( PALCHETRTOIMA)NI lmClDIIIEllll DE.G!: ~DVUO 21(0 i) O\"E, aveva la testa Uon Daudet H:lJ quando chiamò stupido un sccol~ così illwninato e civile come il dc1.:irnonono? Le macchine oggi saranno più numerose e spetazzanti, ma l'uomo dell'Ottocento era fornito di tali e tante rapacità, che il suo successore del Novecento sembra in oomparazier ne una creatura con due grosse· membrane a ricasco sugli occhi, e due mani enormi e a forma di pagnotta, ma del tutto sfornite di dita. Di tanto in tanto, quando le pause della vita intensa. cc lo consentono, saliarno in una casa Lranquilla, profumata di rose, a trovare una signora ormai vicina al secolo, che i suoi figli, i suoi nipoti e i suoi nipotini chiamano in coro «bambolina>, tanto essa è minuta, e graziosa, e illuminata pur attraverso le rughe da un inalterabile sorriso. Bambolina manifesta ogni voi• ta una gioia sproporzionata all'impor• tanza dc1la visita, com'era uso al tem• po delle dolci iperboli e degli amabili eccessi, e non è volta che noi, nel suo salotto imbottito di tappeti, non ci soffermiamo ad ammirare le tante cose belle che sapevano fare le mani di Bambolina : i pizzi in mostra nella vetrina panciuta e degni delle dita di Aracnc, gli esametri in latino e ricopiati in bella nell'album coi fermagli d'argento, la copia della Deposi{.ione di Raffaello, grande quanto l'origina• le, e dipinta con una scienza che i nostri pittori di oggi non si sognano neppure. Finita la visita, scendiamo le scale col passo a X del cavallo che balla la polca, e torniamo ad immergerci nel turbine della vita moderna, come pesce che torna a fondo. Vorremmo del pari poter salire di tanto in tanto in una vecchia casa di Firenze, e ritrovare un nostro zio che ricordiamo come in .sogno; ma quella casa è vuota ormai e dalle sue camere spoglie anche il caro fantasma se n'è andato. Di lui però, che similmente ~ ,. Pascal era domirato dal tt"rrore dell'abisso, e non moveva passo se prima non si assicurava per mezzo di un ba'>toncello che il terreno davanti a lui dava garanzia di solidità, ci rimangono le anacreontiche forbite, i calligrafici acquerelli, le romanze .soavemente armonizzate, i e pensieri> trop• po garbati per mostrar peso dì peno;iern. ~ che si crede? I due casi citati non erano né rari né eccezionali, perché in ognuna di quelle persone di mondo, in ciascuno di quei sapienti dilettanti, e nei borghesi pure e fino negli artigia• ni c'era una goccia di universale. E se agli uomini di oggi quei sonetti, quegli acquereJli, quelle romanze paiono e freddi >, è perché la facoltà si è per· duta di sentire la presenza di un'ani• ma. quando essa per discrezione si na• ,;conde. Quel nostro zio non si chiamava Gherardi Del Testa, ma era egualmente degno di fi11T1arela commedia in tre quadri Con gli uomini non si scher{,a, che la Compagnia della Commedia ha riesumato sulla scena del teatro Valle. Questa conversazione più che commedia, svolta in una lingua di cui la buona società di oggi ha perduto ogni traccia, pone in campo una situazione capovolta e come cl.ire un paradosso, il quale, poiché il buon Gherardi non fece in tempo a conoscere quelli di Giorgio Bernardo Shaw che ti s.cuoiano un uomo e ti spezzano un destino, è mite e da non far male a nessuno: e non con le donne, come tutti ere• dono, ma con gli uomini non convie• ne scherzare>. Questo e niente altro. Eppure, l'amabile nullità di questa commedia, il suo dialogo fiorito e vacuo, le sue immagini leziose e false (che rimarrebbe se fossero vere?) operano come un soave liquore. Dimentiche per un po' delle rudi gioie che offrono in questa stagione le nevose pendici del Terminillo, dame e damigelle risognavano i sogni delle nonne, indifferenti ai morsi delle vecchie e gloriose pulci del teatro Valle, le quali, abbandonati i loro caldi ricoveri dentro il velluto delle poltrone, erano uscite a caccia per rifornirsi di sangue fresco. Comt: si conviene, l'amabile e con• vc~,Lzione > di Gherardi Del Testa si conclude in matrimonio: premio sempre ambita, ma ambitissimo quando oggetto del matrimonio è la signorina Rossana Masi, questa « grande fanciulla > che pur nelle parti di sposa e di madre serba la sua anima albeggiante di Rmalinda, e solo per quel che di addetto stride talvolta nella sua voce, mostra di essere donna mortale, e non immortale ninfa dei OO'ichi. Tra un quadro e l'altro la scena si ·-------------------·---·-------- ,'f., ,·v.; ~,. ~- >x ~~ ,~ ... ~ ~ ..j.. i., "';\.