ANNO lii - N. Z - ROMA 14 GENNAIO 1939-XV// 11 PAGINE UNA LIRA 11 ... JDENTITÀ DI VEDUTE FRA!i00-1N0LE81" (DAL 00KUNI0AT0 DEL QUAI D1 0R8AY> U \i OCCA:,JONE del viaggio in Ita1 lia del Primo ~linistro britannico, ha la sua importanza ricordare che le rclJzioni italo-inglesi furono seriamente turbate due volte sole, nello spazio di un secolo, e tutte e due le volte per l'intervento di ideologie e di influenze assolutamente estranee alla reale sostanza degli interessi esistenti fra i due paesi. La prima volta fu all'indomani della guerra, quando si trattò di dare la dovuta interpretazione del Patto di Londra e degli Accordi di San Giovanni di .Moriana; la seconda volta fu duran!e l'impre~a di Etiopia. Nel '18- '19 furono·i quattordici punti di Wilson; diciotto anni dopo fu il Patto della Società delle Nazioni, di diretta e immediata ispirazione wilsoniana. In entrambi i casi, contro l'Italia si schierarono tutte le correnti dell'universale fariseismo, che :;imulando ideali morali legittimava privilegi antiche e rapine recenti. Se si eccettuano questi due casi, dur.rntc tutto un secolo, per chi non voglia risalire addirittura aJla fine del Seicento, le relazioni fra l'Inghilterra e la Penisola, quando ancora non si poteva parlare di Stato unitario, furono costantemente ispirate ad una cordialità che dava l'intera misura della sua serietà per l'assenza stessa di accenti e di modi sentimentali. La complementarità degli interc:;si e l'equilibrio mediterraneo furono gli obiettivi CO->tanti delle relazioni italo-britanniche e 11c fissarono il metodo. In ragione e in funzione di quell'equilibrio, l' Inghilterra indicava all'ltalia le vie dell'espansione africana, e proprio in quell'Etiopia, che mezzo secolo dopo doveva assurgere alla dignità di uno Stato incoraggiato dalla Lcg·a negli ~pergiuri e ncJlc meditate aggressioni. Dal canto suo l'Italia, nell'atto stesso in cui si alleava con la Germania e con I' Austria, riuscito vano il tentativo di far aderire l'Inghilterra alla Triplice, provocava una dichiarazione comune dalla quale risultava in modo preciso che le stipulazioni del trattato non sarebbero m.ii state rivolte contro l'Inghilterra. Mancò, nell'Inghilterra dell'immedia~ to dopoguerra, un uomo di Stato dell'altezza intellettuale e morale di Ne- \"ille Chamberlain, che doveva restaurare le relazioni fra i due paesi all'indomani delle sanzioni, dopo averne, in tempo utile, indicato i pericoli e stigmatizzato i metodi che esse comportavano. Nell'accordo italo-inglese dello scorso aprile non è difficile vedere che l'Inghilterra, per quanto la riguardava, ritornava alla sua classica tradizione nei confronti dell'Jtalia. Aderiva, cioè, alla realtà nuova, rendeva omaggio ai nuovi valori di potenza e !)C ne giovava pc] rafforzamento di quel generale sistema di equilibrio, nel quale è sempre riur,cita ad inserire l'interesse suo proprio. In virtù di quegli accordi, il Mar Rosso è diventato un condominio italo-inglese, nel quale non c'è posto per terti. Italia e Inghilterra si sono costituite garanti, una di fronte all'altra, delle riçpeuive vie imperiali. Di fatto, 1'111ghiltcrra ha associato l'Italia nella difrsa della via delle 1Indie e, in compenso, ha abbandonato i di!>tgni, per lungo tempo meditati, di controllo e di in~crenza in quegli Stati arabi del ~1ar Ros-.o, che debbono rc~tarc pienamente indipendenti. Questa « parità > è la nota saliente degli accordi italo-inglesi cd offre, per così dire, il tipo, il modello, l'esempio di futuri possibili negoziati fra l'Italia e qualsiasi altra potcnÌa europea cd extraeuropea. t gran merito di Neville Chambcrlain l'avere immediatamente intuito questa pregiudizié'le e di averla accettata con una prontezza eguagliata solo dalla lealtà. In Francia, invece, sono ancora in arretrato. Non solo si rifiutano di regolare partite sempre aperte, ma non riescono nemmeno a modificare il tradizionale « punto di vista > quando si tratta dcli' Italia e di cose italiane. ln occasione del viaggio di Chamberlain a Roma si sono affannati ad evitare una qualsiasi mediazione britannica, che nessuno, del resto, aveva mai sollecitato. Certo i francesi non potevano sentirsi tranquilli di fronte al senso di giustitia del Primo Ministro inglcst, cui le bravate tunisine debbono dan· un senso dì disgusto. In ogni f:t'-(1, Chamberlain ha mo ..trato la v1J degli accordi durevoli e delld µace sicura. C:. la via di ~tonaco. Uru via che porta lout:rno. * * * SPE0/llONE IN A88. POSIALE Isola d'Elba, gennaio. ,\ '.\'CORA tutta gonfia d'.lcqua, la ~ nuvolaglia fresca e tetra stava sospesa sopra Piombino con quei bordi lacerati e -:fumati che paiono orli sfrangiati di un sacco sfondato dal quale sia cascata giù molta roba. Sotto questo nembo temporalesco, ~ullo sfondo di una striscia di ciclo bianco e azzurro gli alti forni di Piombino, disposti tutt'intorno le rive del golfo, parevano un grosso e irto arnese carbonizzato e (radicio; gru, caldaie, va• goni, mucchi di carbone, faccvan pensare a macerie bruciate di un incendio s'ullc quali avesse pìovuto a dirotto; ~tupiva, in tanta nereaa, di vedere qui una rip,, coperta d'erba verde, là un muro ro~so di mattoni. Le fabbriche erano in attività. fumo nero crutta\'ano i camini, bianchi vapori si sprigionavano dalle caldaie. ~,fa io guardavo soprattutto le acque del porto per capire come: c:ra il mare. Quc<itc acque, rosse come ruggine a causa degli spurghi ferro~i degli alti forni, ribolliv.ino e cozzavano ~chiumose come se una mano frenetica avesse !.C0.)!10 il fondo del porto. Er,rno veramente acque isteriche, ~u di c~)Cquelle poche imbarcazioni che si tro\'avano attraccate saltavano tutte peggio che pesci nella teglia, dirncnandosi senza posa con Jc chiglie legate, oscenamente. Saltavano le barche da pesca, saltava un piccolo veliero dallo sc;.1fo azzurro, saltava anche purttoppo il piroscafo nero e bianco della Na\'igazionc Toscana sul quale dovevo' imbarcarmi. Verso l'imbocca• tura del porto, tra i due moli convergenti, l'acqua cambiava colore in un verdone latteo, ma non smetteva di saltarç. Poi il vapore sturò la prcss10nc della !.Ìn.:11.i dc~tando con il suo richiamo gli echi bagnati del golfo, io mi precipitai a bordo, si levò subito l'ancora, il piroscafo passò con decisione tra i due moli cd entrò nel mare aperto. Io mi distesi per lungo sopra il divano della prima classe, altri mi avevano preceduto; in quell'ombra, con le lampade rosse accese non si vedeva il mare, però lo si sentiva e questo era già di troppo. Per fortuna non c'era rullio, questo lento e atroce dondolare dei fianchi, ma c'era il beccheggio. Un beccheggio duro e piatto come 11 battere e ribattere di un ferro da stiro sopra un tavolo di legno. Entrati nel canale di Piombino calò una notte nera, umida e ventosa come una bocca cariata; un beccheggio più forte, come un colpo di stecca che· fa ruzzolare la palla sopra il bigliardo, mi scagliò attraverso il ponte fino al parapetto, a cercare qualche ~ollievo nella presenza del vento e della spruzzaglia marina. Per fortuna eravamo ormai accosto all'Elba, nell'o~curità sfilavano rapidamente neri profili di monti, brillarono i primi lumi subito inghiottiti dall'alto mare, riapparvero, si imposero, le macchine rallentarono, incomin• ciò la manovra in un cerchio confuso di lumi e di ca$C allineate. Come attraccammo ricominciò a piovere. A Portoferraio l'arrivo del piroscafo