Omnibus - anno III - n. 3 - 21 gennaio 1939

IL·SOFM-DELLE musE jjNA raccolta di versi di Ardengo Sofl!Ji fici non può essere considcrnta che come un taccuino contenente di riflesso i motivi e i sentimenti che altrove, nelln prosa, hanno trovato loro piena e felice espressione. Chi voglia conoscere quali motivi per un trentennio abbiano ispirato lo scrittore, troverà nei versi ora raccolti in Nlarsia e Apollo (Vallécchi, Firenze, 1938) quasi il segno grezzo di essi. Dai versi di • i\lattutino •, che fann'l parte delle poesie giovanili fra il '901 e il '908 e che paiono quasi un annuncio delle tranquille descrizioni agresti di Lemmo11io Bore.o (e I piedi agili e freschi si · affondan fra l'erbe guazzose •), e più avt1nti altri versi parimente prosastici, ma sempre d'un gusto e d'una ispirazione naturalista che pareva persa in Toscana (• Tutta la campagna devastata dalla vendemmia - Giace con languidezza - Come una puerpera esangue•), ed agli altri dei • Miei amori•. ingenuo Cantico dei cantici dove tutto è amato. il sole. la luna, la terra, l'uomo nella sua varia sorte e tutta la natura, ma specialmente il silenzio e la pace perpetua della Morte, sicché in essi già Soffici accenna a certa sua predilezione a motivi foscoliani; fino ai versi d'intonazione classica degli ultimi anni, sembra che si vogliano sperimentare improvvise ambizioni letterarie, diremmo improwise infatuazioni. Nella prosa Soffici si fa più cauto, e si distingue subito l'articolo scritto casualmente dall'altro che meglio è stato vagheggiato dalla fantasia. Nei versi, no; continuamente sembra perseguirsi un ideale letterario un po' esterno, un po' estraneo. Strano come uno scrittore che sa giungere alle sue espressioni più tranquille e definitive quasi soltanto per una robustezza d'istinto, e che ha saputo conservarsi pur attraverso anni di gusto e di idee controverse, sia stato poi, durante il grande e lungo lavoro, variamente tentato. Le lusinghe che la letteratura (e tutto della vita appena divenga letteratura) ha avuto per Soffici sono state infinite. Lusinghe che non furono illusorie sempre e che anzi spesso servirono a fornire uno scrittore per natura e per vicinanze regionali portato al bozzeuo e all"imprcssione di un'ispirazione meno facile e superficiale. Ma non mancarono in esse quelle più subdole e passeggere. Eppure anche scorrendo questi versi, ora di metro giovanilmente scolastico (i versi giovanili hanno terzine, sonetti), ora addirittura ridotti a prosa, ora invece accademicamente atteggiati, tutto. ambibizioni letterarie, illusioni di breve stagione, sembra come assorbito in un costante tornare d'immagini. Tolti i pochi versi che quasi vorrebbero mostrarci la faccia di un poeta che non è quella di Soffici (il giovanile: • Amo il silenzio, e la pace tua perpetua, o ).lorte ! •; il rer nte: • Ed è nulla il parlar, nulla il tacere; - Tutto è nulla, fuorché l'uman dolore•). il resto altro non è che un taccuino d'impressioni rapide, vivaci, simili a quelle del Giornale di bordo, oppure ddla prosa descrittiva e narrativa di Kobilrh, di Arleahù,o. V'è in questi versi di Soffici soprattutto una poetica capacità di guarda.re le cose di questo mondo. Il bel campo come la donna dagli occhi dipinti. possono essere cantati senza che nel passaggio della descrizione da agreste a lussuriosa si debbano- avere di quegli scatti che dicono spesso la debolezza d'un artista.