Omnibus - anno III - n. 2 - 14 gennaio 1939

buscato un torcicollo; inoltre sentivo quella fastidiosa stranezza nella vista, quella fiacca nelle gambe che denotano la febbre. Passando per la piazza entrai in una tabaccheria a comprare un tubetto di chinino; poi corsi all'albergo. Era già l'ora de11a cena, nel neoclassico stanzone dalle balneari colonnine dipinte di bianco erano già riuniti a tavola tutti gli ufficiali della guarnigione, più qualche commesso viaggiatore di passaggio. La radio nel suo angolo cantava e gridava a squarciagola, il fuoco ruggiva nella stµfa, nelle pause della radio si udiva il fruscio vasto dell'acquata che continuava a rovesciarsi sull'Elba. Ma volevo andare a vedere il teatro dei Vigilanti fatto costruire da Napoleone dentr0 un'antica chiesa; e così nonostante il torcicollo e la febbre uscii di nuovo. Salii quasi al buio molte scalinate, trovai alfi.ne il teatro sopra una specie di piazzale in cima alla città. Due grandi cartelloni colorati e fradici di pioggia, appoggiati contro quella che era stata un tempo l'abside della chiesa, rivelavano che per il momento vi si proiettavano film. Chi non conosce le porte dai ):>attenti ondeggianti con i loro fori ovali e vetrati, i corridoietti dai rustici i'ntonachi, il freddo e l'odor di pioggia e di segatura bagnata degli ingressi dei teatri di provincia? Soltanto, qui tutto era minuscolo; e come si fece luce nel palco al quale mi ero arrampicato per una scaletta a chiocciola, vidi che il teatro napoleonico era così piccolo da far pensare ad un pozzo, oppure a certi an.fiteatri anatomici dai banchi quasi verticali. Nella platea ci saranno state una trentina di rumorose scranne di ferro con il velluto rosso; nei palchi qua e là dal buio emergeva qualche faccia, qualche braccio si posava sul davanzale. li fredd0 era grande, tutti sedevano accappott<\ti; bastava un colpo di tosse a destare eChi gelati; la luce fioca faceva parere misteriose e attraenti le poche donne che si trovavano in quei palchi. Ma come si fece buio, ecco apparire uno dei film più stupidi dell'annata: La signora di A1on• tecarlo. E per giunta l'avevo già visto a Roma. Quasi mi illudevo che rivederlo a Portoferraio me l'avrebbe cambiato. Chi non ricorda infatti di essersi divertito in posti lontani e soli• tarii a spettacoli che nella propria città non avrebbe degnato di uno sp;uardo? Ma La signora di M o,itecarlo era, CO· me si dice, tetragona ad Oj?;ni nfluenza psicologica e ambientale. Dopo una die• cina di minuti, infastidito, lasciai il teatro e cor>I all'albergo. Battendo i denti come se fo3<;crostate nacchere, tutto avviluppato in brividi grossi e vivaci come serpenti~ ~ntendomi il collo e le spalle presi in una specie di astuccio di ferro, .i~ghiotti! un paio di pa~ticche di chmmo, m1 ficcai sotto le coperte e spensi la luce. Ma la -,,ioneria del chinino aveva ap· pena cominciato a tintinnarmi nell_e orecchie, stavo appena assope~dom1, che ecco da non lontano venire un ru~ore ~onotono e alacre : quello di una macchina da cucire. Apro la luce, mi levo, esco nel corridoio e due ~rte più in là scopro una vasta e squallida anticamera 1 vuota ')C se ne eccettuano un tavolone centrale, una sbilenca pol• trona rossa e una macchina da cucire. Un paio di ragazz<" sedevano sul ta• volo una donna cuciva alla macchina e il I padrone dell'albergo se ne stava pacificamente adagiato nella poltrona. Chiacchieravano, in quella luce fioca, tra quelle pareti vuote . .e Sa, noi, d'inverno, si sta spesso quassù, in fami: glia>, ;mi spiegò il padrone. Ritornai in camera 1 non avevo più sonno, presi le brochurcs di Foresi e incominciai a esaminarle. Scoprii allora. con disappunto, che infiniti erano stati gli scrit• tori che erano venuti prima di me all'Elba. A cominciare dall'esil"arantc Fraccaroli. passando per