Omnibus - anno II - n.50 - 10 dicembre 1938

.J ( PALCHETRTOIMA)NI ~@Im~l:Pillli il. LCUN I anni fa, dimorando noi a PaKJ!. rigi, fummo invitati alla ComédieFrançaise per la prova generale della Voix humaint di Coctcau. Questo lavo.o è propl"iamente un lungo monologo, e quanto al significato vuol essere l'addio che una donna manda per telefono prima di morire al suo amante, il quale non è chiaro se l'abbia abbandonata per noia o per amore di un'altra, sebbene il tono della telefonante e le sue lamentazioni accreditino piuttosto la prima congettut·a. Una specie di Signora dalle camelie insomma, ridotta alla sua più semplice espressione e privata di tutto, anche dei bacilli di Koch. Della nostra incapacità di partccipue a certe manifestazioni spasmiche non ci sogniamo di trarre vanto, ma il fatto si è che per colpa di essa noi ci annoiammo alla rappresentazione della Voix humaine come mai ci eravamo annoiati in vita nostra. Onde in quel palco, ove auieme con noi stavano altre persone che forse spiavano nella penombra le nostre reazioni, ci trovammo come quando, bambini, i nostri genitori ci costringevano ad assistere ora seduti, ora in piedi e ora inginocchiati alle interminabili funzioni della settimana santa, e noi, intorbiditi dalla noia, cercavamo, per quei disperati ripieghi che la noia ispira, di trarre dalla noia stessa le armi per combatterla. Così, e poiché la scena era unicamente rischiarata da un lume posato sul comodino accanto al letto, e poiché la telefonante era unicamente vestita di una camicia da notte trasparente, aspettavamo che nella sua dolorosa agitazione essa si levasse dal letto e venisse a collocarsi tra il lume e la ribalta, per distrarci, noi cosl casti di solito, in contemplazioni di cui non osiamo rivelare la natura. Ma anche quello strazio ebbe fine, e noi, per evitare i rallegramenti d'uso all'autore, cercammo di andarcene non visti. Cominciammo a girare per sale e corridoi tutti in egual modo deserti di uomini vivi, e abitati unicamente da commediografi e tragedi di marmo. Trovammo Racine, Corneille, :\-folière, che del resto stava in casa sua, Voltaire con la bocca sdentata e tesa nel celebre ghigno, altri meno noti e che sotto immense parrucche mostravano una faccia puntuta di galline; ma l'uscita non trovammo, perché tutte le porte erano chiuse o con la chiave o con catene. Eravamo in trappola. Sembrava un sogno angoscioso, dopo un'abbondante mangiata di fagioli con le cbtiche: Infine ci trovammo al punto di partenza, e là scoprimmo che c'era un'unica uscita, e che davanti a questa Jean Coctcau da una parte e la signora Cocteau madre dall'al· ra, come due sposi dopo la benediz,one nuziale, ricevevano i complimenti degli invitati. Non c'era scampo: affrontammo l'autore, e quando egli ci domani:lò: e Est-u que ça t,•ousa pfo, cher ami?•, noi confessammo che avremmo preferito quella parte interpretata da un uomo travestito da donna. In questa risposta non c'era ombra di malignità, ma la sola confessione di una idiosincrasia. Noi vorremmo tutte le parti da donna sulla scena interpretate da uomini, e tra le figure più alte, più tragiche, più •greche• che il teatro ha deposto nella nostra mcmorìa, dominano quella di Emilio Zago nella Zia di Carlo, e quella di Riento, del grande Ricnto nella parte della ciociara. Ma come sopportare la donna travestita da uomo? Abbiamo sempre stupito che fatti cosi mostruosi come Sarah Bernhardt nella parte del duca di Reichstadt passassero lisci, e il nostro orrore per i travestimenti comprende la stessa Giovanna d'Arco. E poiché questa terribile parte ora è toccata alla signora Andreina Pagnani, come Viola e Sebastiano nella Dodicuima notte, preferiamo aspettare questa attriu cosi dolcemente femminile in una parte più in armonia