- L'occhio di Soffici non smette di essere tranquillo sia nelle p'àgine agresti e pastorali che ancora fanno rammentare un iomanzo· per altro dimenticabile come !Ammonio Boreo, sia nelle altre d'un racconto di lussurie e di frivolezze che non si capisce perché non letto e non caro agli scrittori italiani, come quello che apre la Ciostra dri sensi. Quasi però si direbbe che forse giovano a uno scrittore come questo, fra gli altri restio a ogni inclinazione al torbido e al frenetico, temi di per sé non del rutto tranquilli. Se il Soffici del Lemmo11io quasi rischia, per la felice facilità dei temi, di apparire 1tuechevole e idilliaco, l'altro della Giostra dei semi o di Arlecchino trova non poco giovamento da ceni motivi che di per sé hanno un rilievo, un contrasto drammatico. È allora che Soffici sa far valere le doti del suo istinto, in una calma che si potrebbe dire di pittore e non perché sia quella d'un artista che oltre che scrivere dipinge, ma per il suo essere pronta a cogliere con colore e stacco le più estrose apparenze. L'essere intanto la raccolta dei versi di Soffici dal '901 ad oggi dedicata a Marsia e Apollo dict' già molto circa le intenzioni dello scrittore. :\larsia era la gio-• vinezza d'Apollo, scrive Soffici a mo' d'epigrafe, e un giorno Apollo per liberarsi da quel richiamo dei giorni felici e giovanili, scuoiò >'larsia, • ma della sua pelle divina si fece un florido manto, e se ne ornò poi per sempre•· Che è come un avvertimento dell'autore a1 suoi lettori. Tutti, crediamo, saranno pronti con lui a lasciare correre Apollo per le sue strade, cootentandosi della pelle di ì\Iarsia. I primi veni e gli altri della maturità, vale a dire, non vorrebbero essere riguardati che come un lavoro onorevolmente letterario; mentre l'attenzione dovrebbe andare tutta altrove: a certe prose giovanili dei • Chimismi lirici•• a certe composizioni di• Intermezzo•. ~e•• Chimismi• sono i primi assaggi di tanté cose e di tante apparenze reali, moderne, poi entrate nella letteratura. Sicché quell'impressionismo fiorentino ravvivato da let- ., rure francesi dell'anteguerra rammenta l'altro impressionismo degli odierni narratori anglosassoni: si pensa. per esempio, al Dos Passos ddl'• Occhio fotografico•· Anche in Soffici si tentano, attraverso ricordi e fuggevoli impressioni, cose prima lontane dalla letteratura. • I tramways son rondmi gialle - Stridenti radendo le Strade•. E poi, ancora, versi che non soltanto paiono volér segnare sulla carta un'impressione d'un'ora. d'una stagione, ma d'un'epoca, d'una moda:• L'altro emisfero si rinfresca - Da Doney e Nipoti, - Con una penna di paradiso - Al cappello ... •. Se poi nei versi di Soffici si volesse andare a cercare il segno della strada che ha percorso la nostra letteratura in quest'ultimo ventennio sarebbe cosa facile ed agevole. L'impressione, anche in uno scrittore tanto vivace, spesso pare scontenta della propria vivacità; cosi si sente che va prendendo un atteggiamento più solenne, e più gelido: • Nel deserto delle terrazze ardevano i marmi delle fontane•. Gli scrittori impressionisti della Voce e di Lacerba, che quasi s'erano buttati al prosastico dei bidets e delle camere mobiliate per un antidannunz1anesimo istintivo, si trovano vicini alla Ro11dn. La breve st.agione generosa pare vicina al suo termme. Ma in Soffici, se la letteratura con le sue infinite possibilità. offre continue insidie, sì da giungere a camuffare un'ispirazione vivace in forme magnificamente solenni e accademiche, l'estro co,mnua a offrire le sue risorse. Scrittore d'istioio, Soffici, può conoscere i più strani traviamenti, e poi ritrovare d'incanto il suo accento. Così, finito il futurismo (e oggi non sono che rapide impressioni. senza stranezza agli occhi del più quieto lettQre) dei • Chimismi lirici •, si hanno i versi nuovamente tradizionali dell"• Intermezzo•. E li • Bulciano • (• L'estate a Bulciano è distesa - All'ombra dei boschi, riposa ... •) e anche la •Via• che ci sembra fra le composizioni più ragguardevoli di Soffici scrittore di versi. Soffici e Palazzeschi vanno per la città dei borghesi a braccetto con l'amica Ironia: tutto lindo e tranquillo:• Giardinetti disinfettati, - Canarini ai secondi piani•. gente che legge il giornale, preti, lacché: •Che bella vita - - dicesti - - Ammogliati, una decorazione - Qui tra queste brave persone. - I modelli della città. - Che bella ,,ira. fratello! - - E io sarei stato d'accordo;-:\fo un organetto un po' sordo - Si mise a cantare: O/ti .