criteri e della sua prosa, dovrebbe definirsi «estremamente sconveniente», « ridicolo», «machiavellico», «lagrimevolmente provinciale», «meschino», «indegno», il fatto che egli abbia creduto di fornire a un deputato francese, molto vicino al sig. Herriot, massone notorio e membro del Comitato Centrale della democratica Lidu, delle memorie finanziarie da servire alla Commissione degli Esteri della Camera francese, facendo poi appello a detto deputato per le sue pratiche amministrative.

IX17
Parigi, 30 novembre 1935 
Caro Carlo, da molto tempo volevo scriverti due parole franche, di quelle che è difficile dire a voce, perché subito ci s'invischia nelle panie della discussione. Mettiamo che sia stato l'ultimo numero del giornale a decidermi. Quando ieri ho letto in terza pagina il titolo «Il successo dei palloni-stampa», e poi il manifesto del «comitato lombardo»18 mi sono letteralmente sentito male. Mi domando come si fa a non accorgersi che un titolo come quello è fatto semplicemente per esser riportato dal «Merlo»19; domando quale differenza ci sia tra un manifesto come quello e uno qualunque degl'infiniti manifesti ponzati dall'antifascismo dal giorno infausto della sua nascita fino ad oggi: tranne l'invito, più retorico di qualunque «appello alle sanzioni proletarie», alla «eliminazione» dei notabili fascisti - precisamente perché si tratta proprio delle cose che si fanno, e che non si mettono nei manifesti (non per falso pudore, ma per serietà). E, in mezzo al pandemonio attuale, i «palloni-stampa» di GL sarebbero uno degli avvenimenti essenziali: ma andiamo ... Senza contare che finché si faranno dei manifesti di quel tipo, il risultato principale sarà quello di far smuovere carabinieri e poliziotti per dar loro la caccia. Ma si tratta di sapere se giochiamo a far dispetti alla polizia o cerchiamo qualcosa d'altro. Per conto mio, credo che il momento sia estremamente serio, e, tra l'altro, prima di mandare uno stampato in Italia vorrei essere almeno sicuro che la gente, laggiù, a leggerlo, primo non sbadigli furiosamente, e secondo non sia presa da accessi di rabbia. Tanto per dimostrare di essere un «movimento giovane», lì si comincia col far la storia dell'Aventino e di Matteotti: io dico che sarebbe ora di smetterla.
Se fossi sicuro di non essere considerato che un «collaboratore» del giornale, non parlerei così. Ma siccome tempo fa tu avesti occasione d'informarmi che sono uno dei «dirigenti», allora, il meno che possa fare è parlar franco (senza speranza alcuna di essere inteso e ascoltato, del resto). Incidentalmente, se sono un «dirigente», devo proprio esserlo dalla parte dei «parenti poveri», perché non mi sono mai accorto che le mie opinioni venissero prese in qualche considerazione, sia per quanto riguarda il miglioramento del giornale (che giudicavo «urgente» fin da quando sono arrivato, e che è stato, specie da te, sempre considerato «un'esigenza di ipercritico»), sia per l'atteggiamento generale del «movimento», sul quale, idem.
Ma, dal momento che, come «dirigente», dovrei partecipare delle responsabilità di quel che si fa, voglio mettere in chiaro le cose per quanto mi riguarda. Per es., non ho avuto nessun modo di sapere che cosa si sarebbe raccontato nei «manifesti»: e sì che t'ho sempre detto che annettevo un'estrema importanza al contenuto e al tono della stampa che si manda in Italia.
In queste condizioni di «minoranza» assoluta e sistematica, e dal momento che non posso pretendere d'imporre a nessuno di pensarla come me, il mio diritto e il mio dovere più elementari vorrebbero che mi ritirassi in buon ordine da ogni dignità «direttiva». Ma neppure questa è la questione. Anzi, è proprio una di quelle faccende «formali» di cui non m'importa nulla. Credo di essermi fatta ormai un'idea dell'emigrazione, delle sue possibilità e impossibilità, so che, dal momento che ci si sta, è inutile pretendere delle «conversioni» impossibili (sebbene, come scrivevo dall'Italia, il primo principio sarebbe stato questo).
Quello che chiederei, a chiunque, è un minimo, ma serio e solido, di buona volontà comune e di senso della realtà. Per questo minimo, sono disposto a dare molto di più di quel che non abbia dato finora. Purtroppo, neppure di questo minimo vedo, in nessuno, i segni. Vedo, invece, con una specie di fatalità tristissima, o d'inerzia, sempre le considerazioni secondarie prevalere sulle essenziali. In pratica: vedo la "mentalita fuoruscitesca" prevalere sulla semplice visione misura e proporzione delle cose.
L'emigrazione italiana, con una fedeltà degna davvero di miglior causa, sta riproducendo, di fronte ad avvenimenti di ben altra gravità, esattamente la mentalità «affare Matteotti»: in questo momento è pressapoco alla «Quartarella». So bene che è proprio da questo vicolo cieco che GL vorrebbe uscire. Ma come? Con un massimalismo «attivistico» che rischia di essere molto più vacuo della ripetizione delle vecchie formule. La cosa più facile, in questo momento, qual e? è gridare all'«azione». Ma è precisamente quello che non bisogna fare, perché il problema è di giungere pazientemente a poter fare qualcosa di efficace, con la massima razionalità, e quindi modestia. La cosa concreta sarebbe, essendosi resi conto delle lamentevoli condizioni di confusione, d'inerzia, ecc., in cui versa l'emigrazione, cercare a qualunque costo, e dunque rinunziando sistematicamente a qualunque questione di forma (anche a costo di «darla vinta» a dei pregiudizi inefficienti, proprio perché sono inefficenti e senza importanza) di ottenere l'economia generale di cui parlo nel mio articolo. Oppure di farsi da parte e, senza inutili polemiche, continuare a fare quel che si può fare (cioè poco) il meglio che si può. E' l'unica via che io veda per salvarsi dal «fuoruscitismo». In tutti e due i casi, inutile fare grossi «piani»: le cose importanti, quando veramente si fa, tenendosi alla misura dei propri mezzi e alla realtà dei fatti, vengono strada facendo. Per cominciare, non vedo altro che gettare le basi di un serio lavoro di propaganda e, come primo compito di un'«unità d'azione», riuscire a diffondere dei fogli un po' più sensati di quelli diffusi finora (alla peggio, tenere il livello dei meno insensati). Per questo, bisogna abbandonare ogni «egocentrismo» e ogni amore di «teatralità», procedere cosa per cosa, rendendosi conto, nei fatti e nel procedere, della mediocrità (forse fatale) della base di partenza. Sento troppo io stesso come, in rapporto a tale mediocrità, sia facile sentirsi dei «superuomini» per non metterne in guardia gli altri: finisce per essere un alibi comodo.
T'ho detto alcune cose che penso. Non mi sento con questo né sollevato né speranzoso. Ma almeno le ho dette.
Cordialmente
Luciano [Nicola Chiaromonte]