con la sua natura, per dire tutto il bene che pensiamo di lei. Con La dodicesimo notte di Shakespeare si è inaugurata la Compagnia del Teatro Elisco, e sia la scelta dell'autore e della commedia, s.ia il debutto del palcoscenico girevole, sia la vivacità delle scene, sia l'abilità della regia, sia l'impegno degli attori, questo spettacolo costituì a tutta prima una lietissima sorpresa e tale da giustificare la fervorosa presenza di tutto quanto Roma novera di più intellettuale, e l'espressione compiaciuta di costoro davanti al sogno della loro vita finalmente realizzato. Senonché questa versione cosi nuova e accurata della J)odiusima notte presenta una strana analogia con la confezione della maionese, cioè a dire che come la maionese fino a un certo punto ha l'aria di venire su bene sotto i giri regolari del cucchiaio di legno e l'olio stillato lentamente, ma d'un tratto, e senza che si capisca perché, •'si straccia•, così anche questa Dodicesima notte fino a un certo punto andò bene e anzi benissimo, ma verso la fine • si stracciò•, e nel contrappunto del quinto atto tra Viola e Sebastiano la scena prese un aspetto non solo •stracciato•, ma infantile e angoscioso, tra la vestizione della prima comunicanda, il taglio dei capelli alla monaca novella, e un incidente capitato alla signora Pagnani, che gli altri attori, circondandola, cercavano di nasconderci. La dodictsimo notte passa per l'ultimo lavoro di Shakespeare, scritto da lui negli ozii della pensione. Benedetto uomo! Perché non essersi fermato al penultimo e aver assaporato più pienamente la dolcezza di quegli ozii? Malgrado le molte bellezze rococò, e i suoi periodi buccolati, e la sua egrazia dell'inutile• (segno " infallibile di civiltà), l'interesse di questa ' '·• commedia non è proporzionato alla sua mole; e se a un certo punto la maionese • sì straccia•, non è tutta colpa del regista. Ma poiché lo spettacolo dell'Eliseo rivela una volontà di grandezza e delle intenzioni molto rare negli annali del nostro teatro, desideriamo che i nostri appunti siano presi meno come biasimo che come avvertimenti dati di buon animo e di buon cuore. Cosi le scene, che di primo acchito riescono brillanri e gustose, a un esame pili attento rivelano nella eccessiva dolcezza dei toni e nel manieristico della fattura una pericolosa vicinanza con i quadretti di genere di certe botteghe d'arte di piazza di Spagna, se non addirittura con le scenette del presepio che in occasione del Natale la Rinascente espone nelle sue vetrine. Sarebbe da regolare oltre a cib la parte musicale dcl1o spettacolo. Perché far cantare la signora Pagnani e non nascondere, già che travestimento c'è, sotto il mantello viola di Viola anche un • I grammofono col suo bravo disco? Non si capisce tanta paura della pazzia, in un paese la cui arte maggiore non è altro se non uno straordinario documento di pazzia. Gino Cervi per parte sua canta con una spavalderia degna del Teatro Reale dell'Opera, e nella sua aitanza da Escamillo ci è parso riconoscere un doveroso omaggio a Giorgio Bizet, di cui quest'anno appunto si celebra il centenario. Degna di lode la signora Rina Morelli, e molto shakespeariana (anzi: escespiriana •• com'è scritto nel programma) la signora Nella Bonora. Bravo lo Stoppa nella parte di Malafaccia, ottimo Carlo Ninchi in quella di Malvolio. Questo attore ogni volta lo ritroviamo in progresso. Intelligente e fine. Perfetto e modulato -·. - . " •_.:.." ..... ~- ..,, ~-- .... . nella dizione. Sobrio e suadente nel gesto. Ma dove soprattutto si rivela \a su- ROMA· .MONTE OENOI1 TESTA ROMANA 80 UN PORTALE periore qualità di questo attore è nei pianissimi, ìn quei pianissimi cosl sconosciuti sulle nostre scene, e che dopo Ermete :\'ovclli e l'Orchestra Filarmonica di