Omnibus - anno II - n.50 - 10 dicembre 1938

ANNO Il • N. 50 • ROMA 10 DICEMBRE 1938-XVII 12 PAGINE UNA LIRA I ~,: &;;~m-_,.,,. __ ,,.,---~ ~ ~---- □ □ -~ SPED/l/ONE IN ABB. POSfAlE l>_l P O !!_I '11 I O A E \t \ SOLLEVAZJQ:-.:E della stampa ~ francese contro lo spirito di ::\lonaco non ha senso. A Monaco si sono rovesciati dei rapporti di potenza, si è definita una situazione che era m corso da almeno tre anni. Si sono fissati degli orientamenti, si sono indicate delle direttive d'azione. Era semplicemente assurdo ritenere che, salvata la pace per l'intervento di :\lussolini, si potesse comunque ritornare alle posizioni di prima e alle informi combinazioni diplomatiche d1 un tempo tramontato per sempre. ;\[onaco significa un totale rinnovamento di rapporti, l'inizio di una revi- 'i1one radicale dcll'cquihbrio europt-o, l'instaurazione della giustizia internazionale nell'interesse vero della pace, della collaborazione fra gli Stati. A Monaco non sono soltanto caduti dei trattati iniqui, non si sono soltanto rivedute delle po,;izioni territoriali secondo il principio di nazionalità; è definitivamente crollijta una mentalità, è stato battuto in breccia, e per sempre, un sistema. Impossibile, ora, sottrarsi alle conseguenze dt quelle premesse, impossibile illudersi sulla perpetuazione di uno statu quo 1n assoluto contrasto con le esigenze della vtta, con gli imperativi della storia. Se si vuole veramente consolidare la pace, è necessario procedere su quella via, senza infingimenti e senza deviazioni. ~ necessario rimettere in discussione tutto l'equilibrio europeo, facendo la dovuta parte alle indeclinabili aspirazioni dei popoli, che si richiamano concordemente al diritto storico, alla demografia, alla stessa geografia, Che cosa domanda l'Italia? Nulla che non le sia dovuto. È ammissibile, ad esempio, che la situazione degli italiani della Tunisia continui nell'incertezza che sappiamo, quando quella magmfica re- ~:s::i d;;~~:z;~;aii; 0 scc:i!,;ls~~~~: 0 :he~ l'Italia imperiale debba ancora subire l'intollerabile scrvitll delle tariffe di Suez? Possono credere gli azionisti della Compagnia del Canale, che l'Italia fascista abbia compiuto gli enormi sacrifici dell'impresa di Etiopia solo per aumentare i dividendi dei magnati della plutocrazia internazionale? Ed è concepibile che lo statuto di Gibuti continui a rimanere inalterato, nelle ~tesse condizioni del pa.s• TUNISI: PARIS·PLAISIRS sato, oggi che l'Italia occupa tutta l'Etiopia, che ha in Gibuti una delle principali vie di respiro e d1 comunicazione col mondo? La stampa francese ama ricordare gli accordi del 1935. Ma quale valore si può più riconoscere a quegli accordi? Essi non furono mai ratificati, furono, anzi, violati dalla Francia nel loro spinto infor. matore, perché la Francia aderì alle san• zioni e partecipò attivamente, con tutt; i mezzi, alla guerra di Spagna, schierandosi decisamente dalla parte di coloro che proclamavano senza eufemismi di voler infliggere una severa lezione al Fascismo. Per quanto particolarmente si riferisce alla Tunisia, gli accordi riguardanti la situazione dei nostri connazionali dovevano essere oggetto di una speciale convenzione' da negoziani nel termine più breve, ma il governo francese preferì dilazionare sine die c,ualsiasi trattativa, mostrando fin troppo la volontà d1 ritornare ai metodi preferiti di un tempo, quando, cioè, in seguito alla denunzia delle Convenzioni del 1896, avvenuta nel 1918, in piena fraternità d'armi - povero generale Albricci, che