I. ;:'11•= IA NONNA di tanto in tanto i i mi parla _di mio nonno. ~1io i .. ~ € nonno, dice, era, un h:av'uo~o. ~ 0 ma la ,ua bonta suscitava pietà, non ammirazione. Lo chiamav:1110 ~ q\1d buon piccolo wop ». La '-Cra gli piacc·va ,;tars.co(' stduto 1;0!o a un tavolo di un bar, sorseggiando un bicchierino di aniM::tta, con;e una harnbina lecca un cono gelato. Al vcc• chi etto piaceva quella roba verde, quc-ll'ani,;etta. Era la. <t.uapassione, e l.l gf'ntc.· -.orridcva vC'dcndolo s.t-duto n(•l har, \Olo :iOlo, perché mio nonno t.•r,1 un buon' piccolo u:op. Una 'l('r.1, racconta mi,l nonna. mio nonno in;;ic.'mcalla sua ani-.ett:t era <i<"- duto 1u-l bar. Un carrettiere ubriaco u~cì barcolbndo dalla porta girevole. t· andò .1d appoggiarsi al banco. « Venite qua tutti a bere! » urJav~l.. « Pago io! ». Mio nonno rima,;c immobile.· nel ,uo .mgolo, lt-cc,mdo~i ghiottunl('ntt• la sua ani1:.eu.t.con la -suaVt'cchia lingu.t. Tutti, tranne lui. ,i avvicin,lrooo al banco<' bl'vvero alla ,,1lutl' dd carrcttit'rl'. .\ un tr.mo l'ubri,,co 1-ivoltò, vide mio nonno C' si ,entì offt·so. « Ehi, u:op ! > gridò. e: Vieni ,mrht· tu a lx·rc ! >. Silt•tnio. Mio nonno 'ii alzò. c. pa,- ,,mdo dav~uni al carrettien:, attravn,ò l.1 -.ala vacillando un poco, :1pin,e la porta girc\·ole !' fu nell.i ~trada nevo'loa, Moltt.· ri,.t allora ,i udirono allt· sui· ,pali<', 1· lui ..,j ,1·ntì bruciare il 1x·tto. Andò a ca,.1, d,1 mio padre-. « Manuna. mi:l. ! > proruppe. e Tomrny :Murr.iy m'ha chiamato u·op ! >. « Sangue ddla ~1adonna ! >. A \<'qa nuda, mio padre -.i prrcipitò iu·lla ,trada fino al har. Tomrny :Vlurray non ,·'era più. ~-lia padr(• lo trovò in un .1hro saloo,i, pochi pa,,i pili in ~i\1. Lo tirò in di,part<' e gli parlò \Ot• tovocc. lrnml'diat,unent<' cominciarono ..t volan• ..,,mgu<·r ctpclli. Le "edic furono tirat<' indietro, i .dicmi applaudivano. I dut.' uomini ,i batterono per un'ora. Rotol.:1rono in terra caki:1ndo 1 bc,tcmmiando. mordendosi. J loro corpi str('ttanwnte avvin~hiati formavano un grr"·iglic- al l'entro della ,rnnza. L1 tt''-ta. il p('tto e le !!palle di mio padr(' ,dli:1cdarono .1 un tratto la facda del carrettiere. Il c~rrrttit'ft' urlò. Mio padre grugniva; il -.uo collo irrigidito tn.'mava. Il c,1rrctti<'n.'.cacciò un altro urlo, poi giacqu(' immobile. Mio padre poi 1-ialzò in piedi. asciugando,i la bocca in••anguinata col rov<'1-ciodella mano. Sul pavim{•nto giaceva il carrcttil·rc <·on un'orecchia !lemi,taccata dalla te,ta ... Quc,ta è la ,toria che mi raccontò mi,l nonn,L Pensai ,,i due uomini e me li imma• ginai avvinghi,1ti ~ul pavimento. Dio! Sapeva battt·r,i, mio padre! Mi \'t'nnc un'id<·•l. 1 miei due fra~ tdli giocavano in un'.,ltra !ttan.t.1. La• <..ei,1mi ia nonna e li raggiun<ti. Ste--i !>ul tappeto. i miei fr,11dli cr,mo chini su matite coloratt· t.· fo~li di carta. Alzàrono la tf•<,tae vidcro il mio ,,i..,o infiammato. « Che c'è? > mi d1i(''ìC uno di loro. « Scommetto l·hc non ;;ci buono a Carr una cosa.! ,. e Chi' cosa? >. e Ti 'ìfido a chi .u. n,irmi it·op ! >. li mio fratellino più piccolo, di ap- !