Berlino diretta da Furtwàngler, ritroviaffio soltanto in Carlo Ninchi. Luigi Pirandello noi lo difenderemo sempre e. dappertutto. Non perché Pirandello ci piaccia (se piacere implica concordanza di idee e di gusti), ma perché tra i nostri scrittori e specie quelli di teatro egli aveva cib che agli altri generalmente manca, volontà di grandezza, curiosità di ricerca, fid11cianella pazzia. Fra tanto conformismo, sono qualità che brillano come fosforo nel buio. Quando Pirandello mori, noi segretamente ma sinceramente pensammo ciò che un poeta italiano scrisse con forma retorica alla morte di un altro poeta italiano: che il mondo sembrava diminuito di valore. Ma Pirandello non è morto: egli si continua nel suo figlio Stefano, come un fiume si continua in un altro fiume. Mai come in questo esempio il mistero della paternità si rivela nella sua forma pili profonda e confortante, e quell'incubo, quell'ostacolo, quella • vergogna• che i grandi uomini sono generalmente per i propri figli, qui si risolve nella conseguenza pili naturale, più ovvia. Che pili? In una commedia di Stefano Landi, Un padre ci vuole, che in noi ha lasciato un lietissimo ricordo, il figlio diventava padre del proprio padre, giustificando lo scambio di posizioni fisiche con le pili suadenti e umane ragioni metafisiche. La forma poetica di Stefano Landi è mista di curiosità e di patos, come quella dcll'Jcaromenippo che scendeva a volo sul tetto delle case e spiava i loro segreti. La faccia di Stefano è quella di un dio Ammone cui avessero tagliata la barba, e il suo occhio tardo e bovino sembra non guardi le cose del mondo, ma invece traversa i muri e scende nella vita degli uomini piccoli e neri, denuda i loro segreti, le loro vergogne, i loro sogni a volta a volta eroici o cretini. 11 continuo, l'invisibile • terremoto della pazzia» scuote questi personaggi, il bene e il male li agitano, il peccato li sfiora e la redenzione, e dalla loro bassezza e miseria essi si levano insensibilmente alle nere vette della tragedia. Questo il senso del Folco d'argento, una delle opere più belle e profonde che da parecchi anni siano passate sulle nostre scene. Nella quale soffia anche un vento d'incesto: non l'incesto mondano e di petulanza letteraria di alcuni romanzi di O' Annunzio, ma l'incesto orribile e assieme sacro del nostro antichissimo mondo mediterraneo, italiano, greco, egizio. La Compagnia della Commedia, che di Folco d'arg~nto dà una interpretazione ottima, fa precedere ogni auo da un pezzetto di musica. Si vuol tornare al tempo di Versailles, quando i violoni du roy preparavano con uno scelto concertino ai dolori di Andromaca o di Atalia? Può darsi. Solo che i violons du roy sonavano musiche di Lulli e quelli del teatro Valle ci suonano musiche di Tirindelli. ALDERTO SAVINIO #.) I TROVA~lMO, domenica scor• ~ ,a, per far merenda, al Caffè Greco: è un posto che ci piace, vecchio e denso di signori con la barba che ci vivono dalla mattina alla sera, e discutono sempre, non senza ferocia, di problemi edilizi, sventramenti e piani regolatori. Ci sono poi i giovani poeti, in cappotto di falso lama, che vengono al Greco per trovarci l'atmosfera artistica di un Café dc la Rotonde. E non mancano gli aspirantigiornalisti, i quali ricoprono di caratteri svolazzanti innumerevoli cartelle, inebriati per la propria facilità cd acu• tezza. Qualche volta, ci abbiamo trovato anche gli esteti, b(-llissimi giovani con pipa inglese all'anr;olo della bocca e completi di flanella chiara 1 che parlano Ruentcmcnte il così detto « inglese oxoniano ». Sono tutti concordi nel ricono~erc all'antiquato e cordiale tono del Greco un pa.rticolare cach,t : parola di cui i frequentatori si compiacciono. Il pubblico groc:so, spaventato però da CO'iÌintellettuali apparenze, si tiene lontano dal luogo. La cauta borghesia è presente soltanto con coppi<.