X20
Parigi, 3 dicembre 1935 
Caro Carlo, ho ricevuto la tua lettera. Grazie della gentile accoglienza. Ma, come diceva quello: «non creda di aver risposto alla mia questione». Difatti, i punti importanti li lasci cadere tra un sorriso e l'altro.
Ora, io credo che il momento di pariare seriamente e francamente è venuto. 0 non verrà mai più. Non ho nessuna fiducia nelle «riunioni» che mi son sempre sembrate lasciare il tempo che trovavano, e servire, in definitiva, soltanto a sanzionare quello che già si faceva o non si faceva, si era deciso o non si era deciso. Quando tu mi dici che preferisci che io parli alle «riunioni», fai dunque quella che si chiama un'abile mossa per mettermi in minoranza e dalla parte degli scontenti arruffati, ma non mi convinci molto. Ad ogni modo, parlerò domani. Starò a vedere l'effetto.
Quasi poi a confermare che ho ragione di non esser convinto da queste faccende di «procedura», stamani è venuta la tua telefonata. Rispondere o non rispondere a Senape21, non è davvero una questione essenziale. Ma devo protestare con la massima indignazione contro un tal modo di procedere per cui si notifica per telefono che «abbiamo deciso» (ma chi ha deciso?) che non è il caso di rispondere. Che ne parliamo domani, è proprio una perdita di tempo, giacché son già passate due settimane, domani e mercoledi, quindi il misterioso noi avrà fatto come gli sarà parso. Ma non senza che io gli dichiari che il suo procedere è inaudito sotto tutti i rapporti: da quello della più semplice correttezza giornalistica a quello della «democrazia interna». Ti dico molto francamente che se non si mette ordine in queste questioni minute come nelle altre, e si continua questa comica «pagaïe», io non ci sto, perche non posso tollerare di sentirmi ridicolo di fronte a me stesso, continuando la storia del «dirigente onorario».
Sia detto in margine, dovrebbe esserti chiaro che, se ti scrivo, è proprio per evitare perdite di tempo a cinque o a sei, nonché per mantenere una personale franchezza di rapporti, che è quello che m'interessa.
Salute
Luciano

XI22
Parigi, 21 dicembre 1935
Alla Direzione di GIUSTIZIA E LIBERTÀ
Cari amici, eccovi il testo delle dichiarazioni che vi lessi mercoledì sera.
Dopo averci ben riflettuto, mi pare che, sugli argomenti in questione, una discussione privata non avrebbe senso. Lascerebbe le cose come sono. Solo una discussione pubblica può portare, in un senso o nell'altro, a una chiarificazione effettiva, tanto più urgente quanto più gli avvenimenti si fanno gravi e incalzanti.
Chiedo perciò che il testo integrale dell'acclusa «spiegazione» sia pubblicato nel prossimo numero del giornale.
Purtroppo temo che di questa mia richiesta saranno date, o tentate, delle interpretazioni a base di «malumore» o di altro. Tengo quindi a ripetere che essa è motivata unicamente dal fatto che uno scambio di lettere private sarebbe assolutamente ozioso e senza frutto. Lo scopo è la chiarificazione, e, in politica, le «spiegazioni» private non contano.
Mi permetto inoltre di farvi notare che, accogliendo la mia richiesta, GL sara stato il solo gruppo dell'emigrazione che avrà avuto il coraggio di portare la critica alle radici, pubblicamente. Sarebbe da parte sua, una prova di forza, di lealtà e di libertà.
Mi avete chiesto delle «proposte positive». In generale, credo che il «positivo» possa nascere solo da un esame radicale delle condizioni di fatto. In particolare, mettermi a svolgere proposte personali prima che sia avvenuto il chiarimento preliminare necessario, mi parrebbe un disordine.
Spero che addiverrete senza difficoltà alla mia richiesta. In caso contrario, mi riterrei libero di disporre del mio scritto.
Cordi
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