· -~ •"'' .:~,, ~. .... .._ ~ ~ \ ~ •... ·•i ~ . .. ~,. ~ BOMA • BAORO E PROPANO IN UNA OA8A DI VIA 8, lU.NOINl o.scurava, e in un debolissimo chiarore da seduta spiritica passavano sul proscenio' a suon di valzer quattro fanciulle danzanti, e cosl leggere che non si capisce come nel privato si possano chiamare Krystyna Komorowska, Ma• rianna Kolakowska, Krystyna Bogucka e Halina Sosnowska. Gl'jntermezzi mu.sicali e coreografici, con cui la Compagnia della Commedia dimostra di non essere una compagnia come tutte le altre, ma una compa• gnia d'arte, a noi piacciono molto. Noteremo tuttavia che manca a essi intermezzi il senso drammatico del contrasto e, a nostro parere, anziché accentuare il carattere lezioso della commedia con passaggi di fanciulle in aspetto di farfalle notturne, sarebbe riusc,ito più suggestivo forse contrastare con esercizi di tiratori vestiti da cowboys, che dal proscenio rompessero delle uova di celluloide sulle teste degli spettatori seduti nei palchi di prima fila. In un palco di prima fila eravamo seduti anche noi, e qualche pallottola di carabina che avesse sfiorato il nostro cranio, avrebbe prevenuto forse il sonno che, dopo la commedia del povero zio, ci colse durante la recitazione dei Menacmi. A. S. A.tLA 'NlRVAJiETTA I ·ALTRA sera volevamo andare al ci- ,& nematografo: ma poi, passando vicino al Traforo, vedemmo brillare un'insegna luminosa, che, a caratteri verdi, diceva • Nirvanetta •, e subito si pensò a una vita misteriosa e felice, di grande città notturna. Simili luoghi hanno sempre un gran fascino, per noi. Un piccolo uomo in livrea verde ci invitò, con un triste sorriso, ad entrare nell'atrio, ch'era angusto e chiazzato d'acqua e di segatura. Due giovanotti dai capelli lustri e gli impermeabili sporchi stavan lì, come incerti, e guardavano pensosi certe fotografie appese al muro, che rappresentavano grasse donne in costume ungherese. La fioca luce, l'odore di umidità, e quei due giovani parevano tutti elementi di un'atmosfera voluta dall'arredatore del locale a simboleggiare la malinconia, la follia segreta e la tetraggine dei luo~hi di divertimento cari ai film francesi. La • Nirvavetta • si compone, almeno per quel che ne potemmo vedere, di tre salette, destinate ad essere rimesse di automobili, rivelatesi poi troppo strette per quell'uso, e trasformate quindi in dancing. La sala numero uno è evidentemente luogo di passaggio, e ci stanno i nuovi venuti, i timidi, mentre gli iniziati, accolti festevolmente dal direttore, vanno immediatamente a prendere posto nella sala numero tre, e là siedono, per consumare ceneue galanti, composte generalmente di panini imbottiti e di un bicchiere di birra. Nella sala numero due invece si trova l'orchestra: e quando ci arrivammo c'erano, appunto, i suonatori soltanto: brave persone, con le facce occhialute e sorridenti che si vedono poi fotografate nei cataloghi dei dischi, perché diventate celebri. 