Omnibus - anno II - n.51 - 17 dicembre 1938

ANNO Il - N. 51 - ROMA 17 DICEMBRE 1938-XVII 12 PAGINE UNA LIRAI I GESTI DELLA TERZA. REPUBBLICA (M:. ALBERT LEBRUN> li'l ORTESEMENTE, dolcemente, ma l!a con fermezza, bisogna guardare l'Italia negli occhi e dirle che non , e'~. non ci sarà mai una questione tunisina >. Si leggono queste parole in una pubblicazione di Charles Bcnoist : La qutstion mlditerranh11ne, che fa testo presso gli ambienti p,titici e colonialisti francesi. Per co,;toro la Tuni,;ia è un vero e proprio dominio, un autentico po$scdimento, che solo i formalismi del diritto internazionale impcdi~no di dichiarare tale. A sentire gli scrittori della T uni.sie Française, della Déphhe Tunisienne, il sistema del Protettorato deve cessare, perché è indispensabile che tutte le Potenze si inducano a riconoscere apertamente che in Tuni~ia la Francia è complèttment che, elle. Secondo un autore che va per la maggiore, il Fauchille, il Protettorato è una « annc~sione indiretta e completa », che sarebbe stato preferibile dichiarare in tutta la sua integrità fino dal primo momento; ma è indubitato, è fatale, che, pre'itO o tardi, ,.j dovrà addivenire alla « incorpora7ionc pura e semplice dello Stato protetto da parte dello Stato protettore », cioè della Franeia, secondo quanto dichiara un'alta autorità giuridica, il Oespaguct, n~I .suo corso di diritto internazionale. So. lo a questa condizione si potrà eliminare il fastidio.so e: pericolo italiano>, l'illecita e: iritrusione » italiana, e: paragonabile a quella di un bracconiere in un terreno di caccia riservata». Questi autori 'IOno in errore, perché la Tunisia non è un dominio coloniale, ma uno Stato, per quanto protetto. Dimenticano, questi colonialisti e questi professori, che il Protettorato non annulla la personalità dello Stato protetto, che continua a far parte della comunità internazionale. Ne con.segue che lo Stato protetto non può in nessun modo essere considerato come parte dello Stato protettore, tanto è vero che il Protettorato, in quanto implica una alterazione della condizione giuridica dello Stato protetto 1 e, quindi, della citessa comunità internazionale, di cui essa fa parte, richiede il ricono,.cimcnto degli altri Stati. La dottrina è unanime nel dichiarare che lo Stato protetto conserva anche nell'ordinamento internazionale la sua autonoma figura statale. Sbagliano, pertanto, c;c sono in buona fede, quei colonialisti che parlano di un diritto illimitato della Francia .sulla Tunisia e protestano contro le illegittime pretese degli altri Stati a guardare un po' da vicino le cose della Reggenza. La Tunisia è così poco un dominio colonialc 1 che, anche dopo la istituzione del Protettorato, la Reggenza ha riconosciuto particolari diritti all'Italia con le tre Convenzio• ni del 1896, che assicuravano un'assoluta parità di diritti ai sudditi italiani e francesi, e che i succcs(,ivi provvedimenti del governo della Repubblica hanno abusivamente violato e, in buona parte, annullato. Non tutti ricordano che l'Italia non ha mai riconosciuto il Protettorato francese sulla Tunisia, e che le Convenzioni del 1896, anziché significare un tacito riconoscimento, furono precedute dalle e: più ampie riserve> e da esplicite « eccezioni , 1 come si legge nelle istruzioni di Crispi all'ambasciatore Tornielli. Questa posizione non c;ubì mai alterazione cd è dOl'umc-ntata in tutti gli atti ufficiali. Si fonfrontino i trattati della Francia coi vari Stati europei, a proposito della Tunic;ia, con quelli negoziati con l'haliaiJ r si vedrà che mentre n"i primi, si tratti di « Déclarations » o di « Agréements >, si fa espiicito riconoscimento della nuova situazione internaz.ionale, nei secondi non si fa mai menzione del Protettorato . Così si fece per le convenzioni del 1896, dove il presidente della Repubblica, nella nomina dei suoi plenipotenziari, interviene tant Ul son nom qu'au nom de Son Altesse le Bey de Tunis. La questione di principio, mllevata a suo tcmJX> circa la validità del Protettorato francese sulla Tuni~ia, fu tenuta fuori dalle trattative italo-francc~i, che portarono alla stipulazione delle convenzioni ed è rimasta sempre impregiudicata. Lo dichiarò apertamente, alla Camera e al Senato, il nostro ministro degli Esteri nel dicembre del 1896. Ecco perché negli atti ufficiali italiani si parla sempre cd esclusivamente di trattato italo-tuni'iino, di convenzioni con la Tunisia. di convenzione commerciale e marittima con la Tunisia. E; una questione più grossa di quanto i colonialisti della Dépéche non pensino e che dischiude alla diplomazia fascicita inattese occasioni. Perché lag- ~iù, come dice il deputato Fribourg, 1 contadini siciliani, « che hanno per unico bene le loro braccia e i loro figlioli, lavorano come bestie da soma,. Bestie da soma! leri. * * .,:. SPEDIZIONE IN ABB. POSfAlf Nizza, dicembre. J lNGI-IILTERRA non si rifugia clic- ~ tro l'Egitto per rinviare la revisione del carattere internazionale del Canale di Suez e la riduzione delle tariffe e dei diritti di passaggio che reclamano i paesi interessati? Non si spiega cosi la famosa nota del Tim~s del 6 dicembre? Sulla quistione, che è di scottante at~ tualità, ho voluto interrogare il dottor Sabry della Sorbona, ex-professore all'Università del Cairo, il più illustre storico egiziano vivente. Non ha che quarantacinque anni. Le sue principali opere sono scritte in lingua araba e in francese; è l'autore fra l'altro di una Storia del Ri• sorgimento italìano nel XIX setolo che egli ha fatto diffondere fra i giovani del suo paese, come una indimenticabile lezione da imparare e da mettersi in pratica. Ha pubblicato in due volumi La rivoluzione egiziana (1919-1921), opera rapidamente esaurita e tre volte sequestrata dagli in• glesi in Egitto. I suoi due libri più importanti sono: L'impero egizia,io sotto Mohamed-Alì e la Q1ustiom:d'Oriente (Parigi, 1930), in grande formato, di seicento fittissime pagine, con documenti inediti raccolti negli archivi del Cairo, dì Parigi, di Londra e di Vienna; L'imp~ro ~giziano sotto Jsmail e l'ingerenza franco-inglese (Parigi, 1933): anche questo è un grossissimo volume di oltre seicento pagine. E ora Sabry, al sole di izza, in una bella casa ricca di capolavori della pittura antica italiana, prepara un terzo poderoso volume sull'/mpt"ro egiziano in Africa e la sua spartizione fra le potenze ( 1882-1904). Ha avuto molto successo il suo saggio su Nubar Pascià, apparso nell'Enciclopedia dell'Islam (Leida). In tutti i suoi studi il dottor Sabry porta uno spirito nuovo e punti di vista personalissimi e originali legati alle vicende dell'Europa moderna; è lo storico ardente del nuovo Egitto che col s11nguedei suoi miuliori fi~li spezza a una a una le catene britanniche. Parlando con lui si ha l'impressione che il suo esilio volontario non sarà di lunga durata. • Tre questioni preoccupano in questo momento•, mi dice il dottor Sabry, e la diplomazia internazionale e particolarmente l'Italia di Mussolini: quutione africana, questione del Mediterraneo e questione di Suez e del Mar Rosso. L'Egitto, che ha sostenuto nel secolo scorso una parte attiva in questi problemi fondamentali, complessi e intimamente legati, si direbbe che oggi abbia in essi soltanto una parte passiva, o piuttosto si vorrebbe che sostenesse passi\'amente una parte attiva affinché si disponga dì esso come di una pedina in uno scacchiere. Lo studio della questione egiziana è di conseguenza indispensabile per ben capire la politica internazionale che gravita intorno al Mediterraneo. Suez attira