deve essere certo l'avvenimento principale della giornata; così del resto in tutte le isole del mondo. Una folla nera sotto molti neri e luccicanti ombrelli se ne stava all'imbarcadero, osservando non senza un malizioso compiacimento, almeno co~ì mi parve, 1c facce bianche dei viaggiatori via \"ia che si svelavano nella luce del fanale. Portoferraio volge le spalle al porto con uni\ fronte di case che hanno tutte l'ingresso dalla pnrtc della città; nella quale si entra per una porta ad arco sormontata da un orologio lumino~o. Mi ingolfai sotto quc..,to arco dietro il ragazzo che portav~) le valige, attra- \"Crsai una piazza oblunga e popolata, un'altra vuota e circondata di platani; la pioggia mi spruuava in foccia1 il vento mi tirava per i lembi dell'impermeabile; )ali i una gradinata, l'albergo dalla facciata vecchiotta mi apparve dietro una pergola scheletrita. Rampe di scala dai soffitti a volta, con la guida rossa e i mancorrenti di ottone, corridoi tortuosi e casalinghi, porte appiattate dietro immensi armadi, rosse mattonelle e mobili sui pavimenti, l'al• bcrgo aveva l'aspetto di un secolo fa; un Ottocento to~cano gr~1nduc,llc, e con il ~clo sepolcrale e marmoreo, pro• prio l'anoviano, di quell'epoca di scaldini c.· di bracieri. Faceva imomm~l un f1c..-ddoantico in quell'albergo; lo ~tcs~o freddo che aveva dovuto far batwre i denti ai napoleonici in gabb;inclla verde e p,tntaloni bianchi di nanchino. Fui portato in una camera piccola che dava in un vicolo; come rima.si wlo udii la pioggia gorgogliare a precipizio per il tubo della grondaia. Sedetti stupefatto sul letto; ma dal pavimento saliva un gelo insopportabile; riaffc-rrai il cappello -e uscii a precipizio dall'.1lbergo. e: Napoleone», pénsavo: e: cerchiamo Napoleone». Sapevo dove andare, chiesi per strada a qualcuno che se ne strisciava rasente i muri col viso nascosto nel bavero rialzato dc:) cappotto. Mi venne indicata una larga M:alinata che pareva s..1.lirein ciclo; più fitta e più ripida di quella <lc-ll'Arac<·li ,l. Roma. Portoferraio non ha in piano che la piazza, alla quale, tra le case arrampicate, convergono d'ogni parte precipitose fughe di :>ealini. Presi dunque a salire, scantonai in una !-trada buia, bus.-:ai ad una porta, mi fu aperto cd entrai in un atrio dalle pareti piene di lapidi mortuarie e di croci. e: Di qua>, disse lo scaccino; e dalla buia sacristia mi fece entrare in una <.:hicsctta. Par,1mcnti ro~i frangiati d'oro pl'ndcvano in gran copia alle pareti avvampando nell'ombra piovosa. un paio di lampadine elettriche di gr,111 forta brillavano :oull'altarc. Lo ~caccino, ua-.cinando i piedi sulle la:-.trcdel pavimento, andò ad una parete, tirò giù imo sportello. Mi app,lrvc un che di oblungo ricoperto da un drappo. Lo scaccino tirò fuori il drappo e me lo mostrò: era la ban• dicra dell'effimero principato elbano di Napoleone, bianca con una striscia rossa trasversale sulla quale erano ricamate in oro tre grosse api. Tolta la bandiera, apparve una bara nera con • 1e manopole e i fregi di bronzo dorato. copia esatta, mi sussurrò lo scat~ della bara vera degli Invalidi. Egli sollevò il coperchio del feretro, e ne trasse e mi mise tra le mani qualcòsa c"Ke stentai a riconoscere: una copia in bronzo della maschera mortuaria di Napoleone. Mi avvicinai ad un lume e la guardai. Mi fece impressione il na- :;01 sottile, e aquilino e imperativo, un becco molto nobile di uccello rapace; e come il becco agli uccelli, dopo morte, la bocca era rimasta semiaperta senza sorriso né sofferenza, comè per mancanza d'aria. Rimessa la maschera nella bara, lo scaccino frugò di nuovo e ne tr.isse il calco della mano. La osservai bene: mano piccola e ben fatta con le unghie a spatola che in chiromanzia significano somma praticità e )apienza nel maneggio delle cose terrene. Rimisi la mano nel sarcofago, rin• grazi.ii lo scaccino e riuscii di fuori. Non sapendo che fare discesi alla piazza degli alberi, il vento sbatteva in faccia lenzuola.bagnate, le lampade ballavano fortemente e con esse il cerchio di luce sul suolo µieno di pozzanghere e sulle facciate delle case. Risalii a casaccio per un'altra scalinata, vidi scritto sopra un muro Il Popolano; mi ricordai che era il giornale di Portoferraio e che dovevo andare a visitare il direttore Sandro Foresi. grande specialista dell'Elba e di Napoleone. Salii due scalini, entrai in una stanzetta, d,1 n11~- sta in una specie di soffitta sollo il tetto. Dietro una lampada dal pardlume verde il direttore del Popola,u.,, le gambe avvolte in una coperta 1 il cappello in te::.ta, e il cappotto addo-,so con il bavC'ro rialzato, lavorava ad un tavolino coperto di cane. Stava curvo, for~e a cam<, delle travi del soffitto che gli pa'-'-a\"ano oblique ad un palmo dalla testa; dalla bocca ad ogni re~ spin:> gli U!iciva una nuvoletta bianca di vapore. ~la ,wcva una faccia ben roo~a, con qualche pdo di barba qua e là grig:i0 e bianco. Appena seppe chi ero e co:.a volevo k\·Ò le braccia con cordialità: se non dc'.'>idcravoaltro che :.crivcrc un articolo sull'Elba mi avrebbe dato lui quanto materiale volevo, g-uarda~~i qui. Si afzò, prese un pacco di brocluoes, due o tre libri e mc li porse. Nelle brochures era riunito tutto ciò che era stato pubblicato sull'Elba; i libi i li aveva scritti lui. Lo ringrJ.ziai dt·lla cortesia, poi si parlò per un poco dell'Elba e di Napoleone; e cosi venni a sapere che nell'isola l'imperatotc è ~ì nel cuore di ogni clb.:1110 1 ma non altrove. Qualche libro, una cu,a in cui non abitò mai, qualche lettera mano• scriua, ecco tutto quel che rimane ~1l'Elba di Napoleone. Ringraziai di questi ragguagli il direttore del Popolano, lo salutai e mc ne andai. Come mi ritrovai in strada mi accorsi che la testa, che per parbrc al Foresi naM:osto dietro il suo paralume verde avevo tenuto inclinata ver~o la spalla, non potevo più raddrizzarla. Con il freddo e con l'umidità mi ero
buscato un torcicollo; inoltre sentivo quella fastidiosa stranezza nella vista, quella fiacca nelle gambe che denotano la febbre. Passando per la piazza entrai in una tabaccheria a comprare un tubetto di chinino; poi corsi all'albergo. Era già l'ora de11a cena, nel neoclassico stanzone dalle balneari colonnine dipinte di bianco erano già riuniti a tavola tutti gli ufficiali della guarnigione, più qualche commesso viaggiatore di passaggio. La radio nel suo angolo cantava e gridava a squarciagola, il fuoco ruggiva nella stµfa, nelle pause della radio si udiva il fruscio vasto dell'acquata che continuava a rovesciarsi sull'Elba. Ma volevo andare a vedere il teatro dei Vigilanti fatto costruire da Napoleone dentr0 un'antica chiesa; e così nonostante il torcicollo e la febbre uscii di nuovo. Salii quasi al buio molte scalinate, trovai alfi.ne il teatro sopra una specie di piazzale in cima alla città. Due grandi cartelloni colorati e fradici di pioggia, appoggiati contro quella che era stata un tempo l'abside della chiesa, rivelavano che per il momento vi si proiettavano film. Chi non conosce le porte dai ):>attenti ondeggianti con i loro fori ovali e vetrati, i corridoietti dai rustici i'ntonachi, il freddo e l'odor di pioggia e di segatura bagnata degli ingressi dei teatri di provincia? Soltanto, qui tutto era minuscolo; e come si fece luce nel palco al quale mi ero arrampicato per una scaletta a chiocciola, vidi che il teatro napoleonico era così piccolo da far