Panfilo, per Angioletti, per Vcrgani, fino a Pancraz11 il Corriere era largamente, rao• presentato. Ma non mancavano d altra parte né Calzini, né il poeta Grande. nf persino Huxley. Quasi rutti cercavano nei loro articoli, come è giusto, di evitare il luogo comune napoleoni• co; Grande aciditittura intitolava il suo articolo: e L'Elba di Napoleone e quella dei poeti~- Mi consolò un poco l'idea che il ~olo fra tanti che fo~se 11 1 / J.nno III • lì, 2 • H Oucaio 1939-un MNIBU SETTIMANALDEI ATTUALITA ,1, POLITIOA E LETTERARIA ESCE IL SABATO lN U-le PJ.0[NE 11 11 ABBONAMENTI Italia e lmptro: 111110 L. 4.2,Hmeu~ L. 22 I Eatero, uno L. 70, semen~ L. 36 I OGNI IUIIIIRO VIA LIRA lhnoacriui, di11gul e fotagn6e 1 anche I H DOII. pubblicati, ll011 li re1tiwi,00110, Dlruiu1: &ma • Plana della Pilotta, 3 I Telefono N. 66.470 I!/ .lmm.lahtrado.ae: llilano • Piana Carlo Erba, 6 Telefono N, 24.808 PubbUdti: Per millimetro di &lt.eua,bue na oolo::11111 in!·n~ 1 Vi~g8~i!i:~!'18,e;!~f?;o s;;,_•gJJ Parigi, 661 Bue du Pao.bourg Saint.-Hononl ATTEOOIAMEliTI OÒB8l1 L'EJ:.)lltiJBTBO PIETBI A PARIGI sbarcato all'Elba d'inverno ero io; misi da parte le brochures e attaccai il libro del Foresi: Napoleone pover'uomo. Trovai in una pagina l'elenco dei libri della biblioteca di Napoleone, un migliaio; per curiosità presi a scorrerlo, mi venne sonno, chiusi il libro1 spensi la luce e subito mi addormentai. Non so quanto tempo dormissi; venni destato da un forte dolore al collo e da un curioso rumore che veniva dal• l'anticamera: c'ome di un attizzatoio che frugasse e battesse con forza e qua• si con rabbia tra i carboni di un ca• mino. Senza molto riflettere mi levai in piedi, uscii a piedi nudi nel gelato corridoio e andai nell'anticamera. Nel solito scarso lume, al disopra dcìla poltrona rossa che voltava la spalliera verso la porta, vidi un enorme cappello a lucerna nero. «Un carabiniere ... > pensai stupito. ~la come ebbi fatto il giro della poltrona mi accorsi invece che era proprio lui, il vincitore di Austerlitz, Napoleone in persona. Stava seduto un po' rilasciatamente, con il mantello disfatto e rovesciato sui brac• cioli. Teneva in mano un attizzatoio di ferro e, piuttosto che attizzare, batteva e ribatteva meditativo e rabbioso tra la cenere e i neri mozziconi spenti di un piccolo e freddo camino che la prima volta che mi ero affacciato nell'anticamera non avevo notato. In un canto di questo camino stava raggomitolato un grosso gatto soriano, striato, della specie più comune. Questo gatto, che aveva una faccia piena di intelligenza, pareva sorridere forse a causa della forma della bocca rialzata agli angoli sotto i baffi, e, a ogni colpo dell'imperiale attizzatoio, visibilmente trasaliva. Confesso che il mio primo sentimento, vedendo l'uomo dalla lucerna, fu di vergogna per la mia veste da camera e i miei capelli scomposti. lo - Perdonate, Sire ... NAPOLEONE (brusco) - Non importa. Io (rimettendomi dalla sorpresa e approfitta,ido della situazione) - No, Vò· levo dire, perdonate, Sire, ma i titoli della raccolta dei vostri libri conservati qui all'Elba, mi hanno interessato in particolar modo. Sono, indegnamente, letterato. Così non ho potuto fare a meno, scorrendo quei titoli, di fare qualche riflessione. NAPOU:ONE- Quali? lo - Per esempio sapevo che voi, essendo nato nel 1 768 e morto nel r 82 r. avevate vissuto più della metà della vita nel Settecento, e per l'appunto quella metà che conta di più. Ma i vostri libri mi hanno confennato in questa idea, che voi p<'r certi aspetti siete eminentemente un uomo del se• colo dei lumi. A Fontaineblcau e poi all'Elba, quali sono le vostre letture? A parte un diluvio di trattati di e-eo• metria, di matematica, di astronomia, di arte militare, di balistica, di chimica, di botanica, di scienza insomma vol~arizzata che