\lari ... - E fummo quattro oramai - A braccetto per quella via. - Peccato! La malinconia - S'era in\'itata da sé•· Una canzonetta che dice il temperamento fra lirico e mo- ·ralistico dello scrittore. Quella vena portata a considerazioni moralistiche che ha giovato Arlecchino e Kobilek forse in nessun'altra composizione di versi ha trovato migliore espressione. Ma i versi di Soffici non sonq che un riffesso, come si diceva avanti, delle sue opere in prosa. Forse un poco trascurate ultimamente dal gusto degli scrittori italiani, fattosi più difficile e più infelice, la prosa di Soffici. o a dir meglio i suoi racconti, i suoi dian, le sue impressioni (che sono essi a far valere quella prosa e non i modi che possono esserle propri) insieme all'altra d1 scrittori come Serra e Palazzeschi fapprescnta l'ultima stagione felice della nostra letteratura. Dopo, i tempi si sono fatti più ardui per gli scrittori. L'impegno è stato tutto verso composizioni spesso \'aghegg1atc con l'intelletto e non con la propria fantasia o col proprio sentimento. Tempo di lavori difficili, d1 quelli che chiedono la fauca del lettore, dandogli scarse e rare soddisfazioni; come se la lettura fosse diventata soltanto una missione cui rari spinti hanno la vocazione di dedicarsi, e non come si vorrebbe una diffusa attitudine umana, propria delle società civilmente educate. ARRIGO BENEDETTI LA VITTIJI A !('I 0\11._ ÙUfhl l.1mvrt1.' J1 :\J1>ulconc, ..:utk! sì dopo quella di Gabriele d'Annunzio, coloro che vissero nel1a sua scia si sono buttati a pubblicare memorie, con un fervore in cui la devozione si mischia alla vanità, il desiderio di esaltare lo Scomparso alla tentazione di dar fuori un libro a successo. Leggemmo a suo tempo, e con amaro diletto, il D'Annunzio •segreto• di Tom Antongini, che, duchessa d'Abrantès della situazione, canta toutt' la lyre, tutta la vita del Poeta; e ora ecco questo libro di Benigno Palmerio (Co,i D'Am11mzio alla Cappo11cina, Vallecchi editore, Firenze), il quale, perseverando nell'analogia napoleonica, fa la pane del cameriere Constant. Nella prefazione l'autore avverte che non t scrittore, ma veterinario. Si aprono nuovi orizzonti. Un medico non sa parlare che d1 uomini, ma da un veterinario aspettiamo grandi rivelazioni sull'oscuro mondo degli animali. le loro passioni, i loro pensieri impenetrabili. Non è detto perché questo sanatore dei nostri compagni minori abbandonò il mondo esopiano e passò alla Capponcina, ma l::i. ragione forse sta in una fotografia aggiunta al volume, e nella quale il dottor Benigno, con barba e bombetta, visita uno di quei levrieri aerodinamici che dannunzian.1mente si chiamano veltri. Il libro rievoca il periodo dei grandi amori dannunziani, che ebbero come sede • la vecchia villa quattrocentesca, appartenuta una volta alla storica famiglia de' Capponi, a mezza· costa della verde e luminosa collina di Settignano •. Prima però di passare all'amorosa rassegna, Benigno getta la più rosea luce su, prezzi dell'anteguerra e ci illumina assieme sulla munificenza dì Gabriele d'Annunzio:• La villa fu vista e presa. Per l'affitto. così ammobiliata com'era, si pattuì col proprietario un canone annuo di mille hre 1t. :'vta Cabriele d'Annunzio restò cosi contento, • che volle aumentarne il prezzo da mille lire a milleduecento•. Apre la rassegna la prmcipessa Maria Gravina Cruyllas Anguissola, e la descrizione che Benigno dà di questa bellezza siciliana, rivela quanto rapida riusciva l'influenza dello stile dannunziano: • Maria Gravina era bella. ed aveva nascosta tra la folta capigliatura bruna una ciocca così rossa che, se scuoteva la testa sotto il sole, SI poteva credere fosse il segno d'una ferita•. ).Jaria ispirò a Gabriele • La passeggiata • del Poema paradisiaco, e una sera Palmieri sorprese 1I