Omnibus - anno II - n.53 - 31 dicembre 1938

( NVOl'I FILII ) BIANCANEVE lf \'ECCI-Il scrittori dt rettorica soleA \ano distinguere favola da fiaba, essendo la prima una breve narrazione volta a dare insegnamenti morali dietro piacevoli immagini, mentre la seconda voleva essere soltanto un libero fantastico racconto, senz'alcun fine didattico, • dove si sogna perché non si sa, si crede perché non si vede• secondo le parole del filosofo Herdcr. E la differenza più grande proveniva dal fatto che le favole erano dovute più che altro alla fantasia di scritto,i, in epoche di civiltà risentita, là dove le fiabe traevano le origini da confusi racconti popolari, diversi secondo i costumi dei popoli, ma somiglianti in ccrtì motivi comuni, quali la raffigurazione di personaggi misteriosi e tremendi, animali parlanti, draghi, folletti, demoni maligni e insidiosi. Così, mentre gli antichi favolisti, da Esopo a Fedro, fino a La Fontaine e a Leopardi, si servivano degli animali nelle loro invenzioni, ad impersonare le passioni più solide e appariscenti dell'uomo quasi a darne una condanna maggiorment~ efficace, nelle fiabe invece gli animali compaiono, si, egualmente, ma con intenti diversi, più a dare il senso del meraviglioso e del sovrannaturale che a rivestire di spoglie simboliche i sentimenti umani da castigare. Diversa è dunque la sostanza di una favola e di una fiaba, e quest'ultima nasce a preferenza nei popoli del Nord, dove la vita chiusa e i climi oppressivi spingono volentieri la mente a fantasticare e quasi a raffigurare in certi oscuri fenomeni della natura impulsi e volontà molto simili a quelli dell'uomo, ma ad esso contrari o benevoli a seconda dei casi. Ciò spiega come i più grandi narratori o raccoglitori di fiabe fossero tedeschi, come 1 fratelli Grimm, o scandinavi, come l'Andcrsen, e come le loro fiabe s'ispirassero a una mitologia che ha poco a che vedere con quella greca e romana, assai più concrete e, diremmo, utìhtarie, risentendo invece dello spirito alquanto torbido, immaginoso, faustiano• di quei popoli che ebbero nel romanticismo la forma p1u naturale ed eccessiva d'espressione. Attraverso il cinematografo, \\'alt Disney e gli altri disegnatori americani di canoni animati hanno cercato di rinnovare i vecchi motivi fiabeschi, portandovi però un impegno caricaturale che s'attiene piuttosto al gusto moraleggiante dei favolisti, che un disinteressato gratuito raccontare di narratori di fiabe. La maggior novità di Wa1t Disney, come si vede nel suo film BiancanttJe e i sette nani, C<'nsiste proprio in una specie di compromesso tra favola e fiaba, disegnando egli animali, mostri parlanti e figure umane, insieme sospinti in vertiginose avventure, ma badando ad accentuarne i caratteri comici, secondo gli atteggiamenti più celebrati del cinema farsesco americano. Siano essi creature immagrnane, come i sette nani, ovvero cerbiatti, uccelli, conigli, tartarughe, sembrano a volta a volta ripetere le movenze convenzionali e spiritose d1 attori come Ridolin!, Harold Lloyd o Stan Laurei, quasi volessero parodiarne I gesti e le intonazioni. In realtà, lo scopo di \Valt D,sney è proprio di utilizzare quelle formule comiche che hanno un successo sicuro, e che ripetono una particolare forma di umorismo le cui origini si potrebbero ritrovare alla lontana nella letteratura di un Dickens e d1 un :'\lark Twain. In questa avveduta combinazione d'elementi diversi, di scherru narrativi fiabeschi, di moralità favolistiche, e di umorismo tradizionale, si rivela il talento principale di Walt Disney. Noi non siamo d1 quelli cui piace fare spreco dt parole elèvate e improprie per nobilitare concetti e personaggi tutt'altro che straordinari. Quindi, chiamare •poeta• Walt Disney ci pare ingiustificato e comunque eccessivo, e ci fa pensare a quei tanti che, confondendo per ignoranza le cose, d1stnbuiscono senza