Pattuglia - anno I - n. 3 - gennaio 1942

ANNO I · N. 3 - L. 1,50 S. A. P. GRUPPO III MENSILE DELLA FEDERAZIONE FASCISTA DI FORLI' PER I FASCISTI UNIVERSITARI DECADENZDAEL MITOAMERICANO Anche in Italia c'è stata della infatuazione per l'America. Si sognava quel l'Eldorado, si copiavano quelle nuove maniere di recentissima civiltà dalla strana aristocrazia, si attendeva con ansia la consacrazione di laggiù per ogni iniziativa nostra. Si andava in brodo di giuggiole per uno dei titoli di scatola di cui il giornalismo di laggiù era così abbondante. Perchè l'America {Stati Uniti), anche dopo che aveva cessato di esse· re la Mecca degli emigranti e la grande spugna di tutte le miniere mondiali e degli sbandati, aveva continuato a mantenere e a raffinare un proprio seducentissimo mito. In questo mito c'era molta rivoluzione francese, molto Lutero, molto certismo inglese. Si direbbe oggi che un grande utopista avesse progettato quella terra e quell'esperimento, consenzienti gli qei chè terreno più adatto - così ricco, cosi abbondevole di tutto, cosi spazioso • non si poteva immaginare. Affluirono là uomini affamati di pane - ma forse era più fame di ideali. Gente dalla ambigua vita o dalla esistenza tormentata dietro sogni turbolenti, ma comunque frenetica di ideali e di slanci universali, fu quella che si unì ali' originario nucleo anglosassone (quello che doveva mante· nere il controllo della situazione e che, alla fine, doveva perdere l'America). Sorse il mito della sopranazione, della soprarazza, e del sopramondo. Nessuna distinzione si volle fra le remote derivazioni regionali di ognuno, nessuna dichiarata gerarchia fra le categorie e i colori della pelle . ma solo quelli che non erano quacqueri credettero alle quacquere pre- ~ot6·azÌO nièo~s~ffni'r'- FRONTE CIRENAICO • UN PORTA ORDINI OIUNOE AL REPARTO nè umano nè divino, alla propria sete di esperienza. Fu cosi, come per simbolo che, rinnovando l'impresa di Babele, il grattacielo - il gigantesco leviatanico • uccise l'intimo, il secreto, il miracolo delle piccole cose e modeste che è della religione e della poesia. Nell'enunciato del mito, c'era espressa la motivazione della sua fi· ne ; I' or a della sua decadenza. Esso continuò per decenni : e fu beffa alla miseria che continuava a credere alla sua redenzione, lo schermo al capitalismo, la fiaba cara all'ebraismo, la nuvola ottenebrante le idee e mascherante le responsabilità. Lo sospettammo leggendo que• gli. scrittori, lo comprendemmo per un istinto d'astio contro quelle facili ricchezze e quelle ostentazioni. Come FoPiì mito primigenio, poteva dav· vero fiorire tra le· sparatorie delle or· ganizzazioni illegali? Come poteva valersi:della immoralità, per svilupparsi e fiorire, quel divino fiore del Loto? Il mito è stato abbandonato oggi da quelli che reggono le anglosasso~i ed ebraiche fila della messinscena. Troppo ingombrante esso era per chi doveva fare accettare una guerra d'imperialismo. L'America è dunque un comune stato imperialista che non ammette fraternità e diritti degli altri. Il mito è stato un equivico che ha contribuito a confondere le già stan· che idee, ed è stato coscientemente • montato e sostenuto da una criccil. Quella contro cui si levano oggi le razze, le nazioni, i !mondo organizzato secondo leggi di fatica e di dolore e gridano, con le armi del Tripartito, il loro diritto alla vita. · PATTUGllA YIDUSSONI Segretario dePl artito Mentre <Jitesta no3tra rivutta è già in macchina, la radio ha diramato rina notizia clte, con noi, ha fatto fremere d'orgoglio tutti i /ascidi universitari d'Italia. Il Duce ha chiamato alla Segreteria del P.N.F. la Medaglia d'Oro Aldo Vidussoni, classe 1915, già ispettore del Partito presso la Segreteria centrale dei Guf La redazione di PAT'I'UGLIA, m.ensile della giovinezza roma• gnola, riconosce nell' tilto incarico affidato ad A Ido Vidussoni, proveniente dalla schiera dei Gruppi Fascisti Universitari, il più grande premio concesso a tutta la giovenlrì d' Italia, ansiosa di aJfer1nare nella politica, nella ciilturci, nell' arte, la propria superiorità latina e romana.

------------"f.. Con grande soddisfazione abbiamo letto su « Roma Fascista• uno scritto di Carlo de Roberto su « Difesa del costume e giustizia sociale». Diciamo con soddisfazione poichè non è molto frequente leggere articoli cosi chiari e precisi e con1e forma, e come concetti. Il de Roberto nota, con giuslissi111.a percezione, come si assista ora, in un momento clclicatissimo per lo nostra civiltà, al fenomeno di un imborghesimento del proletariato, con conseguente proletarizzazione di quella media bo1·ghcsc che forma \ccn1cgoric del lavoro colto. E intendiamoci subito, aggiunge de Roberto, sul significato di questo parola borghesia: Considerando con scrcniti1, anzi con una necessario dose di pessimismo il contegno del popolo italiano non possiamo negare come la parte di questo, che ha <lat.o più sicure prove di [crmezza morale e cl.i qualità di costume, è la cosiddetto media borghesia (con uo fraintendimento abbastanzn comune dei !inj e dei caratteri ·delln lotta anliborghese qualcuno potrà lanci.arsi contro la Facile accusa: borghese! Diremo che ce ne freghiamo perchè da tempo abbiamo identificato molti tipici rappresentanti del costume borghese negli antiborghesi arrabbiati). Il fascismo non COfl'!batte una categoria sociale mn un costume. Dopo avere ricordato gli effetti nocivi del dilagare del costume anglosassone (leggi: inglese ed americano) sui popoli europei che per tradizione e per umanità intrinseca necessitano di una civiltà ben differente e più alta, de Roberto osserva giustamente come si veda ... dilagare lra la gente rurale una regola di lusso, una ricerca del benessere materiale esteriore, oltre i limiti del le giuste aspirazioni, e sono frequenti i tentativi di speculazione sul rialzo dei generi prodotti dalla campngnn. La guerra sembra aver arrecato condizioni di vantaggio ai contadini considerando la grande misura di denaro di cui sono in possesso e che sciupano in lussi con spese che sono inibitc- alle borse degli impiegati e dei professionisti. Alla ricerca del benessere, alla vanità della modo, (i gio1·- noli illustrati di moda e di cincmmugraro sono diifusissimi tra le cont:iclinc) si accompagnano la speculazione afraristica e iJ disamore per la terrai e ad aiutare· l'inquinamento del costume ha concorso la retorica denunziata a1 principio di questo scritto; e dalla decadenza del costume non sono aliene le c>atogorie operaie. la retorica, di cui parla de Roberto, è la v.ecchia retorica classista del comunis,1101 subordinatrice dei. ceti operai e contadini, d;spregiatrice in forma generica e grossolana della borgesia, del datore di lavoro, della bu.rocrazia. E piiì avanti: Come dopo la Jlivoluzionc francese la borghesia si illuse cbe pe'r acquistare la potenza della decaduta aristocrazia bast..nssc assumere i modi cst.