Omnibus - anno III - n. 4 - 28 gennaio 1939

IL SOFM DELLE mu&E I ! Còì01'W7....AGA.. fl ~O dei segm del passaggio dal Meg dioevo al Rinascimento è l'accresciuta importanza, la più spiccata e più libera posizione sociale della donna. Siamo innanzi ad una manifestazione particolare di quello sviluppo dell'autonomia individuale che è caratteristica immancabile di ogni periodo di cultura avanzata. La donna non scompare più entro la collettività familiare e dietro le quotidiane, anonime cure domestiche, ma si afferma (quando, beninteso,' altre circostanze vi concorrano) come personalità attiva nella cultura, nella politica, nella società in generale. Prima del Rinascimento si può dire non figurino nella vita pubblica se non qualche regina e qualche santa: poche anche queste, né per lo più straordinariamente eminenti. Una Elisabetta sul trono, come una santa Teresa nel chiostro, non compaiono prima dell'età moderna. L'Italia, patria del Rinascimento europeo, è pnrticolarmente ricca in questo periodo di personalità femminili. S. A. Nulli nella sua biografia di Giulia Go11zaga (Treves, Milano) ricorda fin dalle prime pagine, accanto alla sua protagonista, Vittoria Colonna e Olimpia ).Io. rata: una delle figure, questa seconda, più attraenti nel grande, imponente stuolo dei protestanti fuorusciti italiani. Egli giustamente dice che ,. vite perfette ed alle volte eroiche non mancano, contrariame11te all'opinione comune, in quel secolo in cui il Machiavelli disegnerà l'ideale inumano del suo Principe e l'Arettno fu proclamato divino, e che alcuni ricordano solo per Lucrezia Borgia ed il fratello suo, il Valentino•· Tra le donne italiane celebri del Cinquecento forse nessuna deve in proporzione tanto grande quanto Giulia Gonzaga la sua celebrità alle caratteristiche personali, intrinseche, piuttosto che alle circostanze esteriori. Nella vita pubblica del tempo Giulia ebbe un posto assai modesto. Era nata il 1513 o qualche anno prima, da Ludovico (per una svista 11 Nulli lo chiama a p. 6 Federico, mentre in seguito dà sempre il nome esatto) Gonzaga, di un ramo cadetto della famiglia marchionale mantovana, ramo che aveva in signoria Sabbioneta. Bozzolo, Gazzuolo e altre terre: l'ultimo delle nominate fu probabilmente il luogo di nasctta di Giulia (il Nulli non tocca questo punto). Nel 1 526, a tredici o quindici o al massimo sedici anni, andò sposa a Vespasiano Colonna (figlio del famoso capitano Prospero) conte di Fondi, un vedO\"O quarantenne, infermo e zoppo, che dopo neppur due anni dal suo secondo matrimonio venne a morte, il 13 marzo 1 528. Egli lasciò per testamento la moglie signora dei suoi domini: solo se si rimaritasse, questi dovevano passare a Isabella, figlia del primo letto. Ed ecco la giovanissima Giulia contessa d1 Fondi; e poiché non si rimaritò, tale rimase per tutta la vita. I primi anni della vedovanza h pa111sòin quella capi.tale del suo dominio; < quivi la colse, in un mattino dell'estate 1534, la notizia che il famoso pirata Barbarossa, divenuto ammiraglio dì Sol1mano, era sbarcato a Sperlonga e di là marcian su Fondi a compiere una delle solite imprese di saccheggio sulle popolazioni cosuere italiane. Giulia fuggì da una finestra del castello, semivest1ta e a piedi scalzi. nei boschi e si pose in salvo. Fu detto che il Barbarossa venisse appunto per prendere G1uha e farne pre• zioso bottino per l'hare-m di Sol1mano. :,,.J"onmancarono neppure fantasie lussuriose che la vollero caduta in mano dei corsari, gustoso boccone• (Brant0me). L'anno dopo, nel dicembre 1535, Giulia traspol'"ta\·a la sua dimora a :":apoh e ve la mantenne fino alla morte avvenuta il 19 aprile 1566, quando ella era ancor lungi dal cinquantesimo anno. E poco o nulla vi è d'aggiungere per la sua vita esteriore: ricordiamo il matrimonio della figliastra Isabella col fratello stesso di Giulia, Lu1g1 detto