in quei giorni si batteva allo Chemin•des-Dames - si rimandava di tre mesi in tre mesi, come una cambiale vergognosa, lo statuto giuridico di quella gente, cui la Tunisia deve la sua fortuna. li richiamo agli accordi del 1935 non può avere che un senso, non pub significare, cioè, che il desiderio, da parte della Francia, di addivenire ad una situazione di equilibrio. Ma è chiaro che tale equilibrio comporta la doverosa presa in considerazione dei fatti nuovi che sono intervenuti in questi ultimi quattro anni. Oggi l'Italia è un impero, con obiettivi, necessità, metodi imperiali. È disposta, la Francia, a riconoscere senza sottintesi e senza riserve questa nuova situazione? L'Italia è fermissima allo •spirito• degli accordi del 1935, che significavano equilibrio e collaborazione, ma non intende in nessun modo di rinunziare alla sua nuova potenza. A quello spirito deve corrispondere un diverso contenuto. Non si comprende il disorientamento di cui dànno prova i giornali francesi. Nei giorni scorsi si sono abbandonati ad una polemica sciocca e impertinente. Qualcuno ritenne che le spontanee espressioni del sentimento italiano fossero tali da in• durre Chambcrlain ed I lalifax a rimandare il loro viaggio in Italia, immaginando una solidarietà anglo-francese in funzione antitaliana. La delusione non si è fatta aspettare. Non solo è venuta la conferma del viaggio dei ministri inglesi, ma ne è stata sollecitamente fissata la data. Altri - e questi davano prova, oltre che di una mentalità antiquata, di una assoluta incomprensione del mondo nuovo - hanno voluto lusingarsi al pensiero che la Germania potesse negare qualsiasi solidarietà all'Italia nelle sue legittime rivendicazioni e si sono aggrappati alla dichiarazione firmata da R1bbentrop a Parigi per vedere in essa una attenuazione dcli' Asse Roma-Berlino, \ma deviazione dalla linea di condotta fino ad oggi seguita col successo che era nella logica stessa delle cose. Questi visfonari sono arrivati perfino a fantasticare di un asse ParigiLondra-Berlino, destinato a capovolgere la situazione europea, l'equilibrio determinatosi in questi ultimi tre anni. Le note ufficiose di Berlino hanno dissipato i sogni di queste menti malate. Da ultimo, non sono mancati i soliti furbi che nelle aspirazioni italiane hanno voluto semplicemente vedere un assaggio, una moneta di scambio. lltusioni pericolose. L'Italìa fascista dice quello che pensa e fa quello che dice. Tempo al tempo. * * * (PAGINE INEDITE DI SOREL) I. . 'il 1•:LL'Hi.aoire de l'affaire Dreyfus I! Giuseppe Reinach cerca di darsi ragione dell'opposizione agli ebrei, che è \Cmpre latente presso tutti i popoli della terra, in particolare· pr"sSO gli europei. E crede di (;Coprirla in quella che sarebbe la naturale « vocazione> del popolo di IHaelc. « Quando Drumont sostiene che la Rivoluzione è '>tata fatta soprattutto a beneficio de- )'.?liebrei, dice senza dubbio un.t llCiocchcz7,a; ma non ,;j allontana molto dal , ero quando rimprovera loro di averla preparata e di continuarla. In r(·altà, cs1;i sono stati in ogni tempo dei rivoluzionari: prima coi loro profeti, che minacciavano i ricchi, man,:iatori di uomirii; poi, nei tempi dcll'opprcs!