l'Italia di Mussolini, l'Italia imperiale, come aveva attirato la Francia di Napoleone; oggi come ieri, a un secolo e mezzo di distanza, una potenza estranea al Mediterraneo, estranea al Continente, potenza anfibia, vuole imporre la sua dura legge al mondo. lo dico la sua legge•, ripete con fona il dottor Sa~ bry, • la legge del mofldo anglo~sassone, mondo dallo spirito mercantile, chiuso, cinico, freddo, franco in affari, ma falso e ipocrita in politica, mentre lo spirito mediterraneo ne è agli antipodi. Percor• rete tutte le rive del Mediterraneo e voi troverete ovunque le stesse affinità dì carattere, le stesse braccia aperte, lo stesso spirito frondista e ironico, altrtt e sottile, cangiante e impressionabile all'eccesso, tira-e-molla in affari, ma diritto e franco in politica, sempre acceso d'un ideale chiaro e bello come il sole che illumina il suo orizzonte. lo dico: al mondo, ché saremmo imbarazzati se volessimo conoscere i limiti terrestri che l'Inghilterra assegna alle sue ambizioni. La via dal Capo al Cairo è un prodotto del suo imperialismo visionario che tende nientemeno all'accaparramento di una vasta porzione del globo, Quando si conoscono le condizioni atmosferiche e gli ostacoli creati dalla natura nell'Africa Equatoriale ci si rende conto che questa strada, come strada, è praticamente inesistente. La routt! dts lndes, con le proporzioni gigantesche che l'Inghilterra le dà, è ugualmente una vitione imperialista, una finzione. Dividete questa strada e vi renderete conto che ogni tap• pa costituisce anzitutto una strada nazionale o mternoz.ionale dipendente da una o da parecchie potenze. C'è: Douvres-Calais; Calais-Marsiglia; Marsiglia-Alessandria; ecc. Ora, dominare, sotto qualsiasi forma, i paesi limitrofi: Belgio, Francia, Italia, Egitto, Grecia, Palestina, Arabia, Iraq, Mesopotamia, in una parola tre con• tinenti: Europa, Asia, Africa; quattro mari: Mediterraneo, :\1ar Rosso, Golfo Per~ sico, Mar Nero, sotto pretesto di difendere la sicurezza della route dtt lndes, via che appartiene anzitutto alle nazioni libere che vivono a1 suoi margini, è, più che una pretesa impossibile, un paradosso inaudito. Queste nazioni hanno diritto an• che alla loro sicurezza, e non è per mantenere le Indie sotto il giogo e sfruttare una lontana colonia che le nazioni libere e civili debbono venir trattate come dei paria dall'Inghilterra. Conosciamo la celebre lettera di Palmerston a lord Cowley (25 novembre 1851): ''Non abbiamo bisogno dell'Egitto e non lo dtsideriamo, allo stesso modo che un uomo di buon senso che ha una proprietà ntl Nord dell'Inghilterra e una reridem:a n~I Sud non vorrebbe possedere loca,ide ,iella strada del Nord; tutto quel che abbiamo bisogno è che le locandt! siano be11tenute, sempre aptrtt e eh~ ci forniscano qua11doarriviamo lt cotolette di agnello e i cavalli di ricambio". In una altra lettera diretta a lord Clarendon '(1 marzo 1856) Palinersto,n si dichiarava nemico della spartizione dell'Africa del nord fra la Francia e l'Inghilterra dietro pretesto che l'alleanza dei due paesi "tra~ la sua forza non $O/tantodalla potenza militare e navc,le dei due Stati, ma an• che dalla grandezza del principio morale su cui questa unione l stata fondata", e che bisognava dunque astenersi " da una crociata di conquista che attiruebbe su essi la co11dannadi tutte le nazioni civili". •Ora, è appunto questa mancanza di principio morale che fa sì che l'Inghilterra ab• bia sempre tenuto il Vangelo in una mano e la spada nell'altra e abbia addentate lenazioni libere abbassandole al rango di semplici osterie lungo la strada ... che continua a sfruttare per i suoi scopi. Si sa pertanto che le cotolette di agnello non le son mai mancate e che la sicurezza della route non è stata mai minacciata, al contrario. :Ì:: la strada occupata dai Bluejaekeu che costituisce una minaccia continua per la sicurezza del mondo. Infatti, quale è finora la potenza, la sola unica potenza che abbia violato la neutralità del Canale di Suez? Ma è l'Inghilterra, nel 1882. • Ceno, l'Inghilterra ha riconosciuto, in sego.1i·o ::.!!.:. co:wcr.:::;";m::del 18RR,1n r-• tralità del Canale, ma ha rifiutato ogni controllo effettivo, ogni garanzia vera, rappresentata dalla presenza di una commissione internazionale presso il Canale. L'Inghilterra conta esser padrona del Canale e accordare il passaggio delle navi non come un diritto, ma come una specie di tolleranza, ben pagata del resto. In verità, per rendere al Canale il suo carattere universale, iscritto nella concessione, bisogna ristabilire la sovranità territoriale e finanziaria dell'Egitto sul Canale; se• condo: ridurre le tariffe in proporzione dell'awnento del tonnellaggio, a partire da un certo limite, di ciascuna potenza, e ciò nell'interesse del commercio mondiale inglese, francese e italiano. È assurdo che l'Italia, per esempio, paghi quattrocento milioni di lire qgni anno come diritto di passaggio; del rCsto si sa che la concessiòne del Canale spira nel 1968 e che a questa data tutti i diritti dell'Egitto saranno ristabiliti nella loro integralità. l\la nel 1910 la Compagnia· aveva presentato un pro• getto di prolungamento della concessione per ancora quarant'anni, con contropartita l'accordo di un vantaggio finanziario all'Egitto. • Quel che importa qui di sapere è che uno degli argomenti fondamentali impiegati allora dal consigliere finanziario inglese per incitare l'Egitto ad accettare il progetto in questione, era il timore che la Compagnia cercasse, prima della fine della concessione, di ridurre le tariffe, il che avrebbe messo l'Egitto dinanzi al fatto compiuto di una situazione catastrofica. Noi sapremo evitare questo inconveniente, restituendo al C-,inale il suo carattere effettivo di egiziano e universale e non esclusivamente egiziano o francese o inglese•, afferma con energia il dottor Sabry. • Nell'attesa, è preferibile ridurre le tariffe non con uno spirito di vendetta ma di solidarietà internazionale. Infine, la terza condizione indispensabile alla prosperità dell'impresa risiede nella garanzia reale e simultanea della neutralità del Canale e della neutralità dell'Egitto. • L'Egitto e il Canale sono fis1carnente e politicamente inseparabili. Il Kedivé lsmail diceva: "lo voglio che il Canale sia all'Egitto e no,r l'Egitto al Canale''; ma ostacolando la neutralità dell'Egitto e cercando di fare dell'Egitto e. del Canale un campo esclusivamente francese, Dc Lesseps ha distrutto 11 carattere universale del Canale e ha preparato il letto dove l'Inghilterra doveva coricarsi. •Durante il tempodell'invasionedel 1882, gli inglesi, dopo di aver bombardato, in piena pace, Alessandria e occupata la città, si erano urtati alle fortificazioni di Kafr-el-Oawar che sbarra\'ano la strada del Cairo. Queste fortificazioni, svelta• mente costruite da un uomo di genio (11ingegnerc-capo dello Stato Maggiore egiziano: ).1ahmud Fahmy) erano ine• spugnabili. Non potendo attaccare l'Egitto di fronte, né da Kafr-el-Oawar, né dai laghi del nord, né dai deserti dell'ovest e dell'est, gli inglesi erano decisi a prendere di rovescio gli ostacoli con la viola-