rivelano la fede nei lumi che fu propria agli enciclopedisti: a parte qualche romanzo del tipo di ]ulia della Radcliffe e molti libri di storia, i vostri autori si chiamano Voltaire, Rousseau, Diderot, Beaumarchais, Mannontel, Saint•Evrcmont, Fénelon. Le Sage. Di codesti autori avete le opere complete. Di modo che non lasciate l'aridità dei trattati di matematica che per ristorarvi con il razionalismo lim• pido e secco dei volterriani. Del resto non avete forse detto, nel 1803: « Fino a sedici anni mi sarei battuto per Rousseau contro gli amici di Voltaire. Oggi è il contrario>? ~ vero che avete anche le opere di Sant' Agostino. Ma c'è da giurare che gli abbiate spesso preferito qualche scienziato della vostra Accademia. Giacché per voi, ancora a Sant'Elena 1 l'anima era un fluido elettrico; di quell'elettricità che avete profetato essere il gran segreto della natura. Altro esempio: avete l'Orlando furioso ma non la Divina commedia. An• che Voltaire non poteva soffrire Dante che tacciava di e-otica oscurità; e ama• va l'Ariosto. NAPOLEONE ~ Se Voltaire fosse vissuto sotto il mio regno, l'avrei incarica• to di scrivere la mia vita. Io - E se r.1 sarfbbe cavata bene; almeno a giudicare dal modo con il quale scrisse di un altro turbinoso capitano: di Carlo Xl! di Svezia. Meglio sempre della ma~gior parte degli storici francesi dell'Ottocento che hanno tentato in ogni modo di capire quel che ci stavate a fare nella storia di Francia, senza cavare un ragno dal buco. Però se Voltaire 1 così chiaro ed elegante, sarebbe stato capacissimo di ricreare il vostro carattere, in compenso gli sarebbero sfue-flite molte altre cose. NAPOLEONE- Quali? Io - Il lirismo, per esempio, che è nei piani semplicissimi e bellis,;imi di quasi tutte le vostte battaglie. Quell'in• tuito fulmineo, aquilino davvero, che vi fece sempre infinitamente superiore ai vostri avversari. ragionatori freddi e ,chematici, sciocchi strateghi passivamente seguaci della tecnica federiciJ.na. Per Vpltaire la campagna d'Italia sarebbe stata nulla più che una guerra vittoriosa. Per noi moderni essa è la ~foventù stessa del secolo che irrompe c1oicamcnte. Nomi come Montenottc, Millesimo, Dego, Lodi, Lonato, Castihlione, Bassano, Arcole, La Favorita, Tagliamento, Rivoli, così italiani e così napoleonici, si adornano per sempre, nel ricordo degli uomini, della lieta e pura luce di un sole primaverile che spunti in un ciclo senza nubi. Ad esaminare atti·ntamentc le disposizioni e gli accorgimenti di quelle battae-lie, si scoµre l'abbond:101:1 impctu())a, !"ardente precisione che sono proprie all'età ~iovanile. Tutto questo a Voltaire sarebbe forse sfugfi!;ito. Ma soprattutto certe altre cose {)er le quali precorreste tempi ben diversi. ~APOLEONE- Che tempi? Io - Qw.:~ti nostri tempi. Con voi CO· minciano le masse, mentre prima di voi non c'erano che i tre stati. I \"Ostri proclami, così imperiali e insieme democratici, sono esempi insi,mi di una eloquenza destinata alle moltitudini. Altresì, dopo molti secoli di eclisse ri• comincia con voi l'impero romano. Mentre nella storia di Francia, storia nazionale e feudale , siete in fondo qua• 'ìÌ incomprt"nsibile, in quella più gene. raie dell'Europa state al vostro posto. Per primo dopo Carlomagno ritentate l'unificazione del mondo civile sotto uno stato sopranazionale. Tagliate a gran colpi di sciabola nei cieli azzurri d'Europa confini non già geografici o etnici, ma politici e militari. Mettete dovunque corpi di guardia, gabcllotti e burocrati. Dopo i secoli dei privilegi kudali, con voi ricomincia la legge. Ricomincia lo Stato. E siete voi a fu- 'iarc per un pezzo i rapporti di questo Stato con la Chiesa, con i cittadini, con il commercio, con l'industria, con le arti, con la scienza, con tutte insom• ma le attività umane. La borghesia aristocratica d'Europa, è vero, vi abbatte, ma la vostra opera resiste. XAPOLEONE- Sotto il mio scettro i J.)