}('1,M quattro anni, ..,altò in piedi e- ~i mi~l' a ballare tutt'intorno alla st;.mza urlando: e Wop! u·op! •· Lo guardai. ~{a (·r~t troppo piccolo! A ,ne M:rviva l'altro fr..:itcllo. quc-llo più gr .rnde. « Scommetto che h.1i p.u1ra di chi.1. marmi u:op ! » dico allora. Mio fratello ha certo intra\'t.:duto il diavolo ncll'ac-qua ....mta. e No>. dice. e: .N'l'>n \'oglio >. e Wop.1 ~1-'op.' Wop.' > -.cguita ;1 C,lll· t.1re il fratellino. « Chiudi il becco, tu! >. « Sei un u·op. Wop.' Wop! ». La ..c.,1tc-l.i di m,1titc 1·olor.1u: di mio fr.:1tello più R'randt' è ,ul pavimento dJ· \'anti ,ti 'ìU0 11,1,;o. Ci metto -.apra il tacco t· la ,chiaccio ..u. ! tappt~to. ~iio fratello grid.t, mi afT1·rra il pil·dr. In• dictreggio. t.' lui ,i mt:ttc a pi,rn~<·n·. « Catti\'O ! > dice. « Ti ,fido a ehi~amarmi un u:op' :t. « Wop! >. ~1i J.\.Vc,:nto,u di lui cercandogli l'o• rccchio. 1\-(a mi.1 nonna irrvmpe nellJ ,tanzJ, e ha in m.rno il leKno do\'C ,i ,dfil.1 il rJsoio. II. Ho wmprl· -.t:ntito mia rnadn· .1doµnart· le parole u•op e dago con una l'nergi~1 che tradi,ce un violento di- ,pr(•no. Le ,puta fuori, ;:tddirittura. Le "1ltano via dalle labbra. Per lei. qudk· parole ,ignificano povertà. ,qu~1llorc, ,porcizi~1. Se non 111ilavo i d1·nti1 ,e dim('ntico di appl·ndac il mio brrrrt• to, mia madre dice: « Non far co,ì. ~on cs'-l:rc un wop ! >. Co~ì. grazie al ,uo infhMo, fo parole u·op e dago di- \entano pf'r mi~ ,inonimi di cose vcr- ~ognosc. Mi..1 madr(·, alm<·no, è logica. Mio padre non lo è. La 'l-Ualingua è vc.lubile; i ..,uoi umori influi.'J.cono sui \UOi giudizi. ~fi ;1ccorgo ,ubito che ptr lui u:op e dago sono parole ,cn1.;1 un ~ignifìcato preci'°, ~bbene, ~e un it,1• liana gliele butta in viso, mio padre .,i \enta immedi:11amcntc offeso. Cristoforo Colombo era il pili grande u·op d1c ci 'ìia mai stato, dicr mio padre.·. Anche Carmo. Anche Tizio e Caio. 11 ~uo ottimo Jmic-o Pietro Ladonna non è 'ìOltanto un ubriacone porco, ma ,111chcuu u•op; e. 'ì'intcndc, tutti i cognati di mio padrt· \0110 dei u•ops buo. ni a nulla. · Mio padr<· fin~e di odiare gl'irlandc,i. Jn realtà non li odia, ma vuol trcderc di odiarli, e ai.r.za contro di loro i figli. Il 110,tro droghiere è un c<•rto O'Ncill. Spc,..o t· inavvcrtitamcnte, qu.tndo mia madre è nella sua bottega, O'Neill lommeth.• errori. Mia madre denun1.ia a mio padre pesate ine1:.atte e, di tanto in tanto, qualche uovo marcio. Subito mio padre !t'irrigidisce, il suo labbro inferiore si arriccia. e: Questa è l'ultima volta che quel• la canaglia d'irlandt.·sc mi derub..t ! ». Esce fuori, e va dal droghiere, battt·ndo i tacchi. Presto è di ritorno. Sorride; i ~uoi pugni ¼>no pieni di sigari. « D'ora in poi >, annunzia. « tutto ,rndrà bcnb.liimo >. Io, il droghiere non lo poM,o ..offrire. ~fia madre mi manda ogni giorno da lui, e quello mi leva il respiro '.)