Rodomonte, uomo d1 forza erculea che con le mani divaricava qualsiasi più robusto ferro di cavallo, e le funi più grosse spezzava con una strappata. Anche questi mori precocemente, di una arch1bug1ata dt:gli Orsini, nel 1533; e segwrono contese d1 interessi fra la vedova matrigna e la vedova fighastra, che durarono più anni, rinfocolate dal fatto che Rodomonte aveva lasciata la tutela del bambino Ve1pasiano a Giulia, anziché a Isabella. Piccole cose, da cui non varrebbe la pena d, occuparsi, anche se ne sapessimo d1 pili d1 quel che ne sappiamo. Donde, dunque,, la grande celebrità di questa donna, testimoniataci a gara dai contemporanei? Si dirà subuo: dalla i.ua bellezza. Coriie s1 fa a non npetcre I pur nouss1m1 \'crs1 dell'Ariosto: Giulta Gonzaga, che dot unque il prede 1:olge, e dm:unque i sereni occhi gira, non pur ogn'altra di btlt/J le cede ma, come susa dal tiel Dea, l'ammira. Xo1 ricerchiamo oggi r,mmagine di questa bellezza nel ritratto, unico autentico, del palazzo reale d1 Caserta,_ che 1I :S-ulhnon riproduce, mentre dil altri esem~ pian molto piU lontani dall'ong1nale (s1 veda quanto discorre in proposito a_i Croce, con le opportune riproduz1on1, in una appendice alla sua ristampa dcli' A/Jabdo cn·stUlno di Valdé&). Anche questo ritratto e una copia, ma copia diretta, dell'orig1nale dovuto a Sebastiano del Piombo, che lo dipinse per mcanco del cardmale f ppohto dc' ;\ledici, ardente innamorato (e come tutti gli altri sfortunato) di Giulia, morto giovane a Itri, proprio nelle v1cip nanze di Fondi, nell'agosto 1535: si disse, per veleno del cugino Alessandro duca di Firenze, mentre altri sostiene che l'uccidesse il morbo • fracastorio •. Forse chi contempla quel ritratto proverà una certa disillusione, pure ammirando i lineamenti perfectamente regolari. Ma 13 bellezza di Giulia doveva essere una rara combinazione di perfezione plastica e di espressione spirituale: come appare, a rileggerli, dagli stessi versi dcli' Ariosto. Non la bellezza da sola fece la sua fama, bensì la congiunzione di questa con la elevatezza del sentire. l'intelligenza viva, l'onestà della vita. La fama volle ch'ella fosse rimasta vergine attraverso il matrimonio; certo è che non solo, vedova a diciotto anni al più, tale rimase per tutta la vita, ma visse altresì perfettamente casta di pensiero e di sentimento prima che nel fatto. Inutile porre, come fa il Nulli, il quesito se la sua vedovanza provi veramente un grande affetto al marito defunto. li punto fondamentale era in lei un'avversione intima verso la sensualità (si diceva che vedesse malvolentieri andare a marito le sue donzelle), avversione a cui rispondeva la profondità e l'elevatezza della vita interiore. Diceva il Valdés che la sua • divina convèrsazione e gentilezza• non era punto inferiore alla bellezza; e il Carnesecchi affermò essere la fama della bellezza e virtù sua tale • che ogni galantuomo che capitasse in quelle bande cercava di conoscerla e di pigliare amicizia seco •. Solo dopo esse1""ciresi conto di questa moralità e spiritualità eccezio1. di Giulia possiamo valutare la sua fede religiosa. Fin dal suo primo soggiorno a Napoli divenne suo direttore spiritu.iile un gentiluomo spagnolo, laico, quel Giovanni de Valdés che fu tra i primi e più efficaci maestri, pur nella sua esuema riserva- · tezza. della nuova l'"eligiosità riformata, tutta fondata sulla giustificazione per la sola fede in Cristo; e cioè sopra un principio di vita interiore che rendeva indifferenti e caduche le pratiche esterne e tutto l'appal'"ato sacramentale-giuridico della chiesa cattolica. Che uomo fosse il Valdés non si può dir meglio che con le parole di rimpianto di Jacopo 8onfad10 (una vittima della reazione antiprotestante): • era senza dubbio nei fatti, nelle parole, e an tutti i suoi consigli un compiuto uomo. Re~ge\a con una particella dell'animo il corpo