pensare ad un pozzo, oppure a certi an.fiteatri anatomici dai banchi quasi verticali. Nella platea ci saranno state una trentina di rumorose scranne di ferro con il velluto rosso; nei palchi qua e là dal buio emergeva qualche faccia, qualche braccio si posava sul davanzale. li fredd0 era grande, tutti sedevano accappott<\ti; bastava un colpo di tosse a destare eChi gelati; la luce fioca faceva parere misteriose e attraenti le poche donne che si trovavano in quei palchi. Ma come si fece buio, ecco apparire uno dei film più stupidi dell'annata: La signora di A1on• tecarlo. E per giunta l'avevo già visto a Roma. Quasi mi illudevo che rivederlo a Portoferraio me l'avrebbe cambiato. Chi non ricorda infatti di essersi divertito in posti lontani e soli• tarii a spettacoli che nella propria città non avrebbe degnato di uno sp;uardo? Ma La signora di M o,itecarlo era, CO· me si dice, tetragona ad Oj?;ni nfluenza psicologica e ambientale. Dopo una die• cina di minuti, infastidito, lasciai il teatro e cor>I all'albergo. Battendo i denti come se fo3<;crostate nacchere, tutto avviluppato in brividi grossi e vivaci come serpenti~ ~ntendomi il collo e le spalle presi in una specie di astuccio di ferro, .i~ghiotti! un paio di pa~ticche di chmmo, m1 ficcai sotto le coperte e spensi la luce. Ma la -,,ioneria del chinino aveva ap· pena cominciato a tintinnarmi nell_e orecchie, stavo appena assope~dom1, che ecco da non lontano venire un ru~ore ~onotono e alacre : quello di una macchina da cucire. Apro la luce, mi levo, esco nel corridoio e due ~rte più in là scopro una vasta e squallida anticamera 1 vuota ')C se ne eccettuano un tavolone centrale, una sbilenca pol• trona rossa e una macchina da cucire. Un paio di ragazz<" sedevano sul ta• volo una donna cuciva alla macchina e il I padrone dell'albergo se ne stava pacificamente adagiato nella poltrona. Chiacchieravano, in quella luce fioca, tra quelle pareti vuote . .e Sa, noi, d'inverno, si sta spesso quassù, in fami: glia>, ;mi spiegò il padrone. Ritornai in camera 1 non avevo più sonno, presi le brochurcs di Foresi e incominciai a esaminarle. Scoprii allora. con disappunto, che infiniti erano stati gli scrit• tori che erano venuti prima di me all'Elba. A cominciare dall'esil"arantc Fraccaroli. passando per Panfilo, per Angioletti, per Vcrgani, fino a Pancraz11 il Corriere era largamente, rao• presentato. Ma non mancavano d altra parte né Calzini, né il poeta Grande. nf persino Huxley. Quasi rutti cercavano nei loro articoli, come è giusto, di evitare il luogo comune napoleoni• co; Grande aciditittura intitolava il suo articolo: e L'Elba di Napoleone e quella dei poeti~- Mi consolò un poco l'idea che il ~olo fra tanti che fo~se 11 1 / J.nno III • lì, 2 • H Oucaio 1939-un MNIBU SETTIMANALDEI ATTUALITA ,1, POLITIOA E LETTERARIA ESCE IL SABATO lN U-le PJ.0[NE 11 11 ABBONAMENTI Italia e lmptro: 111110 L. 4.2,Hmeu~ L. 22 I Eatero, uno L. 70, semen~ L. 36 I OGNI IUIIIIRO VIA LIRA lhnoacriui, di11gul e fotagn6e 1 anche I H DOII. pubblicati, ll011 li re1tiwi,00110, Dlruiu1: &ma • Plana della Pilotta, 3 I Telefono N. 66.470 I!/ .lmm.lahtrado.ae: llilano • Piana Carlo Erba, 6 Telefono N, 24.808 PubbUdti: Per millimetro di <.eua,bue na oolo::11111 in!·n~ 1 Vi~g8~i!i:~!'18,e;!~f?;o s;;,_•gJJ Parigi, 661 Bue du Pao.bourg Saint.-Hononl ATTEOOIAMEliTI OÒB8l1 L'EJ:.)lltiJBTBO PIETBI A PARIGI sbarcato all'Elba d'inverno ero io; misi da parte le brochures e attaccai il libro del Foresi: Napoleone pover'uomo. Trovai in una pagina l'elenco dei libri della biblioteca di Napoleone, un migliaio; per curiosità presi a scorrerlo, mi venne sonno, chiusi il libro1 spensi la luce e subito mi addormentai. Non so quanto tempo dormissi; venni destato da un forte dolore al collo e da un curioso rumore che veniva dal• l'anticamera: c'ome di un attizzatoio che frugasse e battesse con forza e qua• si con rabbia tra i carboni di un ca• mino. Senza molto riflettere mi levai in piedi, uscii a piedi nudi nel gelato corridoio e andai nell'anticamera. Nel solito scarso lume, al disopra dcìla poltrona rossa che voltava la spalliera verso la porta, vidi un enorme cappello a lucerna nero. «Un carabiniere ... > pensai stupito. ~la come ebbi fatto il giro della poltrona mi accorsi invece che era proprio lui, il vincitore di Austerlitz, Napoleone in persona. Stava seduto un po' rilasciatamente, con il mantello disfatto e rovesciato sui brac• cioli. Teneva in mano un attizzatoio di ferro e, piuttosto che attizzare, batteva e ribatteva meditativo e rabbioso tra la cenere e i neri mozziconi spenti di un piccolo e freddo camino che la prima volta che mi ero affacciato nell'anticamera non avevo notato. In un canto di questo camino stava raggomitolato un grosso gatto soriano, striato, della specie più comune. Questo gatto, che aveva una faccia piena di intelligenza, pareva sorridere forse a causa della forma della bocca rialzata agli angoli sotto i baffi, e, a ogni colpo dell'imperiale attizzatoio, visibilmente trasaliva. Confesso che il mio primo sentimento, vedendo l'uomo dalla lucerna, fu di vergogna per la mia veste da camera e i miei capelli scomposti. lo - Perdonate, Sire ... NAPOLEONE (brusco) - Non importa. Io (rimettendomi dalla sorpresa e approfitta,ido della situazione) - No, Vò· levo dire, perdonate, Sire, ma i titoli della raccolta dei vostri libri conservati qui all'Elba, mi hanno interessato in particolar modo. Sono, indegnamente, letterato. Così non ho potuto fare a meno, scorrendo quei titoli, di fare qualche riflessione. NAPOU:ONE- Quali? lo - Per esempio sapevo che voi, essendo nato nel 1 768 e morto nel r 82 r. avevate vissuto più della metà della vita nel Settecento, e per l'appunto quella metà che conta di più. Ma i vostri libri mi hanno confennato in questa idea, che voi p<'r certi aspetti siete eminentemente un uomo del se• colo dei lumi. A Fontaineblcau e poi all'Elba, quali sono le vostre letture? A parte un diluvio di trattati di e-eo• metria, di matematica, di astronomia, di arte militare, di balistica, di chimica, di botanica, di scienza insomma vol~arizzata che rivelano la fede nei lumi che fu propria agli enciclopedisti: a parte qualche romanzo del tipo di ]ulia della Radcliffe e molti libri di storia, i vostri autori si chiamano Voltaire, Rousseau, Diderot, Beaumarchais, Mannontel, Saint•Evrcmont, Fénelon. Le Sage. Di codesti autori avete le opere complete. Di modo che non lasciate l'aridità dei trattati di matematica che per ristorarvi con il razionalismo lim• pido e secco dei volterriani. Del resto non avete forse detto, nel 1803: « Fino a sedici anni mi sarei battuto per Rousseau contro gli amici di Voltaire. Oggi è il contrario>? ~ vero che avete anche le opere di Sant' Agostino. Ma c'è da giurare che gli abbiate spesso preferito qualche scienziato della vostra Accademia. Giacché per voi, ancora a Sant'Elena 1 l'anima era un fluido elettrico; di quell'elettricità che avete profetato essere il gran segreto della natura. Altro esempio: avete l'Orlando furioso ma non la Divina commedia. An• che Voltaire non poteva soffrire Dante che tacciava di e-otica oscurità; e ama• va l'Ariosto. NAPOLEONE ~ Se Voltaire fosse vissuto sotto il mio regno, l'avrei incarica• to di scrivere la mia vita. Io - E se r.1 sarfbbe cavata bene; almeno a giudicare dal modo con il quale scrisse di un altro turbinoso capitano: di Carlo Xl! di Svezia. Meglio