())tanto col ,uo saluto. e Ciao>, dice, « piccolo dago ! Che ti occorre? >. Sì. che lo odio, t· non entro m,,i nella ~ua bottega ,;i: c'è qualche altro cliente, perché ..cntirnii chiamar dago davanti a qu.alcuno è per mc un'umiliazione orrenda. qu,1si fi..ica. Appena il droghiere volt,1 le ~p..tllc. lo derubo ~nza scrupoli. Sono felice di rubargli taramellc, biscotti, frutt.1. Quando va nella ghiacciaia, balzo sulla bilancia della c::arne sperando di rompere un,1 molla; affondo un piede n<:ll.1ce~ta delle uova. Qualche volt.i mi carico un po' troppo di roba. Che· felicità, allora, fermanni, sazio. -.ul marciapiede, e buttare le ">UC car.imcllc, i ,;uoi biscotti, le sue mek, nell'alta ('rba gi.lllastra, oltre la strada ... Dannato O'Ncill, non mi chiamerai dago ,en;,,a poi 'ìConfarlo. III. Crt·\t:erldo . ..,<.:oproclu· gl'italiani adoperano u·op e dago ..ts<;api iù degli ameril·aili. La mia nonna, il cui vocabolario ingk·,;c è ri,tr('ttO alle parole più <.:omuni, non usa mai altre c~prcs..,ioni per alludere .igli italiani di ,;ua cono- (,cenza. Quei nomi non le e-.cono mai tr,:inquillarnentc-, normalmente, d.dlc bbbr..1: C'-('0no come uno ~coppio. li tono è Jrrogante. e tutt::ivi;1 tradi,ce come un ..,enso di ~tupore, di umiliazione. Entro nella scuola p.:ll'rocchialc con una tC'rribilc paura di e!iSt:r chiamJtO a:op. Confronto il mio con i cognomi it,1li.,ni, Bianchi, Borelli, Pacelli, di al• cuni mil'i compagni, t· allora provo un ft'rto ..ollicvo. Od re~to, può d.1r-,i che mi prendano per un frJncese. 11 mio nome non sembra forM.' francese? Ma ,i! O.i quel giorno. quando mi domandano l.t mia nazionalità, rhpondo che sono franccx:. Aie-uni compagni cominci.mo .t chiamarmi fre,ichy. Sono wllcvato, felice. Comincio co.'J.Ì .i odiar(• la mia origi• ne. Evito i ragazzi e le bambine italiane che vorrebbero far amicizia con me. Ringrazio Dio di avl'rmi dato pcl· le e capelli chiari, e prima di scegliermi un comp,igno di giuochi mi as~i• curo che il suo nome abbia un !tuono anglo,a_..-.o~e. Se un ragazzo si chiama Browne o Whitnry, è amico mio, ma <1uando 1:.011c0on lui tremo M:mpr<-' IL VEOOBIO l'OTOORJ.FO DELL'ONTA.RIO un poco per paura che scopra la mia vera ,atura. All'ora della colazion<' inghiotto in fretta, il contenuto del mio cestino. Mia madre non avvolge i miei sandidches nella carta oleata, li fa troppo gro\si, e le foglie di lattuga ne 'ìaltano fuori. Peggio ancora : il pane è fatto in casa, non viene dal forno, non è e americano>. Protesto violente• mente perché non ho mai la maionese e le altre cose e americane>. Il nostro parroco è un buon amico di mio padre. Viene spesso nel cortile all'ora della ricreazione, a guardarci a q:ioc.:,re. :\1i chiama e mi domanda di mio padre, poi mi esorta a studiare con orgoglio le vite dei miei grandi connazionali: Colombo, Vespucci, Cabo• to. Parla con voce squillante, un po' ironica. Gli alunni gli 'ìÌ raccolgono intorno, e io mordo le labbra pregando Dio chl· la 'J.mett., fin<1lmente. e 'loC ne vada. Incomincio .i sentir pari.ire di un certo tipo che si chiamava Dante. :\ila quando scopro che era un italiano lo odio come se si aggir,1~,e, vi\·o, nelle cJa..,si, appuntandomi l'indice