suo debole e magro; con la maggior patte poi. e con il puro intelletto, quasi come fuor del corpo. stava sempre sollevato alla contempla1.1one della verità e delle cose divine•· Quella che possiamo ben chiamare la conversione d1 donna Giulia fu ntratta dal Valdés stesso nel dialogo dell'Alfabeto cristiano (pervenutoci nella traduzione italiana), dialogo che si svolge fra Giulia e lui. Nel pnnctpio d1 esso la genuldonna descrive con semplicità ed efficacia la sua crisi interiore. che era una scontentezza profonda di me medesima e dt tutte le cose del mondo•, con una confusione, perplessità ed inquietudine• agitanti il cuor suo. Precisamente questa scontentezza e inquietudine spirituale cedette il posto, in seguito all'insegnamento del Valdés, ad una tranquillità interiore che, per quanto possiamo giudicare, si mantenne m lei per tutto il resto della vtta. Avremmo voluto che su questa parte il )folli si fosse fermato un po' di più, e cioè che avesse caratterizzato più da vicino la religiosità valdesiana, divenuta quella stessa di Giulia Gonzaga. ~la la parte storico-religiosa del suo libro (che pure nell'insieme è abbastanza ben condotto) mostra una certa impreparazione. Egli ci parla per due- volte del Concilium dt>lutorum cardi,ralium de emendando ecclesia, che avrebbe presentato al pontefice Paop lo J II il progetto d1 una riforma della Chiesa, mentre non si tratta d1 un Concilio• (quando mai c'è stato un conci.ho di cardinali?) ma d1 un Consilium, e cioè precisamente dello stesso progetto che porta questo molo. Sentiamo anche parlare di una teologia a ma01che larghe dc, gesuiti, il che nel 1537 è nramcnte un po' troppo m anticipo. Circa l'ultimo pe~ riodo del Concilio d1 Trento 11 Nolli c1 parla d1 speranze della Gonzaga che venissero approvate idee sulla g1ustificaz1onc e sulla grazia \"IC_l"ea queue del Valdés, mentre 1IConcilio aveva g1h dehberato in proposito, m tutt'altro sens~, quattordici anm addietro. Alvise Pnuh, l'amico del cardinal Polo, è dato per cardinale; e ad Enrico V[ Il si fa succedere Maria la Cattolica, dimenticando che ci fu di mezzo Edoardo VL Avremmo anche desiderato che si fosse tentata una maggiore ut1hzzazione delle molte lettere del Carnesecchi a Giulia, conservateci nell'estratto del processo di lui. Giulia Gonzaga, non ostante i sospetti inquis1toriah addensatisi col tempo su d1 lei, non volle saperne di abbandonare l'Italia passando al campo protestante; e anzi trattenne uno dei principali suoi amici, il più volte ricordato Carnesecchi, da un simile passo; ciò che condusse questo,_ poco dopo la morte di Giulia, a~ supphz10 capitale in Roma. Conducendosi così Giulia non dovette obbedire a conside~azio01 esterior;, ma allo stesso spirito del defunto maestro, che non aveva mai rotto con la comunione cattolica, lavorando a impregnarla dal d1 dentro di un nuovo spinto. Senonché a un certo punto s1 vide (e chi sa se alla vigilia della morte anche Giulia non se ne sarà resa conto) come fosse impossibile perpetuare 11mantenimento del vino nuovo nelle otn vecchie. Le due relig1011tà diverse portarono necessariamente a un diverso assetto della società ecclesiastica; e il nformato Caracciolo (il genuluomo napoletano, fuggito a Ginevra e divenuto _una personalità di quella chiesa calvimsta) trionfò del riformato tipo Giulia Gonzaga. FRANCO ALESSANORI ( CORRIENRGELESE ) no••..,..... ..