ILSOFMDELL ~WJ®[ru]] t(' GRANDI intrighi amorosi, matrL zt monialì, e, per dir così, politici che avevano acceso l'immaginazione di Shakespeare si stemperano nella prosa si. gnorilmentc pacata di Danicl Oc Foc. La prosa narrativa inglese con De Foc attenua, in un' apparenta sempre cronistica, i fatti più efferati, i personaggi più vivaci. Gli avvenimenti e le situazioni romanu:schc paiono essere riguardati con una indìffcrcn. za che finisce col togliere loro ogni rilìevo. ~fa quell'indifferenza di cronista era in Oc Fqe come un .segno del suo iuinto di scrit1orc. La pittura d'una soeie1à che un secolo e mezzo prima aveva ispirato la tragedia elisabettiana trova, proprio nel cos1antc attenuare fatti troppo drammatici e caratteri troppo. vivaci, un che d'ironico che più non abbandonerà il romanzo inglese. Con Dc Foe, ci si avvicina a Dickens e a Thackeray, all'ironia moderna che quasi sempre regge le opere narrative. Anche Fortune e s/othme della famosa Moli Flande,s (di cui ora l'editore Einaudi ci dà la prima traduzione italiana, ad oper:i di Cesare Pavese,. L. 15), come gli altri grandi romanri di Dc Foc, nacque da una vocazione romanzesca dell'ultimo momento. Dopo un:i vita fortunosa, non meno di quella dei suoi pcnonaggi, De Foe si trova ad essere autore di romanzi che per fedeltà a una 6nrionc autobiografica non si servono mai d'una precisa 1itu3zione, da svolgere e da sviluppare secondo uno schema narutivo. Forse non poco avrebbe giovato a uno scrittore come Dc Foe scrivere racconti meno croninici e fitti d'avvenimcnti generici. Ma la moda del romanzo allora inclinava a narrai.ioni che fossero un sommario d'avventure straordinarie. Se poi a Dc FO(' capitava di dare spicco a particolari episodi e a particolari caratteri, ciò può essere visto come un segno di quella che sarà l'arte classica del romanto europeo, fra la fine ,del Settecento e la fine dell'Ottocento. Quella di MoU Flanders è la storia d'una donna dalla nascita agli ultimi giorni della sua vita. Se manca l'atto di morte è perché la finzione autobiogra~ca non lo pumctte. Comunque, il lettore, giunto aU'ultima pagina del romanzo, non avrà più dubbi circa all'estrema sorte dell'eroina. Dopo una vita di contrasti, la calma della vecchiaia. Non mancano poi i commenti sulla nequizia dei tempi, e gli ammonimenti; ma in ciò, se c'è come un omagsio di Dc Foe agli usi del tunpo che volevano i romanzi a edificazione e ad ammonimento, v'è insieme come una caricatura di certa letteratura moralistica. La vita di Moli Flanden si svolge nel quadro della borghesia mercantile settecen1esca, ed è quasi una e commedia umana > della vit:i dei 1cmpi. L'inferno s'alterna al par;idiso, e cos1 via, fino a una tranquillità che non si sa se s"abbia a riguardare come uno scherzo del caso, o come un'ironica conclusione. Betty, che poi si farà chiamare Moli Flandeu, nasce in una prigione di ladri. Sua madre, una ladra, avrà mutato il capestro con la deportazione in America per essere incinta. Betty, come n;iscc, si trova cosl all'ospii.io delle orfane, e, appena saprà parlare, le sue labbra esprimeranno un desiderio: diventare una signora, possedere beni, accumulare sterline. Accolta in una famiglia bor"'·•esc, diventa amante del figlio maggiore deUa padrona, fa innamorare il figlio minore, e lo sposa. Quel matrimonio le ripugna, come in vita sua le ripugneranoo ~ EL 1924 il medico francese (psichiatra, salvo errore) P.-L. Couchoud (un amico di Anatolc France) pubblicò presso l'editore Rieder Le .\llystère de Jisus. Era un• cahier • brillante e breve, spoglio di apparato erudito, in cui per accenni rapidi e apodittici si ripetevano i motivi contro la storicità di Gesù, senza novità sostanziali per gli esperti della materia. U libretto fece nel mondo latino una grande impressione, analoga a quella prodotta immediatamente prima della guerra nel mondo germanico dall'opera di A. Drews: DùChristu.smythe (1910). Anche questa non conteneva• quasi nulla di nuovo, ma aveva condensato i risultati (o presunti tali) dei diversi indirizzi della critica radicale o mitologica. !