Omnibus - anno III - n. 4 - 28 gennaio 1939

I 1T A NOSTRA infanzia fu piena di fan- & tasmi orientali, perché non noi soltanto, ma tutte lo nostre amiche, avevamo i padri generali o colonnelli, vecchi coloniali che, durante i loro lunghi periodi d'Africa, erano venuti àmmucchiando tappeti, scimitarre, borracce ed infine cimeli d'ogni qualità. Succedeva cosi che nelle nostre case si usavano quasi con indifferenza cose singolarissime: avevamo tutte delle 1. mani di Fatma •• d'oro o d'argento, per giocare ci mettevamo intomo alle caviglie i grossi ferri degli schiavi liberati, e strappavamo cautamente lunghi fili duri dalle code dt cavalli, decon• - tivamente appese negli angoli: le brocche porose, i cestini di paglia, le lucerne dette .- indiane• erano oggetti quotidiani, le tende tripoline sostituivano i chin::, le pelli di leopardo eran frequenti, le sciiamiette non parevano più preziose dei cani, cd i domestici neri, da anni entrati a far parte di certe famiglie, erano creature familiari e servizievoli. C'era tutttwia un elemento che restava fiabesco, e ne parlavamo a bassa voce per ore, comunicandoci le nostre ultime scoperte: ne chiedevamo, appena si poteva, ai grandi, ne cercavamo nell'Enciclopedia d~i ragaz:ri: sì, nell'Oriente addomesticato che ci circondava, una zona era ancora in ombra: mondo luccicante e segreto, noi sogna- \'amo l'har~m. Di queste donne nere e velate trovavamo ogni tanto una traccia, certe buffe fotografie di barracani, o i larghi bracciali, gli spilloni che le nostre mamme portavano con negligenza; ed i flaconcini di argento, pieni di un profumo troppo forte; le scatolette del kolil, che le signore, nel dopoguerra, usavano largamente, ma cercando di scusarsi con pretesti leggeri, quali, appunto, il recente invio di un'amica residente a :Vlassaua o a i\logadiscio. Con le prime letture, del resto, la nostra curiosità si accentuò ancora, e rammentiamo benissimo una edizione illustrata del Conte di ,Wo,ituristo, dove si vedeva Haydée, eroina orientale, grassa e languida, sdraiata su montagne di cuscini con una guzla in mano: il buffo nome dello strumento, i pantaloni sbuffanti e stretti sul collo del piede, i corsaletti ricamati e gli occhi mesti, c'incantavano: e meglio ancora fu quando, in uno di quei grandi film che usavano allora (sei episodi). rivedemmo Ylontecristo e la sua schiava. Si andava, due volte alla settimana, in un piccolissimo Cinema dei Lungarni, ed ogni apparizione deHa grossa attrice fran• ccse che rappresenta.va appunto Hayd~e, ci colmava di gioia. Subito dopo scopnmmo Salgari, dove, purtroppo, c'eran pochissime protagoniste femminili: ma quelle poche figuravano, nelle illustrazioni, con i ricchi costumi ed i fluttuanti veli di Hayd~e. Si può dire che da allora le nostre letture ebbero quasi unicamente lo scopo di trovare altre signore in pantaloncini e turbanti. Lts dtsenchatr• téts allargarono le nostre' idee, cominciammo ad intravedere squisite sofferenze mc .1li, prigionie dorate, eleganze turchesche: anche il cinematografo stava raffinandosi, e ci presentava ora Ahce Therry, biondissima araba innamorata dello sceicco Valentino, mentre Greta Nissen si celava dietro sciarpe trasparenti, ed Anna ~fay \Vong debuttava nelle vesti di una schiava cinese. Atlantide, come film prima, e come libro poi, ci presentò un harem particolare, crudele ed indipendente, ma sempre popolato di ombre e misteri: e \upponiamo facilmente che, se intorno al 1924 si fosse aperta un'inchiesta per conoscere le vere aspirazioni dell'infanzia, almeno una diecina di bambine, miti ed educatissime creature, avrebbero chiesto le acconciature ed i destini, ugualmente affascinanti, delle donne orientali. Col passar degli anni le mode mutarono. Le scrittrici e le conferenziere che riuscivilno ad introdursi nei più chiuei am• bienti maomettani raccontarono poi incredibili storte di brutte creature dalle gambe gonfie, eccezionalmente pingui e golose. D'altra parte, i veli cadevano, le turche si iscrivevaqo alle università, le indiane mettevano gli occhiali, le cinesi portavano scarpe larghe: tutti i giornalisti viaggianti parevano divertirsi a distruggere i miti, e ci raccontavano cmà gremite di impiegate, di commesse, di lavoratrici, che solo per il pallore dei visi tondi, per 1a lentezza del passo, rivelavan.o di essersi appena emanclpate dalla schiavitù dcli' harem. Infine si comincib a parlare della rige• nerazione, delta risurrezione, del nuovo stile. Si descrissero i rapidissimi progressi delle orientali: ginnastica, si scriveva nei giornali autorevoli, esercizi fisici, volontà e lavoro! Al cinematografo, invece di Alice Therry o Greta Nissen, vedevamo sfilare le turche moderne; non portavano più pantaloncini ricamati, ma shoru di tela, e saltavano gli ostacoli; le giapponesi, in scarpette di gomma, giocavano a tennis; la principessa di Kapunhala veniva indicata come la più elegante dama di Parigi; le egiziane si davano al caffè-concerto; le arabe si laureavano in legge o in medicina. Ognuna di loro aveva talenti eccezionali, e si dichiarava che e davanti a queste rivincite del femmmi1mo, bisognava levarsi il cappello•· .:'\1a noi non eravamo consolate. :--.1'onlo siamo neppur ora. E, fedeltà all'illusione, ci accorgiamo di amare ancora q~lle che ci parevano creature di sogno. Adagiate su divani, app°:ggiate a tavolini intarsiati, circondate d1 caffettiere e di mistero, degne di euer cantate da De Amicis, zuccherine e temibili, adatte alle lunghe pigrizie, alle violente passioni ed ai cibi nutrienu, di loro restan solo vecchie fotografie.· M. d. e TEODORO OHA88EBIA U I L'ODALIBOA 1906 · ODALlBOA 01&0!88! 1880 • ODALIBOA EGIZIANA L. ODALIBOHE ARABE TUNISI - ODALISOA D'OGGI

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