<'- riori di questo, cosi ora le classi operaie non ambiscono che ad assumere dei modi, immorali e ridicoli nella loro insu fficicnza. De Roberto, ripetiamo, ha fatto con grande chiare=za il punto a proposito di una questione come questa di importanza fondamentale per l'avvenire sociale della Rfooluzione. Siamo pienamenle d'a~cordo con lui su questa presa di posizione. * ** Abbiamo notato i11 questo mese, nella stampa giovanile, una recrudescenza intensa della polemica, in verità un po' annosa, intorno alla musica moderna. Attacchi in tutte le forme: da una « Lettera aperta » ( a clii.') di Walter su Eccoci del 4 nov:,mbre, che affronta la questione sul tono della presa in giro, e che davvero ci è sembrata molto sfasata e stonata, nonostante che l'assunto (assurditlÌ del sincopamento della pi,ì pura musica classica) sia giusto e logico al cento COSCIENZDAELL'IMPERO Gli avvenimenti di guerra che noranza armata a guardia di un da ormai due anni tengono impe- confine troppo più grande di lei; gnata la passione degli Italiani, la coscienza della propria esiguità hanno avuto una nota di parti- parve che la rendesse maggiorcolare rilievo sentimentale per mente agile e le conferisse manoquanto si riferisce al settore lon- vrabilità, audacia. E, cacciato lo tano <lell'Africa italiana dove da inglese da Zeila, essa si concepochi giorni soltanto è cessata dette la soddisfazione di rivénla resistenza organizzata e dove dicare l'italianità di Càssala; ot- - si dice - nuclei di nostri sol- tenne in tal modo di impegnare dati continuano disperatamente a sempre più la rabbia britannica, difendere l'onore della bandiera. di attirare su di sè forze spropoQuesta coloritura sentimentale sitate, sccondando il concetto del che del resto ha colpito tutto il nostro Stato Maggiore, tendente mondo, anche quello più o meno a dividere le forze del nemico. passivamente alla finestra, è le- Tutti tacemmo ammirati da gata ad un romantico senso d'av- quella spavalderia da pionieri, da ventura che ha contraddistinto la .quegli ardimenti di gente che vuole gesta dei nostTi connazionali con- finire con bellezza; tutta l'Italia dannati all'isolamento da supe- cl\e gia aveva nell'intimo del proriori ragioni geograuche e da un prio cuore la terra etiop'ca conquipiù vasto concetto strategico che stata in un bellissimo momento cli ha condotto alle rive mediterranee grazia nazionale, si senti ancor più il centro risolutore del conflitto. immedesimata con la terra delle Non sfuggi il senso spavaldo ambe e dei grandi fiwuj e dei delle prime azioni, di questa mi- laghi e ddle nascoste ricchezze. FondazioneRuffilli- Forlì 2 )(..----------:... per cento; a un trafiletto « Ancora s11lla radio» di M. M. su Libro e Moschetto del 22 novembre in cui l'autore polemizza con Vico Viglango e f/.. Pisani, e si illude di potere in mezza colonna risolvere il problema dei programmi dell' E. l. A. f/.. e mettere d'accordo 45 milioni d'ltaliani di gusti differenti; a un soddisfatto articolo («Questa è la volta buo- ,w •) di At/1er Capelli in Vent'anni, ove si legge un caloroso plauso a. quella specie di • Tribunale delle canzonette• clte, secondo il disegno di legge approvato dalla Commissione del'a Cultura Popolare alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, dovrlÌ costituire ,uu, sorta di benefico «filtro» delle canzoni e dei ritmi. (Ma noi, in veritiì, siamo rimasti 1111 po' scettici). Questo fermento in 1111 certo senso ci fa piacere. ili un altro no. E spieghiamoci. Personalmente, .diciamo subito, noi non siamo amatori di musica jazz. Tutt'altro. Tuttavia non vogliamo certo im• porre a nessuno le nostre opinioni, specie in materia del genere. C'è un veccltio adagio: de gustibus non est disputandum. Ci potranno rispondere: ma come, il gusto deve essere guidato e disciplinato! In verità, a proposito della musica jazz ci sembra si tratti di allarmismi ingiustificati. Non ci pare che lutti questi frequenti attacchi al jazz rendano· ,m buon servizio alla causa del nostro patrimonio e delle nostre tradizioni musicali. È logico, a11diamo, come dice Atl,er Capelli che la canzone è Jo spirito del popolo. E l'icordiamoci che nelle ore :'ftoriche del suo destino il popolo italiano hu piegato la fortuna e la materia canlnndo: «fratelli d'Italia•, «Si scopron le tombe•, «Va' pensiero sull'ali <lorntc•, cL' è un mnzzolin di fiori», <11.Supl onte di BasSuno», « 1:-accctta neOgni città, ogni centro di resistenza che cadde in un crepu• scolo d'eroismo, fu uua fitta per i cuori italiani; ma nes5:uno ci fu che potesse pensare ad una perdita definita. Una volta ancora la voce del Du~e non impose un dogma pesante, ma interpretò la coscienza di tutti. Ritorneremo. Ritorneremo pcrchè, finchè ci sarà cuore italiano, esso tenderà alle terre del nostro lontano destino - da Crispi, da Massaia, da Gessi - pcrchè, con le strade e le città e le leggi, là abbiamo rivelato d'essere i .figli della colonizzatrice romanità. Ora, a ciclo eroico concluso, il sentimento deve cedere all'operante proposito di preparare il ritorno. Superiamo ogni decadente venatura nostalgica, residuo spirituale tristissimd' dei popoli invecchiati e cacciati di sella, e continuiamo invece nelle iniziative di preparazione coloniale intraprese, rafforzim.no i nostri sforzi nella cultura e nella scienza per raggiungere un più alto ra,., e non canterà mai, per nosll·a immensa fortuna, gutturalmente -.? gorillescamente: «Ba ... ba ... buciami, piccina, con la bo... bo... bocca piccolina>, «Cunto il ritornello che mi piace tanto e che fa du, du du clu ! », «Quatto quatto quntto i1 bel pinguino innamorato• e via di questo orripilante passo. D'accordo! Ma del resto I! una cosa tanto lapalissiana che, diremmo, non c'è neanche bisogno di scri,,erla. Non diamo soverchia importanza a certe cose. O altrimenti faremo ad esse una pubblicitd ciel tutto gratuita; e la nostra arma sar<ì a doppio taglio. O parlare della cosa tecnicamente - o, meglio, tacerne. Walter, M. M., Vico Viclongo, Capelli: 11011temete. La mania delle canzoni a jazz passerà da sè, altrettanto rapidamente come è "enuta, se non è altro che una moda. *** Nella · rubrica «Contagocce» del Lambello del 25 11ovembre, leggiamo successivamente due appunti: 1°) SICUT ERAT: Coloro che nel passato si sono tirate in casa la «nu1·se» o la «bonne• e coloro che mantengono una «fraulcin• si trovano sullo stesso piano di insutficenza morale. 2°) MODA ITALIANA: Moda leruminile cli stagione: cappucci screzint.i, di lana con particolare preforcnza per i colori della bandiera francese: bianco rosso e blu. Attendiamo la scon4 fitta della Russia bolscevica per vedere se la Moda, che vuol essere italiana, adotterà il rosso con guarnizione della stella a cinque punte. In così poco spazi.o, un'idea giustissima e ben formulata (la prima) e un'altra terribilmente retorica e insignificante. Se infatti è snob (e quindi scemo) tenere la Friiulein, non è per francesismo, siamo sicuri, che le nostre care signorinette portano il cappuccio bianco rosso blu; ma· solo perchè son tre colori che armonizz.ano. ZOB grado di capacità colonizzatrice. Così come fa del resto, nel settore dell'amministrazione, il Ministero dell'Africa italiana che continua a reclutare i quadri dei propri dirigenti. Non cessino gli studiosi di esaminare le varie caratteristiche di sfruttamento del sottosuolo, di possibilità d'attrezzatura industriale, cli co\uplcmentarità economica con le necessità della madrepatria, di colonizzazione demografica. E non dimentichino i pubblicisti di agitare questi problemi. Abbiamo già esaltato la gloria degli eroi che ci han fatto degni di ritornare. La nostra stampa, nella quale crediamo come uno strumento capace di porre all'ordine del giorno i problemi focali, deve ora rappresentare la vigile difesa del sentimento imperiale ciel nostro popolo e deve stimolare la fattiva volontà di ritornare nell'Impero ancor più capaci. più attrezzati e più decisi. AIUIA,,D0 IIAVACL/OU