--w •uc:■■A.a•~~ ~ 111 SJ occupi della letteratura inglese ~ o.;ontemporanea non può a meno di constatue un fatto che meriterebbe, for:te, attento esame: il fatto, cioè, che la cosiddetta tecnica impressionistica, intesa in senso largo, ha trovato il maggior numero di seguaci, e tra questi alcuni nomi vanno per la maggiore, tra le donne. Katherine :\lansfield, l\largnet Kennedy;-' Virginia \Voolf, Dorothy Rtchardson sono le prime che si presentano alla mente. Raggruppare tutti questi astri nel cono d'ombra di Joyce è facile, ma è altrettanto sbrigativo ed errato. E in pochi casi l'errore è cos) chiaro come per l'opera di Dorothy Richardson. Si racconta che un selvaggio legò un giorno due bacchette in croce, le fissò in cima a un bastone e, distesovi sopra il suo perizoma, mostrò con orgoglio a un esploratore il parapioggia che aveva in- \·entato. Naturalmente, l'esploratore rispose prendendo il proprio ombrello e facendo vedere al selvaggio che l'arnese dell'uomo bianco si poteva anche chiudere. La storiella va benissimo se si tratta di prendere in giro l'incultura di certi scrittori che si credono inventori d1 quel che è stato già fatto e che dovrebhero conoscere; ma se, quando il selvaggio costrui il suo parapioggia, l'ombrello, sia pure già inventato, non era ancora nell'uso, allora la storiella andrebbe meno bene. È il caso di Dorothy Richardson che però, rru affretto ad aggiungerlo, non vorrei davvero paragonare a un selvaggio; anzi, nemmeno a un primitivo. :\1onologo interiore, flusso continuo della coscienza, roman-fleuve e altre simili espressioni sono orm0a1 entrate nel linguaggio corrente della critica, soprattutto per mento di Joyce e della \Voolf. Affermare perciò che la R1chardson ha lavorato m questa direzione per suo conto e con novità, può sembrare infondato. Eppure non è così. Se il suo romanzop fiume Pilgrtmagt è stato ripubblicato, il mese _scorso m quattro volumi (Londra, Dent and Cresset Press), non bisogna dimenticare le date in cui apparvero separatamente, ognuno col suo titolo (salvo l'ultimo, ora pubblicato per la pnma volta), i dodici romanzi che in questi quattro volumi sono numt1. Il primo, Pointed Roofs, uscì nel 1913, cioè due anni prima che Joyce pubblicasse A Portrait of the artisl as a yo1mg ma,i (1916; tradotto m italiano col titolo dt Dedal11S). Se si fa richiamo a questo; tra i libri di Joyce, è perché appunto con questo i manuali e I repertori sogliono confrontare Pointed Roofs. Dorothy R1chardson ha preso una donna, :\liriam Henderson. e, seguendola dall'mfanz,a in poi, ne ha raccontato la vita come la vede e la sente il personaggio stesso. All'infuori della protagonista, se pure d1 protagonista nel comune senso della parola si possa par-lare, tutti I pcrson;1gg1 sono vistt esclusivamente attraverso gli occh, d1 Mlfiam, La quale è una donna che non esce m modo particolare dall'ordinario, allo stesso modo che la sua è un'esistenza priva di grandi avp veniment1 e d1 avventure. Il proposito di portare sul piano dell'arte la vita d'ogni giorno. o, viceversa, il tentativo d1 trasformare la più comune esistenza quotidiana in arte, sapendo vedere materia artistica dove non si supporrebbe, raramente è stato attuato tn modo più conseg\lente e compiuto, conservando tuttavia una misura che manca a Joyce e che sottrae in buona .parte la Richardson anche alla possib1htà di affibbiarle l'ettchetta della pSlcanalisi. Quando la via che prendeva era ancora pochissimo battuta, la Rlchardson si accmse con coraggio e consapevolezza a un lavoro d1 cosl ampio respiro come è quello di dare l'immagine fedele di una BOLDl NI I Amici nello 1t11d!oCdlugao) vita umana vista dal di dentro, cioè non a colpi di avvenimenti, ma in quella serie di punti che, formati da singole impressioni e sensazioni, da singoli pensieri, formano a loro volta una linea continua. A scorrerla di seguito in questi quattro volumi, la continuità della linea si percepisce nettamente e alla fine si trova che non è fuori luogo il confronto con quella tecnica pittorica chiamata pointillisme. Non è difficile riconoscere in Miriam la parentela con le protagoniste femminili dei romanzi inglesi scritti da donne: soprattutto, questa parentela si mostra in una certa coscienza della propria modestia più o meno tacitamente contrapposta al realismo maschile, e in un limitarsi a parlare secondo il