-ionr. artefici nascosti di tutte le A'randi tra,;formazioni, coi loro dottori di mcredulità, che crearono l'avcrroi.,mo e il pantcì.,mo, coi loro esegeti, che ispirarono la Riforma rcligiosa 1 coi Kabbali,.ti, che :mticìparono la ~ta .. soncria. Dopo il 1 789, i loro ml·rc:'tnti di oro, eh<' mettono in pratica il San1;imonismo, sono fra i principali creatori del mondo moderno, mentre La1;,;allc e Marx ne meditano la distruzione. Da Cicerone a Nietzsche, passando per Gcuguenault des Mou,.scaux, essi fu. rono in ogni tempo accusati da tutti i comervatori come fautori di rivoluzioni». In que<;ta pagina Giuseppe Reinach non fa che rias1;umere le tesi ampia• mente illustrate da Bc-rnard Lazarc nel ,uo libro L'mltisimttismt, son histoire rt us causcs. Co,;a c'è di vero in que-stc- orgogli~e prcteSC' giudaiciw? ~on una rei:;:g-e ~d un scrio esame della critica ,;torica e filosofica. Come <..pi uò, ad CSC'mpio,attribuire a Cicerone le intenzioni che gli prc,tano Giu~CPP<' Reinach e Bernard Lazare? &·condo Rcinach, è in un'orazione del 59 a. C. ìn difc~a di \"aie rio Fiacco. che Cicerone avrebbe prc-,entato gli (•brei come « artefici di rivoluLioni >. ~la 'IC si legge quel documento con la dovuta attenzione non .,j tro\·a a"oluta~ mente nulla di 1;imilc. Cicerone si pronmwia in tcnnini vaghi. Senonché vil•n fattr, di clom.rnd,ir,i come mai un erudito della forza di Giu,cppe Reinach .ihbia c-rcduto di potc·r ~iu,;tific.irc un ,imile arbitrio. \"alerio Fiacco era un uomo di ecn•;,ion:1ll' ene.rgia. A,·l'v.t fatto le sue prove al tempo della con~iura di Catilin.l coprendo l'ufficio di pretore e ~otto il comolato cli Cc,;arc t·r.1 <,tato ins(·guito dalle accuse ch.·gì.i A,iatici. che egli aveva go"ernaw nel 61 l' che gli rimpro\'eravano ogni 1;01 t~\ cli abu- <..dÌ i potere. N°<'l proce\.'-O del 5l) contro di lui furono port,1tc· ancht' le te,timonianze dei giudei, ma que,ti, in realtà, intervennt•1·0 in m;.,nit_-ra ,1cn•-.. 1;oria: di fi.rnco, pili che di fronte·. f'.,;- ,i l'accu"-avano di a\'er nw,-.o •otto ..,c. qucstro l'oro dc-.tinato ,il l:'·mpio di Gcru,;alemmc. J n fll·""to prov\'l'd i1111."nto ci poteva e"cre un abmo di pot!'n~, ma in nc-1;,;unmodo 1;,j potc\'a parlare cli concu._1;,ionc,pel'C'hé rwlk opna;,ioni di ,(•qur,tro e di ckpo-.ito er.rno <.ta• te o:-,cn,att· tuttl' k r<'gok del ra,o. Per difendere Fiacco da un".1<:cus.1 CMÌ po<'0 con~i(;tentr, Cin·rcmr avrebbe potuto ;mchc fa.re a meno di occup..1rsi degli c·hrri, limitandosi a batt<'rJi sul terreno puramente giuridico, !-UI quale era fort1<.-.imo; ma Cict·rone, come gli avvocati di tutti i t(•mpi, non \ape,-a I inunziarc alla lx-Ila cloqul'n- ;,;1 che si dirige ai "entimenti pi1'1c:-hc ,111.Lra~ionc degli a,coltatori. E fu pt•1 que ..to che l'gli prese di petto gli ebr<: i. Non bis<'.>f(naq,uindi, attribuire alle .,ue parole un eccessivo valore documcnurio. Egli profittò dcll'inter\'ento dl·gli ebr('i per gettare i.I dic.cn·dito sui ne• miei di Fiacco. Ecco tutto. S!'(tUC'\trnndo l'oro dei ~iudt:'i il propretore a\·cva o\lacolato l'cserci;,io di una rrligionc autoriv;Ha dalla Repubblica. ~fa questa rdigionr non \j accordava in ne1;,un modo con k i~tituzioni romane. /storum relzgio sacrorum a spltndore lrnjus imperii, gravitate riomiuis nostri, majorum ùutituti:. abhorrebat. Con particolare SC\'erità la si doveva giudicare dopo b rrcr11tissima guerra del 63, che aveva portato alla prc-.a di Ccrmalcmrne d;1 parte di Pompeo. Cli dèi :wcvano mo~trato d~ non f~rc ncs1;un conto drl poJ.JO· lo d1 Jsradc ormai ridotto allo stato