sempre della ma~gior parte degli storici francesi dell'Ottocento che hanno tentato in ogni modo di capire quel che ci stavate a fare nella storia di Francia, senza cavare un ragno dal buco. Però se Voltaire 1 così chiaro ed elegante, sarebbe stato capacissimo di ricreare il vostro carattere, in compenso gli sarebbero sfue-flite molte altre cose. NAPOLEONE- Quali? Io - Il lirismo, per esempio, che è nei piani semplicissimi e bellis,;imi di quasi tutte le vostte battaglie. Quell'in• tuito fulmineo, aquilino davvero, che vi fece sempre infinitamente superiore ai vostri avversari. ragionatori freddi e ,chematici, sciocchi strateghi passivamente seguaci della tecnica federiciJ.na. Per Vpltaire la campagna d'Italia sarebbe stata nulla più che una guerra vittoriosa. Per noi moderni essa è la ~foventù stessa del secolo che irrompe c1oicamcnte. Nomi come Montenottc, Millesimo, Dego, Lodi, Lonato, Castihlione, Bassano, Arcole, La Favorita, Tagliamento, Rivoli, così italiani e così napoleonici, si adornano per sempre, nel ricordo degli uomini, della lieta e pura luce di un sole primaverile che spunti in un ciclo senza nubi. Ad esaminare atti·ntamentc le disposizioni e gli accorgimenti di quelle battae-lie, si scoµre l'abbond:101:1 impctu())a, !"ardente precisione che sono proprie all'età ~iovanile. Tutto questo a Voltaire sarebbe forse sfugfi!;ito. Ma soprattutto certe altre cose {)er le quali precorreste tempi ben diversi. ~APOLEONE- Che tempi? Io - Qw.:~ti nostri tempi. Con voi CO· minciano le masse, mentre prima di voi non c'erano che i tre stati. I \"Ostri proclami, così imperiali e insieme democratici, sono esempi insi,mi di una eloquenza destinata alle moltitudini. Altresì, dopo molti secoli di eclisse ri• comincia con voi l'impero romano. Mentre nella storia di Francia, storia nazionale e feudale , siete in fondo qua• 'ìÌ incomprt"nsibile, in quella più gene. raie dell'Europa state al vostro posto. Per primo dopo Carlomagno ritentate l'unificazione del mondo civile sotto uno stato sopranazionale. Tagliate a gran colpi di sciabola nei cieli azzurri d'Europa confini non già geografici o etnici, ma politici e militari. Mettete dovunque corpi di guardia, gabcllotti e burocrati. Dopo i secoli dei privilegi kudali, con voi ricomincia la legge. Ricomincia lo Stato. E siete voi a fu- 'iarc per un pezzo i rapporti di questo Stato con la Chiesa, con i cittadini, con il commercio, con l'industria, con le arti, con la scienza, con tutte insom• ma le attività umane. La borghesia aristocratica d'Europa, è vero, vi abbatte, ma la vostra opera resiste. XAPOLEONE- Sotto il mio scettro i J.)()po!i d'Europa avrebbero potuto vi- ,-erc felici. Io • Giusto. Ma ~li uomini purtroppo non cercano la felicità. Era Ìn\'ece v0\tro destino di ridestare con le guer• re tutte le nazionalità d'Europa, dalle ma,zt:;"iori,fino alle più insignificanti ... ~·APOLEONE (attiaa e non dice nulla). Io (con araire) . Ed ora, Sire, una pre!i!:hicra... :\°APOLEON-EQuale? Io - Non so se posso farla ... XAPOLEONE (in dinlelto corso) - Fetc puru. lo • Sire, sono convinto che il futu· rn vi appartiene, come già vi appar• tenne il pa,.,.ato e come vi appartiene il pn·~cntc. Ora, Sire, cosa succederà? :,.;.-.t'Ol,EONE (lnCt" e auizta). Io - Sire, voi non mi rispondete ... :'\APOLl'.ONE (attiamido e sempre i,1 <orso) • r\ndctc via. Io . Sire, una parola ~ola. ~APOLl'.ONE· No. lo - Sire .. N .\POLEONE (in tono d•finitiuo, comt: a mettere un termÙle al colloquio: e srmprc i,1 dialetto co,so) - Andcte via, vi dico ... mi dil.piace par boi ... ma quan• d'u cor!)u dice no, è no! A quc-,10 punto un colpo più forte dell'atti7.zatoio fece saltare in piedi il gatto che da qualche momento <;istava appisolando. Nello stesso tempo una gran nuvola di cenere e di frcdda e antica polvere uscì dal camino, tra gli alari anneriti, e gonfiandosi e sviluppandosi in volute grige e tetre, avvolse prima il camino. poi la poltrona ros,a e Napoleone, infine mc; e sempre dif. fondendosi grigia e punteyfi!;iata di nere particole di carbone riempì tutta la stanza. Vidi ancora un momento l'immobile cappello a lucerna, poi una nuvola più scura e µiù fitta me lo nasco5.c alla vista. Intanto la polvere e il carbone mi pungevano la gola, presi a tossire, mi pareva di soffocare, tossivo sempre più portando la mano alla gola; e mi destai. Doveva essere l'aurora, nella stanza c'era già luce. la finestra le cui imposte avevo lasciato spalancate, aveva i vetri appannati di acqueo vapore, ma in quella argentea rugiada, simili a CO• lori dissolti d'acquerello, si indovinavano un azzurro di ciclo, un verde d'alberi, un rosso di muro, vivi e freschi e · intrisi di luce. « Una bella giornata ,, pensai felice. E giratomi dall'altra P<\r• te mi riassopii ben presto, dormendo senza altri •sogni fino al mattino inoltrato. ALBERTO MORAVIA GIEIIIIPIC LA POLITIOAESTERADI ROOSEVELT ft L 4 GENNAIO il presidente Roosevelt U ha letto al Congresso e, per esso, al po· polo dtgli Stati Uniti, un messaggio sulla situazione politica mondiale e sull'atteggiamento del suo governo di fronte ad eua. Non è facile capire che cosa voglia dall'Europa il popolo americano e non è faci. le capire che cosa voglia Roosevelt. Solo sembra certo che non vogliono la ueua coia. Il popolo degli Stati Uniti è, forse, fra tu11i i popoli moderni quello meno provvisto di senso della vita internazionale: esso non ha che una storia di 1 50 anni e questa storia si è svolta a parte. Come tutti i popoli ricchi, esso vuole godersi in pace la sua ricchezza; vuole fare i suoi affari senza avere fastidi, e vuole farli non solo in casa sua, ma da per tu Ilo; e, infine, nella sua fanciullesca sufficienza, ritiene che le contese internazionali siano un male· proprio di popoli inferiori, di popoli rimasti ciechi a). la luce della civiltà americana. Alla fine della grande guerra, gli Stati ~Uniti pote- \ano essere arbitri delle sorti del mondo. Credettero di rinunz.iare a questo grande compito. Con un gesto di dispetto puerile, volsero le spalle all'Europa e si chiusero in un isolamento che voleva sembrare superbo. Ritennero di aver subito una grande de(u. sione e che, ormai, convenine lasciare l'Eu• ropa ai suoi mali. In questi ultimi tempi, hanno fatto anche una inchièsta per accertare perché intervennero nella guerra eu. ropea; giacché ancora oggi, 23 anni dopo che la guerra è finita, non lo sanno. L'inchiesta, a quel che pare, si avviava a concludere che tutto accadde per gli intrighi della ca$a Morgan. E una buona parte dell'opinione pubblica americana sarà ri• ma~,a soddisfatta di qucs1a interpretazione. Per aJtro, poiché noi non stiamo qui a fare il processo alla ingenuità del pOpolo americano, poniamo ria~sumere in poche parole il tuo stato d'animo dicendo che esso, in queuo momento decisivo della storia sua e del mondo, è ancora isolazionista, almeno nella sua grandissima maggioranza; ma vorrebbe che i suoi in1eressi fo$Sero da per tutto rispettati; vorrobbe che tutti i popoli aprissero gli occhi alla luce della de• mocra:tia e che tutti comprassero le sue automobili e le sue macchine da scrivere. E, in fondo, non sa quello che vuole. Roose\·elt, invece, u. bene quello che vuole. Lo sa da lungo tempo: forse da prima di ascendere alla presidenza. Nel 1 920 egli fu favorevole alla parteci• pazione dcli' America alla Lega delle Nazìo. ni. Questo è un precedente assai significativo. A