\cl Drews, però, vi era tutto l'apparato d1 erudizione mancante nel Couchoud; e l'opera era impregnata di una vera rabies theo/ogica contro il protestantesimo liberale, di una recisa volontà di dcmoliz1one del cristianesimo in nome di una filosofia monistica; mentre invece 11Couchoud non aveva che parole di rispetto per il cristianesimo, di esaltazione per l'opera di questo, e si dava quasi l'aria di salvarne l'onore compromesso dagli • storicisti • che tenevano fede alla esistenza storica di Gesù. Di fronte al libretto del Couchoud rimase in ,ilcnzio quegli che era già da decenni, ed è ancora oggi, il maggior maestro di esegesi neotestamentaria e di storia delle origini cristiane in Francia, e potrebbe anche dirsi senz'altro nel mondo: Alfredo Lo1sy. Egli stesso ha spiegato ora di essersi taciuto perché riteneva che la tesi del Couchoud cadrebbe da sé, come quelle di altri mitologi, e non voleva farle la rù/amt. Ma la previsione non si è avverata; il Couchoud ha fatto scuola e rag~ gruppato intorno a sé un ceno numero d1 scrittori (non rutti dilettanti) che in una serie di • cahiers • (sempre presso l'editore Rieder) hanno sviluppato i van aspetti della sua tesi. E ora il caposcuola è torjl Tu i.e lo ricordenl, 110111101 qui c'ua la cble11, 1111 eana di ri1parmlo, più (11 Il la polta .. ," u Accidend, come •'à \11gn.ud!ta qu1t1 città!" tante cose, ma infine deve adattarvisi. La storia di ~foll Flanders è veramente una 11oria di ada1tamenti. Res1a1a vedova, Moli si dà alla caccia d'un nuovo marito, e di Il s'iniz..ianole sue avventure. Trova un mari10, ma è presto abbandonata da lui: i matrimoni e i concubinaggi di Moli Flanders, allora, non si contano più. L'ahro personaggio di De Foe, la famosa lady Rossana, non conobbe tanti uomini illegittimamente quanti ~ioll Flandcrs ne conobbe, fra gli ahri, legittimamente. Noue vere o fin1e, guadagnate con raggiri, o dovute al caso. Tanti i figli; sempre amatj, sempre abb;indonati. Moli è una naturale e prolifica donna. Le arriva poi di sposare un mercante della Virginia e di seguirlo in America. Là, ecco un accenno di dramma. li marito è figlio di sua madre, diventala con la deportazione una donna ones1a. Moli flanders è, come si vede, una vittima del caso: uria delinquente involontaria, insomma. Le p:.gine di questi contrasti non mancano di a\·ere qualche risalto, ma poi il tempo ag• giusta tutto. Moll torna in Inghilterra: nuovi amori, nuo\e avventure, finché, diventata vecchia, non s, mette a fare la ladra. Da mondana si 1rasforma in una ladra abile: le imprese sue sono molte, e tutte straordinarie. :Mentre le sue compagne e i suoi compagni a poco a poco s'avviano al patibolo e alla deportarione lei sempre sfug. ge straordinariamenle. Quando poi sarà presa, la sua sorte non cessa di essere bi~ urra: in prigione ritrova il primo marito; avendo denaro riesce a scampare la f'brc.i. e ad essere depor1ata con lui. Sempre con denaro, messo insieme con tante ruberie, Moli potrà scegliersi una vita onesta in America. Sua madre onnai è morta, ma l'attende un figlio: il frutto dei disgraziati amori fraterni. E ormai la vecchiaia della nato alla carica con un volume assai più grosso: Jims, le Dieu fait homme, e non senza varianti notevoli nella ricostruzione del processo per cui Gesù-Dio sarebbe stato fatto uomo. Questa volta il Loisy non ha creduto di poter tacere ancora considerando• le circostanze particolarmente gravi del tempo presente• e la crisi profonda attraversata oggi dagli studi sulle origini cristiane, e persuaso che si tratti di un problema interessante non solo il passato del cristianesimo, ma l'avvenire della re• ligione