OLI EREDI DI FRANOU1 JEAN PAINLEV1:, PIGLIO DEL DEFUNTO PRE8IDENTE 1 OOL OANE MIRKO di vassallaggio. Se, entrando in Gerusalerrnnc, Po,npeo non a, 1·\'a nemmeno toccato i tesori del 1empio, questo non si doveva in nessun nioclo riferire ad una qualsiasi co11~idti.,Zionc della religione dei vinti, m:i alla saggezza del vincitore, che vol,·,·a togliere qualsiasi prete'ito ad una n.,zionc notoriamente portata alla C'alunnia e alla diffamazione. e L'aver "''\JHlto resistere ad una superstiziom· barbarica fu, da parte di Fiacco, uu segno di energia; l'aver saputo dic;pre,,.,..nrcn, ell'interesse della repubblica, quc·'ita folla di· giudei, così spesso turi)!,bHa nelle nostre assemblee, fu untl 1111,waprova della sua forza d'animo • Quando Cicerone dice di t•,~i~rr esterrefatto dalla presenza dei ~imk·i, ace.orsi in gran numero per so11en,·re gli accusatori di Fiacco, per +: montare l'ambiente>, come si direhh1!.oi::;-~igiorno, ~ chiaro che si abbandoua ad un artificio oratorio. e Tu sai >. esclama v0lgendosi all'avvocato (h-'{li Asiatici, e quanto sia numerosa la loro truppa, quanto siano fra di loro !\Olidali, quale influenza riescano .1d l.."SCrcita.re nelle assemblee. P.lrlerò a mc-aa voce, quanto appena occorn· per essere inteso dai giudici, perché so bene che non mancano persone capaci di scagliare qucstJ grntaglia contro di noi, contro i nttJrlini più degni, e non ho proprio nrs~una voglia di favorire questo loro çoinpito odioso•· e, evidente che con queste parole il gran<le or.1wre cerca di screditare gli ebrei prc-'-m i giudici, di renderli sospetti t' 1>oro degni d\ fede. Va più in là. Con raffinata arte insinua che i giudei non siano estranei a quelle conventi('ole politico-criminali, che facevano capo a Clodio, il demagogo protetto da C<''-MC-, e che suscitavano inquietudini e: ,lpprensioni di ogni genere presso tutto il mondo conservatore. Si sapcv,1 che uno dei fini di Clo~ dio era precisamente..· il bando da inAigger.;i a Cicerone, come doveva, appunto, accadere, l'anno seguente nel terrore di Roma. Non è diflkile immaginare l'efficacia di tali a.rgomc-ntazio• ni sull'animo di giudici co~ì male disposti verso tutto <1uanto ~apcs".lcdi sovversivismo. Bcrnard La7,are interpreta questi CONCORSO PERMANENTE DI "OMNIBUS" perla narra:llone d1 un ratt.o qual.Ila.I, realmente accaduto a cbl 1crtve. La narralione non deTe 1uperare le t.re colonne del giornale, e de Te e11ere lnvtata ,crU.ta a macchina, da una ,ola par\.e del fo4Uo. OJll,1 narraslone i,ubbllcata, 1econdo l'ordine di &rr1To e d'a.ccet.taslone, •erri. compen1ata con Lire 600 (clDquecent.o). - I daU,Uo,crltU non accett&U non al rfllUtuJ■cono. - Per la Talldlti della 1pedl1tone, lflrYtrtl del tagliando 1t.ampa.t.oqui sott.o, incollato ,una bu1ta. CONCORSO PERMANENTE Alla Direzione· di OMNIBUS PIAZZA DELLAPILOTTA N. 3 ROMA fatti in un modo assolutamente arbitra.rio quando dice che Cicerone attaccò gli ebrei perché facevano opposizione al partito del Senato. E l'arbitrio passa ogni misura in Giuseppe Reinach quando scrive che Cicerone denunziò nei giudei degli e artefici di rivoluzioni •· Ecco formule solenni per dire che gli ebrei prendevano larga parte ai movimenti della crapula romana! Il fatto che, durante il Medio Evo, e all'inizio dell'età moderna, i capi dei sommovimenti popolari si siano non di rado richiamati alle parole dei profeti di Israele non autorizza affatto a concludere che questi profeti siano stati dei rivoluzionari. f::. il caso di ricordare una giudiziosa 05$Crvazione dj Rcnan: e Nella storia religiosa un testo non vale per quello che ha voluto dire l'autore, ma per quello che gli fanno dire i bisogni di un dato tempo. La storia religiosa dell'umanità procede a controsenso>. Ne consegue che se vogliamo apprezzare in tutto il suo valore la parte che