zione della neutralità. del Canale, Dc Lesseps persuase Arabi Pascià, che voleva prendere garanzie da quel lato con l'ostruzione temporanea del Canale, che mai un soldato inglese avrebbe toccato il ''suo" canale. O gentile promessa! • Lord \Volscley ha riconosciuto più tardi che se Arabi Pascià avesse bloccato il Canale, gli inglesi sarebbero stati ridotti a languire sul mare per lunghissimi mesi. • Gli è che la libertà dell'Egitto è indissolubilmente legata alla libertà del Canale. Il presidente del Consiglio dei ministri italiano di quell'epoca, Mancini, l'aveva ben capito. Perciò, alla vigilia dell'aggressione inglese, il 27 giugno 18821 aveva esposto nettamente il suo pensiero all'ambasciatore inglese a Costantinopoli, sir Paget, dichiarando "che le potenze erano ugualmente interessate ntlla sicurezza dtl Canale di Suez t vedrebbero non senza amarezza un'azione isolata dell'lnghilterra". Mancini affermava il 4 luglio dello stes:;o anno che il risveglio della vita nazionale in Egitto e le istituzioni civili e politiche egiziane meritavano una favorevole attenzione da parte del governo italiano "essendo per gli italiani u11d(J'l)nt e un onort di non dimenticart le loro origini nazionali" e di non rinnegare le leggi fondamentali delle loro istituzioni liberali. e Pertanto, alcuni anni prima, nel r 872, c'erano due corre-nti d'opinione in Inghilterra: una tendeva all'acquisto del Canale gettando a mare la Compagnia, rovinandola pur di entrare in possesso del bene a vii prezzo; l'altra mirava allo sfruttamento del Canale per il tramite di una commissione internazionale cui sarebbe stata affidata l'impresa. Questa commissione doveva esser composta in modo che "tutti i governi partecipassero ugualmente ai vantaggi del Canale" (dichiarazione di lord Derby alla Camera dei Lords il 5 giugno)~ e questo fu il solo momento in cui l'Inghilterra meditò seriamente l'internazionalizzazione del Canale, aspettando senza dubbio l'occasione propizia per accaparrarselo finanziariamente e politicamente, e l'occasione era vicina. • Mohamed All, fondatore dell'attuale dinastia egiziana, cercando di instaurare un governo forte nel suo paese, aveva attirato l'odio dell'Inghilterra sin dall'inizio del secolo scorso; quando riuscì a far dell'Egitto una potenza rinnovata, gli inglesi gli diedero il primo colpo a Navarino (1827): la flotta egizian:i fu improvvisamente mandata a fondo, mentre i suoi equipaggi erano a terra, dalle due flotte unite della Francia e dell' lnghiltcrra, L'idea dominante allora in Europa, e Metternich l'ha espressa in un documento, era di impedire che gli interessi europei venissero ostacolati dalla formazione di una giovane potenza africana nuova. Aiutato da alcuni grandi personaggi francesi, l'ambizioso sovrano rifece la flotta e riorganizzò l'esercito al punto che nel 1839 era già signore dcli' Arabia, della Palestina, della Siria e dell'Asia Minore, vasto impero a cavallo f(.a l'Africa e l'Asia. L'Inghilterra dovette provocare una coalizione europea per cacciare Mohamed All dai suoi territori che essa bramava per riservarli alla sua influenza (1840). • Nel 1846, una Società internazionale si metteva a studiare il progetto per il taglio dell'istmo di Suez. Mohamed Alì, con la sua intuizione di uomo geniale, si era opposto al progetto: "Il Canale", si disse a quell'epoca, "A il ver,,ie roditore nel cuor~ dell'Islam". È da notare: che i membri più importanti della società erano Stephenson, P. Talbot e Negrelli; che la Società ordinò come operazione preliminare la livellazione dell'istmo; che dal 1846 al 1856 si possono contare fino a otto livellazioni eseguite in sensi diversi da due squadre di ingegneri europei e egiziani; e che la livellazione eseguita dall'ingegner Salama Effendi era tra le più precise e le più apprezzate. • Qui si innesta la figura di De Lesseps, uomo sempre equivoco e di una rara audacia. Incaricato d'una missione a Roma nel 1849, favoriva la causa di Mazzini mentre nei suoi rapporti diretti al governo francese copriva di oltraggi il grande italiano chiamandolo perfino "Nerone moderno". Un famoso motto lo dipinge; aveva l'abitudine di dire che in Oriente "un'oncia di paura vale pitì di un quintale di amici:rid'. Console francese ad Alessandria (1832-1838), divenne compagno di baldoria del principe ereditario Said. Mohamed Alì amava particolarmente questo suo figlio, e, per evitare che crescesse grosso e grasso come Gargantua, gli impose un regime alimentare dei più severi; ma De Lcsscps trovava i I modo di far mangiare a Said appetitosissimi piatti di macCONCORSO PERMANENTE DI "OMNIBUS" perla narra.rione d1un fat.toQu&ll1aa1, rea.lmente a.ceadut.oa.cbl 1er1ve. La na.rra:zlone non deve 1upera.re le t.re colonne del gtoru&le,e deve euere lnvlat.& 1crtt.t.a a macch1na, da una 101&parte del fo1Uo. 01n1 narrazione pubbllcat.&,1eeondo l'ordine dfarrlvo e d'aecet.t.azlone, verrà eompenaat.a con Lire 600 {etnquecent.o). - I dat.t.Uoacrtt.t.n1on accet.- ~t.t non al reat.lt.ut■cono. - Per la. va.Udlt.à della apedtl1one, 1en1n1 del t.a.- rU&ndo ■t.ampat.o qut 1ot.t.o,Incollato IUll&buat.a. CONCOA~~ PE_!l~ANENTE Alla Direzione di OMNIBUS PIAZZA DELLAPILOTTA N. 3 ROMA ~=§;S:s~- -~~=--• __::...::.,;_"::§ OEOROE8 BOHNET, lllBISTRO DEGLI ESTERI DI FRA.NOIA, IN ON M:OJdENTO DI SFIDUCIA cheroni che piacevano tanto al futuro vicerè. E da questa amicizia sbocciò come un velenoso fiore la concessione di Suez. • Infatti, Said appena salito al potere (185-4), De Lesseps, che viveva appartato dopo l'affare di Roma, si recò in Egitto, ottenne la concessione, e lui che non era ingegnere si mi-se all'opera per realizzare il progetto studiato in tutti i suoi particolari da molto tempo. 11 più grave gli è che, prevedendo il costo enorme dell'impresa, De Lcsseps persuase il debole Said della necessità di affidare i grandi lavori a una compagnia finanziaria, e fu cosl che il vicerè cadde nelle grinfie degli avventurieri e degli usurai più abili e più disonesti, con i più enormi danni per l'Egitto. Fu lo stesso Said che contrasse il primo debito, costretto come era di venire in aiuto alla Società di Suez, di cui le azioni e i numerosi prestiti erano uno dopo l'altro un seguito di scacchi e di fallimenti mascherati. Quando verranno noti i procedimenti di bluff e di ricatti che De Lcsseps impiegò verso Said e il suo successore Jsmail (1863-1879) per scroccar denaro con l'appoggio dell'imperatore, ci si renderà conto che Suez fu un Panama N. 1, e che cercando di salvare Suez l'Egitto ha perduto la sua indipendenza economica e politica nel Canale; è di là che data l'origine delle 176.000 azìonj che Said (su un totale di 400.000) dovette prendere a suo conto. Il costo preventivo del Canale era di duecento milioni di franchi; all'apertura, nel 1869, le spese effettive raggiungevano 430 milioni! Nel 1879, quando lsmail fu detronizzato, il debito egiziano ammontava a cento milioni di lire sterline, ma l'Egitto non aveva ricevuto effettivamente, secondo il finanziere inglese M. Mulhall, che una cinquantina di milioni; un altro autore, Seymour Keay, dimostra che, nel 1882, l'Egitto aveva rimborsato ai suoi creditori tutto il capitale versato da essi con un interesse del 6%, eppure l'Egitto restava e resta ancora debitore della bella somma di novanta milioni di lire sterline; e dire che la Russia deve quasi duecento miliardi di franchi alla Francia, e un colpo di penna ha cancellato questo debito! • Un esempio dei metodi finanziari di quell'epoca? Profittando degli imbarazzi pecuniari del Kedivé, nel 1875, Disraeli compra le 176.000 azioni che l'Egitto possedeva del Canale, per la modica somma di quattro milioni di lire sterline. Non è tutto: col pretesto che le azioni restavano improduttive durante diciannove anni, l'Egitto dovette pagare un interesse del s% (quasi cinque milioni di franchi all'anno); in altri termini l'Egitto ha quasi rimborsato in interessi il capitale anticipato, e tuttavia il governo britannico rimane proprietario