Si è svolto nella seconda qui11dicina di novembre, volonterosamente organizzato dal Guf Roma, il /0 convegno nazio11ale di Geopolitica. Vogliamo fare una piccola premessa di carattere generale, che ci è stata suggerita non solo da quello ronzano, ma dai diversi convegni ai quali abbiamo presenziato in questi · ultimi tempi. Infatti c'è u11a cosa che crediamo non sia perfettamente aderente allo spirito ed al significato di questi 11umerosi co11vegni: la classifica a premio. Cap:amo come olla fine di ogni convegno debbano essere segnalati il migliore ed il migliore, che 110ndovrebbero essere quelli che si sono tlisti11ti per la loro dialettica a volteaffascinante, mapriva di u11a propria compiuta essenza; pure ci sembra che il premio in de11aro faccia del convegno una specie di gran premio delle corse in cui i concorrentiadopera110 tutti i mezzi per vincere lo somma a volte cospicua, messa in palio. Abbiamo asco/lato vere fiumane dialettiche, gente conoscitrice di quella particolare tecnica dei convegni, senza la quale sembra non sia possibile presentarsi con 011ore UNA PARTENZA SU ALLARME davanti a qualsiasi commissione giudicatrice. La quale commissione, fatta di uomini e 11011 di esseri perfetti 01111iveggenti, si lascia spesso - unwnamente • convincere da una czrta veemenza verbale piuttosto che dalla concretezza delle idee poste sulla biI VALORI DELL'INTELLIGENZA NELLA NOSTRA ESPANSIONE lancia no11 sempre regolare, del A coronamento del convegno giudizio. di GcopoliLica, il V tema ha LratVa bene che per molti co11- LaLo dei « Valori dell'intelligenza vegni è obbligatoria la 1110110- della nostra espansione•: tema grafia, fo quale chiarisce se mai parlicolarmente delicato se si fossero confuse, le idee della pensa che il suo argomento è la commissione; ma è ben poco, in stessa forza operante di cui deve fondo. Solo i dialettici possono sost.anziarsi la nostra Rivolutrionfare ai convegni, si dice da zionc, se si pensa che il rapporto molte parti; forse questo non è tra cultura e politica, felicemenLc assolutamente esatto, ma quello innestato, è la premessa essenche è certo è che coloro che ziale per la garanzia di contihanno la parola facile ed una dia- nuità della nostra ascesa di Nalettica convincente riescono apre- zionc. Le rivoluzioni politiche valere sopra coloro che hanno senza le rivoluzioni dello spirito idee più concrete e maggiormente sono destinate a involversi o ,ad valide ad una conclusione defi- abortire; perciò noi sentiamo la nitiva. urgenza del problema di creare Noi proponiamo che tutti i un nuovo stile di vita, di rinnoconvegni, all'infuori dei Littoriali, vare il costume e, sopratutto, cli si svolgano senza classifica, per- ricostruire le coscienze. chè lutti coloro che vi partecipano li problema dcli' intelligenza debbono tener presente di non che guida l'espansione, che cliessere i con.correnti di un qual- venta fanale di rotta lungo la via siasi concorso ippico, ma che il dei popoli, è lo stesso che ne conloro intervento è necessario ed diziona anche la durevolezza e utile al fine di una più esatta la forza di costruzione. È, cioè, chiarificazione dei problemi di- quello stesso che, essendo proscussi. fonda esigenza storica, segna le La Commissione formala sem- decomposizioni e gli sfaldamenti, pre. da uomini competenti che qualora venga a mancare: cosi siano alla testa della vita no- come è stato dell'espansionismo zionale, osseruerà e noterd co- democratico, per cui si inguaina loro che si sono maggiormente la spada cli Foch e si sfodera il segnalati per poi, al momento op- carnascialesco pugnalctto corso di portano, chiamarli ed adoperarli Daladier; si scava la bara nel nell:interesse della Nazione. «maggior pino• l'eroe di TraQuesto a noi pare giusto, falgar e sorge sulla stessa pianmolto giusto e - ci si permetta eia la ridevole maschera cli \Vine/i aggiungere - molto più serio sLon Churchill, muore Orlando e ed onesto. sulla stessa scena abbandonata eia Le ragioni per cui stimiamo \Vashington compare il novello che però i Littoriali debbano an- conte di Culagna: F. D. Roosevelt. coro essere regolati dalle norme Come si vede, il V0 tema era preesistenti, sono, del resw, ovvie. parLicolarmente impegnativo. Un 10. r. mondo, che già da parecchi anni FondazioneRuffilli- Forlì accennava i sintomi dello stremamento, dello sfaldamento, oggi! crolla, per la sua incapacità a realizzare un primaòo ideale e civile, per la sua impotenza· a dettare una parola cli vita, alla quale tutti gli altri popoli possano chiedere la dignità, il senso e lo scopo della propria esistenza: cadono i vecchi scenari, come consunti di una troppo abusala farsa. Ma se sugli enormi scacchieri della guerra guerreggiata ci sono le frane e i crolli di impalcaLure assurde e insostenibili, è necessario, peraltro, che si facciano strada la costruttività e i principi dell'ordine nuovo, di un nuovo orienta111ento umano e ideale. È proprio questa luce di intelligeRza che apre. un varco luminoso i.n mezzo alla tempesta di armi e di idee: e attraverso quel varco passano le speranze dei popol'i. In genere, si può dire che al convegno cli geopolitica è stato vivamente «sentito» il problema dell'inLelligenza nella nostra espansione: alla ansietà di ricerca, alla passione di orientamento, alla vivezza ciel desiderio di trovare il punto del sole sull'orizzonte, non ha corrisposto un'equivalente giustezza di impostazione. Ansia di luce, sì (ed èi, ciel resto, quel che più conta in un convegno universitario, dal punto di vista della sensibilità politica dei giovani), ma non altrettanto viva messa a fuoco del problema. È stato precisato che « intelligenza » non deve intendersi nel senso razionale della parola, dato che la nostra dottrina cli vita è, essenzialmente mistica: non él, quindi, un mero loico, ma è anche mito, poesia, valore primordiale, che diventa financo istinto di razza e ricchezza cli sangue. E si è definito il rapporto di intelligenza a politica come rapporto cli causa a effetto: rapporto, la cui impostazione verrebbe, così, çsscnzialmente a coincidere col problema della classe dirigente, intesa come gerarchia cli valori. Ma solo eia pochi è stata intuita la necessità di un' espansione, in cui Ja « intelligenza » non abbia il semplice compito cli direttiva, quasi di segnale indicatore: ma diventi essa stessa espansione. La guerra attuale è - bisogna dirlo - una crisi cli umanità: ed è, per l'appunto, la crisi cli crescenza dello spirito, che si manifesta e si rivela in ogni speranza che scandisca il suo ritmo verso l'approdo, in ogni certezza che n1ctta radici più profonde, in ogni palpito che scavi la carne e l'anùna in cerca della verità, in ogni febbre cli idea che tenda la volontà nello spasimo dell'indagine e riarda la sete della luce. Perciò i popoli che con questa guerra affermano la loro espansione devono anzitutto portare il lume delle loro Idee, affinchè si possa accendere con esso la nuova lampada di vita; anzi dobbiamo affermare che con le armi si conquista la vecchia Europa. Ma la nuova Europa, quella dell'avvenire e dell'ordine nuovo, la si conquista, più che con le armi, con la intelligenza, cioè con le idee, con la cultura. È questa - soprattutto la espansione rivoluzionaria. 3