nel mondo. E cosi, a ottant'anni sonati (egli è nato nel 1857)1 ma nel pieno vigore delle sue forze intellettuali, il Loisy ha scritto e pubblicato (ed. Nourry): Histoire et mythe à propos de Jisus-Christ, in cui segue e confuta passo passo il libro del Couchoud. In che consiste la tesi del Couchoud, in questa forma che possiamo ritenere definitiva? Già intorno al 70 a. C. esisteva in seno al giudaismo un gruppo particolare di credenti che facevano oggetto della loro fede il • Figlio dell'uomo• delle Parabole di J fcnoch (una parte della grande Apocalisse giudaica - non inclusa nella Bibbia, - tramandataci sotto questo stesso nome), Essere celeste esistente presso Dio da prima della creazione del mondo e destinato alla fine dei tempi a resuscitare ed esaltare i giusti e punire i malvagi. In seno a questa comunità di credenti l'Uomo celeste venne identificato con il ;\-Jessia delle speranze giudaiche, e 1n un secondo tempo gli fu attribuito il nome pcrsona!e, fino allora segreto, di Giosuè o Gesù, attraverso l'applicazione di un passo dell'Esodo. Nacque cosi la fede in Gesù Cristo, Dio e non uomo, non vissuto su questa terra, ma vivente negli spati celesti. I suoi fedeli presero dalla seconda parte del libro d'Jsail (o Deutero-lsaia, come dicono i emici) l'idea del sacrificio espiatorio di un essere provvidenziale, e l'applicarono a lui, ma intendendo sempre di un sacrificio avvenuto fuori d1 questo mondo e della storia umana. Egli era l'Agnello cefamosa mo,~dana e della non meno famosa ladra è destino che debba essere tranquilla. Il figlio sarà lieto d'avere trovato la madre; raiuttrà a 1rascorrcre felice gli ultimi giorni. Questo il racconto, ch'è come uno Khcma dentro cui De Foe sa svolgere altri piccoli rC"man2i.La borghesia inglese mercan1ile e puritana viene descritta con una felicità che forse non conobbero. nemmeno Dickcns e Thackeray. La famiglia che accoglie Moli bambina, con quelle fanciulle invidiose, con quei giovanotti pronti ad approfittare d'una ragazza, è di per sé un racconto da b;1s1are all'arte d'un romanziere. Poi si vedano gli altri episodi. Non tanto quello drammatico del vrimo soggiorno americano di ~lo!I, che scopre d'essere moglie del fra1cllo, quanto gli altri di Moli regina dei tagliabor$C.Moli, diventata ladra, uneue d'essere la consucla eroina del romanzo sette• centesco e accenna a. manifestarsi personaggio del tutto moderno. Il racconto diventa più estroso, e l'ironia di De Foe si fa meglio sentire, pur sempre in una prosa pacala e volutamcnle monotona. Accade a l\-toll di essere scambiata per ladra e di cavare da quell'infortunio denari e SC\<SeL. e accade di essere sedotta da un ricco signore, il quale poi non fa che rammaricarsi e dichiararsi pronto a sborsare denaro, come se non bastasse qudlo che Moli pur gli confessa d'avergli rubato approfittando della sua ubriachena. Un personaggio, quest'uhi. mo, ormai alla Dickens: un peccatore contrito, subdolo e lamentoso quanto lui non è dato più incontrarne nel romanzo inglese. Si direbbe che, verso la seconda me1à del romanzo, De Foe sappia giungere a quella felicità fantastica che sempre permette ai romanzieri di essere nel vero proprio quando raccontano casi d'eccez.ione. I personaggi smettono d'euerc soltanto pittoreschi e dileste dell'Apocalisse di S. Giovanni, immolato prima della creazione del mondo. Dalla tensione degli spiriti verso il dio Gesù-Cristo, nacquero le apparizioni di lui ai suoi fedeli, di cui ci dà l'elenco la prima epistola ai Corinzi di S. Paolo. Di qui il gruppo dei Dodici Apostoli, cioè di coloro che erano stati i privilegiati da queste apparizioni. Venne quindi S. Paolo ad applicare al Cristo il salmo XXII (• hanno traforato le mie mani cd i miei piedi•) creando il mito della Crocifissione. In S. Paolo, però, la passione del Cristo rimaneva un fatto celeste, estratemporale, compiuto