delle azioni che valgono oggi trentaquattro milioni di lire sterline (tre miliardi e quattrocento mjlioni cli lire). L'Inghilterra, che l'indomani della compera ha inviato in Egitto una missione per esercitare un controllo sulle finanze egiziane, ha agito esattamente come un tutore che si impossessa dei beni del suo pupillo. • Installata a Suez, si dava da fare per sfruttare la locanda-Egitto. Il Kedivé Ismail, sostenuto dal nuovo spirito nazi on a· lista, resisteva, ma gli inglesi ottenevano la sua detronizzazione (1879). Con ciò miravano alla presa di possesso non soltanto della locanda-Egitto ma anche delle sue vaste e ricche dipendenze africane. Ismail, infatti, vedendo che l'Europa aveva sbarrata la strada dell'Asia all'espansione egiziana, s'era voltato verso l'Africa ove risiedono i destini e la vera grandezza dell'Egitto. Il suo impero ~, stcndt!va iiiU tutta la costa del Mar Rosso, su tutta Ja valle del Nilo, dal Mediterraneo ai Laghi. Occupando l'Egitto (1882), l'Inghilterra non si è accontentata di metter la mano, ricorrendo a non pochi stratagemmi, sul Sudan e su altri paesi egiziani, ma obbligava ahresì l'Egitto, con il coltello alla gola, a evacure l'Harrar ( 1884) per gettarlo nelle fauci dell'anarchia abissina (1887). Ora, nell'Harrar musulmano, che è una delle terre pìù fertili dell'Africa, gli egiziani avevano impiantata una amministrazione modello (1875-1884). Con l'occupazione egiziana, comincia, infatti, l'epoca d'oro dell'Harrar, come si legge in Nell'Harrar, di Luigi Robecchi-Bricchetti, in Da Zeila allefrontiert del Coffa, di Antonio Cecchi, in Harar-Forscl,ungsreist, di Ph. Paulitschke. La città di Zeila e Berbera, di cui gli egiziani fecero un magnifico porto moderno di fronte a Aden, furono strappate all'Egitto; ci vorrebbe tutto un volume per enumi;rare le interminabili ingiustizie subite dall'Egitto. • La tragedia di Suez non è ancora finita. La tela è caduta da poco sul trattato d'alleanza anglo-egiziano (1936). Questo trattato non è che un triste episodio della politica egiziana dell'Inghilterra nonostante l'immenso fasto che lo circonda. Infatti, in un trattato di alleanza, e il caso si applica soprattutto all'Inghilterra, bisogna essere cavallo o cavaliere. L'Egitto ne ha abbastanza di far la parte del cavallo, e il cavaliere vuole andar troppo presto. L'occupazione giuridicamente invisibile cerca di rilevar la testa. Un fatto fra mille: recentemente, nell'occasione della nascita della figlia del giovane re Faruk, fu deciso di passare in rivista l'esercito egiziano, ma quale non fu la sorpresa degli egiziani apprendendo che le truppe inglesi, che debbono fra poco lasciare il Cairo per il Canale e metter fine all'occupazione ufficiale dell'Egitto, domandavano con un tatto perfetto di partecipare alla rivista l e E ora, quale è il significato dell'alleanza 1936? L'art. 1 dice che "l'occupazione militart dell'Egitto da parte delle forze di Sua 1.l1atstà il re t imperatore è finita". Ma questo articolo, che è alla base del trattato, è accompagnato da riserve e da garanzie a tal punto che l'occupazione, attualmente motorizzata e meccaniciz1.,a. ta, si trasferisce, si concentra e si contrae, in tempo di pace, alle rive del Canale per spiegarsi e per estendersi, in tempo di guerra, su tutto l'Egitto. I vantaggi concessi all'Inghilterra, in contropartita dell'art. , ne fanno fede: I) conclusione di una alleanza fra i due paesi (art. 4); I I) mettere a disposizione della Gran Bretagna, in caso di guerra, di invasione o in caso di situazione internazionale pericolosa, tutte le facilitazioni e tutti gli aiuti possibili, compreso l'uso dei suoi porti, dei suoi aeroporti e le sue vie di comunicazioni (art. 7). II I) dato che il Canale di Suez. che forma una parte integrante dell'Egitto, è, in pari tempo, una via mondiale di comunicazione e una via principale che rilega le diverse parti dell'impero britannico, e fino al momento in cui le due parti contrattuali saranno d'accordo che l'esercito egiziano è. diventato· capace di assicurar tutto solo la libertà di navigazione e l'integrità del Canale, sua Maestà il re dell'Egitto autorizza ~ua l\Iaestà il re e imperatore a installare nella parte del territorio egiziano più vicina al Canale, delle forze con lo scopo di assicurare in collaborazione con le forze egiziane, la difesa del Canale (art. 8). • Certo, questa occupazione inglese del Canale è limitata a venti anni, ma l'alleanza perpetua che mette tutto I' Egitto con le sue risorse, le sue basi navali e aeree a disposizione dell'Inghilterra in caso di guerra o in caso di complicazione internazionale, insomma non importa quando e sempre, non crea una specie di occupazione permanente in potenza? Ecco dove conduc~ la sottilità giuridica inglese. Vi sarà certamente un esercito egiziano, ma gli inglesi faranno tutto perché questo esercito non divenga mai un vero esercito nazionale come l'Egitto ne aveva uno nel XIX secolo prima dell'occupazione. Si avrà un esercito indigeno comandato, istruito, equipaggiato dai britannici per servire i piani dello straniero. • Per farvi un'idea della sincerità inglese rileggete l'art. 8: "Fino al mome,ito ;,, cui le due parti sara,mo d'accordo che l'esercito egi::ia110è diventato capau di asticurare tutto solo la libertà di ,iavigazio11e t l'integrità del Canale". • Ed io 11, conclude il dottor Sabry, e sfido l'Inghilterra, umilmente, con le sue flotte e i suoi eserciti a garantire la libertà di navigazione e l'integrità del Canale! Non c'è bisogno di essere strateghi, un po' di buon senso basta. Chi potrebbe, in caso di guerra, impedire a un aeroplano nemico di mandare a fondo nel Canale una nave e di distruggere così la libertà di passaggio? Quel che si sa con certezza è che con la sua occupazìone virtuale dell'Egitto e di Alessandria, l'Inghilterra minaccia non soltanto questa libertà, ma l'esistenza Stessa dell'Egitto, e vi attira le rappresaglie dei suoi eventuali nemici e trascina gli egiziani, contro la loro volontà, in guerre rovinose che nulla hanno da vedere con gli interessi dell'Egitto. È da un secolo e mezzo che l'Inghilterra ci soffoca nel nostro spazio vitale 11, esclama il dottor Sabry, • si sazia con le nostre spoglie e contraria i nostri destini. Nell'interesse dell'Egitto, nell'interesse del Canale, nell'interesse dell'Italia, della Francia e di tutte le potenze d'ordine bisogna creare una morale internazionale e una garanzia internazionale attorno a Suez 11. Ecco le importanti dichiarazioni del dottor Sabry, testualmente riprodotte da noi; esprimono francamente e senza sinuosità il punto di vista dell'Egitto di domani e forse anche di oggi. In ogni modo apportano una soluzione e totalitaria I che esclude le mezze misure e tiene conto degli interessi durevoli e non passeggeri non soltanto dell'Italia, ma di tutte le potenze interessate, posando la questione su una base morale e umana che è la più solida di tutte le basi. ANTONIO ANIANTE LA MINESTRADI ORISANTEM1 )r\\OPO una tempestosa traversata, che lJ:!./ mise più volte in pericolo il suo equi• librio filico e la sua ,-upectabilit1, il Pnmo Ministro di Sua Maestà britannica, la mattina del ~3 novembre, sbarcò in 1erra di Francia. Erano con lui mistren Chambcrlain, il viscon1e Halifax e la viscontessa. Un treno speciale li aspettava, e, dopo che gli agenti della SG,-eté Génirale lo ebbero minutamente ispezionato e 1i furono assicurati che non vi fosse nascosto alcun anassino, i due sta1isti e le rispettive consorti vi presero posto. Giunsero a Parigi nel pomeriggio; un pomeriggio triste