quel tempo, la politica wilsoniana di iniervcnto negli affari europei si chiudeva con un grande fallimento, fra la riprova• z.;one qua.si unanime del popolo americano: occorre\"a molto coraggio per ,chierarsi fra i sostenitori di essa. Più tardi, quando si presenti> per la prima volta come candidato alla presidenza, Roosevelt senti la necessiti di giustificani, nel corso della campa• gna elettorale, di quel sao peccato di gio- \"entù: e diue che se, nel 1920, era stato partigiano della partecipazione dcli' America alla Lega e se non ne ai-rossi\·a affa110, la sua opinione si era modificata di fronte allo spirito e ai metodi dcli' AMcmblea di Gine\ra. Salito alla presidenza, Roosevelt fu a~sorbito dalle complicnioni della crisi. Ma, appena potè dedicarsi aJle questioni di politica e1tera, comincil> a e rieducare • il popolo americano. L'America, da Wilson in poi, era stata profondamente, ardentemente isolaz.ionista, e a\"eva avuto, l'uno dopo l'al. tro, tre presidenti tulti isolationisti; e rie• ducarla > significava convertirla a poco a poco all'intervento. C'era da prevedere che quest'opera di e rieducazione> avrebbe incontrato resistenze tenaci5-5ime. Ma Roo1evelt agì con estrema prudenza. Prese posizione solo su due questioni euentiali: su quella degli armamenti, facendosi rappresentare da Norman Davis alla Conferenza del di,armo, e su quella del blocco dcll'ag• grcuore a favore del paese vittima dcll'ag• grcs~ione. Ma il Congresso reagl· vi\acemtnte all'idea di .una politica che impegnasse in quahia"'i modo la responsabilità de~li Stati Uniti là do\"e interessi americani non fossero direuamentc in causa. Fu in un secondo tempo che Roose\·elt si incammini> risolutamente verso una politica di inter\·cn10. Le queuioni, che la guerra cino-giapponcS<' solle\ ava, si può dire, ogni giorno, gli offrivano molto meglio degli affari europei l'occasione di rieducare il paeie. lnfa11i, ancor;w oggi, che gli animi sono ri~ca\da1i e che parole grosse sono state scambiate fra la Germania e gli Stati Uniti, è difficile persuadere il cittadino qualunque, o, come si suol dire con frase ormai logora per il grande u50 che se ne è fatto, l'uomo della strada di New York o di Boston che la Germania si proponga di aggredire l'America e di annettersene un pezzo; e, invece, che l'espansione nipponica chiuda la Cina al commercio americano è quasi un fallo compiuto, e che minacci le Filippine e le Hawaii è evidente. Si aggiunga che le operazioni giapponesi in Cina die. dero luogo ad alcuni incidenti a11i ad esa• sperare l'opinione pubblica americana: il più grave fu quello dell'affondamen10 della cannoniera P,rnaJ, che un'abile propaganda cinematografica sfrutti> a fondo. Quando queste tre cause concomi1an1i (il danno commerciale, la minaccia mililare e la menomazione di prestigio) ebbero sufficiente• mente riscalda10 il pubblico americano, il Presidente Roosevelt si abbandoni> ad alcune clamorose manifestazioni interventiste. Furono: 1) il famoso discorso di Chicago sulle e quarantene> i 2) la condanna del Giappone come aggressore da parte del di. partimento di Stato americano degli Affari Esteri; 3) la partecipazione alla Conferenza di Bruxelles. Furono, nel complesso, un fallimento. L'idea di mettere una gran parte dell'urna• nità in quaran1ena era così straordinaria, che nc5-5un governo la prese sul serio; e, del resto, lo stesso Roosevelt non ne ha parlato più. A Bruxelles fu evidente che gli Stati Uniti confidavano nella Gran Bretagna per sbarrare la via al Giappone, e la Gran Bretagna confidava negli Stati Uniti. Il Giappone continuò• per la sua via tenendo per futili e vane le minacce di Washington, e il governo americano si ritiri> umilialo. Lippmann disse che gli Stati Uniti avevano imparato la leUone. Non la ave\ano imparata affatto. Per lo meno, non la aveva imparata il presidente 1<.ooscvelt, il quale, ritenendo che la scon• fiua subita fosse da auribuire alla insuf• ficienza degli armamenti americani, si diede a predicare la necessità di aumentarli. Un p;,;ese come l'America, che ha da spender~ alcuni miliardi ali' anno per dar lavoro a1 disoccupati, deve pur fare qualche cosa dei miliardi che spende: e nulla vieta che ne faccia navi da battaglia e aeroplani da bombardamento; ma che l'America, costruendo navi e aeroplani riesca a intimidire il Giap. pone è questione molto dubbia. In fondo, gli stessi americani ben sanno che non po• tranno mai fare la guerra al Giappone per le ragioni che una rivista di New York lucidamente elencava come segue: 1) perché perderebhero immediatamente le Filippine; 2) perché sarebbe quasi impassibile combattere una siffatta guerra, data l' immensità dell'Oceano Pacifico; 3) perché la detra guerra cos1erebbe ogni mese ali' America tanto quanto vale il suo commercio con l'Oriente per un intero anno; 4) perché sareb~ dubbia la vittoria dell'America. Quello che la rivista non diceva è che la pace aHà le stesse consegucnu; e cioè l'America p('rderà non comba11endo quello che perderebbe comballendo: le Filippine, il commercio con l'Asia, il dominio del Pacifico. La politica interventista del presidente RooscHlt è entrala in una fa1e acuta dal settembre delle scorso anno: dopo Monaco. Già nel messaggio che egli invii> a Hitler nel corso della crisi cecoslovacca per invitarlo a desiuere dalle misure estreme, u~ un linguaggio panicolannente grave. Segul la pace di Monaco e, tre settimane più tardi, la caduta di Canton. L'America fu percorsa da un brivido. I due avvenimenti significa- . vano il collasso della potenza britannica in Europa e in Asia. Ora gli S1ati Uniti hanno, da Trafalgar in poi, goduto di una sicurena quasi completa perché nei due oceani dominava la potenza navale britannica. Al• l'ombra dell'Union ]od, essi poterono per più di un secolo mantenere un sistema di isolamento senza grandi armamenti e senza grandi sforzi diplomatici.. Dopo i grandi av. venimenti di settembre e di ottobre, una in• va1ione del continente americano da parte di europei o di asiatici rimaneva impouibile, co:ne lo era prima. Ma diventava po!Sibile, anzi probabile, che le grandi potenze anglo. sassoni do"euero, in un avvenire non lontano, dividere il dominio dell'A1lantico e del Pacifico con i nuovi imperi. Senonché, siccome il popolo americano non accette ..ebbe di far la guerra per ragioni di im:,'1'ria. lismo marittimo e ancora meno per difendere l'Ucraina o la Cina, cosl una propa• ganda sfrenata e senza scrupoli si è assunto ,. il compito di fargli credere che, presto o tardi, tedeschi e giapponesi aualiranno i1 continente americano. Ed ha anche precisato che cominceranno dall'attaccare il Brasile. Una volta creata nel pubblico questa specie di psicosi di guerra, la politica fstera di Roosevelt si è potuta, più risolutamente che in passato, sviluppare in 1enso bellicoso. Ci sono siati importanti sviluppi sul fronte asiatico, che sono culminati neUa conceuia. ne di un credito di 25 milioni di dollari alla. Cina da parte dell'Export-Import Bank, e nelle negoziazioni per il mantenimento dell'open door in Cina. Ci sono stati i negoziati di Lima per la dichiarazione di .alidarietà continentale. e•~ stata la grave tensione con la Germania, occasionata dalla campagna antisemitica: congedo a tempo inde1erminato degli ambasciatori, diJCono del segretario di Stato Ickes, protesta tedesca, reiezione di e»a da parte del sottose. gretario