semplice buon senso. Tutto ciò, del resto, è molto affine al tono e alle possibilità spirituali della Richardson, cd è suo mel'"ito l'aver riconosciuto la portata dei suoi mezzi e commisurato ad essi il fine. Inoltre in quel buon senso s1 annida, anche per Miriam, uno spirito critico dal quale nascono molte e saporose pagine di acuta ironia. Si tratta, però. di un'ironia che fa parte della natura del personaggio, che nasce quando deve nascere e che non è affatto una mira particolare della Richardson. Anzi, la stessa novità che aveva, quando ella lo iniziò, il suo metodo di veder tutto attraverso gli occhi di una persona, ha reso la scrittrice restia a compromessi d'ogni spep cie e a concessioni verso un facile l'"O• manticismo, e l'ha aiutata a resistere contro le tentazioni di mirare ad altri fini, oltre a quello che originariamente si el'"aproposto, anche quando il metodo si è diffuso, diventando espressione di relativismo, di psicanalisi e così via. Suo unico scopo è la fedeltà umana verso il personaggio e verso la vita. Se dalla lettura di questi romanzi una conclusione si dovesse trarre, sarebbe che il solo fatto di vivere basta, di per sé, alla felicità. Inutilc dire che questo, come ogni altro realismo, è illusorio. Vi t, nello spirito della scrittrice, un amore il quale, come ha potuto trovare materia d'arte nelle cose più comuni, ha saputo anche dare una vera profondità alle sue rappresen• tazioni artistici~. Le molte persone che passano nella vita di Miriam e le molte situazioni, per quanto comuni, hanno una forza cosl intima e profonda, che non si ripete una frase fatta affermando che rimangono individuate al vivo e clànno l'impressione di persone veramente conosciute. Ed è notevole il modo mavvertito e quasi sotterraneo con cu, questa forza agisce sul lettore. 1:: come un fiume magico che lungo 11 suo corso rifletta i paesi che attraversa in immagini continuamente frantumate dalle onde; ma giunto alla foce, dove la corrente quasi ristagna, affiorano sullo specchio calmo dell'acqua, come una memoria, le visioni d1 tutte le. terre attraversate, dai monti dell'origine fino all'uhiou pianura, ricomponendo così le vicende di tutto il lungo cammino. Accade talora che scene e persone di questi romanzi passino inavvertitt: anche per un occhio attento; alla fine però si ripresentano nitide alla memoria, e la linea si ricompone netta e ferma nonostante 11 poi11tillitme. Soprattutto per questo peculiare carattere, oltre che per l'aggiunta di un romanzo nuovo, la ristampa d1 tutto 11ciclo riunito è giustificata, pur se nelle ultime opere si può notare qualche segno d, debolezza rispetto alle prime. Qualche prolissità, qualche pagin11 un poco sbiadita, un tratto un po' meno mordente nell'incisione farebbero pensare a una certa stanchezza. ì\la la causa è forse altra. Nella fanciullezza e nella giovinezza Miriam si muove in una cerchia limitata che 1 mezzi artistici della Richardson dominavano interamente; invece negli ultimi romanzi la protagonista, divenuta adulta, entra 1n contatto con diversi ambienti sociali, con mondi di pensiero e di sentimento molto vari. Però l'arte della R1chardson, pure affinandosi, non estende paraHelamente le sue poesibilità e rimane, in certo modo, un'arte m tono minore che non può allargare troppo il quadro. SALVATORE ROSATI 'iY !COLA Mmcardclli dal 1913 al l'! 1938 ha pubblicato ventiquattro volumi : dieci di versi, quattro di romanzo, quattro di raccontiJ poi uno d'un certo genere letterario che egli chiama « Poc,ia e verità ,, e infine, di saggi, cinque. Se ne potrebbe dedurre che qul'sto scrittore trova soprattutto allettJ.nte la composizione di versi, pur non dando scarso posto, nella sua bibliografia, ad opere narrative e saggistiche. Si badi poi ai titoli: nel 1913 Moscardclli intitolava le sue poc- ,ie La veglia, e, pas~to di gusto in gusto (nel dopoguerra c'è una Me,1dica muta a dire l'aprirsi nel poeta. di nuovi ideali di umanità), arriva al 1938 con Canto dr.Ua vita. Anche per i romarl1'J b stessa "trada è stata percorsa dal Mmrnrdclli: L'ultima soglia è del 1921. Vita vivente del 19~4, / nostri gion1i del 1925, e infine del 1935: La vita hn sempre ragio1ie. Si noti il cammino fatto : dalle melanconie del dopoguerra alla scuola d'energia del 1935. !