gli dico di portarr il biglietto al ,accrdotc. Dopo un po', ~nto ~ulle scale i pa~i del mio amico. Si avvicina alla porta l'apre, mi guarda a lungo, senz."\ par: lare, con aria interrogativa. Io a~pctto che egli entri a chiedermi scu,a: per mc questo è un .'{r;rn momento. Ma il mio amico chiude piano la porta e si allontana. Sono stupefatto. Mi ha insultato di nuovo! La sera della distribuzione dei diplomi sono guarito. Il direttore fa un di- '-COrso, dalla pedana, poi comincia a distribuire i rotoli. Quando ce li consegna, dobbiamo dirgli: e Grazie >. A '-UO turno ognuno dice dunque grazie, . grazie, grazie. Ma quando mi conscJ!:na il mio, lo guardo bene in faccia. senza dir niente, r da quel ~iorno non ci guardiamo pili. Il settembre scgu<'ntc mi i-:c)-ivo all'università. ., e Dov'è nato vmtro p.1dre? > mi chiedono. e A Burno'I. Aire\ in Argentina >. Siamo da <·apo. VII. li ti'mpo pa"-!la e pa,;sano i giorni di scuola. Ora <;0no seduto )U un muretto, nella plaia, e guardo una fiesla me~~icana, nella strada, davanti a me. Un uomo mi si avvicina", ~alta anche lui sul muretto, e mi chiede una sigaretta. Gliela do; accendendo~_!'uomo attacca discorso e parliamo di cose qualunque, finché la fiesta è finita. Poi scendiamo dal muro e, sempre chiacchiC'rando, ci avviamo verso il Tenderloin di l...o<i Angeles. L'uomo ha bisogno di radersi, e i suoi abiti gli cadono di dosso: è chiaro che è un vagabondo. Infila una bugia sull'altra; le dice male, anche. Ma io sono solo in questa città e lo ascolto volonticri. Entriamo in un ristorante a bere una tazza di caffè. Siamo diventati amici, ormai. L'uomo è venuto a piedi, o chiedendo qualche passaggio agli automobilisti, da Chicago: cerca una ~ua <;0rella che sta qui. Ha il suo indirizzo. ma non ve l'ha trovata, e da "due settimane la cerca dappertutto invano. Non la ~mette di parlare di questa sorella, le gira intorno come un mo,;conc, si aspetta evidentemente che io lo interroghi sull'argomento. Vuole che tocchi la molla che scaricherà i -,uoi sentimenti. et maritata? > chiedo. Immediatamente l'uomo si scaglia contro sua sorella, con martello e tenaglie. Che sorella è, se lo lascia girare nelle strade senza un centesimo in tasca, sposata com'è con un Uomo ricco che potrebbe trovargli un impiego? L'uomo crede che sua sorella gli abbia dato appo~ta un indirizzo sbagl~alo per impedirgli di trovarla ; quando potrà metterle le mani addosso, giura, le torcerà il collo. Alla fine, quando si è sfogato, fa esattamente quel che mi aspettavo: e E voi>, chiede, e l'avete una ~ ,;ella?>. ' Gli dico di sì. Egli aspetta di udire quel che ne penso, ma non l'accontento. Ci rivediamo una settimana dopo. L'uomo ha trovato sua sorella, e ora la loda altamente. Suo cognato è stato persuaso da lei a dargli un impiego, e domani l'uomo prenderà servizio come cameriere nel ristorante di suo cognato. Mi dice l'indirizzo, ma io capiM:o ~lo vagamente che deve essere nel quartiere italiano. Così è, infatti, e per una strana coincidenza io conosco il cognato dell'uomo, Rocco Saccone : un vtcchio amico dei miei t> un paeiano di mio padre. Una sera, due settimane dopo, mi trovo nel ristorante di Rocco, e Rocco e io discorriamo in italiano, quando l'uomo che ho incontrato nella pla(,a esce dalla cucina con un grembiale intorno ai fianchi. Rocco lo chiama, qucJlo si avvicina, e Rocco me lo presenta comr il suo cognato di Chicago. Ci stringiamo la mano. e Ci siamo già incontrati >, dioo ma evidentemente l'uomo della plaia' non ha piacere che si sappia. Lmicia andare in fretta la mia mano e va dietro il b2nco, fingendo di aver qualcosa di Urgente da sbrigarr. Si vede benissimo che finge. Rocco mi dice forte: e Quel tipo è un vigliacco. Si vergogna del proprio sangue e della propria carne! >. E, ri- \l'olto all'uomo: « Non è vero?>. e Ah sì? > ribattè ironico l'uomo della plaia. « Che cosa intendi dire. Mi vergogno di che, sentiamo?.