americano agli Esteri, violenta cam. pagna di stampa. Alla fine, il presidente ha lanciato il suo sensazionale messaggio del 4 gennaio. Sembra, dunque, che l'amministrazione RooK"vclt non solo si a\·vii all'intervento, mà che, in questi ultimi mesi, abbia accelerato i tnmpi. E la ragione di questo accelera~ mento è stata rivelata dall'Associattd Press. Secondo una corrispondcnza di ques1a agenz.ia, nel mese di no\'embre Ciang Kai Scek conferì con gli ambasci,uori di Gran Bretagna e d'America e notificò loro che, se non a\'esse ricevuto immediatamente aiuto dai rispettivi governi, egli si sarebbe messo d'accordo col Giappone per il tramite della Ger• mania. Questo era per l'America qualche cosa di as5ai più grave e a»ai peggio di quello che e,sa aveva fino a quel giorno temuto L·America aveva temuto la vittoria del Giappone: dopo di che il governo di Tokio avrebbe 3\"UIO bisogno di anni per la rior. ganiuazione del paese conquistato. Ora, in- \e€e, appariva possibile la immediata collaborazione del vinto col vincitore. E il Giappone, al momento stesso in cui la Cina si fosse associata ad esso, sarebbe diventato la più formidabile potenza del Pacifico. Qualche cosa di simile, sebbene su una scala più piccola, è già accaduto in Europa: la Cecoslo\ acchia da nemica della Germania, quale era da ,•enti anni, è diventata, dopo Monaco, parte integrante del sistema politico ed economico tedesco. Ed ora l'America teme che anche la resisten:r.a anglo.francese crolli e che la Germania guadagni altri soci. Tutto quello che siamo venuti dicendo spiega come mai il presidente Roosevelt abbia potuto parlare nel "modo in cui ha parlato il 4 gennaio al popolo americano, che fino a pochi mesi fa era risolutamente av- \'CfSO a qu~lsiasi intervento nelle contese fra altri paesi. Ma non giustifica affatto il ,nodo in cui, in quel bellicoso messaggio, ha alterato la verità. Egli ha detto, per esempio, che e l'America è messa in pericolo mortale dalle dittature e che gli Stati Uniti devono essere pronti a difendere la loro vita e le loro libertà con una fon.a militare adeguata a rt:spingere qualsiasi tentativo che venisse fatto per restringere quei diritti •· Ora, sebbene gli imperialismi democratici usino sempre dirc che intendono difendeni, anche quando fanno conquiste, qui il trucco è troppo evidente, perché nc$Sun pericolo minaccia la vita o le libcr• tà degli Stati Uniti o dei loro cittadini. La possibilità di una aggressione non ! c.he una amena invenzione dell'amministrazione RooSC\'elt, e gli steui esperti americani (diceva The New Rtpublic), quando si riesce a persuaderli a parlarne, ne ridono: «This is tht: administrotion's stor1 and Unitt:d States mititary t:XfJt:rU,wht:n th,y con bt pusuadt:d to talk 01 ali, laugh at it •· Ma un paese che, qualche mese fa ha creduto di essere invaso dagli abitanti' del pianeta Marte, può ben credere alla possibilità di una invasione giapponese o tedesca. RlCCIAROETTO
V '.'/ VILLEGGIANTE ingle- ,c mi disse, durante un giorno di pioggia che ci 'ìOspingcva a oziose simpatie, che Adamo era stato il primo tory. < E guardate ,, soggiungeva, e quanti guai ~ono venuti al mondo perché il suo solido buon ~nso con!>Crvatore si è la:;ciato per un momento \Cdurre dall'eloquenza di Eva >. Egli mi disse queste parole con umori~mo, ma anche con fierezza convinto che l'aver mC:,'iO sullo stc~ piano Eva e il signor Ramsay MacDonald conf utassc bastevolmente il responso degli elettori inglesi che avcv.lno portato allora allora i laburisti al potere, e che il rintracciar così in alto fino al primo parente l'albero genealogico di Stanley Baldwin conferisse a questi un prc,tigio superiore alle sfortunate vicende delle elezioni. Là per là io rimasi abbastanza persuaso, e non na,.. scondo che l'istinto tor1 che pure in mc sonnecchia aderì con simpatia a questa immagine di Adamo ltader; ma poi col tempo il dubbio mi $i è introdotto nel cuore, che quella immagine possa c-~ere vera, ma in un senso diverso, e cioè proprio in quanto pone sotto il segno di una fatalità biblica la sorte comune di tutti i partiti conservatori, di essere costantemente sconfitti, qualche volta onorevolmente con le armi alla mano, assai più spesso per essersi lasciati indurre in tentazione da lusinghe carezzevoli a mordere il frutto della popolarità. E certamente il nome di conservatore è oggi assai difficile a portarsi. Presenti sempre, insopprimibili, preziosi forse, anche là dove la legge della rivoluzione permanente implica il riconoscimento della loro perenne resistenza da vincere con una perenne volontà di movimento, nessuno dei conservatori osa ormai più di portare quel nome con tutta la fierezza che meriterebbe non foss'altro per quel non so che di araldico che gli compete, e per le onorevoli imprese compiute da coloro che in altri tempi se ne fregiarono. Un partito che osi dirsi apertamente cono;ervatore è ormai ~comparso dalle lotte politiche del continente, e oggi tanto il clima dei paesi totalitari, quanto quello delle democrazie almeno in questo si rassomigliano, che in entrambi il vocabolo e conservatore » intristisce nella diffidenza o nel disprezzo, e diventa sempre più antiquato e fuori uso. Un paese soltanto, anche in questo seguendo leggi e costumi propri, gli mantiene tutta la sua vigorosa attualità: solo in Inghilterra e5a.ste ancora un partito che non teme, battezzandosi e conservatore», di veder fuggire lontano dai suoi candidati gli elettori ironici o indignati. Laggiù leghe conservatrici prospere di numero e di fi. T.0,1za raccolgono ~otto lo stes.w aggettivo gentiluomini e bottegai, il lord o/ the manor e il contadino, e perfino l'operaio. E se talora qualcuno insorge contro quella parola è perché, due volte inglese e con!tervatorc, gli preferisce ancora quella più antica di lor,, che a tenerla fra la lingua e il palato suscita col suo sapore insulare immagini inconfondibilmente' britanniche: lo squ.ire del Vicar o/ Wakefield e dell'Isola del •esoro, la Merr1 old England di W.-.lpole e dei Pitt. I whigs ormai non esistono più : la loro opulenza, il loro accorto nepotismo, il loro stile veneziano sono scomparsi senza lasciar traccia e molto dubbia appare ormai la filiazione da loro degli ultimi liberali di sir Archibald Sinclair. Ma i tories csinono tuttora : eterni come la parrucca del Lord cancelliere anche se posi iulla fronte laburista di lord Sankey. Vi è un solo inglese che sia immune da torysmo? Dello stes~ Gladstone, Balfour diceva: e In ogni cosa, un Lrcmcndo vecchio lory ». Del resto, chi potrebbe concepire se non in un pac-.c di profonda scnsibiJità tory e di intimo snobismo il prodi- ~ioso successo d<'II<'filippiche di Lloyd Gcorge contro i e duchi », nell'immediato anteguerra, quando ormai sul continente da decenni i duchi non app,:1.rivano più se non sui resoconti dei balli di beneficenza? Non si prova gu- ~to a ridere che di ciò che ci opprime con una latente no..t.algia. L'inglese nasce deferente e rispettoso anche quando nasce sovver,ivo, ma grazie all'empirismo del suo genio nazionale porta con '!o,équesto dualismo senza pena, componendolo in una solu7.ione di comprome-.so nella quale lo ,;nobismo ha molto ,;pesso la 1>artemigliore. E in sostanza si può dire che è lo snobismo, elevato alla dignità di forza nazionale di preservazione, che mantiene ancora alle vecchie cla~,i il vago prestigio che è alla base della sopravvivenza, sotto forme e in epoche divcr,e, del partito con;,crvatorc. « L'aristocrazia inglese ha conqui~tato Chamberlain, ha assorbito Asquith, ha incantato Morlcy. Uomini che erano stati feroci radicali divenne~ ro col tempo felicemente pari del Regno». Chambcrlain, e il formidabile ,;indaco r~ldicale di Bi,-mingham », il fanta~ma che aveva errato per i corridoi dei ca~telli dei milionari come una minacci~, vi apparve in carne cd o!