\la, passando oitl'"C,merita, ai fini di un abbozzo di ,tudio del costume lc.-ttcrario italiano attravt·r,o i titoli, non tra"-Curare i racconti : Il virlo della vita, nel 1926, la città dei sui.idi, nel 1928, fino all'odierno Racconti per oggi e per doma11i. (E come tacere L'altra mo11eta, A,time e corpi? ...). Sempre qu<'"otOscrittore ama, nei titoli, adeguarsi .1 un ideale di letteratura pcnso- "a, um.1nitaria 1 floreale. Quando nt·i film it,diani ,i rapprt'senta. il grande -.crittc,re e occorn .•. fare un titolo, L'ultuna soglia par fatto appo~ta per indicare un'opera di sicuro succc-,-.o. E i rc-gisti e gli sceneggiatori, .-.i,~, s~mp1c: trovano per lc· luo commedie I toni pili generici. Un grande ..c.rittorc non può non avere -.critlo La vita ha sempr(' ragione. . Questo per ciò che riguard~ la bibliografia di Nic?la ~o,ca~d7lh. A vo: krc <.·~aminarc I suoi ult1m1 racconti (Racconti per oggi e per domani, Sperling & Kupfer, M.ilano)., si deve apgiungcre che Moscardl'lh è uno scrittore educato..,i fra Soffici e Papini, pur non senza avere prestato l'orc-echio ad altri genc1 i di letteratura. Si potrebb•· fare il nome di Do!,toievski, ma di un Dostoiev)ki cune lo vede chj vuole trovare in lui più un mistico ddla vita umana che un narratore cap.1cc di raffigurare caratteri e sentimenti con cruda verità. Mo,;cardelli ha cercato forl>C di ,;coprire un Dostoicvski a lui vicino; un Dostoicvski umanitario più che umano, francescano (come intendono San Francesco gli esteti) più che cri- 'ìtiano. Non che a Mosca.rdclli manchi quel tanto di garbo che occorre a un narratore, ma ~rprende di vederlo ,cmpre così affaticato a dipingerci drammi, lui che forse guadagnerebbe negli idilli. Sovrastano nei suoi racconti, ron maggiore naturalezza, i colori d<-llt.•stagioni e del tempo. In rac~ conti oomc « Mctamorfolli >, d'impegno più letterario che docunwntario, Moscardelli appare scrittore meglio dotato che in altri quale « Eccr Homo>, oppure « li fantasma della 3,a strada > o « Alle porte della città >. Moscardclli lavora da molti anni, Op<'- rc.,amcntc; c;i direbbe tuttavia che lo abbiano tentato e fuorviato qualche volta se non le mode che paiono rivolgere la carta letteraria italiana dall'oggi al domani, certe sue contrastanti inclinazioni. La fede, la natura, il cmtu• mc, ecco sotto quali segni vanno i racconti di Moscarclclli, da derivarne comp<>"izioni stucchevolmente umani• tarie. CALIBANO I ~UE saggi manzoniani di Fausto lfJJ. Nicolini, cioè Il tumulto di Sa,z A1artirio, la carestia e le epidemie del 1629, e Peste e untori nei « Pro· messi Sposi > e nella realtà storica, hanno dato l'avvio a quelle osscrvap zioni e a quelle critiche che spesso torcano iruieme le ambizioni e la suscettibilità di uno studioso. Ragione di questo contrasto in margine agli studi manzoniani contempol'"anei, è stato l'aver sottoposto il Nicolini a critica ·storica i capitoli XXXI e XXXII dei Promessi Sposi principalmente. Nicolini, oggi, con Arte e vita nei« Promessi Sposi• (Hocpli, Milano, 1938) precisa le idee che ressero i suoi studi storici e non letterari. Osservato sulla traccia del Croce che Manzoni, pur autore ragguardevole e geniale di saggi storici (come l'appendice: Storia della Colonna Infame), sempre sia più moralista e poeta che storico, Nicolini giustifica, a dirla con lui, la « criticabilità » delle pagine storiche del Manwni per essere il più delle volte incluse e non fuse n(') romanzo. Si tratta infatti di vere e proprie monografie, come nei ca,;i dei capitoli XXXI e XXXII.