contro. Un giorno trovo il "iUOritratto nel diLionario. Lo contemplo e penso chl' non ho m.ti vi~to un uomo pili brutto. Ehi, u:op ! Ehi, aago ! Queste parole mi tormentano perfino quando dormo. Sogno 'ìCmprc che mi difendo contro bande dì tormentatori. Un giorno mia madre:- mi dice che mìo padre andò in A1gentina quand'era giov.mc. che rimase due anni a Buenos Airc5. Mia madre rni racconta le avventure di mio padre in Argentina, cd io ci pcmo tutto il giorno, perfino quando sono a letto. tJna notte mi sveglio di <;Qpras• ,alto e nel buio corro a tastoni fino al• la camera di mia m.idre. La sveglio piano, per non wcgliarc mio padre. Lt su.lisurro: « Sci certa che papà non ,ia nato in Argentina? >. « No. Tuo padre è nato in ltalia >. Torno .1 letto sconsolato, disgustato. IV. Durante unJ. partita di pallone nel <.ortile della scuola, un r.\gazzo che gio• {'3 nella squadra avversaria comincia a mettere in ridicolo il mio modo di gio• i.:arc. f: il mio turno, e fingo di non udin· le sue provocazioni. Stiamo perdendo la partit.1, ma, ~e io riuscis:;i a ~egnarc un punto, le nostre azioni ri'ialircbbcro. Dcci}() a cavarmela con ooorc, .lito fiducioso davanti al pitchcr. Il mio nemico mi vede m mc:1..7.0al c,1mpo. « Ah, :th ! • grida. « Guardate chi c'è. C'è il wop ! Sbara1.ziamoci del wop! •· E: la prima volta che qualcuno, J '-Cuoia. mi butta in faccia quel nome. Suno CO'ìÌ furio~, ~hc sbaglio il colpo. Dopo la part~, il ragazzo cd io ci batti.imo, cd io gli faccio rimangiare qut'I che ha detto. I mil'i giorni di \Cuoia diventano ora g-iorni di battaglia. Quasi ogni ~iorno. alle 3, 15, una piccola foUa ~i raduna per vedl'•nni far rimangiare quella tal parola a qualcuno. Comincio a pren• derci gusto: e: Avanti, ragazzi, vi sfido tutti a chiamarmi un wop ! •· Quan• do finalmente tutti i miei compagni mi hanno sfidato a turno, gli insulti mi Jrrivano di seconda mano. Vado in cerca d<'i colpevoli; percorro min,1cciO'ìo i corridoi. I ragazzi più piccoli mi ammirano. e Eccolo! > esclamano, e il più piccolo di tutti, un marmocchictto di meno di 'iCtte anni, mi porta i suoi amici, e mi prega di tirarmi 'ìU la manica e di far vedere i miei muscoli. Eccomi qua. ragazzi! Ammiratemi pure! Mio frate Ilo port~, a ras.a reM>Conti drammatici dei miei combattimentì. Mio padre lo ascolta con intc.rc~sc cd io mi avviCino per rettificare le inesatt(•;,zc. Giorni triste-mente felici! Mio padre mi dà dei consigli: come devo tenere i pugni, come proteggermi la test,1, Troppo ..,paventata per ascoltare altro, mia madre c1:.ccdalla stanza prt.·n~cndmi lt· tempie e strizzando gli occhi. Quando porto gli Jmìci ,l casa, sono nervo,o. Tutto è talmente italiano, in ca~a mia! Il ritratto di Vittorio Emanuele è appe,;o '.i fronte a una fotografia del duomo di Mii.mo; vicino c'è San Pietro, e sul buffè è posato un boreale mcdieval<.