11direttore, accompagnandoci a sedere, ebbe l'aria di scusarsi, e dichiarò che avrebbe subito riunito le signore. Difatti alcune donne dai lunghi capelli increspati, vestite da sera, entrarono orgogliosamente e presero posto ai tavolini, mentre i camerieri, accorsi, fingevano di ascoltare I loro ordini. Quasi tutte vestivano di nero, quegli abiti neri che ringiovaniscono con una rosa rossa puntata audacemente alla cintura. Brune, grasse cd invitanti realizzavano quella che nei paesi del Nord viene chiamata • la bellezza meridionale•; parla"ano invece incomprensibili lingue slave; oppure il tedesco sfatto delle berlinesi. La nostra vicina, che, come scoprimmo poi dai manifesti, era la signorina von W., placida ed imbustata, discorreva lenta con un'amica magrissima che nervosamente diceva di essere stata dal medico, poi dal console, ma che proprio non c'era rimedio. Appena la musica riprese, tacquero tutte e due, e lanciarono sui tre o quattro uomini seduti a un tavolino sorrisi larghi, che ricordavano il moto dei fan. Dalla sala numero uno avanzarono intanto i Timidi, e dalla sala numero tre uscirono gli Assidui; chi con sorriso spavaldo, chi con inchino ossequioso, invitarono le donne al oallo, e parecchie coppie presero a scivolare intorno. Due o tre ballerini, assorti e solenni, prediligevano i passi complicati, ma erano eccezioni. Gh altri, non più giovani, piuttosto grassi, forse ingegneri o viaggiatori di commercio, si mostravano prudenti. Ballando, li sentivamo mormorare alle loro dame quei laboriosi complimenti in lingue forestiere che sono, appunto, il privilegio di simili uomini. 1 ttJu.ndersch6n e gli id, liebe dich, pronunciati barbaramente, provocavano i sorrisi delle signore, le scherzose tappe di rimprovero per l'audacia, ed i rallegramenti intorno all'ottima conoscenza della lingua tedesca. Finalmente le luci si spensero; un colpo di gran cassa annunciò un avvenimento importante e, mentre i riflettori diffondevano raggi misteriosi, una•g1ovane donna, pingue e vestita di veli, entrò <Jahcllando ed esegui una danza. Le sue colleghe l'applaudirono molto. Una alla volta, le signore lasciavano 11 loro tavolo ed il loro vestito nero, e ci riapparivano abbigliate in fogge viric; quasi sempre, però, con ampie sottane di tulle, e spalle nude. Anche la signorina von \V. si esibl in un balletto prima ed una canzone poi: la canzone era tristissima, il balletto anche. Infine, quando ciascuna si fu prodotta, cd ebbe poi ripreso 11 suo posto al tavolino, tra le occhiate di compiacimento, la signorina von W. afferrò la tromba del megafono, ed accompagnò le danze, can• tando con sentimento Parlez-moi d'amour. Ottenne un vivo successo, fu invitata ad un tavolo d1 cinque uomini maturi, che premurosi le chiesero cosa volesse bere. Lei ri1pose, in italiano, e con aria modesta, che desiderava un cappuccino: risposta che ci fece comprendere come la signorina non fosse più giovane, cd avesse una vasta esperienza degli uomini e della vita italiana. I suonatori, intanto, dopo lunghi e sommessi accordi, avevano spiegato sui leggii la musica del Lambeth Walk, e cominciavano a sonarla. I ballerini esperti scattarono in piedi, dirigendosi rapidi verso le signore che si erano rivelate migliori danzatrici: la biondina in bianco, ad esempio, fu attorniata e la ragazza magrissima dovette cessare di parlar del medico e del console con le compagne per dedicarsi ad un giovanotto verniciato di brillantina. I Timidi parlottavano tra loro spingen• dosi, vicendevolmente, a ballare, e rifiu: tando con risate piene d'imbarazzo. Ma il direttore si mostrava incoraggiante, le signore andavano a sollecitare i loro cavalieri, promettendo che li avrebbero guidati loro. E cosi la stanza, che durante le prime battute era stata semivuota, si trovò, improvvisamente, affollata. Noi eravamo molto emozionati, perché abbiamo visto ballare il Lambeth una volta soltanto, e per di più a Scheveningen, dove l'allegria rumorosa, e spesso infantile, che anima gli olandesi quando si divertono dava al ballo unicamente valore di gioco. Ma alla • Nirvanetta • le cose si fanno con ben altro impegno, e tutti serissimi passeggiavano a braccetto, eseguivano giravolte, si battevano le ginocchia e levavano i pollici gridando in tono quasi funebre: • 0i, oi •· Vedemmo allora sulla soglia, in atto di guardare i ballerini, un bambino di otto o dieci anni, in calzoncini corti, con un ciuffo sulla fronte: aveva l'aria del padrone di casa, ed improvvisamente, sedendosi a cavalcioni di una