« Intorno a questo personaggio bisogna as...c;olutamentc che noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentir!~, e avesse voglia di andare avanti nella storia [cioè nel romanzo] salti addirittura ~I c~pitol?. s~- guentc >, diceva Manzoni pnma d1 101ziarc la breve biografia. del Borromeo al capitolo XXII. E poi, ponendo tern:inc alla dis,;ertazionc- dei capitoli dellei peste: « torneremo finalmente a' no- ,tri p<'r~naggi, per non lasciarli più, fino alla fine>. Modi questi, oltre che da romanziere che vuole ogni tanto rubare! il mestiere allo ,;torico, da narri\tore bonario quale Manzoni amava mostra~i. Il romanlo st<'sso egli voleva che nascesse da una finzione. L'animo di Manzoni scmbr.::i.a.ccin~ersi con una lieve rcpugnanza al racconto, qua- "i che egli non ._,.,pc,;se abbandonarsi t'clicemente all'inv<'nzìom' ; in ciò, 5Crittorc particolarmente italiano, e-inoltre romanziere d'una tradizione che pareva contraria a ogni opera uarrativa. Que~to fu il grande e solitario sforzo di lui: sapere vincere sia pure con p(ccoli accorgimenti quella repugnanza. E non per dare all'Italia il romanzo, qua1,,i che f O!ISC necessario obbedire alle mode ma per introdurre nella nostra lctterat~ra forme meglio adatte all'ispip ra1ionc di un poeta moderno. « ... nata una letteratura moderna italiana, sero a paro nascerà una moderna lingua, (' quindi di mano i11 mano cre,ceranno ambedue a poco ,1. poco. l'una insieme con l'altra e in virtù dell'altra scambievolmente, ma più la lingua in virtù della letteratura, che quc- ~ta per l'aiuto di qucna. E così con mio di,;piacere predico ohe ~ppur avremo mai pili lingua moderna propria, questa non na,;cerà dall'antica n~ a lei corri,ponderà, ma, na...ccndo dalla nuova letteratura, a que~ta sarà confonm· : cd Cll'-t•ndo di origine stra.- nit:ra, ci si_.verrà appoco ~tppoco appropriando e pi~liando forme nazionali (quai ch'clle saranno per essere; non ~ià I<- antiche) a propor.:ione chr la nuova. lcttcmtura diverrà n<lZionale e ml·ttcrà radice in Italia, e sì nutrirà e crescerà del nostro terreno, e produrrà frutti propri italiani >. Co ... ì Leopardi nello ,(ibaldone ( 1~2 settembre 1823) l' ~cmbrano queste parole adatte a intendere molta parte della no:-itrn lttt<•ra.tura contemporanea. Come cioè M:anzoni ~i sia addo~ata la grande fa,. tic., di ..r.nbilir<', attraverso una fonn,l d'arte moderna, una lingua moderna, e comt" d'altra parte, restata solitaria la o;ua opt'ra, la nostra letteratura ab• bi.1 dovuto avviar ..i. a quelle scuole del verismo (' del naturalismo, che scppu1c di origine \traniera apparirono 1117 glic- indicate a far trovare dll'Itaha modi adatti a una poesia e a un'arte moderne. Con~idcraz.ioni queste, che hanno poco a che fare col breve saggio di Fausto Nicolini, il quale del resto, come il più delle opere che riguardano Manzoni, si limita a fare opera mar~in.:ilc di erudizione e di critica storica. Strano come uno scrittore che sta ancora al centro della nostra vita letteraria, sia ~tato, tolti° gli scritti di B. Croce, di A. Momigliano, e gli altri meno recenti del Dc Sanctis, del Dc Gubernatis e dello Scherillo, ragione di lavoro soltanto per gli studiosi d'impegno 1 per dir co...ì 1 soltanto erudito. Gli studi su Manzoni non wno pochi; e si direbbe cht· tardi quel critico, quel saggi.-.ta che sappia oggi trarne il discorso che for- ..e. potrebbe condurre a comprendere non poco dell'Italia moderna, della vita italiana e anche della nostra letteratura. Da Manzoni a oggi 1 una lettentura italiana, come Leopardi con di- ,piacerc prediceva, !iòi è andata formando, scnz.i tuttavia che se ne sia diffusa la coscienza. Forse per questo la nostra letteratura continua ad essere impopolare, CARLO OADDI

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