()po!i d'Europa avrebbero potuto vi- ,-erc felici. Io • Giusto. Ma ~li uomini purtroppo non cercano la felicità. Era Ìn\'ece v0\tro destino di ridestare con le guer• re tutte le nazionalità d'Europa, dalle ma,zt:;"iori,fino alle più insignificanti ... ~·APOLEONE (attiaa e non dice nulla). Io (con araire) . Ed ora, Sire, una pre!i!:hicra... :\°APOLEON-EQuale? Io - Non so se posso farla ... XAPOLEONE (in dinlelto corso) - Fetc puru. lo • Sire, sono convinto che il futu· rn vi appartiene, come già vi appar• tenne il pa,.,.ato e come vi appartiene il pn·~cntc. Ora, Sire, cosa succederà? :,.;.-.t'Ol,EONE (lnCt" e auizta). Io - Sire, voi non mi rispondete ... :'\APOLl'.ONE (attiamido e sempre i,1 <orso) • r\ndctc via. Io . Sire, una parola ~ola. ~APOLl'.ONE· No. lo - Sire .. N .\POLEONE (in tono d•finitiuo, comt: a mettere un termÙle al colloquio: e srmprc i,1 dialetto co,so) - Andcte via, vi dico ... mi dil.piace par boi ... ma quan• d'u cor!)u dice no, è no! A quc-,10 punto un colpo più forte dell'atti7.zatoio fece saltare in piedi il gatto che da qualche momento <;istava appisolando. Nello stesso tempo una gran nuvola di cenere e di frcdda e antica polvere uscì dal camino, tra gli alari anneriti, e gonfiandosi e sviluppandosi in volute grige e tetre, avvolse prima il camino. poi la poltrona ros,a e Napoleone, infine mc; e sempre dif. fondendosi grigia e punteyfi!;iata di nere particole di carbone riempì tutta la stanza. Vidi ancora un momento l'immobile cappello a lucerna, poi una nuvola più scura e µiù fitta me lo nasco5.c alla vista. Intanto la polvere e il carbone mi pungevano la gola, presi a tossire, mi pareva di soffocare, tossivo sempre più portando la mano alla gola; e mi destai. Doveva essere l'aurora, nella stanza c'era già luce. la finestra le cui imposte avevo lasciato spalancate, aveva i vetri appannati di acqueo vapore, ma in quella argentea rugiada, simili a CO• lori dissolti d'acquerello, si indovinavano un azzurro di ciclo, un verde d'alberi, un rosso di muro, vivi e freschi e · intrisi di luce. « Una bella giornata ,, pensai felice. E giratomi dall'altra P<\r• te mi riassopii ben presto, dormendo senza altri •sogni fino al mattino inoltrato. ALBERTO MORAVIA GIEIIIIPIC LA POLITIOAESTERADI ROOSEVELT ft L 4 GENNAIO il presidente Roosevelt U ha letto al Congresso e, per esso, al po· polo dtgli Stati Uniti, un messaggio sulla situazione politica mondiale e sull'atteggiamento del suo governo di fronte ad eua. Non è facile capire che cosa voglia dall'Europa il popolo americano e non è faci. le capire che cosa voglia Roosevelt. Solo sembra certo che non vogliono la ueua coia. Il popolo degli Stati Uniti è, forse, fra tu11i i popoli moderni quello meno provvisto di senso della vita internazionale: esso non ha che una storia di 1 50 anni e questa storia si è svolta a parte. Come tutti i popoli ricchi, esso vuole godersi in pace la sua ricchezza; vuole fare i suoi affari senza avere fastidi, e vuole farli non solo in casa sua, ma da per tu Ilo; e, infine, nella sua fanciullesca sufficienza, ritiene che le contese internazionali siano un male· proprio di popoli inferiori, di popoli rimasti ciechi a). la luce della civiltà americana. Alla fine della grande guerra, gli Stati ~Uniti pote- \ano essere arbitri delle sorti del mondo. Credettero di rinunz.iare a questo grande compito. Con un gesto di dispetto puerile, volsero le spalle all'Europa e si chiusero in un isolamento che voleva sembrare superbo. Ritennero di aver subito una grande de(u. sione e che, ormai, convenine lasciare l'Eu• ropa ai suoi mali. In questi ultimi tempi, hanno fatto anche una inchièsta per accertare perché intervennero nella guerra eu. ropea; giacché ancora oggi, 