economia l'appellativo di poeta•• sia all'ingegnere che costruisce un palazzo, sta al pittore che d1prngc due mele, sia al sarto che taglia abiti su misura. Di questo passo si reca ptù danno che giovamento all'arte, che finisce col contaminarsi, se spesa con cosi poca avarizia. L'ingegno di \Valt Disney non tanto 1'avv1c1na a quello di veri anisu, che inventano un particolare modo di rappresentare le cose, quanto a quello di chi felicemente assimila motivi fortunati e diffusi. :--;é in questo vogliamo negare a Walt D1sney le qualità che tutti gli riconoscono concordi, essendo noi i pnm1 ad apprezzare la grazia, l'allegria, la delicatezza dei suoi racconti. Ma, dal lato pittorico, 11 terreno dov'egli si muove c1 sembra piuttosto una fabbrica d1 terrecotte smaltate, che non una stanza di pittore o mLnO ancora d1 poeta. Il gusto illustrauvo di Walt O1sney è infatti assai ordinario, fondato su abitudini decorative di mediocre levatura, Chi volesse parago11,arlo ai grandi disegnatori d'animali, come Grandville o Doré ai quali nonpertanto s'ispira, s'avvedre,bbe come i segni della sua fantasia al confronto sono scarsi e limitati. • Il pubblico», ha scritto recentemente \Valt Disney, • è molto più esigente su quel che concerne i disegni dei personaggi umani, perché sa esattamente come è un personaggio umano e come si comporta, mentre, non avendo osservato se non vagamente gli animali, ne accetta senza riserve le nostre interpretazioni•· f: forse proprio da questa mancanza d'osservazione nel pubblico che nasce la fortuna maggiore di \Valt Disney, perché il veder muoversi sullo schermo personaggi disegnati anche approssimativamente, ma con un accentuato carattere caricaturale, desta uno stupore divertito e ansioso che impedisce più precise considerazioni. Mentre, quando appaiono figure umane, o quando esse si muovono sullo sfondo di paesaggi e di ambienti immaginari, meglio ci s'avvede quanto sia convenzionale la rappresentazione. Alberi e case, castelli e marine, insieme agli spettacoli della natura, come il mutare della luce, le albe e i tramonti, sembrano copiare stancamente gli schemi illustrativi di una pittura scipita e romantica, perpetuando quello stile melenso ch'ebbe .. ,i fa in Inghilterra il suo maggiore esponente nel Rackham e, in Italia, in Duilio Cambellotti. Uno stile che ha dato il colore a tutta un'epoca, nelle illustrazioni dei libri, nei giornali, nelle cartoline, nelle tappezzerie, raggiungendo il fondo più oscuro del cattivo gusto, mai raggiunto, fino ad oggi, se non dall'arte• Novecento•· MARIO PANNUNZIO DIAVOIO 1' I pubblico ~i chiede speuo perché mai l( :! film itali;.no non è divertente come trama né piacevole come spettacolo, Le ragioni sono varie e difficili a spiegarsi a chi non partecipa ai retroscena misteriosi e spesso bizurri di questo mestiere che agh occhi dei più appare bril!,1,ntce splendido. llna delle t.a"te ragioni perrhé ;n Ital:a non si producono buoni film è nella sproporz:one tra il couo dell'intero film e le paghe esorbitanti dei registi e s-pccialmente degli attori. Ultimamente, renando eguali le possibilità finanziarie delle case produttr:ci, ed e»endo invece aumentato il prezzo delle scenografie e degli arredamenti, ancora di più si sono accresciute le loro pretese, sicché più della metà di un film ,e ne va in queste spese voluttuarie. I segni evidenti si hanno a ogni nuova pellicola; ecco le misere scene che dànno subito a un film un carattere di cosa f,tta in casa, rimediata in famiglia; insomma, dilettantesca. I nostri film, nella loro povertà, non hanno ai.ione, e ciò non soltanto prrché la fan• us:a degli sceneggiatori è scarsa, ma per• ché, dato il costo di attori e regini, tutto il resto è ridotto al minimo. Ambienti chiusi, sempre uguali: se si rappresenta una famiglia, si vedrà la sala da pranzo o la camera da letto, mai però quel variare