sedia, trasse di tasca portasigarette ed accendino, e cominciò a fumare. Ci venne cosi fatto di pensare al nano in smoking del • Florida•; forse davvero c'è una famiglia di lillipuziani, che misteriosamente governa i luoghi di divertimento romani: la loro presenza, minima e crudele, ha forse il potere di ridurli alla faticosa aridità della baldoria laboriosa e pesante. Non si sa: il nano intanto, sorridendo con durezza, mandava grosse boccate di fumo negli occhi delle donne che ballando gli passavano davanti: loro ridevano, umilmente, come se lo ringraziassero. IRENE BRIN ~~&>-, DEL VANTAGGIO LÀ chiesa di ~an Rocco, i~ via Ripeita, ha un 1rai1010 campande dalla cima uhiacciata, come il coperchio di certe i1ucheriue di porullana: un campanile mo• dfSto, ma che dona a quella 1eometrica chit:sa del Valadiu un aspetto campa1nolo. Ieri, passando _bu via R,petto, al.cati 1li occhi, scoprimmo eh, li campanile, senio più campane, accorciato .ber metà, era avvolto in una nuvola di polvere bianca. Dio mio! Conouiamo quelle nuvole di calci. nacci! Il .tJovuo camtJanile, infatti, era stato assalito all'alba ed in 1ran frella smantellato come una forteu.a n1mica: oro, appariva diroccato come i cam_t,anilidelle te,,, invau 1ulla lllustrazfone Italiana dì vent'anni fa. I N corso Vittorio Emanuele, 11er10 il ponte, appare fra due ahi abeti un ICmpielto ionico dove ha 1tde un piuolo muu-o di uultura antica, costruito dal Kock nel 1905, e donato alla cittd di Roma dal senatore Baro.eco.LA cittd di Roma, per onorare la memoria dell'illustre senatore, sta abbaltendo il tempietto . SUL Tevere, l'architetto Brt21ini CO· 11ruird un nuotJo ponte poco distonie da PonlCMiluio. Il poni,, lun10 310 metri, avrà utte arcate di cui lo centrale di 5:1 metri e le quattro laterali di :15 metri ciascc,na. E fin qui nulla di male; ma nel centro delle due 1trade e sarà riportata uno ulcialuro romana antica, lar1a ,4 metri, quale simbolico t:ollegamento storico alle due vie consulari >. LA storia del Caffè Aro1no è un po' la s1oda della nostra borthesia; florida nelr '88, spensierata nel '900, ardente nel '14, ora è wn po' 11.1c1hi vive e non sa, in realtà, decidersi a rinuniia,e ai suoi vecchi ruoli: induisa e rispetto1a, tenta tuttavia di adat• tarsi ai tempi, o, come suol dirsi, di e ,j. modernarti>. Co.ri l'Ara1no: dall''BB, anno in cui fu t:oslruito dall'architetto Podesti, questo nobile ca/Jl, a pot:o a pot:o, ha rinundato al suo f;2sto, al suo decoro di Primo Caffè de.IlaCapitale, di ritrovo di t:api di 1ov,rno, di senatori, di uomini illwstri per finire ai concertini serali. Sui vasti sp,c. chi dalle larghe e spesse cornici d'oro, fra lesene di marmoridea, apparvero inserl,ioni dipinte a olio, e dove erano i vasti divani di velluto n· videro esili ug1ioline '900. Ora, finalmente, 1i è pensoto, per essere intonati ai tempi, di far, uno sventramento domestico: cosi, si è abbattuta una trande sp,c. t:hiera, proprio quella di fondo che, entran. do, dova l'illusione di un vaJti11imo loc,Jle, perché il riflesso de1li specchi ripeteva all'infinito l'interno della 1ala. Adesso il caffè ht.1una parete vuota, dalla quale si passa in una squallida 1ale1tache ,it:orda le sale da pranl,o di certe pensioni in riva al mar,. MASSIMINO ( ILSORCNIOELVIOLINO tr~1l~J1làjt1l!~ (t1 UESTA è la settimana iniziale dei tea- !l:D, tri lirici colmi, del pubblico in alta uniforme, dei successi più o meno colossali, degli osanna clamanti su e giù, dai loggioni della claque fino alle redazioni dei giornali. Per stare in tono col mondo dovremo ìnfilare anche noi un bel paio di maniche larghe, che è appunto l'uniforme attuale e il distintivo dei critici. A dir il vero, la serata d'apertura del Teatro Reale subì un tracollo terribile per l'improvvisa indisposizione della primadonna, signora Cigna, che all'ultimo momento gettò la spugna come un pugilatore che rinuncia a combattere. Fu un colpo assai grave per il prestigio d'un teatro puntuale, contegnoso