poeta mentre, a occhi chiusi e a fior cli labbra, ripeteva: ...E il t·ostro 11ome t quel de l'Ave: nome clte pare un balsamo alla bocca! Il primo incontro con Eleonora Duse avvenne a Parigi, nel 1908, all'I-I6tcl Mirabeau,1,.dove il Poeta alloggiava. • La visitatrice, che non aveva voluto dire il proprio nome affermando di essere pressoché sconosciuta all'artista italiano, apparve su la soglia con un gran fascio di fiori in braccio. D'Annunzio le si avvicinò, le prese la mano, vi depose un bacio, e poi sostò per un atttmo a guardarla fissa•. Era veramente • pressoché sconosciuta all'artista italiano•? Eleonora peccava per eccessiva modestia: nel 1885, • 111 un camerino del teatro Valle, nell'intervallo fra 11 secondo e 11terzo atto della Si'gnorn delle camelie, 11 Poeta era andato a conoscerla , l'aveva salutata con le parole: "O grande amatrice!"•. Comunque, • non erano passati dicci mmuu da quando la grande tragica si era seduta in quel salottino accanto a Gabriele, e già gli parlava con voce amorosa: e sia pure d'intonazione materna•. Sbocciato l'amore, Eleonora va ad abitare a Semgnano. affitta presso la Capponcina una villetta del marchese PoltriTu11u...:..:1..:u1 l.,ub1 tek tmponl° il nu~tico nome della Porziuncola. Per la Duse, D'Annunzio scrive il Sogno di "" mattirro di primavera che l'attrice, nel personaggio di lsabclln la demente, interpreta il 16 ~iugno 1897 a Parigi, e 1'11 gennaio 1898 a Roma. • A Parigi•, scrive il biografo, • un trionfo. A Roma molti contrasti; i quali non precipitarono in una catastrofe solo perché si trovava in teatro la regina Margherita, che volle chiamare nel proprio palco la Duse e complimentarsi cordjalmente con lei•· Anche La cittil morta fu rappresentata la prima volta a Parigi (il 21 gennaio 1898) e alla sua in!.erprete, Sarah Bernhardt, il Poeta espresse la propria gratitudine con questa dedica: • A Sarah Bernhardt, che ebbe una sera nei suoi viventi occhi la cecità delle statue divine•. Nell'intimità la Duse chiamava O' Annunzio t Gabrì •, e • in certi giorni, quando Gabriele non \'Oleva per nessuna ragione essere disturbato, ella veniva ugualmente la sera, dalla vicina Porziuncola, e rimaneva in piedi, fuori della porta, immobile e silenziosa, quasi senza respiro, ad ascoltare con viso raggiante lo stridore della penna d'oca che scorreva senza un attimo di sosta su la carta filogranata •. È ricordato poi il trionfo della Figlia di Iorio, • che seppe•• dice Denip:no Palmerio, t imporre al pubblico tale rispetto da determinare violente reazioni contro una volgare parodia messa insieme con intenzioni ba~samente speculative da Edoardo Scarpetta, a Napoli, e intitolata Il figlio di Iorio•. Da uomo che alla Capponcina ebbe funzioni d1 ministro, non potevano mancare i ragguagli sull'arredamento della fastosa dimora, e que!>te sono raccolte infatti in un capitolo intitolato: • La Capponcina, quasi un inventario•· • Alle porte (pagina 36), alle finestre e alle terrazze, furono messe leggiadre invetriate di stile quattrocentesco, a piccoli tondi vetri di Murano opachi e uniformi e di lieve color giallastro, solidamente legati da liste di piombo, i quali diffondevano una luce tenue e mistica, d~ cattedrale. Nel centro d'ogni vetrata era un tondo più grande, a fondo chiaro, con in rosso la scritta ''Per non dormire'". Il "Per non dormire", lo vide scolpito sul bel palazzo (ora così rovinato) Rartolini Salimbeni in Piazza Santa Trinita. e tornato alla Capponcina, la sua decisione era già presa. L'unica modificazione apportatavi fu questa: al sonnifero papavero, che incoronava il motto del palazzo fiorentino, sostituì l'alloro•. E più oltre:• Ecco l'ampia sala d'ingresso. quella da pranzo. o meglio il refettorio. ln fondo è la tavola da imbandire, lunga e grave come nei refettori conventuali, con la spalhera alta. In alto, per tutta la lunghezza di questo solenne schienale, sono incise in oro