da esseri trascendenti, demoniaci: e passione e resurrezione di Cristo erano intese come qualche cosa che si rinnovava continuamente. La storia di Gesù su questa tt-rra sarebbe stata invece una creazione di Marcione, il famoso eresiarca asiatico che al Dio giusto dell'Antico Testa.mento oppose dualisticamente il Dio buono del Nuovo, facendo del cristianesimo una creazione radicalmente nuova. Circa il 133 Marcione pubblicò per la prima volta una collezione delle lettere di Paolo e un Evangclo, raccontando in questo secondo, simile al posteriore vangelo di Luca, la vita terrestre di Gesù. Pure, la prima idea di trasformare la passione celeste, trascendente, di Gesù in realtà terrestre, materiale, non sarebbe stata originale di Marcione; egli l'avrebbe derivata da un equivoco dello storico latino Tacito. Proprio cosi. Tacito, tnterrogando in Asia (ove fu proconsole circa il 114) i cristiani, avrebbe inteso parlare di un Dio crocifisso da esseri invisibili, e si sarebbe persuaso che si trattava di un sedizioso punito dall'autorità stabilita, e precisamente da quel Ponzio Pilato procuratore di Giudea,che aveva applicato severe misure d1 repressione contro i giudei. Marcione • accettò con entusiasmo questa concezione popolare, laica, pagana, della morte di Cristo•• e la Chiesa adottb questa trovata di M,rcione (o piuttosto di Tacito) e gli scritti da lui editi, ma \'cntano caratteri. Moli stessa non è più una avventuriera, e in lei si raffigura uno dei caratteri meglio significa1ivi della narra1iva europea. In romanri come quelli di Dc Foc, dove l'avventura e gli intrighi sollanto vogliono avvincere il lettore, l'apparire improvviso di caratteri segna quali saranno le strade che il romanzo europeo prenderà in avvenire. Il racconto di Moli Flanders è un esempio da quell'arte narrativa moderna che forse ha il suo primo scrittore in Boccaccio. Mai la pittura del male e del bene fu senza im• pacci moraliuici e insieme 1cnui compia• cenze morbose come in que~ti scrittori. Solo in apparenia gli ,eri1tori come Boccaccio sembrano tutti presi dal racconto dei faui, e dal gusto delle avventure. Amano gli a,·- venimenti, ma soprattutto piace loro rapprC• sentarvi nel mezzo figure umane, fino a di- ,-cntare la pittura dei caratteri di maggior impegno che non quella degli avvenimenti. t con Boccaccio che il racconto europeo viene ad essere rappresentazione di caratteri. t di il che nasce una delle più mirabili arti letterarie: quella di raffigurare !e .JlUiioni umane sia nel bello che nel b,utto fino a cavarne una ideale commedia. Gli scrittori come De Foe, quasi a prevenire gli appunti dei contemporanei, avvertivano di avere voluto fare opera di bene. Indicare il male, affermavano, può servire ai leHori d'ammonimento, di sal\'aguardia. ~fa non era che una scusa dovuta a parti• colari circos1anze. Veramente scrittori come Boccaccio, come De Foe, come Dìckens, hanno la loro giustificazione morale nella loro arte. Un'arte pari alla loro ha un senso indubbio. li bene e il male smcltono di es.sereragione di C"dificarioneo di corruzione e sono soltanto un segno d'umana vc-:rità, CARLO DADDI trasformandoli ed aggiungendovene di nuovi. Di qui i nostri vangeli. La coscienziosità, la dottrina, il vigor polemico del Loisy lo hanno tratto a seguire punto per punto, in un libro di 250 pagine, queste elucubrazioni del Couchoud. Oseremmo dire che la loro condensazione in poche righe, come abbiamo dovuto fare noi, ne fa saltare agli occhi l'assurdità più immediatamente. !Via in sede scientifica non basta un'impressione generica, anche quando si imponga, come in questo caso, con l'evidenza di una verità intuitiva. E bene ha fatto il grande storico francese a sobbarcarsi alla fatica di una esposizione e confutazione particolareggiate. Riferire qui quante volte e per quanti modi diversi egli colga il Couchoud in fallo