e piovoso. Dei fiori e un tappeto rosso cercavano invano di ravvivare la buia Gare du Nord. La signora Bonnet si fece avanti sorridendo e offrl delle orchidee a mistreu Chamberlain e a lady Halifax. Oaladicr fu sorpreso dall'arrivo del treno nell'atto di arrotolare una sigaretta. La buttò via risolutamente e andò incontro a Chambcrlain. I due uomini si strinsero la mano con molta cordialità, proprio con molta cordialità. E Chamberlain domandò: e Vous oiiel beaweoup de pluie, n'est-ce pas? >. Lo domandò in francese, si noti. Da parte di un ministro bri1annico è sempre una dimostrarione di buone dispo,izioni verso un oae1e il fatto di dir qualche parola nella li~gua di quel paese. I giornali non hanno avuto cura di tramandare a.i posteri la risposta di Oaladicr. Probabilmente dine che effettivamente pioveva molto. E cosi si iniziò lo s10rico incontro. Dalla Gare du Nord il corteo delle automobili ufficiali si incamminò per Rue Lafayette veno l'ambasciata inglese, che è nel Faubourg Saint-Honoré. Una folla note\·ole aspettava davanti alla stazione, nonostante il cattivo tempo: gente, a quel che pare, militante nei partiti di sinis1ra. Si cominciò a gridare e Abbasso Chamberlain ! •• ma intervenne la Guardia mobile in forza e ricacciò i dimostranti nelle vie laterali, in modo che lo sconveniente urllo non giungesse alle orecchie degli ospiti. Del resto, la s1eua folla, che il 23 novembre gridò « Abbauo Chambcrlain ! >, sNte giorni dopo, in seguito alle dimostrazioni avvenute alla Camera italiana, gridò e Abbasso l'Italia! >; e, ancora qualche giorno dopo, quando von Ribbentrop è anda10 a Parigi, ha gridato e Abbasso la Germania! > e e Abbasso Hitler! >. Come si vede, cc n'è per tutta l'Europa. Ma si è d'accordo, in Europa, a non prendere molto sul scrio quel che grida la folla di Parigi. La sera, pranzo di gala al Quai d'Orsay. Faceva gli onori di ca.sa madame Bonnet che, da quando ebbe l'onore di ospitare ai q,uai d'Orsay i sovrani d'Inghilterra, è con5lderata come la più compita delle padrone di cas:i. di Francia: s'intende delle padrone di cas~ e politiche >. Madame Bonnc1, che parla inglese corren1emcnte, si dedicò interamente a mistreu Chambcrlain. E!!a ca• rezza la seircta speranza che la simpatia dei ministri britannici possa spingere avanti il suo diletto consorte e aiutarlo a salire dal posto di ministro degli Eneri a quello di ~reside.nte del Consiglio. t facile, perciò, 1mmag1nare come si prodigasse in cortesie e in amabili sorrisi. Ma vi fu un momento in cui non riuscì a lrallenere una smorfia di orrore, e fu quando mistress Annie Chambcrlain le confidò che conosceva un cuoco il quale sapeva fare una zuppa eccellente di crisantemi. e T<'rribile ! > mormorò mada. mc Bonnet inorridjta. Ma si riprese in tempo e cercò di riparare: e Gli è che il crisan~ 1emo è il fiore preferito da mio marito >. E, subito, in cuor suo, divisò di fare ingurg'.tare al marito al prOl!imo pranzo di gala sotto gli occhi di mistress Chambcrlair. la e terribile > zuppa. Iddio risparmiò all'asse Londra-Parigi ques1~ p~ova suprema. Per quella sera, minestre d1 c~1sa_nte1?inon ne erano stale previste, e, nei ~1orm SUt'Cessivii,l Quai d'Orsay non ebbe 0<,.. .. .,ione di offrire altri pranz.i di gala in .cui si pote~sc consumare, in degna evidenza, il sacrificio. Per male che vada la politica, in Francia si osserva il lodevole costume di mangiare e di bere bene. Chamberlain non si mosirò insensibile alle seduzioni di un vecchio Bourgogne, tr.a.tto dalle siesse gloriose cantine da cui, qualche mese fa, furono tratte altre bouiglie ln onore di re Giorgio e della r"egina Elisabetta. Non così il pio, austero, astemio visconte Halifax, il quale, per tulto il pranzo, non bevve che acqua. Per di più, non parlò che a monosillabi e non sorrise mai. Quando si andò via, un cameriere del Quai d'Orsay inc-orse in un singolare errore: por. se al visconte Halifax, che è alto un metro e novanta ccn1imetri, il soprabito di Daladier, che è alto un metro e sessantacinque. li visconte non si accorse ddl'crrore che quando ebbe infilato il soprabito. Allora degnò sorridere, e se lo 1olse. E questa fu l'unica volta che, per tutta la durata della visi1a, fu visto sorridere l'austero visconte Halifax. IL "DJSTURBATO"STATO DELMONDO ~ SI PRANZO' e si bevve e si brindò l!) come di prammatica, all'amicizia an~ glo-francese. E, dopo che gli ospiti ebbero fatto sufficientemente onore alla cucina e ai vini francesi, cominciarono i gravi discorsi. Senza perder tempo in preamboli, Daladier chiese che l'Inghilterra si impegnasse a mandare sul continente, appena la guerra scoppiasse, cinque divisioni regolari e tredici divisioni territoriali. La Ceco!lovacchia era scomparsa: ciò significava un vuoto di trentasei divisioni. Toccava all'Inghilterra colmarlo. Chamherlain scoteva la testa e Halifax taceva. e L'Inghilterra>, disse Chamberlain, e potrebbe essere auaccata per prima. In questo caso, quale aiuto darebbe l'aviazione francese alla British Air Force per respingere l'attacco? >. La schermaglia delle richieste, delle parate e delle controrichieste con1inub per alcune ore. Daladier fu molto orgoglioso di comunicare al Primo Ministro britannico che l'industria aeronautica francese, nel prossimo anno, riuscirà a produrre 200 apparecchi al mese. La Francia, percib, poteva impegnarsi a prCJtare •ssistenz.a all'aviazione inglese; ma, in cambio, l'Inghilterra doveva impegnarsi a tenere un esercito sul piede di guerra. Chambcrlain continuò a scuotere la testa e a schermfr1i. Il visconte Halifax continuò a tacere. Nella impossibilità di raggiungere un accordo, si comenne che gli Sta1i Magg'.ori avrebbero ripreso gli studi per tentare di raggiungerlo. Dopo di che, non rimase da far altro che redigere il comunicato per annunziare e il perfetto accordo• fra i due governi. Un vecchio e abusato bon mot francese insegna che la più bella donna del mondo non pub dare più di quello che ha. E anche Chambcrlain non può dare più di quello che l'Inghilterra ha: due divisioni subito e le altre quando Dio vorrà; sarà poco, ma l'Inghilterra non ha altro da dare. Il governo francese, insistendo sull'argo. mento che nel 1914 l'Inghilterra fece di più, mostra di dimenticare quanto la situazione d'oggi differisca da quella del 1914. Proviamo a riassumere le due situazioni. Nel 1914: 1) il pericolo aereo era praticamente inesistente; 2) l'Inghilterra non aveva niente da temere nel Mediterraneo e nel Mar Rosso-; 3) niente da temere in Eg:no; 4) niente da temere in Estremo Oriente, ove era alleata col Giappone. le conseguenza di tulle queste favorevoli circostanze, l'lngh.ilterra potè mandare sul continente, entro dicci giorni dallo scoppio delle ostilità, la British Expeditionar7 Fora, con~i~tente in quanro divis'.oni e una di cavalleria e, pochi giorni dopo, le due ri• mancnti divisioni della Retula, Army. Nei sci mesi che seguirono, cominciarono ad arrivare in Francia e divisioni in grande quanti1à > della Ter,ito,ial A,-m,, della Jlew Arm1 e dei Dominions. E, più tardi, seguironc- le divis.ioni di seconda linea. Nel 1938: 1) il pericolo aereo è graviui• mo; 2) « in certe contingenze>, cosi testual. mente il genèrale Temperlcy, < il Mediter• raneo e il Mar Rosso potrebbero essere chiusi al passaggio dei rinforzi provenierti dall'Australia e dall'India; il che aum.nta le diffit"ohà di un concentramento>; 3) l'Inghilterra tiene in Egitto guarnigioni molto più forti di quelle che vi teneva nel I 9 I 4 e in Palestina non meno di due divi1ioni ; 4) in Estremo Oriente, l'Inghilterra è