23 anni dopo che la guerra è finita, non lo sanno. L'inchiesta, a quel che pare, si avviava a concludere che tutto accadde per gli intrighi della ca$a Morgan. E una buona parte dell'opinione pubblica americana sarà ri• ma~,a soddisfatta di qucs1a interpretazione. Per aJtro, poiché noi non stiamo qui a fare il processo alla ingenuità del pOpolo americano, poniamo ria~sumere in poche parole il tuo stato d'animo dicendo che esso, in queuo momento decisivo della storia sua e del mondo, è ancora isolazionista, almeno nella sua grandissima maggioranza; ma vorrebbe che i suoi in1eressi fo$Sero da per tutto rispettati; vorrobbe che tutti i popoli aprissero gli occhi alla luce della de• mocra:tia e che tutti comprassero le sue automobili e le sue macchine da scrivere. E, in fondo, non sa quello che vuole. Roose\·elt, invece, u. bene quello che vuole. Lo sa da lungo tempo: forse da prima di ascendere alla presidenza. Nel 1 920 egli fu favorevole alla parteci• pazione dcli' America alla Lega delle Nazìo. ni. Questo è un precedente assai significativo. A quel tempo, la politica wilsoniana di iniervcnto negli affari europei si chiudeva con un grande fallimento, fra la riprova• z.;one qua.si unanime del popolo americano: occorre\"a molto coraggio per ,chierarsi fra i sostenitori di essa. Più tardi, quando si presenti> per la prima volta come candidato alla presidenza, Roosevelt senti la necessiti di giustificani, nel corso della campa• gna elettorale, di quel sao peccato di gio- \"entù: e diue che se, nel 1920, era stato partigiano della partecipazione dcli' America alla Lega e se non ne ai-rossi\·a affa110, la sua opinione si era modificata di fronte allo spirito e ai metodi dcli' AMcmblea di Gine\ra. Salito alla presidenza, Roosevelt fu a~sorbito dalle complicnioni della crisi. Ma, appena potè dedicarsi aJle questioni di politica e1tera, comincil> a e rieducare • il popolo americano. L'America, da Wilson in poi, era stata profondamente, ardentemente isolaz.ionista, e a\"eva avuto, l'uno dopo l'al. tro, tre presidenti tulti isolationisti; e rie• ducarla > significava convertirla a poco a poco all'intervento. C'era da prevedere che quest'opera di e rieducazione> avrebbe incontrato resistenze tenaci5-5ime. Ma Roo1evelt agì con estrema prudenza. Prese posizione solo su due questioni euentiali: su quella degli armamenti, facendosi rappresentare da Norman Davis alla Conferenza del di,armo, e su quella del blocco dcll'ag• grcuore a favore del paese vittima dcll'ag• grcs~ione. Ma il Congresso reagl· vi\acemtnte all'idea di .una politica che impegnasse in quahia"'i modo la responsabilità de~li Stati Uniti là do\"e interessi americani non fossero direuamentc in causa. Fu in un secondo tempo che Roose\·elt si incammini> risolutamente verso una politica di inter\·cn10. Le queuioni, che la guerra cino-giapponcS<' solle\ ava, si può dire, ogni giorno, gli offrivano molto meglio degli affari europei l'occasione di rieducare il paeie. lnfa11i, ancor;w oggi, che gli animi sono ri~ca\da1i e che parole grosse sono state scambiate fra la Germania e gli Stati Uniti, è difficile persuadere il cittadino qualunque, o, come si suol dire con frase ormai logora per il grande u50 che se ne è fatto, l'uomo della strada di New York o di Boston che la Germania si proponga di aggredire l'America e di annettersene un pezzo; e, invece, che l'espansione nipponica chiuda la Cina al commercio americano è quasi un fallo compiuto, e che minacci le Filippine e le Hawaii è evidente. Si aggiunga che le operazioni giapponesi in Cina die. dero luogo ad alcuni incidenti a11i ad esa• sperare l'opinione pubblica americana: il più grave fu quello dell'affondamen10 della cannoniera P,rnaJ, che un'abile propaganda cinematografica sfrutti> a fondo. Quando queste tre cause concomi1an1i (il danno