di inesattezza, di arbitrio, di assurdità, non si potrebbe e non gioverebbe. Ma i punti principali vanno rapidamente indicati. Che il nome di Ge.sù sia stato considerato dai cristiani come una rivelazione celeste, è fantasuco: bcnsl a Gesù, nome corrente, furono applicati dai suoi seguaci i titoli di Cristo e di Signore. Nessun testo giustifica uno sdoppiamento di prospettiva per cui i fatti salutari del Cristo, supposti dapprima avvenuti fuori del mondo, sarebbero stati trasportati su questa terra, sulla quale invece essi sono stati sempre posti dai credenti in Gesù. La fede al Cristo cel~ste non ha mai escluso, ha sempre implicato la fede al Cristo nato, vissuto e morto su questa terra. L'Agnello dell'Apocalisse non è immolato prima della creazione del mondo, non negli spazi celesti; anche nell'Apocalisse il Cristo e supposto gik nato e morto su questa terra e resuscitato, vivente nel Ciclo. Esso è raffigurato come l'Agnello divino perché la sua passione coincidette con la Pasqua giudaica. Le apparizioni del Cristo ai suoi fedeli furono sempre considerate come quelle di un essere vissuto sulla terra e realmente morto; e i Dodici dovettero la loro distinzione, prima e meglio che alle apparizioni, alla loro conoscenza di Gesù in vita. Tra i capi della prima comunità cristiana fu un Giacomo • fratello del Signore•, titolo di cui vanamente si tenta un' interpretazione simbolica; e della famiglia terrestre di Gesù cì parlano i vangeli. Non dall'applicazione al Cristo del salmo XXI I nacque il mito della CrocimusE (CORRIEARMEERICANO ) ~~il~ WWLIE i L 16 DICEMBRE si sono compiuX ti dicci anni dalla morte della poetessa e romanziera americana Elinor Wylie: dicci anni che non sono bastati per farla neppur nominare in Italiai ma che hanno agito come un filtro sulla sua opera e dalle sue liriche hanno isolato quelle dicci o dodici poesie che potrebbero entrare con onore anche nella più rigorosa antologia della poesia americana, Nata il 7 novembre 1885 a Somerville (New Jersey), discendente da pio-, nicri, govematori e giornalisti, ebbe nel padre, alto magistrato, e in un nonno banchiere a Filadelfia i suoi principali educatori. A dodici anni si trasferì con la famiglia nella capitale e vi rimase, conducendo vita insignificante, fino a venticinque annii cioè fi. no al 191o, quando, abbandonando improvvisamente il marito sposato da cinque anni, fuggì in Inghilterra con Horacc Wylie. Il sopraggiungere della guerra indusse- i due amanti a tornare, nel 1915, in America: prima a Boston, dove poterono sposarsi, poi, dal 1919, a Washington. Fino allora, le tendenze letterarie di Elinor non avevano avuto grandi manifestazioni: un volumetto di versi, lncidental .Numbers, stampato a Londra nel 1912 (nel quale si possono cogliere solo pre- ~entimenti dell'opera futura), e un vivo amore per Shellcy : non solo per l'opera, ma anche per la. personalità. Un amore quasi fis.ico. Nel secondo soggiorno a Washington, Elinor si de. dicò sempre più all'attività letteraria; vi conobbe, tra gli altri, Sinclair Lcwi<:, che nella capitale scrisse il suo A1airi Strcet, e William Rose Bcnét. Era il tempo in cui il realismo del r~ manzo americano stava per toccare il vertice: di lì a quattro anni doveva uscire l'American Tragedy di Dreiser, e contro questo orientamento veniva già delineandosi un principio dì reazione. Il verismo satirico di Lc\-',•Ìsgià non era più realismo puro; Hergesheimcr si palesava realista assai più in apparenza che in sostanz...'