La condanna cieli' Inghilterra è stata quella di non aver mai esportato dai suoi moli e dai suoi scali un'idea; sulla rotta delle sue navi ha camminato la Materia, con le merci importate daj cinque continenti, con le cibarie per le cantine dei lords, con le spezie e gli aromi per i candidi aridi seni delle ladyes; ma non ha mai camminato l'Idea, col vento della vela e col solco ciel ta• gliamarc. Si tratta, perciò, da parte no· stra di segnare una nuova espansione: che non sia quella dei merciaiuoli e dei t-rafficanti, ma quella dei portatori e dei crea· tori d'intelligenza. Ogni popolo ha diritto al suo spazio vitale: questo è chiaro; ma lo spazio vitale «nostro» deve essere e sarà anche e soprattutto quello del• l'intelligenza. Ci si può cspan· clere, oltre che con le armi, an· che con la cultura: Giuseppe Mazzini già insegnò che « l'im· pero non è tanto il territorio quanto l'idea che vive su quel territorio, cosi come la divinità non è il n1armo dell'altare ma l'idea che vive su quel marmo». Ed è qui che s'innesta il pro• blema della « nostra » cultura: che io additavo, in sede di con· vcgno, nei valori dell'autarchia. C'è un'autarchia anche della cui• tura: autarchia è esigenza dello spirito, olt-re è più che esigenza economica. Cioè cultura tutta no· stra, tornando alle radici int.i1nc del nostro essere, riprofondan· cloci, carne e anima, cuore e sangue, nella nostra razza, nella nostra stirpe e nei suo.i valori incancellabili. Il che implica revi· sione e rinnegazione di ogni estranea cultum, democratica e liberaleggiante e ricerca appassio· nata e scoperLa ansiosa della no· stra cultura totalitaria. GREGORIO SCII. TIAN • SUSANNA • ESPAns1onEmEDITERRAn Questa l'esigenza del conve· gno. Ma anche se essa non è staia pienamente avvertita e spesso è stata trascurata, poichè parecchi relatori hanno portato il tema su un piano letterario-filo· sorico, ment-rc esso è profonda· rncnt.e politico, pur tuttavia è stato sempre notevole e appassionato il «sentimento• dell'argomento. E questo « sentimento » basta a giustificare tutte le discussioni; perchè esso vuol dire compren· sionc dei motivi operanti della nostra fede e della nost-ra azione, vuol dire appassionata presa di posizione in questa lotta, nel1a quale ci si batte per la nostra civiltà, per la sua fiamma di luce, che gli altri tentavano di insab• bi are o cli incenerire. Che noi ravviveremo alta fino al cielo. GIUSEPPE SANTANIEUO ANNO I· N. 3. GENNAIO 1942-XX PATTUGLIA POLITICA. ARTI . LETTERE FORLI' · Sede Lt~orla · Tel. 6018 Direttore , i E N A T O R. O S S I Condirettor• LI VI O FRATTI WALTEl 11.0NCHI · redattore capo ARMANDO 11.AVACLIOU - re,ponHbile UN NUMERO L. 1,50 IBBOIAM. : Ordinari I. 16• FmistiUnimsitari I. IO La pos1zwne elci mari e delle terre determina in Europa, di per se stessa, due grandi bacini, l'uTio gravitante sui mari ciel nord, l'altro sul Mediterraneo. Se però questa è una facile conclusione cui si arriva dando uno sguardo alla carta geografica, non si può aifermare che il bacino del Mc· diterraneo formi un'unità, ma piuttosto il contrario giacchè è assai più [acile rinvenire elementi differenziatori che non clementi unificatori. Ed è nella creazione e nella propagazione di un idea· le politico unitnrio, tale da poter far convergere a sè le diverse forze che in esso bacino si contrastano, il compito maggiore del• la nostra espansione. Occorre pc· rò notare come sia necessario evitare in maniera assoluta ogni e qualsiasi [orma di imposizione coatta, reprimendo o togliendo quelle che sono le caratteristiche peculiari di ciascuna pola:zionc, mentre è necessario invece far sì che il raggiungimento e l'ade· sione al nostro ideale politico sia un sentimento spontaneo di eia• scuno. Solo cosi potremo rag· giungere un maggior benessere ed il potenziamento dei vari grup· pi cli individui che -formano i singoli stati, appunto perchè tale prosperità e tale potenziamento sarà ricercato, non come fine a DIStrtb. D. I. E. s.. P.u s. Pantaleo 3. ROMA sè stesso in contrasto cd in opPUIIL1CITA' 1 Ufflcto Pubbllcllà • Propa• posizione all'uguale desjdcrio cleF OL,n""""'"9~•• .. •~•--• V~•~•~R~•~m-•T• "'l•l"..'.· •~o LO~GTNT'A!'"""-ir'-ori\i altri stati, ma bensì in fun· . 4 zione del benessere di una comunità di stati. Noi non dobbiamo tendere a sostituire le altrui bandiere o ad introdurre regu111 politici anti• tetici alla mentalità dei singoli popoli, ma dobbiamo cercare di sviluppare in ciascuno quegli elementi latenti di gerarchia e di ordine che sono rimasti nasco~ sti sotto l'ubriacatura di libertà portata dalla rivoluzione Fran• ccsc; per il resto Roma ebbe anima abbastanza ,·ast.a per accogliere tutti gli !dclii e saldare fra loro, organicamente, tutte le nazionalità. Logica conseguenza di ciò sa· rù che il Mediterraneo raggiun• gerà la sua unitarietà e da cen• tro di lotte ove le diverse ten· dcnzc venivano a scontrarsi potrà divenire un centro di irradia• zionc e di espansione tale da far aderire tutte queste diverse cor· renti ad un ideale politico uni• tario e rappresentare così una torza mondiale in ogni campo. Il problema economico non è che un corollario del problema politico come più sopra è impo· stato, ove si tenga presente che mentre lo scopo dell'economia Ji. be,·ale era esclusivamente il be· nesscre nel campo materiale, quel· ·10 della nuova concezione ccono· mica è sempre il benessere del singolo, ma in funzione dei valori spirituali dell'individuo umano in quanto componente di una comunità statale e razziale. Quindi l'economia non caratterizzerà di sè il nuovo sistema come fu per i secoli scorsi, ma sarà in· vece lo strumento e la forza cli cui la politica si avvarrà per su• perare molti dei problemi, delle difficoltà, delle crisi cli ordine econmuico che non sono stati estranei, anzi in taluni casi, cause efficienti della guerra cl"' og· gi si combatte. La balcanizzazione dell'Euro· pa attuata coll'infausto Trattato di Versaglia aveva portato alla lotta economica di tutti contro tutti e che si manifestava nelle più varie, ma sempre dannose, forme. Di qui la creazione di impian· ti spropositati alla grandezza dei mercati cui dovevano servire, Ja formazione