-.. I « Di essere italiano>. risponde Rocco. e: Ah sì? > fa l'uomo della plaia. e Non sa dire altro lui >, mi dice Rocco. e Ah sì? Ecco tutto quel che ~a dire! Ah sì? Ah sì? Ah sì?!>. 1 « Ah sì? > ripete l'uomo della plaia. e Sì >1 dice Rocco, col viso paonazzo. e Animale vigliacco! >. L'uomo della plaw mi guarda inar- , cando le sopracciglia, e non sa, pianta• to lì con i suoi occhi liquidi neri, e non sa che col suo grembiule di cameriere è come un dio; è un dio, anzi, capace di far miracoli. No, non lo sa, non lo sa nessuno, eppure lui è questo: Jui, fra tanti. Lo guardo, e provo quel f.he provavano mio padre, e il cuoco 0ei gesuiti, quello che prova ora Roc- ~ o. Mi sembra di esser finalmente torato a casa, e mj stupisce che questo itorno che oscuramente ho sempre Preveduto, accada ora così tranquillamente, senza tuoni o squilli di tromba. « Se fossi in te mi sbarazzerei di lui ! > dico a Rocco. I e Ah sì? .-. ripete l'uomo della plaia. Lo cazzotterei volentieri. Ma a che ~rvircbbc? :È. stupido prendere a pugni il proprio cadavere, no? GIOVANNI FANTE I'( l'OPOLI meno ricchi di materie pnl( me giudicarono somma imprudenza, \."tale da compromettere seriamente la luro vita, il loro avvenire. la loro dignità, il far dipendere la loro economia dalla possibilità o meno di vendere fuori delle frontiere le merci prodotte sul loro territorio. Essi si sforzarono di produrre sul loro suolo tutto ciò che fosse necessario per la loro esistenza e per la loro difesa. Le risorse nazionali furono sfruttate al massimo. Dove mancavano le materie prime, l'ingegnositb. dei tecnici creò in gran numero dei surrogati. Fu il tempo dell'Autarchia, per usare una parola venuta allora in ~ran voga. 1 popoli ricchi di materie prir.'\e furono obbligati a seguire il movimento. Scomparve allora presso che del tutto la divisione internazionale del, lavoro e con essa 11 mercato mternazionale. Il commercio internazionale ,i contrasse enormemente•- Eccetera, eccetera. Queste e simili cose leggeranno ne, ma• nuali di storia gli alunni liceali del ventunesimo secolo che studieranno il Dopoguerra. li curioso è che questa storia era stata scritta in anticipo. C'è un libro che enuncia la teoria dello Stato autaì-- chico prima (assai prima) che si parlasse di Autarchia: questo libro, pubblicato negli ultimi mesi dell'anno 18oo, è Lo Stato commtrcialt chiuso di Giovanni Amedeo Fichte, il grande discepolo e continuatore di Kant. l manuali di storia dell'economia politica lo citano (.;Omeil primo libro in cui con chiara coscienza s, delinei il programma di un Socialismo di Stato. Ma, forse, sarebbe più esatto parlare di Stato autarchico e corporativo. N~ quelle di Fichte sono vaghe e confuse profezie tipo ibis redibis. Il programma di autarchia presentato da Fichte è svolto nei più minuti particolari con la lucidità che Fichte aveva (quando la voleva avere) e con quella ferrea consequenziarietà che è tutta propria di quel pensatore che riuniva in sé al più alto grado le due qualità che fanno il sommo filosofo: l'originalità del pensiero e l'intrepidità logica nel trarre dalle premesse le conclusioni. N~ si tratta di un'escogitazione cervellotica a vuoto, di un'utopia sognata a occhi aperti. un programma pratico, che Fichte sperava di veder realizzare e col quale rntendeva ovviare a mali economici di cui aveva la più perfetta visione e previsione. Nell'anno 18oo l'economia capitalistica - soprattutto in Germania - è ai primi vagiti, e pure Fichte ha la visione lucidissima dell'anarchia che essa si covava nel seno, conseguenza della libertà illimitata a cui pretendeva. li compratore - osservava Fichte - cerca di estorcere al minor prezzo possibile le merci al venditore, e perciò reclama la libertà di commercio, cioè la libertà del venditore di portare la merce al compratore a rischio d1 non trovare sbocco e di dover vendere sotto costo. Da questo rischio 1I venditore si difende con gli accaparramenti, i rincari artificiali, ecc. Di qui, frodi, crisi, disoccupazione, insicllrezza della vita, frutti