- sa, con il monocolo e la famo,;a orchidea, fiero di appart(•nere al partito d~i « gentiluomjni inglesi », pregevole e ncercato ornamento delle feste e dei pranzi di Bclvoir e di Cha1_;twort. La « pas..,a,tadi morbillo> : così è chiamata nelle file del laburhmo la cri.si di ,nobi,;mo che fatalmente coglie i leader.r al primo pranzo di Corte, al primo week-end in una villa patrizia, « alla prima parola cortese di un duca»-: e è una malattia inevitabile, che ,i propaga con grande rapidità spcrialmente attraverso le mogli degli uomini politici di mezza età>. A proposito di questa deferenza innata dei suoi compatrioti, Chcstcrton fa una osservazione acuta: se un giornale francese di avanguardia è capace di attaccare apertamente l'esercito, un suo confratello inglese della stessa categoria oserà al massimo attaccare il ministero della Guerra. E Chesterton conclude con Cowpcr: e La loro timidità mi urta ». Ed ecco forse la parola chiave : timidità. Il conservatorismo inglese è forse una maniera rassicurante di progressismo ad uso dei timidi, Giacché dopo la sua grande sconfitta nella riforma elettorale del 1832 la storia del partito conservatore inglese è in sostanza quella della sua co:itante, sistematica evoluzione verso idee e programmi di sempre più vast<' e complete trasformazioni. Ogni decennio il bilancio della lotta fra i due principi opposti della resisten7..ae del movimento, come diceva Guizot, si chiude sep,ando un passo avanti verso la realizzazione di quel postulati che erano causa di terrore e sgomento ai conservatori della precedente generazione, e il più dcli" volte queste reali.t7..azioni ~no precisamente l'o).'>('ra.dei conservatori al potere. L'avvento delle masse all'elettorato ha co-.trctto i conservatori fin dai tempi di Di.,radi in questo dilemma: trasformar'>i o ,parirc. E co- ~ì all'ombra del vecchio pa, tito si \O00 raccolte cose, principi e idee che in realtà non avevano assolutamente nulla a che fare con lui, ma che pure vi si sono naturalizzate e vi hanno prosperato, invocando nel più remoto passato il precedente del benevolo despotismo signorile, dei contatti din.'tti fra la ma,;,;a e il signore, « the hall and the cottage», per ~iu'ltificare_ la comunica7ionc diretta del vecchio nucleo aristocratico col popolo al disopra delle cla.ssi medie, nate dalla modernità. E nacque così la tory democracy, fra le alte strida di orrore e di stupore dei whig.r, e le sommesse prote.,te di molti conservatori di antica osserva11.1a. , e le ironie del Punch e le profezie altere di breve durata. L'accoppiamento auTBJ.DIZIONI DELLA VEOORU llfGRILTBBBA I GIODIOI llJ PREOKIEBA LOlfDBA • BAMBINI ORE AOOLAMANO LA PRINOIPE88J. REALE dace di quelle due parole sembrò a moltissimi un paradosso, e come il parlare di un negro bianco». Lord Rosebcry chiamò .senz'altro la democrazia conservatrice un'impostura, e la sua doppia diffidenza di whig aristocratico per i conservatori e per il popolo gli suggerì di definirla « il lupo radicale nella pelle dell'agnello consc1vatore :t. E a questo travestimento egli dava una iipiegazione ostile, l'opportunismo. Secondo lui in sostanza i conservatori facevano proprio il programma dei radicali per far dispetto ai liberali sorpassandoli: un po' come Ferdinando I I conct.-deva la costituzione, e ppe' menà na trava > fra le gambe degli altri prìncipi che lo avevano sopravvanzato con le riforme. La democrazia tory, disse sir John Gon.t, e tuttora ripete Neville Chambcrlain dopo lord Baldwin, « è democratica perché ha il benessere del popolo come fine supremo, è tory perché le istituzioni del paese sono il mezzo col quale essa intende raggiungere il suo scopo». Sono parole vaghe, in fondo, che nascondono pericolosi tranelli al vecchio cuore di molti con~rvatori. Attr.wef:)o quelle parole, i principi si anc-mizzano fino a diventare soltanto dc-i -.f'ntimcnti; la democrazia tory in fondo non ha più ta'1t0 una fede, quanto delle affezioni: vuol bene alla Corona e alla famiglia rt:'ale, dlla Camera dei lords, alla Chie,;a stabilita, ai proprie-tari terrieri che fanno parte del paesaggio inglese come le querce e i prati che lo adornano; ma è tutt'altro che ~icuro che al momc-nto opportuno non ~aprebbc sacrifical'l' anche questi iiuoi affetti alla neces\ità di mantenere nelle file dell'organi21_'\zione le masse di elettori. ='ion altrimenti la democrazia ha imposto il sacrificio del ~uffra.- gio rinrctto che era infinitamente caro al tory~mo, che era anzi in c<-rto senso la sua ragion d'essere. Più ancor.\ che la riforma del '3~, che in .!.O\tan1:anon aveva alterato profondamente l'a:ipetto dei Comuni, è stata la riforma <'lct• torale del '671 proposta dal mini ..t.cm conservatore di Disrac-li. a fondare la dcmocra7ia in lni;!hilterra. e: S1a1110arrivati ade~M> 3 una completa rivoluzione dcJJ,, uostra c~tituzione: voi avete i,;tituito due partiti che d'ora innanzi, come i due personaggi di Aristofane, cercheranno soltanto entrambi il favore di Dcmos »: cosi pianse Lowe, l'ultimo conservatore vero, sulla brillante manovra t!lttica di Disracli. « Stupidi. ottusi gentiluomini di campagna, che si ,;ano lasciati trasformare in radicali senza accorgersene », sogghignava Berna! Osborne. Certo talvolta i conservatori all'indomani di una legge troppo innovatrice posta sullo Statute Book hanno provato la scmazione di essersi spinti troppo oltre, di essersi troppo snaturati : e allora nelle file del partito si sono disegnati movimenti di reazione, e i vecchi mctivi 1_,entimentali sono stati riprC!ii: e la caccia alla volpe è riapparsa nella ma maestà ari~tocratica come un'istituzione nazionale>. ln quei momenti di amarezza e d1 disagio, guai a ms1stere troppo sulla parola e democracy :t : la patetica storia di lord Randolph Churchill è un esempio di quanto i tories sappiano essere tories appena lo po,\Ono senza pericolo. Lord R.andolph, il fondatore della ancor potente Primrose League, era stato il principale artc-fice con argo'1-lcnti democr.ttici della vittoria alle elezioni del 185 : per la prima volta. attirati dalle sue promesse e d,,1 suo fascino ~li operai avevano seguito alle urne il partito del marche~e di Salisbury e i giovani, che da tempo disertavano il partito, vi erano tornati in gran numero, attratti da lui. Ma una volta stabilitisi al potere, i con~rvatori non ne vollero sapere del suo programma di riforme che non ,embravano ancora di attualità, e si sbaraz1.arono di lui senza riguardi, offrendolo in olocau,;to ai corrucciati numi del passato. li tramonto di lord Randolph parve ,egnare un mom<•ntaneo declino della democrazia conservatrice. Ma a salvarne le sorti, e a renderla ormai irrevocabile, sor~ un personaggio di 1 tempra assai più robu~ta del nervoso e suscettibile discendente dei Marlborou({h. Toccò a Joseph Chambcrlain di portJrc ancora una volta le masse a contatto col conservatorismo. Attravcr- 'iO la sua mediazione, torysmo e democrazia comunicarono ancora nell'impcrialisn10 e