ebbero i profeti nell'antica storia d'Israele, non dobbiamo guardare all'uso che l'Europa cristiana fece della letteratura profetica, ma indagare ciò che gli antichi scrittori d'Israele vollero dire e far credere ai loro contemporanei. Se ci mettiamo da questo punto di vista, che è poi il solo legittimo, non tarderemo a persuaderci che non è proprio il caso di riguardarli come dei rivoluzionari. Sotto il nome di profeti si comprendono individui che appartenevano ai tipi più diversi. Dei -loro discorsi non ci sono pervenuti che frammenti e confusi, scuciti, pieni di riferimenti a fatti e ad avvenimenti di cui non sappiamo quasi nulla >, come osserva giustamente Renan. Tuttavia l'esame della tesi del Reinach non presenta gravi difficoltà, perché il nostro autore si richiama particolarmente ad Amos, di cui cita un versetto (Amos, VII[, 4). Nel linguaggio corrente si chiama rivoluzionario chi vuol <;c1-vircd;ei -Ila forza per affrettare un mnvi1m:nto soci:1lc che gli sembri procc<.krr troppo lentamente verso il fine che gli è proprio. Quc~to non può dirsi di Amo".!, che Rcnan classifica senz'altro fra i « preJicatori dei grandi dogmi reazionari». Ec)o come egli descrive la crisi che dflaniò il mo11do giudaico: e Una triplice siep<.· di pregiudi1:i religiosi, morali e sociali, separava Israele da tutto ciò che gli altri popoli consideravano progresso. 11 suo ideale era quanto mai :1.rretrato; era riposto in una vita pastorale e agricola, senza grandi città, senza milizia rcgol:1.re, senza governo centrale, senza corte e senza aristocrazia, senza lusso e senza commercio. Solo questa vita era degna di un uomo libero>. Gli uomini che si misero a capo di una simile lotta « in nome dell'idea patriarcale contro i progressi della civiltà >, non riuscirono a modificare il corso della storia, onde la nazione perì fra convulsioni anarchiche, dato che la regalità si trovò ad essere troppo debole per imporre alle popolazioni una disciplina, che, essendo in tutto e per tutto in opposizione con le tradizioni ebraiche, meritava essa sola la qualifica di rivoluzionaria. ~li pare opportuno, a questo proposito, di rilevare un errore comunissimo fra il pubblico e largamente dif. fuso fra gli stessi studiosi della letteratura ebraica. Bernard Lazare, che, in questo, segue Renan, parla con molta enfasi della giusti{ia che sarebbe la grande passione degli ebrei, fino a contrapporre questa giusti{ia alla santità cristiana. Ma in che cosa consiste, per gli ebrei, questo ideale di giustizia? Essere giusto significa, per Israele, sottoporsi col massimo rigore possibile ad una disciplina prescritta da Jehova stesso. Secondo i e giusti > contemporanei di Amos, Jchova raccomandava agli uomini, desiderosi di non perdere la sua protezione, di condurre una vita in tutto simile a quella dei patriarchi idea• lizzati nelle leggende nazionali. Più ta~ di i rabbini redigeranno minuziose prescrizioni su l'igiene, il culto e la morale, collocando su un medesimo piano molte cose e molti valori che la nostra filosofia insegna a distinguere con la massima chiarezza e precisione. I cri• stiani vollero attuare una santità. che doveva rendere i fedeli degni di figurare fra i compagni del Cristo. La loro teologia assimilò quanto di più nobile e di più elevato si trovava nel pen• siero greco; di modo che, quando si adopera la parola giustiiia in un senso così contrario ai nostri costumi, ci si espone a confusioni assolutamente assurde. Non occorre spiegare perché i dotti del giudaismo hanno tutto