d'ambiente che rende drammatica la scena. Gli attori entrano cd escono come su una scena teatrale: e lo spettatore quas, comprende che dietro ai fondali dipintì sono le pareti ge• lide del teatro di posa. Si aggiungano gli esterni sempre d'un Verismo dialettale e freddo, che sta fra la recita di beneficenza e il teatro dei sa.lesiani. Si direbbe che. se i nostri produttori prediligono il tono modest.1.mencefamiliare e borghese, è non soltanto perché hanno qualche inclinaLonr \ICtSO quel mondo, ma anche perché la raffiguraz:onc c.inematorrafica di quel mondo costa meno. Si vedano le feste mondane nei nostri film: mai un ballo che moStri quella magnificenza che invece, secondo il corso della trama, dovrebbe rappresentare. Le pareti tremano al vento, le dame poi (c!oè le comparse) indossano i più miserevoli indumt'nti, cd hanno il $arriso di c.hi nasconde a5tiò verso l'amministrazione. Epputt, 5e il film italiano spcS'O vale poco o niente, è proprio perché il denaro impiegato è il più delle volte male distribuito. La prima cosa infatti che accende la fantasia di coloro che s· dilettano dei misteri di Cincc.ittà è, seni.a dubbio, la facilità con cui reg'.sti e attorì incauano cifre favolose per il nostro mercato. Registi che nel campo letterario varrebbero non molto più dei romanzieri storici a di,pense e i cron!sii mondani, arrivano perfino al mezzo mil:one. Fatte le propor7:oni1 in un paese in cui il costo mt'dio del film è >ul_milione e mt'zzo, al regista va sempre almeno un sesto del denaro disponibile, ,. altrettanto almeno a uno di quegli attori che poi sullo schermo indispettiscono gli spettatori per il catu\lO gusto dei loro abiti, per la grossolanità dei loro ~esti e anche per la volgarità dei loro \Olti Se gli italiani ave.uero il volto dt'gli attori cinematografici italiani, davvero il nostro sarebbe un paese seanamentc ariano. Ma è sulle grosse paghe dei registi e dt"- gli attori che ci preme insistert'. In un'industria commerc0 almente sal)a come quella americana, il rrgiata, per esempio, d.ifficilmente ou:cne più dell'otto pt'r cento sul prezzo del film ; mentre le più groue per• e~ntuali vanno all'elaborazione letterari,, all'arredamrnto, al decoro, insomma a tutte quelle cose che raffigurano lo stile e il carattere di un film CARLO DADDI .unrABELLA NEL PILK 11.AVVENTUB.A IN Rl,JJERA" I DUE PAKOBI BALLERINI Ull'.ES E ARNO ... .. ,NEL PILK 110 DUE O NIENTE" , T PARIGI DI OALJFO)!NIA IC!. RANDE è l'ira dei parigini contro !gJ Hollywood in questi giorni. Si direbbe un'ira a freddo perché nessuna provocazione concreta c'è stata recentemente, se si esclude Maria Antonietta, che tuttavia, al suo primo apparire, non destò nessuna apprensione. Ma ecco che l'altro giorno, in un periodico d'intonazione scandalisticz, Match, appariva una specie di album grottesco di Parigi, ricavato da nuovi e vecchi film fatti a Hollywood sullo sfondo della capitale francese. Evidentemente il rancore covava da tempo, e la pubblicazione di Match è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché immediatamente su Paris-Soir appariva, a firma di Gaston Thierry, ,.ma lettera aperta a \Villiam Hays, lo zar del cinema americano. Quando in Francia si arriva alle lettere aperte, vuol dire che la cosa è seria. La maggior fioritura di lettere aperte fu all'epoca dell'affare Oreyfus, di Fascioda, e dello scandalo Stavisky. Match pubblica tre pagine piene di fotografie ricavate da undici film, con sotto diciture sarcastiche e piene di implicito disprezzo per la leggerezza e volgarità dei produttori americani. Ora sul ParisSoir Thierry, dopo aver detto che egli s'era presa la libertà d'inviare a 1-lays una copia della rivista, cosi prosegue: • I film americani illustrano in maniera crudele l'ignoranza dei ,·ostri produttori nei riguardi della nostra città e dei suoi abitanti. Certamente noi non ci facciamo una bella