cli economie concorrenti laddove avrebbero dovuto essere c0111plement.ari, e tutto ciò minava la possibilità di resistenza all'urto economico che si scatenò nel 1929. L'autarchia sgorgò dalla crisi ciel 29-33 come l'inevitabile conseguenza e l'assoluta neces· sità, soltanto che molti non sep· pero comprendere la lezione dei fatti. Ed anche nel campo eeono· mico del bacino del Mediten·aneo la posizione italiana sarà premi· nente, in partico.lar modo ove si ponga mente alla necessità di una nazione organizzata per una forte produzione industriale in un ba· cipo in cui la prevalenza delle produzioni è tenuta dall'agricol· tura. La creazione di un'economia autarchica mediterranea si impo· ne come inderogabile necessità della ricostruzione europea e mondiale, però occorrerà aver cura che la trasformazione delle produzioni, trasformazione per quanto è possibile limitata, dovrà avvenire in maniera lenta, gra• duale e senza bruschi sobbalzi, giacché in caso diverso per un errore di ordine economico po· tremo compromettere i risultati che avremo raggiunto nella no• stra espansione politica. Per la attuazione di questa lenta tra• s[ormazione si rende necessaria la disciplina della produzione che potrà essere attuata mediante lo opportuno impiego di diversi mez· zi fra i quali il contingentamento della produzione, le intese di pro· duttori, il controllo e l'imposi· zione dei prezzi. La posizione geografica del Mediterraneo relativamente alle grandi correnti del traff:co mon· clialc e la posizione che in esso occupa l'ltalia oltre che dare svi• luppo ad una potenzialità industriale, concorrerò aache ad in• cremcntare il commercio che si svolgerà col valido intcrrnnto della nostra marina mercantile sotto la vigile scorta della flotta da guerra. Concluclendo, sostengo che la nostra espansione deve essere un ai·monico e coordinato sviluppo di una potenza spirituale - estrinsecantesi in qualche caso anche in aspetti materiali - alla cui base stanno clementi politici, cui· turali, economici, militari, tutti potenziati in funzione del Nuovo Ordine, dei cui motivj ideali la politica non è altro che l'attua· zione nel campo pratico. f"ADRIZIO VITALETTI

······················-······-················- ................. _ ···························-·············· .. ·· ................................................................................. ·-·-····-·········· ........ ............................. Fro111edella \Tarmarica, Noa:embre X.\ Ilo preso il comando di un centro cli fuoco nel coposalclo x, della Divisione « Trent.o •. li Capitano C. mi riceve con quella cordialità nrfcttuosa che si sta• bilisce immediatamente fra soldati impegnali in sclt.ori di com• battimento. f: pado,•ano; a prima vista si direbbe un padre di famiglia amunlc dclii, quiete. Mu debbo subito ricredermi; se In scorza è quella di un bravo borghese il fondo è invece quello di un aulcnlico soldato. Ha combutluto in Libia, nella grande guerra, in Africa Orientale cd ora è in Mnrmarica. Tutte le volle è partilo volontario, lasciando, cli [ronlc ad un dovere più alt.o, moglie e Figli, che un ritratt.o mostra accanto al letto nella tenda del padre soldat.o. In un capos_aldo della cintura di Tobruk Il capilnno mi presenta agli uomini del plotone. L'incontro fra soldati e uf!i- <.>iali, specie in settori avanzoti a qualche centinaio di metri dal nemico, è scevro di rormalità. Basta un saluto ccl uno sguardo negli occhi. Poi si conosceranno ad uno ad uno, si stabiliranno con essi vincoli di cUsciplina e cli cameratismo, si parteciperà alla loro vita cli ogni giorno e alle loro vicende più intime. Sono quasi tutti emiliani, in prevalenza di Parma c Reggio; c'è un capora I maggiore calabrese dalla espressione vivace e intelligente; c'è un altro caporal maggiore giovanissimo cli Lecce (il balilla ciel plotone pcrchè ha appena 18 anni). Tulli conoscono l'A[r;ca da molti mesi ccl hanno episodi lieti o meno do raccontare; ma questi suranno oggetto di conversazione quando il nemico mcllc una pau,n al martcllnmtnlo delle artiglierie. 11 centro di ruoco è contrasse· gnato con una lcllcra dell'alfubelo; una lellcra che per questi ,oldali è simbolo di una volontà che non si allenta. Di giorno e di notte il nemico scaglia a n.1nvcra i suoi proietti. Proietti traditori, li chiamano j miei ragazzi, pcrchè banno truictlorie \'ariabilissimc. Vengono lanciali qua e là con sventagliale rapide, a casaccio. E: un modo come un altro per sciupare munizioni. SI FA IL PIENO PRIMA DI AFFRONTARE IL DE~El{IO li martellamento continua intenso nei giorni successivi; è lo sfogo rabbioso cli chi non ha trovalo alcun varco compiacente per sFuggirc alfa stretta inesorabile. Da quando è incominciata la battaglia della Marmarica gli assediali cli Tobruk hanno tentat.o o varie riprese cli ron1perc la salda cintura formala dalle divisioni italiane cli assedio. L'avevano tcnt.at.o anche prima (il 9 novembre) contro i caposaldj della mia di\'isionc, attaccandola di sorpresa. Ma avevano trovalo il muro. soffocante è di nuo,·o rin,:,,,crra:.:,, rinsalclat.o, tenuto ,·ivo dal pun· tiglio degli uomini e dal numero delle armi. Le divisioni italiane tengono i caposaldi in una attesa che ancia al contrattacco. • •• 'cl ciclo appaiono tah-olta formazioni nemiche da bornbarclamenlo, il cui obiettivo costante è In si.rada dell'Asse. Mo ogni sforzo è inutile; gli automezzi continuano a circolare liberamente su questa arteria massicciata, vera linfa alll"Qcntntricc della cintura cli Tobruk. [I sasso, adattalo e squadrato dalla vo- • In seguit.o continuavano a sag- lonlù coslrullricc degli ILnliani, giare, con lu si.essa insistenza del resiste alle lracolanti orrese ciel rabdomante che cerca le venature nemico, )e cui azioni hanno più dell'acqua, i punti vulnerabili l'dtcllo della parala che la condella nostra armatura clifenbiva, sistenza dello ,monlellamento me• cercando cli sfondare con mezzi toclico. Per gli inglesi la guerra corazzati verso sud-est; sono riu- è una giostra cli ratti spcllacolari, scili a guadagnare un po' di lcr• non un sapiente calcolo di renrcno che le nostre I.ruppe hanno climenlo e di economia. F5'ffèfa~r8?ièo'RJffìfl'ì~OForlfi bat.lono bene ma con molto ottengono poco. Gli eserciti clcll'.\ssc sfruttano invece ogni bomba, ogni proietto con implacabile coerenza lat.lica e strategica. Le artiglierie raggiungono gli obiettivi con insistenza metodica, più ut.ilc di qual- :,,,iasi concentramento atfannoso . Le milraglialrici mirano al bersaglio e non pescano nell'oscurilà all'inseguimento cU una probabilità molto vaga. Le munizioni vengono usate senza sprechi inutili, con tempestiviti,, con calma, l'arma che moltiplica gli crtctti cli qualsiasi reazione offensiva. I~questo l'elemento primo cli successo in una guerra snervante come quella impegnata nella landa marmarica; cosi mi diceva il <;apitano D. M., un uomo asciutto, w,lilivo nel gesto come nelle inflessioni della voce, più volte decorato dai segni ciel valore, col quale ho \isilnto i vari centri cli fuoco del caposaldo. Le armi bisogna saperle impiegare al momento giusto; esse contano in quanto sono adoperale da uomini in piena er!iccnza morale. Le armi dello spirito sono per qualcuno espressione rcl.t.orica che fa sorridere. Per cost.oro la guerra nel deserto si fa solo con molli mezzi corazzati, con molte armi, con molte munizioni. La guerra nel deserto ba bisogno invece e so• pralulto cli uomini dal cuore saldo, dai nervi sicuri. Spesso la !rccldn determinazione cli un gruppo di uomini coraggiosi ferma l'impeto dei mezzi meccanici. Noi italiani sappiamo bene tult.o questo; per noi In guerra è anzitutto un fatto morale. La nostra è gente che nel combat.