le parole: Lege lege lege et rel,ge - labora ora d invet1ies. A capo della tavola, la spalliera limitata ad un sol posto è ricoperta da un prezioso arazzo a fondo dorato. f:: questo il posto d'onore per l'ospite, alla cui destra siederà il Maestro. E dappertutto fiori, fiori, fiori. In alto è infisso un braccio di ferro battuto con un'anuca campanella di bronzo e tirante di cuoio. Una volta annunciava l'ora della preghiera a frati o monache. ora fo sapere al Poeta che la colazione. il pranzo, la cena sono pronti. Nei giorni di più fervido lavoro dell'artista. quando tutti di casa debbono tacere e camminare in punta di piedi, e la stessa aria di fuori sembra mistica e silenziosa. anche la campanella tace. Nella sala dell'ospite, un basso ampio divano colmo d1 soffici cuscir.i, e all'angolo opposto, un pianoforte verticale, non ignoto ad Alberto Franchetti e ad Enrico Toselli •. È ricordato anche il breve intermezzo parlamentare di Gabriele d'Annunzio. Questi, come si sa, si presentò alle elezioni del 1897 e fu eletto a Pescara, contro quello stesso avvocato Altobelli, che lo aveva difeso nel processo per adulterio intentatogli dal conte Anguissola di San Damiano, marito della principessa Maria Gravina. Durante la lotta elettorale, D'Annunzio pronunciò il discorso dCtto • della siepe•. Palmcrio dice: • Esso brilla soprattutto per l'assenza di un vero e concreto contenuto politico. Vi ricorrono i nomi di Virgilio e di Esiodo, del Pantheon, delle Muse, delle Erinni e vi si parla. soprattutto della Bellezza.. li suo programma politico•, aggiunge il biografo, • si riduceva a un'affermazione di principi d'ordine. Molti lo capirono, molti no. Gli uomini politìci rimasero pressoché interamente sordi. Le più belle adesioni gli vennero da Giovanni Pascoli e da Edmondo de Amicis•· Ma l'aula parlamentare, l'on. D'An-"' nunzio la frequentò poco. « Un giorno, nell'imminenza di un voto, D'Annunzio stava in biblioteca e a un usciere che ansiosamente lo pregava, da parte del presidente, di rientrare nell'aula "perché mancava il numero legale", duramente e sdegnosamente rispose: "Dite al presidente cbe io non sono un numero I"•· Intanto, al governo Pelloux subentra il governo Di Rudini. • La viltà dei deputati dell'ordine, che formano la grande maggioranza della Camera. ha dato disgusto allo spirito del Poeta. L'idea d'esser loro vicino di banco, e dunque di opinione politica, lo riempie di vergogna. E proprio il 24 marzo, mentre pili infuria il tumulto estremista e più sembra coniglicsca la pane che vanno recitando i cosiddetti deputati dell'ordine, egli scatta all'improvviso dal suo posto. fra lo stupore di tutta la Camera, che per un momento si fa silenziosa, e grida: "Come uomo d'intelletto vado ,•crso la vita!". E con sveltezza da capriolo passa, salta, di banco in banco, fino a quelli dell'estrema•. Dall'amore per Eleonora, Gabriele d'Annunzio passò a quello per la marchesa Alessandra di lludini vedova Carlotti. La grande tragica, avuto sentore della sostituzione, arrivò alla Capponcina un giorno che Gabriele stava a Livorno. Quando Benigno Palmerio entrò nella • stanza della musica•, se.orse la signora su di una poltrona in un atttcggiamento che poteva essere anche quello di una morta o d'una medium. • Buon giorno ... • le disse. Ella si alzò, gli venne incontro come un automa, e concitatamente esclamò: • Benigno, ho bisogno di voi. Si deve dar fuoco a questa casa, subito. li Tempio è stato profanato. Soltanto la fiamma può purificarlo!"· • Vi comprendo perfettamente, signora•, borbottò Benigno. « ma tuttavia spero che non vorrete insistere: .. •· • li fuoco, il fuoco! Subito!