nell'unionismo. Meditando sulla guerra di secessione americana, Chamberlain aveva compreso l'errore comme.,so allora da tutti, di credere che le democrazie siano per essenza pacifiche. In America, era stato precisamente il popolo a voler la guerra fino in fondo, a trasfondervi il quantitativo d'odio che avc.ya perme,;.so di condurla fino in fondo. Un'oligarchia avrebbe forse pacificamente acconsentito alla scc-es.,ionc, come intorno a Chambcrlain molti inglesi delle classi alte diventavano little euglanders, consideravano l'impero soltanto come un pesante fardello, e aderivano senza ripugnanza all'idea della prossima secessione dei domini e delle colonie dalla madrepatria. La sua sensibilità di uomo proveniente da quelle clas~i popolari che ora dominavano la vita pubblica permetteva a Chambcrlain di sapere che fra' loro sarebbe stato pos5ibile trovare una profonda sensibilità alla poesia dell'impero, cd egli intuì que- ~to uomo nuovo, impensabile al più dei suoi contemporanei, l'operaio jingoista, pieno di solida sicurezza britannica, che ama Tommy Atkins e la flotta, e si ubriaca patriotticamente la ~- ra della liberazione di Mafeking. All'indomani della guerra boera, la sua guc,rra, le elezioni kaki mostrarono quanto egli avesse avuto ragione. Ciò che bi~nava « conservare :., ora non era più sul piano della politica interna, ma su quello della politica mondiale. Il senso aristocratico passava dal predominio di una clas,e sulle altre al predominio di un popolo intero sugli altri, missione provvidenziale prescritta da Dio agli inglesi, nella quale tutte le claslji di questo popolo eletto che trovava in Kipling il suo profeta e nei costruttori di ponti i suoi eroi, potevano trovarsi d'accordo: il gran ç,ignore whig che diventava unionista in odio all'Home Ru.le e il popolano diventato imperialista per amore della regina. Questa ondata di imperialismo minacciò nel primo decennio del S<"colo di alterJre tutte le armonie della vita politica sociale e anche intellettuale inglese. Un fenomeno assolutamente nuovo ~i presentò nell'isola: il milit.."':.rismo.In un paese dove per secoli il mestiere delle armi era stato guardato col disprezzo col quale lo guardava un mandarino della vecchia Cina gli ufficiali conservatori si sentirono' abbastanza sorretti dall'opinione per arieggiare quasi un pronunciamento contro il go"cmo liberale troppo arrendevole agli irlandesi. E per la prima volta, facendo il computo delle forze dei partiti contrapposti sulla questione dc) veto dei lordsJ si sentì, pur vagamente, fare. un acc~nno ~Il~ sim~ patia conservatrice degh ufficiali dell'armata territoriale. Poi la guerra 1 troncò dall'esterno questi sottili processi che si andavano svolgendo nell'organismo insulare. L'operaio imperialista si accorse che ci sono guerre più serie di quelle combattute da lord Kitchener con poche centinaia di soldati di mestiere in contrade lontane. Dopo quattro anni di propaganda contro il militarismo e l'imperialismo tedeschi, Kipling era fuori moda e veniva su un nuovo pacifismo : disarmo, lega delle nazioni e via dicendo. L'unionismo non poteva più servire a mantenere gli operai e le masse nelle file dd partito conservatore, tanto più che, come aveva previ~to Lowe, ora ~li operai avevano imparato « a metter su bottega per se stessi » : il piccolo gruppetto dei deputati laburisti accodati ai liberali, i lib-labs, come venivano chiamati, era diventato il Labour Party, e rimpiazzava completamente il vecchio partito liberale nel gioco dei due partiti in gara. L'avvehto del laburismo ha in certo senso semplificato fa posizione dei conservatori : se col tempo era sempre diventato meno chiaro e facile distinguere un tOT)' democratico da un liberale moderato, le rivendicazioni operaie sulla scena parlamentare ed elettorale permettono al conservatorismo di assumere contorni più definiti. Ma anche qui~ soltanto fino a un certo punto. E i motivi della tory democracy assumono sempre più un tono che cerca in un socialismo prudente il plauso delle masse operaie. Del resto la fisionomia dei componenti del partito va trasformandosi profondamente. Prima della guerra, quando « il dilettantismo pervadeva tutta la vita pubblica inglese», il partito Continuava ancora ad arruolare i suoi candidati fra i membri della gentry; ma, ora che non ba- :itano più « la trovata occasionale dell'empirico abile o il buon senso generale», il cou.,itry gentleman si sente sempre meno a suo agio con le sue conoscenze vaghe e generali, e il partito si rivolge sempre più ai tecnici, agli economisti, a coloro che sanno parlare con sicurezza di piano quinquennale e di scambi e valute. Sempre merlo numerose si fanno sui banchi della Tesoreria le facce rosse di sole e di vento degli squires fra quelle pallide dei sapienti urbani, dietro le cui fronti colte si agitano idee ed ammissioni, principi e riconoscimenti che possono porta.re molto lontano. Con il loro profondo istinto delle aspirazioni della massa, caratteri~tico più della loro tradizione aristocratica che delle nuove adesioni delle classi medie deluse dal liberalismo di Lloyd George, ancora una volta i conservatori hanno saputo mutarsi in tempo, hanno as'!lunto un atteggiamento pacifi1_;tae arrendevole: non profferiscono mai la parola e armamenti » senza farla iscguire da abbondanti assicurazioni sul loro ~copo difensivo, sulla loro efficacia per preservare la pace. li linguaggio altero dei loro mag• giori è davvero ben lontano dalle lo• ro labbra. Oggi essi !-iivantano di esser wprattutto, in contrapposizione con le chimeriche a~pirazioni del sociafo,mo, « un solido corpo centrale di forte buon scmo e moderazione per la preservazione della pace e della tranquillità >. Coloro che ...ano stati un tempo gli unionisti hanno rinunciato, senza qua,;.i neppur discutere cinque minuti, anche all'ultima vestigia dell'autico dominio sull'Irlanda, il diritto di occupare alcuni porti della costa, indispen ..abili, :-.i rra detto, alla manovrabilità della flotta. Fra le file iste~sc del p.utito sorgono anche que- ~ta volta dolorosi stupori, si fanno imbarazzanti ,ilenzi, oppure prorompono impazienti protCstc. E cçrto que~ta rapidità di acquie- :itenza che da un lato li fa rassomigliare stranamente a soeialisti, dall'altro a little englanders per'!luasi che fra poco l'Inghilterra non debba essere che una più popolosa Olanda, può meravigliare, giacché un tempo i con,crvatori, se acconsentivano all'interno alla democrazia, era \Oltanto per arruolare la massa all'cspamionismo imperiale all'esterno. Oggi invece e~i tendono a nazionalizz.)re le miniere, abbassano le ultime U ,:ion jack in Jr. landa, e in compcn~ ... lasciano che il Giappone avanzi in Asia, l'Italia in Africa e la Germanìa nei Balcani. Che giuoco è questo, domandano Chu1·- chill e gli intrano;i~cnti? E. una questione soltanto di aeroplani che mancano, o una più complessa questione di !>Cnilescenza ? O più brutalmente è I' imbarazzo formidabile di una situazione nuova, di fronte alla quale le vecchie norme non hanno più insegnamento da dare, poiché tutte le posizioni tradizionali .s<>nosconvolte in un mondo dove le potenze egemoniche sorgono in tre alla volta e operano tutte insieme dall'oriente all'occidente e non è più ,;.uJla ~cietà sola, ma s~lla geografia dei continenti che incombe la minaccia del caos? MANLIO LUPINACCI
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==