• timcnto trovu infinite risorse. Nell'epoca dei carri armali potentissimi, degli aeroplani e elci mez• zi motorizzati può sembrare ridicola e sorpassata l'immagine ciel fonte che stringe nelle mani una piccola bomba. Per noi no. D'accorcio che non si può pretendere di fronteggiare carri armali con le bombe a mano. Ma quando si hanno molli uomini che sareb· bcro decisi a -farlo, vuol dire che si può contare su magniCici com· battenti. Oggi qucst.i soldati hanno anche le armi per potenziare il loro sforzo e fare frullare la loro generosità. L'hanno dimostrato quelli clell'«Aricle• gettando con• t.ro il nemico irrompente la bar• ricru inesorabile dei mezzi e dei cuori; l'hanno provato i fanti della «SaYona• respingendo san• guinosamcnle le ripclulc ondate offensive cli forze molle volle su• pcriori; l'hanno conicrmato i ranti della « Pm ia• e della «Bologna• pressali. piegali anche in qualche punto ma non spezzati dalla disperala proiezione nemica verso una breccia di uscit..a dallo accerchiamento cli Tobruk; quelli della «Trento• e della «Brescia•, estremamente Caparbi nclln vo• lonlà cli tenere duro e di non lasciare al nemico un solo metro di terreno; quelli della «Trieste• e delle nitre unità impegnale nel seUorc marmnrico. La grande, la dura, la decisiva battaglia africana ha ,·islo il soldato italiano gareggiare in valore, in generosità, in orgoglio coi camerati tedeschi. La combinazione degli srorzi degli eserciti alleati vince un ne• mico duro, osli1rnto, deciso a lan• ciare contro di noi divisioni su divisioni per una questione cli puntiglio. Quello britlannico è puntiglio cocciuto; la nostra è fermezza lineare. Loro picchiano clisorclinalamcnle nella illusione cli pro,·ocarc il cedimento improv- , iso in qualche punto. I soldati d'Italia e cli Germania parano senza scomporsi e aspettano lo spiraglio attraverso cui portare il colpo decisivo. È un duello mortale; con ostinazione, che è pure ammirevole, il nemico cereu di rimontare lo svantaggio dei colpi ricevuti. Ma quando i tempi stringono i nostri soldati sanno trovare l'impeto sfondante della lotta risolutiva. BRUNO 1uson·1

1111 I A VILLN Racconto di C a r I o Martinelli li piccolo e ossuto professore di pianoforte. che da qualche giorno aveva chiesto e ottenuto di mangiare alla mia tavola, mi b'\Jarclò, come sempre faceva, con gli occhi di chi si prepara a un pranzo due volte buono - per le pietanze e per la compagnia - e tutt'a un tratto si mise a piangere. Po<'hi secondi di lacrime; poi avvoltolò con cura unn grossa forchettata di pastasciutta e cominciò a masticare. Oli imo, questo sugo - disse con la voce incerta, ancora non completamente libera dai singhiozzi. Feci di sì con la Lesta, e lui si rimise a piangere; seguitando a ginre. * ** Fine di settembre. La prima cosa che mi colpì 1 e cancellò gran parte del mio entusiasmo, fu il veder che le rondini erano già partite da Villa Serena. forse, dovevo immag.inarlo: fine di settembre; ma speravo di no. ~cmmeno, lo speravo: non l'avrei ammesso, due minuti avnnti, pur se qualcuno mc n'avesse parlalo. Villa Serena scnzn rondini? Macchè! Non lo diciamo ne• anche per scherzo. O non era in un mondo lutto speciale, quella Villa nel verde, venuta su tra le balze d'una collina da fondale di palcoscenico? Se, lì come dovunque, bastava un po' di autunno per far capire che, davvero, jJ sole non era più sole; per vuotare j nidi attaccati al soHitto della loggia più grande - quella che dopopranzo raccoglieva le pe~ e i sorrisi di tutti, - Villa Serena non era degna dei discorsi soltanto pensati con cui tanti silenzi di casa e di strada m'eran parsi tra i sogni più belli. Invece, non era cosi. Anche a Villa Serena l'autunno era l'autunno; e, dunque, l'inverno sarebbe stato iiinverno. La loggia: sempre quella; il verde: sempre quello; gli ospiti: sempre quelli, pur se, alcuni, venuti su da poco, nuovi di male e di cura. Anche il sole-, anche il sole... per ora, e chissà fino a quando, era lo stesso. Rondini: no. Sparite. Villa quasi Serena. La cameretta era bella. Tutta a fiori, con i mobili chiari e il pavimento di legno avano, col soUitto che, da sopra alla porta, s'incurvava preciso sino a toccare la tenda dello finestra e qui moriva, senza interrompersi, ma anzi continuando, nella parete stessa in cui la finestra era aperta, somigliava all'interno d'una enorme macchina fotografica con l'obiettivo fisso sempre al solito punto: Firenze. Firenze, e un po' di ciclo; fiorentino da sè. Mi ci portarono scendendo 1>er una scaletta di marmo che fi_niva in un corridoio simile alla «passeggiata• di seconda classe d'una nave, mi fecero vedere i mobili, m'indicarono la poltrona di stoUa rossa, aprirono la linestra e mi guidarono lo sguardo verso il panornma. Poi, nel lasciarmi solo: - Avete bisogno di qualcosa? Eppure, non m'il'ritai. L'ambiente agiva già sui miei nervi. in ogni cantuccio del bosco. Mi vide, mi venne incontro con la sua saltellante unclatura da collegiale settantenne, mi domandò: ~ Quando siete arrivato? Niente prt:!sentalioni immediate, niente «Come state? Come mai siete qui? Che cosa vi sentite? •. Quando siete arrivato, e basta. L'essenziale. - Ieri sera. E voi? lo? Io son qui dalla nascita. Ov\ero: dalla rinascita. Per undici anni, sapete, io sono stato morto. Qui, un mese fa. ho ricominciato a vivere. Per la seconda volta ho fotto i p1:imi passi, e ho rinnovato la mìn conoscenza con le cose e con gli uomini: col mondo. !yt'han lasciato, è vero, il nome che avevo prima: ma per loro, perchè gli altri potessero raccapezzarsi. on per me. Io son nuovo. Mi portò sotto la loggia, in un angolo da cui si \'edcva, oltre agli o.iberi e a11e st1·ade sassose. un torrente di cose che scendeva laggiù, a sfociare nel lago della cittii piatta. Conoscete nessuno, qui? - Non lo so. A Villa Serena ci son venuto un'altra volta, mu cosi, di passaggio. Può darsi che i miei amici d'allora se ne siano andati. Come lino fallo le rondini. Parve riflettere. - Già. Può darsi. Comunque, è gente molto strana, anche questa. - Strana? Uomini e donne diversi da tutti gli altri, volete dire? Allungò le labbra chiuse, stringendole e tacendosele piene di piccole grinze. - Diversi Fino a un Molto meno di quanto si dcre. certo punto. potrebbe ere- - E, allora, gente strana perchè? - Proprio perchè, in Condo, sono come tutti gli altri, pur trovRndosi qui. Badate bene: pur trovandosi qui. Uno crede che a Villa Serena s'acquisti il