dell'illimitata libertà commerciale. E pure a questa libertà gli uomini ci tengono sopra ogni cosa: e vogliono essere assolutamente liberi di rovinarsi reciprocamente». La rivalità commerciale è la vera causa delle guerre, alle quali - osservava Fichte, che non invano aveva seguito ciò che andava accadendo durante la guerra contro la Repubblica francese - si dà la maschera e il nome di crociata contro il regime politico di un popolo. Si fa la guerra al commercio e si dice d.1 farla alle idee. Dalla rivalità. commerciale nascono: le lotte per il dominio dei mari I quali dovrebbero essere aperti a tutti i popoli; il monopolio del commercio con questo o quel popolo straniero, commercio che dovrebbe esser libero a tutti; il pericolo dell'indipendenza nazionale, poiché uno Stato che vive di vendita all'estero non può essere sicuro del domani, questo domani non dipendendo da lui: che i suoi clienti cambino gusti, ed è rovinato. All'anarchia commerciale insita nell'economia del libero scambio Fichte oppone come rimedio lo Stato commerciale chiuso, cioè lo Stato corporativo e autarchico. Lo Stato che egli propone si divide in tre grandi corporazioni: Produttori (agricoltorì cd estrattori di materie prime). Ar11"giani,Commtrcianti. I Produttori, prelevato ciò che è necessario per la loro sussistenza, forniscono agli Artigiani il necessario alla loro vita e al loro lavoro. EUPEN (BELGIO) - "KE&KE88E EROIOJ." Gli Art1gwm dànno loro 1n cambio , prodotti lavorati equi~alent1. I Comm,rcianti pongono in rapporto le due categorie, ma si limitano a commerciare con i loro clienti e rinunciano a commerciare fra loro. I rapporti fra le tre classi non sono lasciati al caso: lo Stato ne t: il supremo regolatore. Esso determina il numero dei lavoratori d1 ogni clas11e,in• terdisce agl'incapaci l'esercizio d1 questo o quel mestiere, regola I prezzi, sorveglia gli scambi, punisce la frode. ccc. Lo scopo è che tutti vivano col massimo d1 conforto possibile (senza però mirare a una impossibile uguaglianza totale) e chl' tutti abbiano 11 massimo d1 tempo disponibile per attendere dopo il lavoro alla vita spirituale (ed ecco anticipata l'idea del Dopolo,·oro). Ma affinché la minuta regolamentazione dello Stato corporativo si possa mantenere, è necessario interdire ai cittadini ognJ commercio con l'estero. ché l'introduzione d, mercanzie dall'estero romperebbe l'equilibrio dei prezzi e delle merci penosamente costruito. :\1essosi su questa via, F1chte trae intrepidamente le conseguenze delle sue premesse. Egli preconizza una politica degli ammassi e delle riserve, pu' ovviare a tempo alla carestia. Soprattutto. cosa capitale, bandisce dall'interno dello Stato ogni moneta che non sia puramente fittizia e convenzionale. La moneta non deve essere che un ,emphcc strumento d1 scambio cir.::olantc all'1nterno, non deve avere di per sé valore reale. non deve essere una merce (oro e argento), ma un semplice segno arbttrario. Che ce ne sia molta o poca, non ha importanza. Ciò che importa è che ena segni l'esaua proporzione reciproca delle mercanzie in circolazione. Quindi ogni importazione di oro e argento dall'estero è vietata. Né basta. Tuna questa costruzione non avrebbe base se lo Stato non fosse in condizione d1 fornire ai cittadmi cib d1 cui hanno bisogno. Per questo, è necessario che ogni Stato raggiunga le sue frontiere naturali, cioè quelle che gh assicurano un territorio che produca tutto il necessario per I cittadini. Solo dopo la conquista delle frontiere naturali lo Stato può chiudersi senza pericolo. E per lt" merci che fosse del tutto impossibile produrre sul suolo nazionale? Per queste, bisogna farne a meno quanto più è possibile. Solo la chiusura degh Stati, afferma Fichte, può assicurare la pace, ché fino a che uno Stato dipende dagli altn per la sua vua le guerre saranno inev1tab1li. Tutto si concatena nel pensiero d1 F1ch1e: al limite, totale cessazione del commercio internazionale; per questo: squalifica dell'oro e dell'argento. come moneta; per questo: moneta convenzionale che circola solo all'interno; per questo: disponibilità sul suolo patrio del necessario alla vita comoda e riposata; per questo: frontiere naturali e territorio sufficiente Una logica di ferro regge questa costruzione. !