\; e le tendenze antirealistiche si venivano delineando anche in Inghilterra con Virginia Woolf e con altri. Spinta dal suo temperamento, Elinor ½'ylie raccolse subito questo moto di reazione nelle poesie che cominciò a pubblicare. Nel 1921, lasciò \Vashington e si trasferì a New York. Rapido e trionfale ingresso nella società letteraria di Manhattan. Bianca come neve, salvo la ricca chioma color bronzo e i lucenti occhii miopi ma osservatori ; schizzinosa e affascinante, colta e signorile tra la media degli scrittori, sapeva anche essere, con gaiezza, di modi bonari. Uomini e donne la adorarono e la viziarono con lodii di cui ella fu sempre fissione, ma dal fatto della crocifissione nacque l'applicazione del salmo, il quale per sé conteneva tutta una serie di tratti non figuranti nel racconto della Passione. Per S. Paolo Passione e Resurrezione non sono fatti che si compiono continuamente, fuori del tempo e dello spazio terrestri, ma fatti compiuti una volta per sempre su questa terra e a cui sono associati i fedeli nei sacramenti. Nessuno nei primi tempi cristiani ha messo in dubbio la crocifissione di Gesù, salvo lo gnostico Basilide che faceva crocifiggere in sua vece Simone il Cireneo: congettura che testimonia pur sempre contro la tesi del Couchoud. Infine, né la collezione delle lettere paoline fu creata da Marcione, né il vangelo di Luca fu imitato dal suo; bensl Marcione impiegò e rimaneggiò l'una e l'altro. E come mai tutta una comunità, anzi una serie di comunità sparse già in tutto l'impero romano, credenti fino allora nel Cristo puramente celeste, avrebbero di punto in bianco accettato da i\farcionc - che di Il a poco dovevano scomunicare come eretico - la storia del Cristo vissuto in Palestina e crocifisso a Gerusalemme? E che cosa dire dell'assurdo qui pro quo che avrebbe preso Tacito confondendo un racconto mitologico con un episodio della cronaca crimtnale di meno d'un secolo addietro? E come persuadersi che Marcione, - un'alta coscienza religiosa, - avrebbe fatto suo questo qui pro quo, pur sapendolo tale? E donde mai egli avrebbe tratto, tutto in una volta, il blocco dei racconti e dei detti evangelici? E come mai, dopo un periodo cosl lungo di stasi (dalla crocifissione celeste introdotta da $. Paolo), si sarebbe avuto questo brevissimo periodo di effervescenza per cui sarebbero stati creati i Vangeli, gli Atti degli apostoli, la collezione delle lettere paoline? (Il Couchoud pretenderebbe farci credere che il vangelo di Marcione venne fuori nel 133 o, nel 134 e quello di Marco poco dopo il 135). Non occorre insistere. Piuttosto rileviamo brevemente i rapporti del Couchoud con i •mitologi• suoi predecessori. Egli ha messo da parte (e questo è un merito) il mitologismo astrale con cui la critica radicale aveva incominciato alla fine del secolo XVI II (Dupuy, Volney) e che il Drews ha ancora adoperato largamente ai nostri giorni. Ila invece preso dai mitoavida in manieJa ins.-iziabile e tuttavia non sgradevole. Le sue poesie apparvero in molte riviste "" l'anno stesso uscirono in volume col titolo Nets to catch the Wind. Nel 1923 pubblicò un nuovo volume di poesie (Black Armour) e il primo romanzo: ]enni- /er Lorn. Niente realtà, niente psicologia in questo racconto, dalla stessa Elinor definito « strava~anza > e che suggerisce, assai più che non dia, ambienti diversi: Inghilterra, Parigi, Plndia, come in un sogno. Il procedimento di questo romanzo è sviluppato e perfezionato nel successivo: The Venetian Glass Nephew (1925), in cui i personaggi acquistano valore di simbolo nel senso lato della parola, tra un misto di figure storiche e di persono concepite realisticamente. Un racconto favoloso, insomma. Intanto, nel 1923, Elinor aveva divorziato dal Wylie per sposare William Rose Benét, ma sarebbe troppo facile vedere in queste irrequietezze coniugali la solita vicenda di troppe donne americane: ci fu invece, in lei, la ricerca della condizione più adatta allo svi• luppo della sua arte e accanto a questa, forse, la ricerca di un ideale tipo umano che il suo spirito aveva trova• to in Shcllcy. Del poeta inglese ella fece il protagonista del suo terzo romanw, The Orfa,i Angel (1926), immaginando che quando egli era quasi annegato nel