·, \Cmpre rO'iso e brillante di vino. Questi oggetti sono te- \Ori per mio padre: chiunque venga in ca:-a nmtra, mio padre non manca mai di mostrarli e di vantarsene. Finché un giorno comincio a dargli addo,;~. Gli dico di smetterla di c,-,c. re un u:op e di es!,ere solo ogni tanto un americano. Immediatamente mio padre va a prendere la coramella, e mi batte a ,angue. Poi mi insegue di <,tanza in \tanza e fino fuori di ca,a. Corro nella capanna della legna, mi sfilo i calzoni e torco il collo per e,aminarr le striM:c livide sulle mie naticht.·. Un wop: ecco quello che è mio padre! Un padre americano non bat• tercbbc mai 1-uo figlio co~ì. Comincio a pcn1:.are che mia nonna è irrc-par,1.bilmcnte una ._,,.op. E: una piccola contadina MJlida che gira con i pohi in<rociati ,ullo .litomaco: una 3Cmpli<:c vecchietta amica dei rag.11.zi. Viene nella mia ,t,111z.ta parlare con i miei amfr·i. Parla l'ingle"ic con un pc.<,simo ,.1ccento; le ,;uc vocali si allargano come fossero di gomma. Quando, semplice com'è, sta davanti a un mio amico e gli chiede con gli occhi che le brillano: « rou liAe ,(O the Seester scola? » il cuorf' mi scoppia. Sono dbonorato: ora sapranno tutti che 1:.0no un italiano. Mia nonna mi ha in,egnato a parlare la ,ua lingua natia. A sNte anni \O abb.1~tan1.a. bene l'italiano, e lo parlo sempre con lei. Ma ver:,0 i dodici. i tredici anni, quando c'è qualcun al• tro pre!il~ntc, fingo di non capire quel eh<" dicC' mia nonna, guardo altrove seccato quando lei parla, e i miei amici non ost·reblx:ro affermare che conosco un'altra lingua oltre l'inglese. Qualche volta, 'questa commedia fa infuriare mia nonna. Si arruffa tutta, la pelle flaccida del suo collo s'incorda duramente, e dalla sua bocca escono grosse imprecazioni. V. Terminata la :cuoia parrocchiale, i miei decidono di mandarmi in un liceo di gesuiti, in un'altra città. Mio padre mi accompagna. Sul frontone di pietra dell'alto edificio del liceo. è in• ci:.a un'iscrizione latina : Religio,1i et bonis artibu.s. Mio padre cd io ci fermiamo davanti al liceo, e mio padre legge forte l'iscrizione e la traduce. Lo gu,1rdo stupefatto. Quest'uomo è mio padre? Guardatelo! A:.eoltatelo ! Leg~c con accento italiano. Porta b,1ffi all'italiana. Fino a quc~to momento non mi ero accorto che ha esattamente l'aria di un u:op ! Il suo abito gli fa addo'ìso pieghe 1>graziatc. Perché diavolo non se ne comprn uno nuovo? Guardate la sua cravatta: è storta. E per amor di Dio, guardate i suoi cal1:oni. Non sono nemmeno abbottonati davanti. E, maledizione!, 'ìi vedono prrfino quelle \·ecchie bretelle che non vuol mai buttar via. Ehi, signore, sictf' davvero mio padre, voi così piccolo, così tozzo. così buffo? Sembrate proprio uno di qw·i poveri immigranti che portano un fagotto. Non siete mio padr(': è impossibile! Ed io che credevo... che ho sempre creduto ... Piango : è la prima volta che piango M·nza che mi abbiano picchi.Ho, e, ':iOnofelice che anche mio padre non pianga. Sono contento che sia poco tenero com'è. Ci diciamo addio in fretta. e io corro nel viale senza voltarmi. So benissimo che mio padre è rima~to al cancello, a guardarmi. Entro nell'edificio dcll\1mmini~trazìone, e mi metto in fila con gli altri ragazzi che vogliono i!,criversi ai corsi autunnali. Tra loro ci sono alcuni italiani e i nostri occhi si incontrano. Oi- ..,tolgo in fretta la testa. Un gro~so gesuita 5i alza dalla ..,ua poltrona dietro la ,;crivania e mi ..,j rivolge. Che voce ! Nel suo petto rombano una dozzina di tuoni. Mi chiede il mio nome e lo ~crive su una scheda. « Nazionalità? > mi chiede. e Americana>. e li nome di vo,.tro padre?