l'in• teressc a perpetuare equivoci di questo genere. La verità è che gli ebrei non hanno conosciuto né la giustizia, né la gloria, che tanta importanza ha avuto nella fonnazione della nostra civiltà. Renan si mostra addirittura stupito quando vede apparire la idea della gloria nel primo libro dei Maccabei. Ma questo libro non è stato compreso nella Bibbia ebraica. Non sarebbe difficile provare che anche l'idea della scien7,a è estranea alla letteratura ebraica. Sono persuaso che Giuseppe Reinach avrebbe parlato del :'vledio Evo in termini assai diversi se non fosse stato fuorviato da Bernard Lazare. e, indubitato che durante tutto questo periodo gli ebrei hanno esercitato una grandisc;im:'Iinflucn:r...'\in ogni parte d'Europa. Si tratta solo di vedere la natura e il ,rnso di mir influcn7.a. Si cadrebbe in un l'rro1e madnrrl.llc ricono~cendo agli ebrei l'onore di a\'ere in qual\iasi modo collaborato alle fondamenta di quell'edificio scientifico che è il vanto e l'orgoglio dei tempi moderni. I così detti « sapienti ebrei • del Medio Evo meriterebbero, piuttosto, la qualifica di « maestri di stregoneria>. Astrologi, alchimisti, curatori, godettero indubbiamente di un grande prestigio, ma questo era unicamente dovuto alle superstizioni del tempo. Ci si domanda ancora, e non sen7,a meraviglia, come mai il Medio Evo si sia mostrato così incurante delle ricerche scientifiche nonostante che abbia conosciuto alcuni degli aspetti più brillanti della civiltà, fino ad eguagliare la Grecia nell'architettura, nonostante i meravigliosi progressi compiuti nelle arti manuali. Noto di sfuggita che in questa anomalia si volle scorgere un forte argomento contro il materialismo storico. La mia opinione è diversa. L'incapacità del Medio Evo ad ac;surgere alla ricerca scientifica si deve unicamente spiegare con l'assoluta fiducia che gli uomini di quel tempo riponevano nella magia. Sarebbe ora, in luogo di celebrare la gloria dei sapienti ebrei del Medio Evo e di maledire i teologi che li avrebbe· ro oppressi, di proclamare che gli ebrei contribuirono come nessun altro a mantenere l'Occidente nell'pscuri• tà della barbarie. t ovvio che Bcm~rd Lazare era troppo accecato dal fanatismo nazionale per rendersi conto di una situazione di questo genere. Egli vedeva che i giudei avevano divulgato credenze che consentivano agli increduli di ritenersi superiori ai fedeli. Un sentimento di tale natura costituiva una grande forza in senso anticristiano. E questo bastava perché il Lazare elevasse un inno di entusiasmo all'opera compiuta dalla gente della sua stessa razza. e Gli ebrei diffusero il materialismo arabo che scosse così fortemente la fede cristiana e favorì l'incredulità. Durante il secolo decimoterzo, quando gli Hohenstaufen protessero la scienza alle spese del dogma e incoraggiarono l'epi• cureismo, gli israeliti furono in prima linea nell'esegesi dei libri sacri. Furono dei razionalisti.,. Come ha dimostrato Renan, furono essi che crearono l'averroismo; che fecero la celebrità di Jbn-Roschd, questo Averroè che doveva esercitare un'influenza ~nza pre~ cedenti in tutto il mondo mediterraneo. Furono questi stessi ebrei che propagarono i bla.rfemi delle empietà arabe, che i teologi simboleggiarono nell'unico blasfema dei Tre impostori. Cosa straordinaria e veramente degna della ma!sima attenzione: mentre da una parte gli ebrei averroisti, increduli, scettici e blasfematori, insidiavano il cristianesimo mediante il materialismo e il razionalismo, dall'altra favorivano