diritto di mostrarsi come davvero ci sentiamo, senza vergogne, senza modestia, e invece s'accorge che gli altri - l'umanità - a un certo momento gli dicono: basta, esageri. E tu devi tornare indietro, e capire, o far tinta di capire 1 che hanno ragione loro. Il piccolo e ossuto protcssore di pianoforte sospirò e, tirati gli occhiali sulla fronte, si strusciò per alcuni secondi, col pollice e l'nnulare a cavalluccio del naso, gli angoli delle ciglie. - Ct·edete a mc - riprese - c'è molta gente, anche qui, che occupa un posto non suo. Poi s'accorse che il sigaro tra le labbra era ormai spento da un pezzo, e tirò fuori la scatola dei cerini. Si buttò più all'indietro con la schiena sullo poltrona, allungò le gambe, accavallò i piedi. Disse: - Per esempio, guardate - e accese il quarto cerino senza riuscire a Iar prendere il sigaro carbonizzato - ne volete sentire una più bella: a me si proibisce di piangere. A Villa Serena! •** Calmo, lo guardai beòe in faccia. Il piccolo e ossuto pro(essore di E chi ve lo proibisce? pianoforte (u la prima persona che - Gli altri, l'umanità, al solito. incontrai la mattina dopo, quando, per Basta che mi sieda a tavola e che la curiosità della compagnia, salii mi lasci andare a sciupar qualche lanell'atrio vastissimo della Villa e, senza crima - perchè sono sciupate, badia• F 6"naazi'o nè i~"Jff'mi"~°F or1ì le mie lacrime _ • subito qual6 cuno mi vien d'intorno e mi dice che no. non lo devo [are, che mi fa male, che mi guasto il desinare o la cena ... Per chi credete che lo facciano, in fondo? Per me? ~o: per loro stessi. Per il loro egoismo. Veder qualcuno che soffre (ma io softrirei se non piangessi, e questo non lo sanno) rovina la loro cena, e il loro desinare. E non vogliono. t giusto? - Non lo so. - t giusto, ma 1>er loro. E non esitano a commettere un'ìngiustizia verso di mc. L'egoismo, curo mio. l'egoismo. Intanto per le piccole strade disegnate tra i boschi eran nati, anche quella nrnltinu, i rumori e le \•Oci di sempre; e sul fiume di case che scendeva continuo d;1lla collina al piano s'erano spalancate centinaia di finestre: centina.in cli barche che per miracolo d'a1·ia e cli luce non seguivano la corrente. Ma perchè, professore, piangete? Si strinse nelle spalle. - Mi 1a bene, mangiando. Pro\ale, pro, ate unchc voi. ~li proverò. • •• miei giorni di Villa Serena! Giorni passati non mai solo, e sempre con me stesso. Sul finire d'ottobre, quando già m'ambientavo in c1uel mondo destinalo a rimettere in semplice discussione il perchè della vita e della morte 1 cominciaron le pioggic. E gli ospiti di Villa Serena furon tutti dietro i vetri delle grandi finestre, sorpresi, con la sempre pacatu meraviglia di chi assiste a una cosa cli cui tanto s'è parlato e sentilo parlare senza crederci troppo. La pioggia, qui? Ed il freddo? E le lunghe ore grigie cli chi non sa come fare a raggiunger la sera, eppoi quando fa notte s'avvecle di non aver cambiato di nulla i discorsi e i sospiri? Ogni tanto, a metù d'un pomeriggio 1 la musica del pianoforte chiamava <1ualche ospite nella saJn. I più ci anelavano attirati dagli nitri; ed eran quelli stessi che, sin dal buongiorno della mattina, dovevano rubarti le parole sul labbro e masticarle da sè per ripclcrsele dentro: i silenziosi e miti sordi di Villa Serena; due volte sereni. Il piccolo e ossuto professore di pianoforte (sempre lieto del suo sigaro spento e del suo f-iammifero inutilmente acceso) mangiò con me, alla mia tavola nascosta nella candida nic~ chia del salone da pranzo, fino dai primi giorni. Lo capivo io solo ( «Aspettavo da un pezzo qualcuno come voi•) e lo lasciavo piangere. Con me, non gli davano noia, non gli andavan vicino per dirgli di star calmo. C'ero io: una specie di solo responsabile che eliminava gli altri. E piangendo riusciva a mangiare; o mangiando riusciva a piangere. Questo, nemmen io l'ho capito benissimo. ~fa ho creduto opportuno di non formarci mai una domanda. Piangeva, lo capivo, lo lasciavo pian• gcrc. Era lui, Cinnlmenlc ! *** ~o,•cmbre, dicembre. gennaio, fobbraio... metà di mnrzo. Già da tanto i giorni eran di nuovo chiari ed il bosco sotfiava i suoi pro- [umi nelle camerette a fiori col pavimento avana e il soUilto incurvato. Me n'anelai una mattina in cui un ospite nuovo venne a darmi il cambio prendendo proprio la mia camera, privandomi cosi della gioia di ripensarla vuota, silenziosa, a aspettarmi. Rifoci il corridoio simile alla « passeggiata » d'una nave (e mi parve dav"cro che Cosse <1uclla la seconda volta che l'attraversavo) e salii nell'atrio vastissimo della Villa. Eran li, quasi tutti. Il piccolo e ossuto professore di pianoforte mi venne incontro. Ve ne andate? Mc ne vado. Mi tirò da una parte. - Falerni una cortesia: l'ultima. Dite agli nitri chè mi lascino piangere. - C ill tatto, professore, già fatto. - Dav,ero? - Davvero. - E credete che ... ? - Ne sono sicuro. Han capito. Respirò. - Che cuore! - e mi strinse le mani - M'avete reso felice. Passai davanti agli nitri seduti nelle larghe poltrone di cuoio accosto alla parete. - Addio .. . - Addio .. . • ** Addio, addio ... Dnl viottolo, in alto, sorpassato il cancello, si \'edeva la cnsu. Mi chiamò, dal sotfitto della loggia più grande, un insolito bàttito d'ali. Le rondini. Ecco: Villa Serena. CA/11,0 MAIITINEUI GABRIELE MUCCHI" RAGAZZA CHE LEGGE,,

Jt capotate n. 53 mano: è un'ala ciel manicomio provinciale tra- La sua voce contadinesca ha perduto la L'ospedale è al completo: quando arrivo accompagnato da un piantone della mia compagnia trovo già nell'atrio una decina cli soldati che aspettano. Non c'è posto per sedersi. Chi mi ha condotto qui è di vecchio pelo e se la intende subito col sergente di sanità che sta in un bugigattolo attorniato da cento « basse i. d'entrata. Ritorna sorridendo, mi si avvicina con aria di mistero: - Io me ne vado, ormai sci a post.o. Ti manderanno in un ospedale civile; ci vuol pazienza - e s'allontana tranquillo, uscendo <lai portone verso la città che attende pigra sotto un tramonto afoso. Quelli che saranno i miei compagni si sono uniti a coppie e parlano senza gestire: si nota nelle loro espressioni una stanchezza inerte, una rassegnata condiscendenza. Sono anziani e portano scarponi consumati. lo invece non so dominare una sorda rabbia che mi deriva dal fatto d'essere in piedi senza che alcuno si prenda cura di 1ue, mentre sento le tempie caldissime di febbre. Non parlo con nessuno, non mi preoccupo di sapere quando vcrrù l'autoambulanza per portarci a riposare su un letto bianco. Sono irritato di sentirmi ammalato e vorrei in qualche modo ,·cndicarmi contro la mia pO\'era carne che non ha saputo resistere alla durezza delle fatiche. Cerco una sigaretta e l'accendo, pro,•ando insieme alla nausea [isica un senso cli orgoglio placato. .