·clandestine di fidanzati non ancora ufficiali. L'altro giorno, tuttavia, l'ambiente era diverso; la vacanza domenicale, e la vicinam.a drl cinematografo dove si rappresentava un film di Shirlcy Tempie, avevano raccolto al Greco parecchi bambini con la mamma e il papà. Nell'ultima saletta, quella del camino acceso, dove ,;;i erano riuniti, l' aria odorava gradevolmente di cioccolata. I bambini raccontavano, ancora emozionati, quel che più li aveva colpiti nelle avventure di Shirlcy. Anche il tavolo prossimo al nostro fu occupato da due bambini, accompagnati dalla loro bella nonna, e da un importante amico di ca~a, meridionale di eleganza antiquata e sorvcgliati'isima, che rappresentava felicemente il tipo dell'Antico Gaudente Siciliano, gran viaggiatore, gran parlatore e gran signore, che si ~loria del proprio cosmopolitismo. Tornavano anche loro d:lil'aver viuo Shirley Tempie, cd il bambino, che avrà forse avuto otto anni, toglicndO'ii la pelliccetta dichiarò di aver pianto troppo. La gravità della parola, l'abito di velluto nero, ornato allo scollo di pizzo, la lunghcv.a dei capelli, lo sguardo profondo, lo facevano somigliare ad uno dei figli di Re Edoardo, resi così celebri dalla pittura ottocentc~a. Ma, quando sentimmo la nonna chiamarlo Stclio, ci fu facile capire ogni cO'ia. Quanto alla bambina, si chiamava Simonetta, era vestita anche lei di velt{uo nero con il collo di trina, e aveva una piccola croce di ametiste appesa, a guisa di ciondolo, al collo. Anche i suoi capelli fluttuavano, e qualcuno doveva averle detto che le sue mani erano preziose, perché le teneva sempre in vi5ta1 con gesti dclic:tll, d..i.ranuncntarc dcM:riziom famose. La nonna trattava i due bambini con una timida tcncre:r.z:i, l'amico di casa. con deferenza, e la scelta della merenda richiese lunghi e minuziosi discoNi. Stelio voleva il tè, ma e appena biondo>, altrimenti non poteva dormire: e la nonna si raccomandò al cameriere che mette~ pochissimo tè, molta acqua calda, molto latte, cd aggiunse, rivolta all'amico, che « Stelio aveva i nervi delicati come :iuo padre >. Simonetta si sarebbe accontentata della cioccolata, ma fatta all'acqua, e poi passata al ,etaccino, che non ci fosse traccia di panna o tela, guarnita poi di molta panna montata'. La signora ~ospirava, si 'iCusava, ripeteva: e Anche lei, tutta suo padre >. I bambini avevano ereditato una finezza, una sensibilità veramente eccezionale, e bi~- gnava vedere Stelio quando ascoltava le campane, o Simonetta, quando poteva accarezzare qualche pcz-ro di broccato antico! Mentre la nonna veniva così raccontando le loro raffinatev.c, Stelio e S1nonetta bevevano gravemente, sollevando il dito mignolo. Int.1nto, si era messo a piovere: lo capimmo ,ubito da coloro che entravano, con gli impermeabili bagnati, gli ombrelli gocciolanti. Stclio, posata la tazza, dis5-etranquillamente: e: Piove >, poi, senza transizioni, ma con una voce mutata., 'itranamcnte alta e qucru~ la, cominciò a recitare la Pioggia nel pineta. Simonetta, pur ascoltando cstarica, con il mento pensosamente appoggiato ad una mano, certo frcmr-va d'im idia, e meditava di declamare l'Usignuo/o, ma l'amico di casa non gliene lasciò il tempo, e, traendo di tasca un giornaletto enigmistico, glielo por'iC, incaricandola di trovare certe soluzioni. Anche Stclio abbandonò la poc!