commerciale, la minaccia mililare e la menomazione di prestigio) ebbero sufficiente• mente riscalda10 il pubblico americano, il Presidente Roosevelt si abbandoni> ad alcune clamorose manifestazioni interventiste. Furono: 1) il famoso discorso di Chicago sulle e quarantene> i 2) la condanna del Giappone come aggressore da parte del di. partimento di Stato americano degli Affari Esteri; 3) la partecipazione alla Conferenza di Bruxelles. Furono, nel complesso, un fallimento. L'idea di mettere una gran parte dell'urna• nità in quaran1ena era così straordinaria, che nc5-5un governo la prese sul serio; e, del resto, lo stesso Roosevelt non ne ha parlato più. A Bruxelles fu evidente che gli Stati Uniti confidavano nella Gran Bretagna per sbarrare la via al Giappone, e la Gran Bretagna confidava negli Stati Uniti. Il Giappone continuò• per la sua via tenendo per futili e vane le minacce di Washington, e il governo americano si ritiri> umilialo. Lippmann disse che gli Stati Uniti avevano imparato la leUone. Non la ave\ano imparata affatto. Per lo meno, non la aveva imparata il presidente 1<.ooscvelt, il quale, ritenendo che la scon• fiua subita fosse da auribuire alla insuf• ficienza degli armamenti americani, si diede a predicare la necessità di aumentarli. Un p;,;ese come l'America, che ha da spender~ alcuni miliardi ali' anno per dar lavoro a1 disoccupati, deve pur fare qualche cosa dei miliardi che spende: e nulla vieta che ne faccia navi da battaglia e aeroplani da bombardamento; ma che l'America, costruendo navi e aeroplani riesca a intimidire il Giap. pone è questione molto dubbia. In fondo, gli stessi americani ben sanno che non po• tranno mai fare la guerra al Giappone per le ragioni che una rivista di New York lucidamente elencava come segue: 1) perché perderebhero immediatamente le Filippine; 2) perché sarebbe quasi impassibile combattere una siffatta guerra, data l' immensità dell'Oceano Pacifico; 3) perché la detra guerra cos1erebbe ogni mese ali' America tanto quanto vale il suo commercio con l'Oriente per un intero anno; 4) perché sareb~ dubbia la vittoria dell'America. Quello che la rivista non diceva è che la pace aHà le stesse consegucnu; e cioè l'America p('rderà non comba11endo quello che perderebbe comballendo: le Filippine, il commercio con l'Asia, il dominio del Pacifico. La politica interventista del presidente RooscHlt è entrala in una fa1e acuta dal settembre delle scorso anno: dopo Monaco. Già nel messaggio che egli invii> a Hitler nel corso della crisi cecoslovacca per invitarlo a desiuere dalle misure estreme, u~ un linguaggio panicolannente grave. Segul la pace di Monaco e, tre settimane più tardi, la caduta di Canton. L'America fu percorsa da un brivido. I due avvenimenti significa- . vano il collasso della potenza britannica in Europa e in Asia. Ora gli S1ati Uniti hanno, da Trafalgar in poi, goduto di una sicurena quasi completa perché nei due oceani dominava la potenza navale britannica. Al• l'ombra dell'Union ]od, essi poterono per più di un secolo mantenere un sistema di isolamento senza grandi armamenti e senza grandi sforzi diplomatici.. Dopo i grandi av. venimenti di settembre e di ottobre, una in• va1ione del continente americano da parte di europei o di asiatici rimaneva impouibile, co:ne lo era prima. Ma diventava po!Sibile, anzi probabile, che le grandi potenze anglo. sassoni do"euero, in un avvenire non lontano, dividere il dominio dell'A1lantico e del Pacifico con i nuovi imperi. Senonché, siccome il popolo americano non accette ..ebbe di far la guerra per ragioni di im:,'1'ria. lismo marittimo e ancora meno per difendere l'Ucraina o la Cina, cosl una propa• ganda sfrenata e senza scrupoli si è assunto ,. il compito di fargli credere che, presto o tardi, tedeschi e giapponesi aualiranno i1 continente americano. Ed