stata praticamente cacciata dalla Cina e avrà, fra non molto, il Giappone sulla frontiera indiana; ossia confinerà direttamente per terra con un paese non amico e la cui potenu terrestre è fonnidabile. La conseguenza di questo, che il gene• raie Temperley, con pittoresca espressione intlese, chiama il « disturbato stato del mondo>, è che l'Inghilterra, per il momento, non può metter su che quattro divisioni della Re1ular A,m, e una divisione mobile (la mobilitazione di esse procederebbe molto più lentamente che nel 1 914); in aggiunta a questa, che è la Retula,- A,-. m1, ha cinque divisioni an1iaeree, organiz. zale su base territoriale: fo tulio nove divisioni (oltre quella mobile), delle quali cinque destinale alla difes3 antiaerea. La riorganizzazione in corso dovrebbe portare le divisioni antiaeree a dodici ; e si giungerebbe, così, a un totale di sedici divisioni: meno della metà di quello che era l'esercito cecoslovacco. Ma anche questo è ~i là da venire, e, delle future sedici divisioni, solo una piccola parte sarebbe pronta a scendere in campo nei primi sci mesi. Questa la situazione tecnico-militare. Quella politica non è meno difficile. Una buona parte dell'opinione pubblica e del parlamento e penino parecchi membri del Gabinetto hanno, si, accettato il principio che l'Inghilterra debba avere la più grande flotta del mondo e un'avia:tione pari a quella di qualsiasi altra potenza europea ; e si ~no anche rassegnati alla prospettiva di dover fornire alla Francia e agli allri e\ entuali alleati e una liberale assistenza finan1iaria > ; ma respiogono risolutamente l'idea che l'Inthilterra debba organinare un esercito sulla scala degli eiereiti del Contir,entc. In una parola, niente co.scriz.ione. Le conseguenze di questo « disturbato stato del mondo> ci sembra possano eutre molto più importanti di quelle che il generale Temperley prevedeva. Fra le tante cose terribili e portentose, che questa nostra generazione ha avuto la sorte di vedere compìc-rsi, non è escluso possa esM:re il tramonto di qualcuno dei grandi imperi democratici moderni. La storia ha visto altri imperi anche più grandi e potenti di quelli di oggi. Nessuno fu e1erno. RICCJARDETTO .11; ho, II· N, 51• 17 Dio.mb~1938-nu L. OMNIBUS. SETTIMANALEDI ATTUALITA I POLITIOA E LETTERARIA ESCE lL SABATO IN U:•16 PAGINE ABBONAMENTI Italia e Impero· 10.11L0. 421 aemeatre 1,. 22 Enero1 10.11.L0. 701 remeatre L, 96 OGll"J WUIIIIEllO UIU, LIR.l .lhuoaoriul, diugnl e fotogrt.Ee, auche H neo. pnbbllcatl, non 1\ reatitul1tt1no, Di.r11.lou: Roma - Piana della Pilotta, 3 Telefono N, 66,470 Ammlnbtnltou: Milano• Piana Carlo Erba, 6 Telefono N, 24.808 ,.,

RE cacciatori s'incontrarono in una vallctt~"l selvosa. presso la riva di un fiume. Uno veniva dall:'l Tessaglia, l'altro da Creta, il terzo non veniva da ncs- ,una p,utc perché stava in casa sua. Questi si chiamava Pclopc e la ~ua terra Peloponneso. Gli altri due avevano entrambi lo stesso nome e per di'itingucrsi si facevano chiamare l'uno Ercole da Creta, l'altro Ercole d' Alcrnena. l tre cacciatori sedettero sopra una pietra in forma di sofà e cominciarono a tirare enormi sbadigli. li sole «signoreggiava>, secondo una locui;ionc locale, cioè a dire che tran'lontava e appariva pili gros.~ che quando è alto nel ciclo. Ercole da Creta si levò, pre'ie un sasso in fo1ma di palla e lo tirò in direzione di quel di,co ro~o che costituiva un eccellente bcrmglio. Ercole di Alcmena tirò a '-t1a volta e superò il predece'-Sore. Ercole da Creta si arrabbiò e fece per tirare il sa~ sulla testa del suo omonimo e rivale. Pelope s'interpose con la ,;;ua autorità di padrone di cas.'l e decretò che nel tiro del '-asso Ercole di Alcmena era pili bravo di Ercole da Creta. Quella valletta si chiamava Olimpia e i tre cacciatori, senza accor- ~ersene, avevano istituito i giochi olimpici. I ~iochi olimpici incontrarono talmente, che gli anni di poi furono computati dal loro periodico rinno\'arsi. Ogni quattro anni una folla enorme venuta da tutte le parti della Grecia ~i radunava nella valletta di Olimpia sulle rive dell'Alfeo. GH uomini discutevano di politica o face\'ano il « braccio di ferro», i ragazzini giocavano alla guerra o tiravano ai merli con le l'Crbottane, le donne preparavano la 1cordaglià che è una specie di ,maionese con l'aglio, e il coccor~ai che sono budellucci.:1 d'abbacchio arrotolate ,;;ui bastoncelli e arrostite allo spiedo. La folla brulicava sotto il sole d'estate- e puzzava enormemente. I giochi olimpici erano squisitamente razzisti, e non poteva® partecipare alle gare se mm i greci al cento per c-cnto. Anche i poeti, gli storici, gli oratori pdrtecipavano alle gare e quando Erodoto le·se davanti alla Grecia raccolta la nobile storia in cui discorre le terribili guerre mediche l'entusiasmo s.1.lìal colmo e per acclamazione fu dato ai nove libri della sua storia il nome del• le nove muse. 11 rigore nazionalista fu .1llentato un poco al tempo della Grecia romana anche perché chiudere lo na,\o a un imperatore non era facile. Nerone partecipò alle olimpie durante la sua celebre tournée in Grecia; cantò, recitò, lanciò il suo carro al galoppo di sei cavalli bianchi come liocorni, e in ultimo cadde e sparì in uo turbine. Il cristianesimo frattanto prendeva piede. Nel suo zelo, l'imperatore Teodosio proibì le olimpie nel 393 e trent'anni più tardi Teodosio II fece distruggere l'Alci di Olimpia e incendiare i templi. L'opera degli uomini fu completata dalla natura: l'Alfeo straripò e spazzò via l'ippodromo, i terremoti fecero il res.to. La valletta di Olimpia tornò selvatica e de- <;Crta,come quel giorno che vi si erano incontrati i due Ercoli e Pelopc, malinconici, ottmi e vestiti di pelo. Pa,;;~ano molti anni e -.i arriV?- al 1892. « Ripristiniamo i giochi olimpici >, dice un giorno il conte Picrrc de Couhcrtin nell'aula magna della Sorbona, riu.ando..,i sui tacchi sotto l'af. f rcsco di Puvis dc Chavanne che rappresenta i beati a passeggio per i campi elisi. E aggiunge: « Nelle nobili gare dello -.tadio, i popoli divcnte:- ranno fratelli >. L'idea del conte de Coubcrtin incontra il favore di quanti vo~liono il bene dell'umanità e hanno il culto della bclleua immortale. r giochi olimpici ..aranno ripresi, e per una delicata attenzione l'onore della riprc- ~a tocca alla Grecia: alla Grecia « piccola, ma tanto grande nel pa'-..ato ». Pierre de Coubcrtin ha \.isto il succe,so coronare la sua idea. cd è morto felice meno di un anno fa. I I mo cuore è ,;tato portato a Olimpia, e ora ripo,;a «>tto lo sguardo di Ermete chiu• "'° nel .suo piccolo mu'-eo di campa• ~na, che guarda con lo speciale ~trabismo ci<'gli dèì : ovunque e da ncsmna parte. L'Ermete di Olimpia Pau- ,.inia lo attribui\'a a Prac::-.itele, l'ar• chcologia più ag~iorndW lo pone tra le <.opic dcll'cp0<·a romana. Au·ne è una città magnifica C' adatta al pc.:ripatt·tic:mo.Gli atcnie:-.i sono .titanti C' pdo,i,,imi, e da quando è pn·val"'° l'u,o di radcr-.i la barba e i haffi. la loro faccia è turchinf fin ',()tto gli occhi, dello su·s\Q turchino del man• chr là pr<'c:~b;1gna le ,;pondc del F ,1 lrro. I quadri di questi uomini neri -.ono t1avcr"i3ti talvolta da una donna n1r,numentalc 1 le gamlX' a colonna, gli occ-hi acquosi e a palla, due trecce color spiga e gro:-sc come gomene Cdlate giù per le spalle. Al seguito di Ottone di Baviera primo re di Grecia, arrivarono nel nuovo regno forti manipoli di architetti bavaresi, che empirono la città di edifici neoclassici e fondarono a poca di.stanza da Atene un borgo consacrato a Ercole: Eraclcion. A