\la essa non era uscita affatto come Minerva dal cervello di Fichte. F.ra frutto di un'attenta osservazione della realtà storica contemporanea. Fichtc aveva seguito attentamente la Rivoluzione francese e studiato la politica economica della Convenzione durante il Terrore. Allora la Convenzione aveva attuato un piano grandioso di regolamentazione statale della vita economica fissando i massimi dei prezzi e dei salari e sforzandoS1 di attuare contro il blocco inglese un piano di autarchia nazionale. Lo Stato commerciale chiuso è la sistemazione logicamente pensata a fondo della politica t"Conomica attuata per pochi mesi dalla Convenzione sotto la pressione della ~uerra civile e della guerra contro lo straniero. Ma perché si deve rinunziare alla libertà economica e chiudere commercialmetite lo Stato? Perché - risponde Fichte - ognuno abbia assicurato il lavoro e col lavoro la vita a cui ha diritto, lavoro e vita che non sarebbero assicurati con la libertà economica la quale è fonte di disu• guaglianza, di oppressione dei poveri da parte dei ricchi, di incertezza individuale. d'insicurezza nazionale. Ì!: un ideale d1 giustizia che deve indurre i popoli a chiudersi commercialmente l'un l'altro, Invece il sorgere dell'Autarchia nel Dopoguerra ha obbedito ad altre spinte psichiche. L'Autarchia è stata voluta sopratturto per ragioni d'indipendenza e d1 grandezza nazionali, per diminuire al massimo la pressione dello straniero resa possibile dalla dipendenza economica di fronte ad esso. L'Autarchia è stata voluta soprattutto (non dico esclusivamente) per ragioni di politica estera e in vista di una possibile guerra, Perciò ha un'aria guerriera che l'Autarchia patrocinata da Fichte non ha. Fichte voleva l'Autarchia appunto perché guerre non ne fossero più possibili: quando ognuno avesse avuto il suo, egli pensava, guerre non ce. ne sarebbero state più. Come se non fosse scritto nel cuore dell'uomo di desiderare sempre di più di quello che ha I Se nel Dopoguerra lo Stato com.merciaie chiuso si è ampiamente realizzato, lo ha realizzato la panione nazionale e non la ra.::ionalt persuasione della giustizia. O più precisamente: la passione nazionale si è sottoposta alla disciplina autarchica per poter affrontare eventualmente la guerra allo scopo di ristabilire tra le nazioni un po' almeno di quell'eguaglianza in cui consiste la giustizia e avesse termine la divisione delle nazioni in nazioni che hanno e nazioni che non hanno. Si che in conclusione si può dire che è, si. la passione della giustizia che nel Dopoguerra ha indotto i popoli all'Autarchia, ma più che della giustizia fre gl'individui nell'interno di ciascuno Stato (come voleva Fichtc), della giustizia nei rapporti fra gli Stati. E se si è reclamato giustizia per il proprio Stàto è perché alla passione nazionale sembrava intollerabile che gli fosse fatta ingiustizia. In conclusione, è la passione nationale la forza che ha messo in atto il processo. · Qui il razionali!ita Fichte è stato battuto dalla realtà: non la ragione, ma la pauùme ha spinto i popoli sulla via dell'Autarchia. ADRIANO TILGHER Ouesto numero di /Id/o ' I contiene lo biografia che L. Raskoyho scrit· to dell'attuale primo ministro britannico. Ouesta VITA DI NEVILLE CHAMBERLAIN si indugio su tutti gli aspetti dello vita privoto e pubblica del grande statista. Leggendola ovrete lo !piegazione della personalità di Chamberlain, che troverete ricca di elementi coloriti e gustosi. Lo stesso lascicolo vi offre inoltre quasi un romanzo completo, venti argomenti di delizioso interesse, 50 tra fotografie e disegni. È IN VENDITA IN OGNI EDICOLA A CENTESIMI 60
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