e importante come il nostro Reale. Il microbo del raffreddore, un microbo solo, caduto, chi sa, forse nella minestra, può far crollare uno spettacolo, mandare tutto all'aria il capitale investito, e gettare sul lastrico centinaia e centinaia di persone impiegate nella faccenda. Così è il teatro e il cinema: sul filo d'un rasoio. Basta un microbo, e patapum. Ne viene di conseguenza che di primedonne ce n'han da essere due, e forse tre, bell'e vestite, pettinate, e pronte fra le quinte a far la stessa parte, specialmente se si tratta C'una prima rappresentazione. Cosi fu che l'altra sera mentre la sala del Reale, pavesata e infiorata a dovere, andava caricandosi di gente come un vascello che parte per Ci tera, il fuoco scoppiava a bordo. Mezz'ora prima della recita, la direzione del teatro fu costretta a sgombrare senza rumore il mare dal palcoscenico (si, appunto il mare Adriatico), fu costretta a ritirare la •nave• in magazzino; a sopprimere Venezia addirittura, a far spogliare le ballerine dietro il telone calato e finalmente a spegnere con le pompe l'ira giusta, l'indignazione sacrosanta dell'autore. Povero Montemezzi, lui non se lo meritava uno shampo<Jing di questo genere. La sua opera annunciata, aspettata, dc• siderata da oltre due settimane, doveva esser sostituita Il per lì a tamburo battente da un'altra di repertorio: il Tannliàuser, o meglio che niente. • Attenzione, attenzione•, urlava con voce da rinoceronte l'annunziatorc invi• sibile. Un altoparlante, situato lassù nel cielo del teatro, perorava in favore del fulmineo cambiamento. L'altoparlante in teatro? Che innovazio. ne balorda! Il tono intimidatorio e sfondato d'una gola di cartone, nel chiuso e sacro regno del silenzio e dell'armonia, distrugge il valore e l'effetto del canto umano e la musicale disposizione del pubblico. Nessun artista vero lo potrebbe tollerare. Quel che va bene allo stadio, va male, molto male in teatro. Meglio il sistema antico e tradizionale. Meglio la faccia sgomenta, la voce chioccia, e la marsina verde d'un buttafuori qualunque. Che diavolo! Un teatro è sempre un teatro. E certe usanze van rispettate, fino alla fine dei secoli. Basta. 11contrattempo teatrale, capitato come una cannonata in un camp<>santo, si può dire che disotterrò e trasse alla luce il Tam,hiiruer del rigurgitante titano, i cui interpreti a quell'ora di notte stavano cenando qua e là nei diversi ristoranti della nostra città. Naturalmente ci volle del bello e del buono per rintracciarli tutti e ricondurli in teatro e farli cantare, ancora col boccone in bocca, e il cuore in gola. Ma anche questa operazione di rastrel• lamento e d'adunata riesd senza chiasso né scompiglio, grazie al sistema rossiniano del • zitti, zitti, piano, piano•. Durante il trambusto segreto, un uomo solo, in piedi dinanzi al pubblico, era rimasto fermo e tranquillo al suo posto: il direttore d'orchestra, maestro Tullio Serafin. Fatto sta che alle nove e mezzo la recita di Tan 1 nhà'!-'d cominciava senz'altri inconvenienti. L'esecuzione musicale fu degna in tutto e per tutto del nostro grande teatro. L'orchestra, diretta robustamente da. Tullio Serafin, diede un forte risalto ai punti migliori dell'opera che il direttore condusse a traverso rischi e pericoli verso un successo totale. La sera dopo, andò in scena corf più facilità e fortuna il secondo speu'acolo della stagione: L' Arltsia,ia di Cilea, dove insieme all'energia del maestro De Fabritiis rifulsero le doti eccezionali di tre cantanti famosi come Schipa, Licia, Albanese e Gianna Pederzini: quest'ultima inarrivabile anche come attrice. Chiudeva il secondo sptttacolo il balletto Tricorno di De Falla in un'edizione splendida. BRUNO BARILLI LEO LONGANESI - Direttore responsabile PrU9ritO •r~"7;;;, ~.m-;;;;;-;::;;.v-.,-. -- RII.I.OLI & C.-~ An. p,-r l'.\nt dt-11• S"mpa, . \hlan., Rll'ROl)UZIOS! E%.Gl.;ITG cm~ \IATERl.\l.E FOTOGRAFH.'O • ~-l~RRASJA •
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