>. « Luigi>, bi<ibiglio. e Come? Sillabatelo. Parlate più forte!>. Tos,i,co. Mi tocco la lingua con il dorso della mano e sillabo il nome. «Ah! > urla il gesuita. « ~e arrivano ancora, eh! Un altro wop ! Sis~ignorc: ne abbiamo una bella collcz.ionc, qui, di wops ! Come se non si fos- \C già appestati dagli irlandc~i ! -.. Dio, come odio quel prete! « Dov'è nato vostro padre? > ri. prende. .- A Bucno:-. Aire,, Argrntina >. .- E vo<;tta m.1dre? ». Po"'>{) finalmente urlare ,ol gu\tO d(•lli'I verità: « A Chi-cag•ooo ! > esattamente come un controllore. « P,ìrlatc l'italiano? » mi domanda il ~c,uita amabilmente. e No. Non una parola :t, e Peccato», dice. « Sci pazzo! > mormoro. VI. Il primo ~emcstrt ,ervo in tavola pc1 ridurre la mia retta. Altri guai: il cuo1·0 e i \uoi sguatteri sono italiani, e ca. pi'icono ,ubito che ,;ono della loro razta. Il cuoco mi diventa odio~ e fingo di ignor~trnc le premure amichevoli. Egli capi,;cc subito pc-rché e divcntiJmo nemici. Ogni parola che mi rivolge è una pugnalata. L<"sue oss~rvazioni mi tagliano in pezzi. Dopo due mesi, non re'ii'lto pili a lavora.re in cucina. Scrivo una lunga lettera a mia madre: ,ono molto dimagrito, le dico; se non mi fate andar via di qui mi ammalerò l~ cadrò agli esami. Mia madre mi manda tclegrafiramente un 1:x,' di soldi, raccomandandomi di lasciar ~ubito la cucina. Dt·cido di lavorare un'altra sera ancora e di ~crvirc in tavola soltanto per un'altra volta. Quella st'ra, dopo il pranzo, <iuando in cucina non c'è più cht• il cuoco cd i -.uoi aiuti, mi tolgo il gr(•mbiule e mi pianto all'altro ca• po della cucina, davanti al cuoco. Ho a,pettato questo momento per due m<',.,i.C'è un coltello sul ceppo: lo affrrro, fi'ì..ando sempre il n!'mico. Vo- ~lio ferirlo.• pareggiare i conti. Il cuoco mi vedl' l' dice. « Via di qui, wop! >. Uno sgu~1ttero grida: e Attento: ha un coltello>. e: Non lo butterai, u·op ! > dice il CU0• co. Non pemavo di buttarlo, rmt, dal momc-nto che lui mc lo proibisce, lo butto. Il coltello va a colpire il muro .il di~opra della tc~ta del cuoco, poi rimbalza con fraca.,so ,;ul pavimento. 11 cuoco lo racèoglic e, puntandomelo contro. mi caccia dalla cucina. Corro, ringr.1zi;mdo Dio di non aver comrne,.,-.oun delitto. Quell'anno, la squadra di calcio è compo,ta di ragazzi italiani e irlande- ~i. La prima linea è irlandese, i quattro attaccanti sono italiani. La nostra ,quadra è brava e vince una quantità di partite, i miei compagni 'ìOno eccellenti giocatori, çhc lavorano in1>ieme comt.