ha anche precisato che cominceranno dall'attaccare il Brasile. Una volta creata nel pubblico questa specie di psicosi di guerra, la politica fstera di Roosevelt si è potuta, più risolutamente che in passato, sviluppare in 1enso bellicoso. Ci sono siati importanti sviluppi sul fronte asiatico, che sono culminati neUa conceuia. ne di un credito di 25 milioni di dollari alla. Cina da parte dell'Export-Import Bank, e nelle negoziazioni per il mantenimento dell'open door in Cina. Ci sono stati i negoziati di Lima per la dichiarazione di .alidarietà continentale. e•~ stata la grave tensione con la Germania, occasionata dalla campagna antisemitica: congedo a tempo inde1erminato degli ambasciatori, diJCono del segretario di Stato Ickes, protesta tedesca, reiezione di e»a da parte del sottose. gretario americano agli Esteri, violenta cam. pagna di stampa. Alla fine, il presidente ha lanciato il suo sensazionale messaggio del 4 gennaio. Sembra, dunque, che l'amministrazione RooK"vclt non solo si a\·vii all'intervento, mà che, in questi ultimi mesi, abbia accelerato i tnmpi. E la ragione di questo accelera~ mento è stata rivelata dall'Associattd Press. Secondo una corrispondcnza di ques1a agenz.ia, nel mese di no\'embre Ciang Kai Scek conferì con gli ambasci,uori di Gran Bretagna e d'America e notificò loro che, se non a\'esse ricevuto immediatamente aiuto dai rispettivi governi, egli si sarebbe messo d'accordo col Giappone per il tramite della Ger• mania. Questo era per l'America qualche cosa di as5ai più grave e a»ai peggio di quello che e,sa aveva fino a quel giorno temuto L·America aveva temuto la vittoria del Giappone: dopo di che il governo di Tokio avrebbe 3\"UIO bisogno di anni per la rior. ganiuazione del paese conquistato. Ora, in- \e€e, appariva possibile la immediata collaborazione del vinto col vincitore. E il Giappone, al momento stesso in cui la Cina si fosse associata ad esso, sarebbe diventato la più formidabile potenza del Pacifico. Qualche cosa di simile, sebbene su una scala più piccola, è già accaduto in Europa: la Cecoslo\ acchia da nemica della Germania, quale era da ,•enti anni, è diventata, dopo Monaco, parte integrante del sistema politico ed economico tedesco. Ed ora l'America teme che anche la resisten:r.a anglo.francese crolli e che la Germania guadagni altri soci. Tutto quello che siamo venuti dicendo spiega come mai il presidente Roosevelt abbia potuto parlare nel "modo in cui ha parlato il 4 gennaio al popolo americano, che fino a pochi mesi fa era risolutamente av- \'CfSO a qu~lsiasi intervento nelle contese fra altri paesi. Ma non giustifica affatto il ,nodo in cui, in quel bellicoso messaggio, ha alterato la verità. Egli ha detto, per esempio, che e l'America è messa in pericolo mortale dalle dittature e che gli Stati Uniti devono essere pronti a difendere la loro vita e le loro libertà con una fon.a militare adeguata a rt:spingere qualsiasi tentativo che venisse fatto per restringere quei diritti •· Ora, sebbene gli imperialismi democratici usino sempre dirc che intendono difendeni, anche quando fanno conquiste, qui il trucco è troppo evidente, perché nc$Sun pericolo minaccia la vita o le libcr• tà degli Stati Uniti o dei loro cittadini. La possibilità di una aggressione non ! c.he una amena invenzione dell'amministrazione RooSC\'elt, e gli steui esperti americani (diceva The New Rtpublic), quando si riesce a persuaderli a parlarne, ne ridono: «This is tht: administrotion's stor1 and Unitt:d States mititary t:XfJt:rU,wht:n th,y con bt pusuadt:d to talk 01 ali, laugh at it •· Ma un paese che, qualche mese fa ha creduto di essere invaso dagli abitanti' del pianeta Marte, può ben credere alla possibilità di una invasione giapponese o tedesca. RlCCIAROETTO

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==