una delle bionde pronipoti di quei costruttori, il poeta Kuluvàto ha dedicato il suo poema Rinalda. Nel 18961 Atene si preparava a celebrare la ripresa dei giochi olimpici. Chi scrive ebbe la ventura di assistere a questo memorabile avvenimento, e benché: gli anni della sua età si contassero allora sulle dita di una mano sola, quei fatti brillano ancora nella sua memoria come un paesaggio di fosforo sotto un cielo di velluto nero. Atene ricostruì con molto impegno il suo stadio a forma di calamita sulla sinilitra dell'Jlic;so, ma non fece in tempo a terminare le magnifiche gradinate di marmo pentèlio che lo fanno bianco e brillante come lo ,:ucchero, e il giomo della inaugurazione, metà marmo e metà legno, l'immensa tribuna pos..1.ta tra le mollezze vegetali di una piccola foresta suburbana sembrava una faccia rasata per metà, e per l'altra metà bruna di una barba di otto giorni. Poi la folla arrivò, e diede allo stadio un a'ipetto uniforme di barattolo di caviale. Alla sinistra dello stadio sorgeva uno strano edificio cupolato e a forma di gasometro. Lo chiamavano il Panorama e somigliava al vecchio Augu'iteo. Non ci si domandi se fo!>se hcllo o brutto: era un amico. Era come quei cani vecchi e velati di cate• ratte, che si aggirano come ombre per ca~a e sembra non debbano abbandonarci mai. E invece ci abbandonano, e anche il Panorama un giorno abbandonò la nostra infanzia, piombandoci nella desolazione. L'ingre~~o colitava quattro soldi, e con l'aggiunta di un quinto soldo si tirava di ',OtlO la gallina dalle uova d'oro la pianeta del• la fortuna. Poi, in fondo a un corridoio buio, appariva uno -.contro fra soldati francesi e '-Oldati pruc:siani; infine per una scaletta di legno si accedeva a una piattafom1a circolare, intorno alla quale girava, ìn una luce -.ini-,tra da giorno del giudi;.io, l'a'i- ~edio di Parigi dipinto d,t Neuvillc e Détaillc. L'impres,r,ione che mi fa oggi la Cappella Sistina, non è paragonabile a quella che mi faceva allora il Panorama. Di fronte al Panorama <-0rgeva e sùrge tuttora la Matua di Giorgio Avèrof, il gcnero,;;o donatore del milione di dracme nrces,ario alla ricostruzione dello !>tadio. Av~rof, malgrado il ..uo nome rns~, era nattvo di un villag~io drlla Grecia chiamato MètroATENE • MARATONETA INSEGUITO DALLA POLIZIA vo. e ad Alc.,.,andria d'Egitto rra ciiventato duecento voltt" milionario. kiconoscentc, la Grecia diede il nome di questo suo munifico figlio all'inciociatorc acquistato nel 191o dall'Italia, e che durante la guerra balcanica del 19r2 bastò da solo a tener chiusa nei Dardanelli la flotta turca, forte di numerose e potentissime navi, ma tutte in egual modo incapaci di reggere il mare. La domenica 5 aprile, alle ore 1 1, k feste incominciarono con la inaugurazione dello stadio. Il re di Serbia era venuto appositamente da Belgrado con sua moglie, la bella regina Draga. Era una di quelle giornate di pioggia radente e di vento tagliente, di cui il clima divino dcli' Attica ha l'esclusività. Il oomita!o delle feste era presieduto da Costantino il diadoco, cioè a dire il successore. Finita la cerimonia dell'inaugurazione, il maestro Samara fc. ce eseguire da cento cori'iti e da trecento suonatori un suo inno sui giochi olimpici, sotto raffiche di pioggia e di \'ento. Il risultato fu magnifico. All'autore di queste pagine Spiro Samara ha imcgnato l'armonia e il contrappunto, o~sia l'arte di unire e quella di separare. Samara era di Zante come Ugo Foscolo, e come Ugo Foscolo parla\.•a con l'accento veneziano, il quale dà idea che chi pMla è del tutto sfornito di denti. La retorica del rumort' non conoscc\"a ancora quel magnifico sviluppo che ha preso di poi, e la memorabile riprc,;a dei giochi olimpici fu inaugurata d~tlmodesto « ciac > di uno spa• ro di pistola. Si cominciò con la cor,;a dei cento metri vinta da un americano, cui seguirono altre con.e vinte esse pure da americani, e il lancio del disco egualmente vinto da un americano. Fin dal principio, gli americani cominciarono a farsi ai giochi olimpici la parte del leone. '- Ma queste gare erano appena dei leggeri antipasti, prima del piatto di rc,.i..tenza che doveva e,;:'iere la coNa di ~·laratona. Nei successivi giochi olimpici la corsa di quaranta chilometri si è chiamata maratona per allegoria. e « fare una maratona» è passato anche nel lingua<;'gio col scn,;;o di fare una cor-.a lunga e fatico,a; ma ai primi giochi olimpici di Atene la corsa di Maratona aveva un significato diretto, e doveva c~~cre l'esatt<.l riprodu1..ione dt•lla cor._,, compiuta l'anno 490 a. C. d:"tl me1;sagge10di 1lilziade, per annunciare ad Atene che la Grecia aveva vii,.to. Una completa riprodu,jone della cor,;:a avrebbe richiesto anche la morte del me ...a.ggero, il quale, comC' si ,;a, arrivato alla meta e pronunciato il fatale e NeniJ..ìJ..amt'n », crollò a terra e morì di ,;chianto; ma tanta fedrltà !>torica non era nei \'Oli degli spettatori che gn.•mivano lo sta.- dio ha,t.lndo ad <''-"iche il vincitore delId cor'><l (o,'(; un greco. Benché vecchi., di dUl·mil~ trecento ottantasei anni, il ,ignifìc.tto ddla vittoria di Mara• tona era tuttavia \'ivh,ç.imo nel cuore dc·i Greci. Da m<:zzo ,_ecolo la Grecia ,i era liberata dal servaggio ottomano, e molte !>Ueprovincie giacevano anco• ra sotto la si~noria del p,1di,cià. Turchi e pC'n,iani si confondevano nella mente dti greci. Abdul I Iamìd continuava Dario. Milziade a\.CVacombat• tuto per la civiltà contro la barbarie, al qual ideale il nuovo :\(il1i.1de avrebbe aggiunto quello delh, lotta per la vera fede tli Cri..,to contro il faho culto di Maometto. Guerra medica e a..,.iemc crociata, la nuova .\[aratona maturava nei destini. E infatti, un anno dopo, nelle pianure della Tess..1.g:lia, Maratona si rinnovò, ma diversa.mente da come se l'era prefigurata il desiderio dcliii Grecia. I competitori della corsa erano diciassette e di tutte le nazioni, anzi diecisette com'è scritto nella Jllustralione I talia,ia del tempo. E s..1.rebberostati diciotto, se fo~sc 'itato am~c~~o alla gara anche il milanese Airoldi. I milanesi sono tenaci. e tutto nella storia della loro città lo dimostra. Airoldi fece il viaggio a piedi e a piedi arrivò a Mar.1tona per prender parte alla cor- ~a ; ma nonO":,tante questo magnjfico sforzo non fu amme'-.\o alla gara, perché aveva partecipato a qualche al• tra corsa altrove. In quel tempo, le leggi sull'amatorismo erano rigorosamente ri,.pcttate. Il concor:iO dell'estero tra stato meno numero'iO di quanto si sperava. La Grecia in compenso si era smo1;sa tutta1 e, parte con le fu.stanC'llce il co- ~tumc na,ionale, parte ve,;titi di nero secondo le funcrcc abitudini dei meridionali, \ illici e rurali erano accor.i da tutte le parti della Grecia ste• reà, cioè a dire fepna, e dalle isole, a'-sieme con le loro donne, queste pure \'CStite parte con l'abito naiionalc, il fazzoletto in tc'ita e le collane di monC'te d'oro sul petto, parte infagottate in ,;:erici abiti europei, neri e Ju. stri c-ome èlitrc di grilli giganteschi. E reggendo le uova nel fanoletto a quadroni, e i ma<.,tclletti di legno con lo iaùrt coperto con la foglia di vite, e i cc,;tclli con la ricotta che laggi\1 chiamano milithra, e le galline per le z;,mpc df'I loro pa,;to ancora vivo, e tirandosi dietro i figli moccio.,i avevano 1nva,;;ola città, avevano girato dall'alba alla notte per le !