· un sol uomo. Ma ic odio i miei tre compagni dell'attacco : la nostra nazionalità, mi sembra, ci rende ridicoli. I giornali della scuola e i giornali 'ìportivi cittadini cominciano a chiamarci i Quattro Wops Prodigiosi. A me sembra un insulto. . Sono un cattivo latinista. La Jin. gua mi è odiosa, non la "1>tudioe M>'f regolarmente bocciato agli esami. Un giorno. uno studente mi dice che po1rò eliminare ìl latino dalle mie mate• rie se 3eguo il suo consiglio, s.e ci~ mi foccio bocciare deliberatamente, di~ ~s1ro'iam~ntc, ai due o tre proS)imi e~ami. I gc)uiti, afferma lo studente, mi giudicheranno .litupido senza rime• dio, (• mi permetteranno di abbandonart· il latino. I I LX>nsiglionon mi dispiace : lo seguo a puntino. Ma i gesuiti sono astuti. Capi,cono il mio gioco, e mi dicono. ridt'ndo, che non wno abba,tanza furbo per prendl~rli in giro, e che do- \"rÒ continuare a ~tudiare il latino, an- <·hc ,e per (•,,ere approvato mi ci \'Or• ranno vent'anni. Non basta: mi raddoppiano i compiti, sono costretto a pa..,,;,are le ricreazioni con la sintas,i la• tina. Prima degli e'iami del primo anno. il ge!'luit.1mio profe'ìM>rc di latino mi chiama nella sua camera e dice: « Non riesco davwro a capire perché un it~1liano puro ,angue, come te, debba trovar tanto difficile il latino. Dovn•..,ti ,,wrlo _nel 1-an~u(•. &i un wop huono ,1 nulla, credimi >, Ba,1,1 ! Vado a chiudermi nella mia ,tanz ... "l: mi ,icdo con la mia 'ìinta~i latina davanti, e ~tudio come un pazzo, buttandomi a capofitto in quel mar~ di rc,::olr e di (•,;,empi, finché un giorno ... Che· .:1ccadt•? Che sto ,tudiando, in,omma? Non è poi tanto difficile\ quc-,to latino: -.omiglia molto all'italiano che la mia nonna m'insegnava t;inti anni fa. Passo all'esame, con un \'otO così alto che il mio profr.,-..orl· crede ci sia 'ìOtto qualche imhroglio. Due mesi prima della lic<'nza. mi ammalo. Mi portano all'infermeria e m'i'iolano. A letto, rimugino i miei rancori : mi mordo le dita ripen,;ando ad amarezze vccchir. La febbre mi sale ; non po~'-0 dormire. Penso al diret• torc. Durantl• i miei primi due- anni di scuola, è stato il mio migliore amico. ma il t~·r-l'anno, l'anno scorso, è stato tra ..f.crito per qualche mese in un';1J. tra "iCuola dello Stato. Immobile nel lc.-tto, pcn,o al giorno che ci rivedemmo l'anno M:or-.o,quando tornò qui a -.cttembre. 11 mio amico salutò diver:,i altri ragazzi, 1>0i,i voltò vtrs0 di mc-: « Ehi, wop ! > mi di,.lie. e Sci ancora qui C'On noi, dunque? >. Uscitt.· dalla bocca drl sacerdote, quelle parole avevano un M1ono ironico che mi ~c~sc tutto. Sentii :-iu di mi;- tutti gli occhi, e di"tin'ìi una ri,atina ,offocata. Ah, è così? Febbricitante. prnso alle parole del sacerdote, <' alla risata di quel mio compagno. lmprovvisamente, i>alto giù dal letto, lacero un foglio di guardia da un libro, trovo una matita 1 e scrivo un bigliNto al gesuita. « Caro Padre », !icrivo, e non ho dimenticato il vo,tro insulto. Nel settembre :.corso rrù chiamaste un wop. Se non mi chiedete 1-ubito ,cusa 1 finirà male >. Chiamo il e fratello > di ,;crvizio al\'infenrn.:ria, e
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