•. E cominciò a girare per la stanza con l'evidente proposito di andare in cerca di fiammiferi. Allora Benigno si accostò a lei, e, con la maggior deferenza, ma anche con la maggiore fermezza possibili, la trattenne per un braccio dicendole: • Calmatevi, signora, e ascoltatemi. Se vi accostate ai tì,mmiferi chiamo i pompieri•. Gli amori con la marchesa Di Rudinì furono turbati da complicazioni finan• ziarie perché le camicie di Alessandra, che essa comprava a Parigi, costavano 150 lire l'una. Ad Alessandra, finita suora in un convento dell'alta Savoia e morta in odore di santità, subentrò nel cuore del Poeta • una nobile donna fiorentina, fiore di grazia e di bellezza, moglie infelicissima•· I due amanti s'incontravano in una gar- (Om:ilre di piana Indipendenza. e intorno al campanello del portone D'Annunzio aveva fatto scrivere: • ... e noi le nostre campane•. Segue la storia delle cinquantamila lire vinte da Gabriele d'Annunzio al lotto. Da Firenze, Palmerio telefonò alla Capponcina. Era di sabato. Gli rispose il fedele Rocco, che alle domande di Palmcrio continuava a chiedere: • Chr mmmert su 'scite? che nnumere su 'sci te?•· E tanta fu la sua ostinazione, da costringere Palmerio ad andare a un vicino banco di lotto a prendere noi:i dell'estrazione. Tornò al telefono e lesse i cinque numeri. Quando ebbe finito, parve che l'apparecchio telefonico dovesse saltare via per gli urli pazzi che vi faceva dentro il fedele Rocco: e Mndo,rna, 1.Vladonna! Lu patrone ha pijato 111 ternt! lu terne, lu ur11t! Dun Be11igt1t! cinquantamila /irti•· Ahimè! Per quanto piovute in modo così miracoloso, le cinquantamila lire non bastarono a pagare i debiti. Né a liberare il Poeta dalle catene finanziarie valse l'intervento di quel Giovanni del Guzzo, italiano emigrato in Argentina, e da D'Annunzio soprannominato il , tenace colono latino•, che voleva far fare al Poeta una serie di conferenze nell'America meridionale e, per invogliarlo, gli aveva donato un 'automobile rossa. Mentre gli uscieri appongono i sigilli alla Capponcina. Gabriele d'Annunzio parte per Parigi, • dove rimase per pa• recchio tempo in incognito, sotto il nome di C11y d'Arbre•. Nella malinconica fine della dimora principesca e amorosa. si risveglia in Benigno Palmerio l'anima del veterinario. • L'ultima volta che ero stato lassù, poche settimane prima che avvenisse la distruzione, avevo visto il povero ".'.\lalatcsta", il bel cavallo storno irlandese, il favorito del Poeta, tutto solo, inconscio delln sorte miseranda che lo attendeva ... Fu venduto all'asta e lo comprò un renaiolo. Alcuni mesi più tardi, su la scesa del Ponte alla Carraia, cadde sventrato dalla stanga del suo barroccio•· SILVIO PARINI NESSUN libro del dottor Munthe o del professor Majocchi ci ha sorpreso quanto l'opera del dottor Descuret: La Medici11a delle Pasrio,ii, edita nella prima metà del secolo. Questa che l'autore si compiace di chiamare • una Grammatica delle Passioni, considerate nelle loro relazioni con la Medicina, con le Leggi, colla Religione• è il frutto di ventitrè anni di osservazioni, supponiamo tra il 1818 e il 18-41, compiute attraverso circa centoventimila visite a malati di ogni condizione sociale nel XII circondario della città di Parigi. È facile immaginare il decoro balzacchiano di questa vita di medico scrupoloso e bacchettone che, alle prese con tante e terribili passioni mortali: l'ubriachezza, la gola, l'ira, il libertinaggio, riesce a districarsene con rimedi semplici corr.e i bagni freddi e le sanguisughe. Bisogna trovare rimedio tt questa afflizione del genere umano e tutti i sistemi saranno buoni: • Tuniche di grossa lana, immediatamente applicate all'cpiderrr.ide, producono una confricazionc continua che a lungo andare ottunde la sensibilità e contribuisce a spegnere il fuoco ddle passioni. Questa è la principale ragione che ne fece prescrivere l'uso in certe comunità religiose•· • Raccomandiamo anzitutto ai genitori di non lasciare esaltare le facoltà eroiche delle loro fanciulle: ognuna ha già, più che non basti, un romanzo in cuore•· Sembra un'epigrafe a Ce que rtt.