il sorgere di un altro nemico, ancor più pericoloso, dei dogmi cattolici: il panteismo•· t in considerazione di questo attacco contro il cristianesimo che Giusep• pc Reinach chiama i dottori ebrei del Medio Evo e artefici nascosti delle grandi trasformazioni >; ma egli dimentica che l'Europa si rivoltò contro i panteisti, i blasfcmatori e i materialisti, che invocavano l'autorità dei filosofi arabo-giudei contro il Vangelo. Già nei primi secoli dell'èra nostra la civiltà classica aveva cof50 il pericolo di crollare sotto l'invasione della barb:l.riL· orie11t:1.lee fu solo con- ,·erltndosi al c-ri,tianC'~imoche il mondo romano polè trovare le forze ntcessarie per disperdere le allucinazioni, le superstizioni, le oscenità, che disonoravano le religioni della Siria e dell'Egitto. li fallimento di Giuliano mostra a qual punto il mondo fosse disgustato dalle follie pagane. La teologia dei Padri consacrò, in certo modo, un patto fra la mediazione cattolica e quanto ancora sopravviveva dell'alta cultura ellenica. Nel secolo dccimoten..o si ebbe un potente risveglio della coscienza religiosa in gran parte dovuto agli ordini mendicanti. La Chiesa riuscì a schiacciare i prìncipi che proteggevano i suoi nemici e la scolastica contrappose il buon senso peripatetico ai tortuosi sofismi semiti. 11 trionfo di San Tomaso, tante . volte raffigurato dai pittori italiani, simboleggiò la vittoria della latinità. Nessuno ha il diritto dì affermare che i filosofi giudei furono gli artefici delle grandi trasfonnazioni, perché, solo emancipandosi da.Ila loro opprimente tutela, l'Europa potrà creare la civiltà moderna. GIORGIO SOREL (~rad. di Mario A1issiroli) LA RIVOLUZIONEINTERNAZIONALE ~ F.CONDO una dottrina molto diffup., ~ il mondo d'oggi si divide in due parti: le nazioni soddisfatte e le non soddisfatte, le abbienti e le non abbienti ; e le non abbienti accampano delle rivcndicazio. ni (o, come si dice nel linguaggìo democratico, sono e aggres.sivc >) appunto pcrchf: non possiedono. Dal che, una buona parte dell'opinione pubblica dei paesi dcmocra. tici ha 1rat10 la conseguenza che, quando alle dette nazioni insoddisfatte si dcuc qualche cosa e da m~ticare >, la loro e aggressività > si calmerebbe. li problema della pace, quindi, si ridurrebbe a cercare di calmarle dando loro e: da mast.icare > il meno possibile. Un problema di mercanteggia• mento, ceco tutto. Ora, negli ultimi anni, i paesi roddisfatti hanno ceduto più volte di fronte agli insoddìsf aiti o, come essi dicono, hanno compiuto vari < sacrifici per la causa della pa• ce >, sperando ogni voha di placare definitivamente i loro avversari e di comprare la pace per. vari anni, se non per tutta questa generazione. Ma quClta loro speranza è stata sernprc delusa e le nazioni insoddisfatte, ogni qual voha una loro pretesa sia staia accolla, ne hanno, subito dopo, si dice, accampata un'altra più grande. Dal c.hc, la stampa democratica ha tratto argomento per accusare di e: insaziabilità > i governi tota• lit~ri o anche di ipocrisia, nel scnk> che cui graduerebbero le loro richicue solo per opportunità tattica, ma in fondo mirerebbero alla totale distruzione degli imperi inglese ·c francese. <:=i proponiamo di dimostrare in questo articolo che la cosl detta e: insaziabilità> dei paesi totali1ari {ossia il mohiplicarsi delle loro lcgit1imc rivendicazioni) è s1ata la consegucn:za diretta della politica inabile delle potenze soddisfatte. ~orse_ è vero che, se ai grandi conquistatori dei nostri giorni si fosse conces.so