mare di Livorno in tempesta, il capitano di una nave americana lo trasse a bordoi riusci a salvarlo e lo portò in America. Un intreccio lievissimo dà modo al poeta di attraversare tutti gli Stati Uniti con varie vicende. li! questo, come nel successivo cd ultimo romanzo, .41r. Dod- .t:e a11d Mr. Ha{.ard (1928: nel quale il personaggio di Mr. Hazard è un poco, ancora, Shelley e un poco lei stessa), Elinor si mostra spesso indiretta, comica, canzonatoria. Più diretta e personale riesce invece nella poesia, che proprio aJla fine della sua vita diede la vampata più luminosa. Diciannove sonetti, riuniti col titolo di One Perso,l, esprimono un nuovo e profondo amore che afferrò la scrittrice e sul quale ella mantenne un geloso riserbo. Fu l'ultima fiamma del suo cuore e della sua arte. Ai primi di dicembre 1928 preparò per la stampa un volume di versi: Angels and Earthly • Crealures. Aveva appena finito, quando un colpo di paralisi, il secondo che la coglieva, la uccise a quarantacinque anni. Sebbene sia un luogo comune, è ve• ro per Elinor Wylie che la morte prematura ne ha troncato lo sviluppo ar• tistico. La sua opera letteraria, cominciata tardi, è un continuo progresso: l'ultimo volume di liriche dimostra un sicuro possesso della tecnica, parla con maggior franchezza e fermezza di accento, rivela un orizwnte spirituale e poetico ampliato rispetto ai precedenti ; sicché non è ingiustificato chiedersi quali finezze avrebbe saputo darci oggi l'arte di Eli.nor \.Yylie, pur col suo insopprimibile carattere di prodotto di cultura. SALVATORE ROSATI logi contemporanei (l'inglese J. M. Robertson e l'americano \V. B. Smith) l'idea di un 1,; cristianesimo precristiano•• la quale, intesa per il suo verso, può contenere un nucleo di verità non escludente affatto la storicit~ di Gesù. Co~toro, però, avevano avuto almeno il buon senso di concepire la sostituzione al Cristo celeste del Cristo umano come un processo graduale e collettivo: così il Robertson riteneva che dalla rappresentazione drammatica della nascita e della morte del Dio sarebbe sorto il mito di Gesù terrestre. Per il Couchoud invece tutto sarebbe stato creazione letteraria di un individuo (o di un paio, contando il qui pro quo di Tacito): assurdità che tuttavia non è neppure essa originale, poiché già prima del 1850 il tedesco Bruno Bauer (da non confondere con Baur) aveva sostenuto che il più antico degli evangelisti (Marco) avesse creato egli stesso la tradizione evangelica. L'attribuzione, poi, a ì\1arc1one del colpo di scena finale con cui Gesù-Dio fu trasformato in Gesù-Uomo, e che rappresenta la maggior novità dell'opera nuova dc-:1 Couchoud rispetto all'antica, è stata ispirata al Couchoud dal Turme! che sotto il nome di Delafosse ha creato, attraverso le analisi 'di vara documenti del cristianesimo primitivo, una specie d'interpretazione • panmarcionitica • di questo. Verso la fine della sua fatica il Loisy, abbandonando per un momento la freddezza scientifica, velata d'ironia, delle sue confutazioni, esclama: • Quale idea dunque si fa Couchoud del soggetto che 11rratta e della specie umana a cui appartiene? Il cristianesimo sarebbe dunque un sogno di pazzi temperato progressivamente, trasformato e perfezionato da tattici senza scrupolo? L'umanitk sarebbe un bestiame facile a sedurre e perpetuamente ingannato?•· L'uomo morale, vivissimo in questo esegeta e storico sommo, ha voluto qui il suo sfogo, che troverà consen• zicnti quanti hanno 11 senso vero della storia, cioè il senso dell'umanità. Non da creazioni artificiali, da improvvisazioni arbitrarie di qualche individuo pub esser derivata la fede cristiana, come nessun'altra delle grandi affermazioni dell'umanità; bensì dal travaglio intimo di questa compiuto per la soddisfazione dei propri bisogni morali. FRANCO ALESSANDRI
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