-iia per gli indovinelli, cd il vecchio signore potè mettersi a parlare di politica, vista naturalmente sotto il suo angolo particolare, riferendosi ai mininri come a « veri gentiluomini >, e la parola prendeva, nella sua bocca, uri tono rotondo e fiorito. Pareva vivamente preoccupato per i nuovi de-~tini della regione del Tokai, e unicamente per quel che sarebbe accaduto di vigneti e cantine. Stclio lo guardò, ispirato, e cominciò un discorso che dovc ... -a e'iser poeti:oo cd emozionante. « li Tokai >, disse; ma il vecchio signore non lo lasciò finire, e con una premura greve di irritazione, lo consigliò di andarsene vicino al fuoco, con Simonetta, e di mettersi a giocare. Quelli obbedirono, e si posero esteticamente ai due lati del caminetto, immobili, e con un atteggiamento che pareva indicato da un regista speciali:r.zato in film per ragazzi. La nonna scosse il capo, guardandoli, tetramente compiaciuta. Pareva depressa, e con voce timida prese ad interrogar l'amico su quel che pens.as- ..e ~i Stclio t• Simonetta. Quegli scos- ~ 11 capo, tracciò le ampie lince di una educai.ione esemplare, quale l'avrebbe impartita lui a dei bambini; vi -.i parlava molto di conventi, poi di collegi forestieri, infine di soggiorni prc~so aristocratiche famiglie inglesi o francesi. Sgorgavano rotondi dalla o;;uabocca, atteggiata a beatitudine, i nomi di Mondragone e di Eton, di Poggio Imperiale e delle Visitandine: sedi perfette, tutte, per gentiluomini e per gentildonne; cd enumerava le vantaggioo,e relazioni .che vengono a crear~i ~enza fatica, il garbo e la disinvoltur:\ che ~i acquistano; ma la signora lo ascoltava, senza dar segno di con'iolar,i. Stclio e Simonetta erano sempre prcs\O il fuoco. Ogni tanto rammentando un episodio del film, o 5coprcndo nel giornalino enigmistico una figura buffa, na~ceva in loro un moto sponucnco di commozione o di allegria, ma si riprendevano subito, e avvinti dalla bellezza degli atteggiamenti pcn,;o~i, fis~avano, commossi, le fiamme. La nonna 'ii faceva 5-cmprc più bdla1 sotto i suoi capelli bianchi, dolo• rota e quasi martirizzata. Timidamente, accennava alle singolarità del figliolo, padre di Simonetta e Stelio, SCU\andolo, come persona malata, col dire che, fin da ragazzo, aveva letto troppo. Scuc:ava anche la nuora 1 dicendola donna dclicatic:c:ima, innamorata del marito, e d()Qlc alla volontà di lui. Scusava la loro ca1;a 1 spiegando che, in fondo, le savonarole tarlate, i tavoli francescani, i drappeggi di broctato vecchio, hanno un certo valore prcs50 gli antiquari. Ed infine chiedeva indulgcn7.1. , pudicamente, per i nipotini; ma si e.a.piva bene che non trovava né la ragione, né il modo di reagire a tutto quel che la circondava, il figliolo lirico cd ermetico, la nuora <;vagata, i bambini leziosi: anche i principi dcli' amico, che erano poi quelli stcs.~i che avevano guidato la ~u3: propria vita, le parevano aridi, art1fic1osi. E rac:-.cgnatamcnte chiamò i bimbi, avvertendoli che era ora di rientrare. Simonetta alzò dolcemente le ciglia, e dichiarò che le era venuta la malinconia. Anche Stclio sospirò, e si lasciarono mettere i cappottini di pelo, ~mprc serbando una espressione gra• z1osa e dolente. Il vecchio signore, affctta~do modi semplici e paterni, da Gent1luomo-di-librerper-ragazzi li esortò inutilmente a mangiare an~ora un dolcino danese. Ma loro risposero silenziosi di no, e sorrisero tristemente. Parve per un attimo che il busto di lb.sen destasse in loro un'ilarità fresca, un desiderio di gioco; ma subito Stelio si frenò, e con accento stonato, di filodrammatico, di,sc: « Quello è un poeta>. E se nC"andarono via. IRENE BRIN ( ILSORCNIOELVIOLINO ~ilillill1? 