>tradc, erano pav,ati sotto gli archi di trionfo, tra ~li stendardi, le bandiere e gli orifiammi. l proprietari terrieri, cui spettava il titolo di ldrioJ, signore, erano rirono..,c:ibili dalle groo;,c cat<"nc d'oro sul panciotto e daì peli del neo arricciati col ferro. Piccole gare di ripiego tenta\'ano di riempire r.. tu.:sa. Ignoti volonterosi si arrampicavano sopra un palo, tiravano una fune tra la indifferenza generale. Un uomo in maniche di camicia e paglietta misurava il terreno dopo i salti. La folla brulicava sulle gradinatC' come lava Mille pendici di un vulcano. Da quella umanità in fermento ..:diva un denso odore di latticini stantii e cli aglio, che nel cielo luminoso e profondo aveva compO!>tOuna nube in forma di canapè, sulla quale, CO· lorati e trasparenti, :'!!<'.devanogli dèi antichi, \-Orridcnti e felici di quel!~ lx·ll.i riprc:-.a. .'.'lotiz1earriva\'ano di tanto in tanto ~ullo svolgimento della cor'-a, sotto le quali la lava umana !>ipiegava a onda, quasi ::i.vc:,,.serqouelle notizie peso :,,.pecificoe un invhibile corpo, e pas~assero (,tri!>ciando<.,ulmagma odoroso e caldo. Ma fra tante verità diver<-e,quale la verità vera? All'annuncio che un greco era in testa ai pochi corridori rimasti in gara, la folla si spaventò, si ribellò come davanti a una felicità troppo grande. Infine, dalla parte del Panoram;.1 una nube di polvere si levò, crebbe e sprigionò dal suo seno un gruppetto di punti neri che correvano; e un rombo avanzò contemporaneamente dal fondo dello stadio, una enorme palla sonora che rotolava sulle gradinate, e dalla quale a poco a poco una voce si sviluppò1 un urlo: e Luis ! ». « Che cosa è Luis? » domandò un bamhino alla sua mamma. Luis era quell'omino in maglietta e mutandine che veniva avanti sulla pista nera di polvere di carbone, piegando le ginocchia come in procinto di cadere, e troppo lento al gradimento degli spettatori che si erano tutti levati in piedi e urlavano col collo ro..,~oe tirato fuori dalla giacca, come oche infuriate che ~ffiano di rabbia. Lui,; arrivò alla bene e meglio alla fine dello stadio, davanti alla tribuna ove ac:sieme al re di Serbia e con le due regine sedeva Giorgio I 1e degli Ellcni, che aveva gli occhi stretti da miope, due lunghi baffi di seta e portava sulle ventitrè il berretto piatto da :"trnmiraglio; e piegando anche pi\1 le gambe come stesse per inginocchiarsi in un eccessivo omaggio al basilèus~ levò il braccio molle come una carota troppo lc,sata in un gesto che non si capiva se fosse un saluto o una richie\ta di soccorso. Come tale lo interpretò un gruppo di volonterosi là prc,so, i quali ,i '-lanciarono sul poveretto e lo levarono in trionfo. Come il furore pilt spaventoso è quello dell'agnello che s'infuria, così la più pa7.A"\.genero~ità è quella drll'a\'aro che si mette a fare il gcneroso. Famoso per a\'arizia, in quel pa'5aggio di delirio I,, generosità del popolo greco non conobbe limiti nè misura. \'ola\'ano cappelli e bastoni. LC' donne .~i ~trappavano dal collo le file tintinnanti di monete d'oro e le tiravano al vincitore. I po,sidcnti dal n('O arricciato lanciavano gli orologi con tutta la catena dietro come piccole comete . .Furono vi,;te passare delle .scarpe fumanti. 11nome di Luis uscì dalle bocche di tutti, come il bambino d.tll'anguc nello stC'mrna dei Vi. sconti. Spiridionc Luis non era cor. ridore di profclisione. A\'cva \.'e;ltiquattro anni cd era nato ai piedi del Pcntèlico. Il suo allenamento era un allenamento e: natur,1lc ,, è l'aveva fatto correndo a portare le anfore piene di acqua di ~laru,;;:,i 1 che per gli atcnie,;:iè ciò che per i romani è l'Acqua Acctos:'\ 1 un'acqua diuretica e leggermente las,ativa. Quale il ~egreto di Luis? Che in gMa con corridori scientifici e cal,.-.ati con calzature speciali, aveva cor!>oa piedi nudi. Per il contadino grrco, la f!Carpa è un acccs!IOrio inutile e dannoso. Non c'è pelle di porco conciata che valga per re-,i,tcn• za cd ek1-.ticitAquelle suole naturali. Nd 1912, tre volte i greci ::-aliranno .tll'a"alto di Giannina, difrsa dal prc- ~idio turco. /\Il., quarta. il generalr. c;rcco gridò ai suoi cuzòni: « Toglietevi i larÙc ! ». E to:-.toche i piedi dei bravi cuzòni ._,j furono liberati dalle babbucce a gondola e adorne sulla punta di una nappina a cri,;:antemo, Giannina fu t-.pugnata. Luis diventò l'eroe della nuova Grecia. Ma Vcnizclo.. vegliava. L' « astuto crcte,c > la\·orava per la annc-s.,ione di Creta alla Grecia. Si era me,,o a capo di un piccolo <'~rcito di palikàri, a\'cva impiantato il suo quartier generale ad Acrotiri, trattava da pari a pari con gli ammiragli delle grandi potenze ancorati con le loro navi nella baia di Suda, regolava gl'incendi scdizio"i della Canea, rendeva la vita impos!libile al governatore turco Carateodori pascià, e dietro, i.!ltanza di quc,;to, nel 18971 un anno dopo la ripresa elci giochi olimpici ad Atene, la Turchia dichiarò guerra alla Grecia. La campagna fu brcvbsima e costò b vita ad alcuni ~aribaldini accorsi a difender<' la piccola cd eroica Grecia dalle unghie del leone ottomano. Giorgio I aveva affidato il comando dell1cS<.'rcitoa suo figlio il diadoco Costantino 1 e questi a sua volta aveva nominato a capo dello Stato Maggiore il suo ciambella.no Sapunzàkis, più esperto dì mense che di battaglie. In breve tempo, nella pianura di Te:'!lsa- ~lia, alla presenza del fantasma di Chironc c..hi.s:e ne andò nau:'!lcatocon un ~as!to .,tra<,;cicato da cavallo funebre, I e,crcito greco fu volto in fuga. I fuggia,;chi arriv:i.rono ad Atene. Chi arrivò primo? Luis, il maratoneta. l turchi occuparono la Tessaglia per un anno, al comando di Etèm pascià, generale diabetico e bonario. Gli anni passarono. Piazza della Co- ~tituzionc, ad Atene, è circondata di caffè: il Sclect, il Tsoka,;:, lo Splendid, il Lubìé. Nelle notti estive, la piazza era nera di tavolini e gente pclosissi• ma e sudata divorava gelati e beve\'h enormi quantità di acqua. :'\'cl mcuo della piazza, fra i tavolini del Selcct e quelli del Lubié, passavano e ripas- "avano nei loro abiti di garza le ragazze da marito, ~oortate dal babbo e dalla mamma che alla fine di quelle battute di caCèia tornavano a casa con la lingua penzoloni e i piedi gonfi. Sul tetto dell'Albergo d'Jnghilterra si levava un )('nzuolo ha due pertiche, sul quale tremolavano le figure di un film ispirato dal viaggio dalla terra alla lu• na di Giulio \Terne. I viaggiatori .Partivano dentro un proiettile, sbarcavavano nella luna, da,·ano battaglia ai seleniti che sop1igliavano a rospi ritti sulle zampe po~teriori. D'un tratto, uno degli uomini pelo!>i seduti al caffè si kvava in piedi e gridava: e: Arriva Etèm pascià·! ». A quel grido tutti scappavano rOme un ~I .uomo, senza pagare le consumaz1on1. La pi.12za rimaneva clc~c-rta,e nel silenzio della notte cchcggia\'a tre volte il g1iùo rotondo, profondo, poetico del- !,t civetta. Pall~dt.•vegliava sulla città. Due anni fa..,quando lo ,tadio di Berlino era già gremito e i giochi olimpici stavano per incominciare, un uomo entrò di corsa nella pista, un vecchio, la focci.t cinci,chiata da una fitta rt>- te di rughe, ma i baffi affilati con la saliva, e l'occhio rubizzo, la fustancll.1 da ballerina intorno alla vita e in mano la torcia che d,\ Olimpia recava la sacra fiamma. Era venuto col treno, ma fingeva di arrivare a piedi. Era Lui\ il maratoneta. Lui~ è ancora elci nostri? Fof'ìe. E foN-e no. E for1;ccorre, sempre primo, con la f ust,mell,1 e la torcia in rnano, per quei campi rlisi pallidamente dipinti da Puvis dc Chavamws, sotto i quali Pietro de Cou. hertin, , itto sui tacchi 1 aveva gridato al mondo: « Riprendiamo i giochi olimpici, e i popoli !-aranno fratelli ! >. ALBERTO SAVINIO

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