figura in questi film, ma quelli che li hanno concepiti ce ne fanno una ancora peggiore. Per l'onore del cinema americano, generalmente così coscienzioso, sarebbe utile organizzare una piccola gita istruttiva per ì produttori. lo garantisco loro una calda accoglienza•· Una delle fotografie pubblicate in Match è quella del poliziotto che appare in Settimo cielo (l'edizione parlata con Simone Simon). Si sa come sia da ritenersi sospetta l'indignazione dei francesi, quando l'amor proprio nazionale è chiamato in causa; ma questa volta non hanno torto: il gendarme in questione porta gli stivali di un ussaro, la sciabola di un dragone, la tunica di un fantaccino, i distintivi di un ufficiale di Stato Maggiore, il fischietto di un capostazione, e le decorazioni di un alto funzionario della Pubblica Istruzione. Un'altra fotografia riproduce una scena d1 Tovaritch con Claudette Colbert. Il portiere sta pranzando sul marciapiede e dà alcune informazioni al governatore della Banca di Francia e a un diplomatico. Questi ultimi sono in abito da cerimonia, cappeilo a cilindro e con tutte le loro dc• corazioni bene in vista. E la piccola Clau• dette Colbert, nella più nera bolletta, se ne va verso il mercato a fare la spesa, in un abito cucito evidentemente da una delle migliori sartorie d1 Parigi. Da Maria Antonietta sono state ricavate immagini della sventurata regina (Norma Shearer) e di Luigi )(V (John Ba,-rymore). Commenta Match: • I re e le regine di Francia ispirano particolarmente la fantasia dei cineasti americani. Niente sembra loro troppo buono per i nostri antichi monarchi. f: cosl che Norma Shearer porta un abito da regina del music hall e un diadema in forma di pagoda e John Barrymore un costume che sarebbe stato adatto caso mai alla corte del Brandeburgo'». I RUMORI DELLA CITTÀ Ogni città, un rumore. È questo il principio che presiede alle più celebri raccolte dì rumori metropolitani, che le grandi ditte tengono in serbo per servirsene all'occasione. Per esempio, il rumore delle ferro,,ie sotterranee di New Ycrk lo si ode solo a New York e la più preziosa collezione di subu.raynoisl't ce l'ha la \Vamer Bros. San Francisco ha anch'esso i suoi rumori particolari: particolarissiino è quello dei tassì della metropoli cali~ forniana, piatto, sfrontato, canzonatore. I s.uoni che ai chicaghesi fanno riconoscere la loro città sono soprattutto quelli dei fischietti degli agenti di polizia, unici al mondo, e il vento di Michigan Boulevard, un vento sconsolato e furioso che arriva sulla città dai Grandi Laghi. Anch'essi sono collezionati coscienziosamente. 1suoni delle vie d1 Parigi e delle campane di Roma hanno rispettivamente i numeri 3z5 e 344 nella collezione della Paramount. Anche Je piccole città come Pensacola, nella Florida, sono spesso catalogate secondo i loro suoni. Pensacola è famosa per i campi d'aviazione militare che sono là vicino, e i rumori tipici della cittadina sono dominati sempre dal frastuono delle eliche. La cupa Filadelfia è rappresentata, nelle collezioni, dal suono delle campane; la proletaria Detroit dai rumori assordanti delle macchine, la puritano Boston da improvvisi drammatici rumori che rompono la tradizionalmente smorta atmosfera della città. \Vashington è dominata da rumori soffocati e ovattati e sono questi rumori che rappresentano nelle collezioni sonore la città • in punta di piedi•• come chiamano gli americani la loro capitale. S1 accrescono cosi per I sedentari le possibilità dei grandi viaggi: a qualcuno bastava la propria camera per farci dei gran viaggi; a Baudelaire bastava una capigliatura. Ma i tempi cambiano. Al scdent~rio _moderno niente si adatta più e megh~ d1 questo atlante acustico, di cui solo. s1. vorr~bbe_ che fossero fatte riprodu~1oni su d1sch1 comuni di grammofono: essi andrebbero a ruba. A. D.

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