1f1 'JARDANDO Willy Fcrrcro sul I!ll podio dell'Adriano ci vien faÙo di pensare qualche volta a Gior- ~io Schncevoigt, il focoso maestro norvegese, che dirigeva di punto in bianco, trascurando di concertare il pezzo, con una veemenza e una passione straordinarie, anzi pericolose. Pericolose, perché faceva il concerto lì per lì, d'acchito, temerariamente. L'orchestra, del resto, esciva dai ri- ~chi con entusiac:mo impctuo~o, sapendo di avere alla testa un innamorato supplichevole e travolgente. Schncevoigt era un cardiaco che cercava la voluttà nel dolore. E offriva tutti i suoi nervi, tutta la sua carne dilaniata alla musica, con una esaltazione quasi pazzesca. Dietro il suo orecchio, un cuore angosciato ascoltava vigilando terribilmente. Tutti i suoi gesti partivano da un petto riboccante e soverchiato dall'attesa, e dall'imminenza d~ll'emozione. Quando una cantilena piangente veniva fuori dagli archi, vacillando calda sulle corde dei violini, Schneevoigt chiudeva gli occhi, si trasfonnava, arrossiva, trascoloriva 1 allargava (avrc- '5ti detto che s~csse per cadere fulminato) e distendeva il tempo quanto era lungo per una sfrenata e amara lentezza di godimento. Era questo il momento unico c magnifico in cui il suo volto viveva e si coloriva. Quando non dirigeva più, la ~ua faccia ridiventava pallida e di- ~tratta come il marmo. Ebbene, non diremo che Willy si sprema a quel modo. Willy Ferrcro non gioca co~ì allo scoperto, non ci rimette la salute. non corre il pericolo di buscarsi un colpo apoplettico; tuttavia anche lui, come Schncevoigt, dirige con i nervi e con il cuore; e tiene la musica in 5UOpotere, la snoda. battuta per battuta, intensa, turgida• patetica senza perderne un solo accento, ,;;cnza lasciarne cadere nessun rc..iduo nella fos~a comune. Nella sinfonia del Nuovo mondo e~Ii mise a servizio di Dvorik quel che ha di drammatico e di focoso il suo temperamento, e, gonfio di solennità e di ritmo, s'innalzò trascorrendo lentamente sull'orche,i;tra, tronfio e carico di doni come un dio volante. Dopo l'ormai classica sinfonia, e la ouverture Coriolano di Beethoven, entrò in campo Maurice Rave! con la Rapsodia spagnola, composizione che appartiene al genere più raffinato della scuola francese. Si tratta naturalmente sempre di quella musica preziosa e delicata che un colpo di tosse potrebbe massacrare. La mmica di Rave) non tocca terra e -.i muove fantasticamente dietro un velo di polvere luminosa, mentre qualche colpo a vuoto scoppia ad ogni tanto, come la pelle di un tamburo scaldato al sole. Qui tutto è scrupolo i<;trumcntale e artifizio armonico; e benché il brano non sia lungo, l'autore comincia a ripetersi : unico modo di continuare. Come accade spesso agli autori mo• derni che, volendo uscire da una prima idea in cerca di sviluppi, vanno i1\- contro al suicidio. Anche sull'inizio di altre opere Rave! ha saputo darci, con l'armonia e con il ritmo, un puro stato musicale felice e profondo, ma, nei procedimenti o,uccessivi 1 eccolo pcrden,i e aver l'aria di fermarsi e di mettersi una mano !>ugliocchi per ricorùarsi la strada. Willy S..'\ fraseggiare come pochi, con lui l'espressione trionfa nettamente su tutta la linea, e il pubblico raggiunge di volo la zona fervida e tempestosa delb musica vera. Egli sa cavare dall'orchestra un linguaggk~ acceso e disperato e creare poi de~li spazi pieni di malinconiC" fluide1 nelle quali sente ancora l'abbattimento e l'acquetarsi lamentoso e deserto di un risveglio. 11 programma comprendeva anche uno Scher{.o-Dart{,a del maestro Malatesta che veniva eseguito per la prima volta : breve lavoro1 intercss.1.ntc nell'istrumcntalc e pregevole nella sostanzai che ottenne, grazie all'esecuzione attenta e amorosa, un discreto successo. Chiudeva il concerto la « Marcia funebre> del Crepuscolo degli dèi di Wagncr, dopo la quale Willy venne salutato senza fine da tutto il pubblico e dall'orchestra, con acclamazioni insistenti e solennissime. BRUNO BARILLI LEO LONGANESl - Olre.ttorc r-esponubile Rl7.7.0tl 1t C,. An. P'r l',\ne do.Ila ..,,ami)& \l,lt,><1 RIPRO/)U7.IOSI ~;s1~<,UnE cos \1t\1ERI \I.E ~'OTO<.,llAJ'lt:O • 1-1;:RRANIA...

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