•e11t le, jtune$ fil/es. • Nel suo bel stabilimento di SaintRemy (Bocche dd Rodano) il dottor Mercurio cura i suoi dementi col solo mezzo della musica e della danza ed assicurano che ne ottiene felicissimi risultati•. Così il dottor Descurct ci conduce attraverso i più terribili vizi, suggerendo per ognuno la cura migliore, spaventandoci in modo definitivo con esempi dal vero che valgono Xa\lier de Montépin. Ecco, ad esempio, come si cura un ubriaco furioso: • ... dopo che ci saremo impadroniti dell'individuo, facendolo tener fermo nel letto da uomini vigorosi e di carattere tranquillo, gli fasceremo le coscie e il busto con tele passate a t.raverso, fissandone gli estremi alla metà del letto; gli legheremo i piedi, non le mani che verranno soltanto trattenute, e procureremo di eccitare il vomito facendolo bere per me1.20 di un vaso che non possa stritolare coi denti•. Meriterebbe la citazione un ca.o · di ubriachezza di una donna di sessant'an• ni, terminato con una combustione sJ)Ontanea, successo a Parigi nel 1828; la vecchia non s'era vista uscire di casa da diversi giorni, il vicinato chiamò la poli-ii■ e il commissario si recò col medico nella stamberga della vecchia. Forzata la porta della camera da letto, sentirono un puzzo • fortemente empireumatico •i nel letto con le cortine, nessuno; la carnera, del resto, pareva disabitata, solo dopo qualche ricerca trovarono per terra 1>:,a massa informe di materia carbonizzata • avente presso a poco la dimensione di un pane di tre libbre•: era il cadavere della vecchia. Il capitolo sulla ghiottoneria è il capolavoro del dottor Descurct. Sapevate, per esempio, che i ses.tuaci della gola si dividono in golosi, leccardi, mangioni, pappatori e ghiottoni? Han già una loro epopea: non si vuol parlare soltanto del Clitone di La Bruyèrc né delle creature di Rabelais, ma di due mostri realmente esistiti, il granatiere Tarare e Anna Dio• nisia Lhermina. Il primo d;vorava in ventiquattr'ore un quarto di bue e fu veduto una volta IOROiarc 111 pochi minuti un desinare preparato per quindici operai tedeschi. Aveva una predilezione . per le serpi e per i ~atti che mangiava vivi. li signor Oescuret sai,i:giamente lo definiva • polifago• cd infatti ingoiava anche tiottoli, sughero. cataplasmi. Fu cacciato dDll'ospedale dove era ricoverato, perché un fanciullo era sparito cd i sospetti si appuntarono su di lui. Anna Dionisia ~offriva, dalla nascita, di fame canina, alias • buhmo congenito•; fin da piccola rubava il pane alle compagne per plac~re la terribile fame che la coglieva all'improvviso; bugiarda e malvagia, amante dei fiori, attiva, cortese, caritatevole di denaro, mai di pane. Aveva il suo periodo dì gran fame, durante il quale arrivava a mangiare trentadue libbre di alimenti. Dcscuret si abbandona con delizia alla statistica. ~ scienza nuova, e ne predice gli sviluppi, la futura irnportanu .. Dalle sue statistiche appunto apprendiamo diverse cose: che i calzolai st'anno in testa ai sofferenti d'amore, seguono i sarti ed i mobilieri; i fabbricanti d'astucci, i legatori di libri e gli orefici hanno invece il cuore duro. Tristissima è la sorte degli ambiziosi, che finiscono tutti, o quasi, molto male: assassinati, sepolti vivi, o, come Giezzabella, moglie di Acab, precipitati da un balcone. '.\.1aanche l'amore, quando è contrastato, conduce a triste fine: due classici • Amore contrariato che terminò 1n una fanciulla con la pazzia cd il parricidio• e • Amore contrastato terminato con etisia polmonare• stanno H a dimostrarlo. 11 primo è un vero romanzo alla Chatcaubriand, il secondo prelude alla Dama delle cam,lie, e termina in modo straziante: • ... Religiosa per natura, l'Eugenia trovò nei sentimenti cristiani la forza di mantenere la promessa fatta al pad1e, non scrisse più ad Alfredo: ma pochi giorni dopo il giovane fu veduto piangere sovra una tomba: era quella dell'amante Eugenia•. M, d. G.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==