\rriva l'autoambulanza. Tutti, ora che le loro pene stanno per finire, si risentono con violenza. Sulla porta prima d'infilarci nel forgone, un sergente sbircia le nostre carte. Vien ultimo, mal in gamba, un caporale di fanteria tutto sgualcito e disadorno: senza bustina (capelli rossi, di stoffa, ritti a fiammate), camicia sbottonata, calzoni di tela brodosi e cascanti. Tiene la testa bassa e se la alza appena, l'occhio appare pieno di bruma crucci osa. Il sergente s'impunta e lo becca: • Sembri un fagotto, non un soldato! Dove hai messa la bustina? • -. Lui risponde aspro e continua col suo passo malsicuro. Ma all'altro ha preso fuoco il sangue e l'incidente dilaga subito fra il disappunto di noi tutti. Il caporale non molla di tono; con s[orzo - e gli sembra già di far molto - tira fuori dalla tasca della giubba una vecchia bustina tutta oliata di sudore e a caso se la mette sul capo. Ora pare che tutto s'acqueti e lui sale il predellino mugolando: - [n Albania era un altra storia, tutti buoni coi soldati in Albania ... Si lascia cadere in un canto, chiudendo gli occhi come per un [orte dolore. lo lo credo ubriaco e più che pena suscita in me un'antipatia aggressiva. Si va cd i traballamenti strappano i lamenti dei più malandati. Il caporale d'improvviso si alza, sporge la testa dal finestrino ed urla: - Prendi tutti i sassi e tutti i fossi, tocco di manzo! - e aggiunge un paio d'insolenze. ?'-/essuno cli noi gli dà corda, forse perché tutti hanno la carne sofferente; ma io mi sento disgustato d'aver innanzi un uomo tanto volgare.· L'ospedale a cui andiamo FondazioneRuffilli è mollo fuori Forlì sformato per il momento in ospedale militare. sorda asprezza di prima: ha preso il tono Fa colpo entrando: sul marmo tutto bianco ingenuo con cui il bovaro parla alla propria e pulito i nostri scarponi giostrano con in- mandria nei momenti di solitudine. stabilità fantoccesca; vien giù dall'alto dei lo li conosco tutti i paesi che scarnno soffitti, eome una fascia cli calcia bambagia, solchi cli tenerezza nel suo cuore: Barzio, un senso di pace e cli riposo. Cremeno, Balisio, Pasturo, Ballabio. E le straTutti siamo stanchi e sciupati ed aspet- de (Pian dei Resinelli, Grigna, Grignetta, tiamo l'assegnazione del letto con i nervi pro- Pian di Bobbio ecc.) partendo dalla mia bocca tesi. si allargano e s'intrecciano fantasiose nel ceri documenti da ricopiare sono lunghi ed vello calcio e buono ciel mio compagno. il caporalmaggiore scrivano gode - dato il Man mano ch'egli svela attraverso i ri-. suo faccione solare - di un'ottima salute. cordi e i rimpianti la sua anima, m'accorgo Pochi cli noi vanno in chirurgia (postumi quanto fosse falsa la prima impressione. cli ferite mal rimarginate), il grosso vien con Non ch'egli nasconda doti eccezionali: è ff1c nel reparto «medicina». un comune contadino coi suoi pregiudizi e le Quel ceffo di caporale sarà mio vicino di sue durezze, ma in _[ondo non saprebbe far letto. male a nessuno ed i sentimenti più sani li Mi cavo cli dosso i panni militari e faccio tiene intatti nel suo cuore incallito nella fatica. in modo di non t-rovarmi lnai a contatto col mio compagno, il quale continua sordamente a parlottare. Sono urtato e m'accorgo che in tutti i miei gesti manco di naturalezza. Quasi quasi provo imbarazzo, come da bambino quando ~lla sera ero costretto a coricarmi con mio fratello col quale spesso bisticciavo. .\cl ogni modo con la lunga camiciola bianca d'ospedale scompaio sotto le lenzuola e - su.pino - fingo cli dormire. Senonché - non son passati dicci minuti - il piantone arriva al mio letto, e mi chiede nome, cognome, grado, malattia, per scriverli sulla lavagnetta a capo del comodino. . 52: e comincia col gesso sotto la mia dettatura. [I caporale vicino s'è seduto sul letto mezzo svestito e interrompe il piantone chiedendo da mangiare. GIi vien detto che la cena in ospedale vien~ · distribuita alle diciassette e perciò l'orario è di molto superato. Egli protesta: - E: da stamattina che sto in piedi con un gavettino di caffè, ho fame, poche storie! Alla meglio il piantone lo calma: tutt'al più lo dirà alla suora di servizio. Si continua con le inie informazioni. Ma il caporale interviene di prepotenza: - Sci di Milano, allievo ufficiale! E: dura anche per te la « naia • eh? ! [o sono della Valsassina, lombardo - e si mette senz'altro al ritmo del nostro dialetto. Ora il ghiaccio è rotto e la fiumana delle sue parole dilaga sopra di me, senza ch'io possa in alcun modo schermirmi. Il piantone lo richiama per sapere i suoi dati: letto N. 53, caporale Mario Brini e poi? E poi lui sta dicendomi che d'autunno sulle falde della Grigna raccoglieva) i più bei funghi della terra: - Partivo il sabato sera, e la domenica la passavo così * ** Le lampade sono diventate azzurre, dalle vetrate si vede il biancore della suora cli turno che va su e giù, tutt'intorno è un roniio cli corpi ristorati dal fresco d'un letto pulito. Sono passate le dieci e iI caporale Brini che fumacchia di nascosto sotto le coperte, mi chiama. Gli ho detto di conoscere la Valsassina: sono stato tre anni a villeggiare a Barzio, e lui m'assedia di mille domande. Ha !'espressioni che urtano, però ogni tanto vien fuori con certe battute tanto sorgive, ch'io gli vedo netta in quel momento la sua coscienza, priva di macchie e attaccata ai principi più sacrosanti delle nostre famiglie senza vizio. Vuol che io fumi: non c'è scampo. Si vergogna, chè è una «nazionale», ma se io non l'accettassi lo mortificherei più che offcndérlo. Nel suo narrare pittoresco - .. ancorchè rozzo e pittoresco - mescola Valsassina e Albania come fosse tut.t.'uno con casa sua . La sua vita e polarizzata li: Valsassina e Albania . I-la fatto tutta la guerra cli Grecia, sopportando freddo e fame sempre brontolando, ma non mollando mai d'un palmo. E in quanto a fucilate ne deve aver tirate più d'una a segno. Ci voleva proprio la bomba d'un mortaio per metterlo fuori uso pochi giorni prima della nostra offensiva di primavera; ma era stata una bomba intelligente. All'ospedale di Valona - guarda il caso - era capitato sotto il tenente Giovanetti, mio compagno di liceo. li caporale Brini quando glielo dico non sta più nella pelle: - Che dottore! un pezzo di pane! se non c'era lui, la gamba la lasciavo • in Albania -. Ma il chiodo ritorna a premergli il tasto più vivo: - Ma possibile che non ricordi la mia casa? Per la strada dei Pian cli Bobbio, dopo il cimitero di Barzio, dove c'è la cava! E: tutta sola con un laghetto davanti per l'abbeveratoio cl.elle. vacche -. Io cerco nella mia memoria, ma non riesco a costmire i particolari che egli mi indica. Mi rincresce, perchè vedo che soffre. Poi desiste e diventa muto. Riprende pooo dopo: - Sai c'è un terrazzo sopra la mia casa e l'ultima volta quando son partito la mamma - io non volevo - ma lei è anelata su per vedermi ancora per la strllda. Io mi giravo e la vedevo tutta nera e piccola e mi pareva stesse per buttarsi nel cortile. Sentivo che \'Olcvo fermarmi ma invece andavo più forte, quasi correvo e la mam1na diventava sempre più piccola. Sai, sono dolori questi, dolori grossi più del freddo e del Telepeni. - Si tirò le coperte sul collo il caporale N. 53, mio vicino di letto, e per un buon dicci minuti stcmmo in silenzio. EZIO COLOMBO 7

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