dicci anni ra la metà di quello che es.si, poi, si JOno p~cso, la rivoluzione in1ernazìonalc, che ora è in corso, non sarebbe avvenuta; ma, mentre, una volta, concessioni minori li avr~bbero soddisfaui, quelle maggiori di oggi sono appena sufficienti, come dice Lipp. mann, a e: mellcrli ir, appclito >. Le ragioni sono due. La prima è stata con gra~dc lucidità diagno5ticata dal Lippmann: cd e che le rivoluzioni non si fermano mai per il fatto che le loro rivendicazioni inl- -tia!i siano state soddisfane, t indubbiamente una verità che la mancanza d.i spazio e di risorse naturali per la po~laz.ionc congestionata di alcuni paesi abbia gcn~rato l'c: energia dinamica>, che ha determinato la loro ribellione contro J'or• dine conituito del mondo; ma da ciò non consegue affatto che quella energia, una ~olta .g~n~r~t~, si debba estinguere quando 1 t~rt1 m1z1ah siano stati ripara1i. . L1pp~a~n paragona la crisi attuale aJlc nvolu~om propriamente dc1tc; e il paragone c1 sembra dimostrativo. La rivoluzione fr~nccsc non si arrestò quando i torti di pn~a dd 1 789 furono riparati. La rivo. lui.ione russa non si arrestò quando i contadini, gli op~rai e i soldati ottennero le terre che avevano domandato al principio. E. ~nalogamcnlc era assurdo pensare che la cruz del mondo moderno si sarebbe chiusa q~ando la ~rmania avesse ottenu10 l'eguagha~za. d~g.li a~amenti, l'Italia una parte dcli Ab1um1a e 1I Giappone la ceuat.ionc del boicott~ggio cinese. E coloro i quali pcn. sano che s1 sarebbe dovuta chiudere, sono nella uessa situai.ione in cui sono le claui superiori durante li: rivolu:tioni. A un certo momento, esse ,i trovano ad aver fatto tu1tc le concessioni che ~rano state loro domand_a1e al principio, e non capiscono perché, ciò nonos1antc, la rivoluzione continui. Ed è acc.ad~to,. 1alllra, nella storia, che le rivolu::uon1 s1a~o .giunte alla fine, senza che quelle classi siano ancora riuscite a capire perché quelle conccuioni, le quali avrebbero po!uto prevenire la ri\-oluz.ione, non siano poi valse ad arrestarla. La ~ccond~ ragione (e questa il Lippmann non I _ha vista) è stata la rcsistcnu che i governi dcmocra1ici hanno fatta O hanno tentato di fare, il modo cstrcmamen1e malaccorto e sempre tardivo oon cui hanno cc~uto. Essi hanno sempre cominciato col resistere .. col minacciare, mentre sapevano ch_e non ,-<>tevano resistere, nf: attuare le minacce; e non esiste politica peggiore di quella del bluff, ossia del minacciar di fare quello che non si abbia la fon.a di fare E hanno finito sempre col ccdctt:: ma hann~ ceduto sc~pre ~ardi, sempre troppo tardi, e sot_to I~ nunacc1a del peggio. Un proverbio la1mo insegna che dà due volle chi dà presto. Le democrazie hanno sempre dato tardi e per forza. Fatte in queste condizioni quelle che esse chiamano e concessioni > ~ anche < sacrifici per la causa della pac~ > han.no a~ut? l'aria di essere piuttosto dcli~ cap1tola1Jon1. .or~ _il punto decisivo è proprio questo. La gmstma, resa in tempo e generosamente pu~ ~SS('rcefficace a pacificare cosi le classi ~c1ah, come le nn.ioni scontente o insoddisfatte. Ma le concessioni strappate per forza, dopo lunga lotta, sia pure incruenta dopo _che mina.ccc di guerra siano stat~ scam~iate e mobilitazioni più o meno larghe !:iano state fatte, non pacificano niente e. neuuno. Chi ha ceduto, resta col nncorc d1 _aver .dovuto c~dere e col segreto proposito d1 prendersi una rivincila, E chi ha ottenuto sa di dovere tut10 alla propria f~rza o alla debolcu:a dell'avversario e n1~ntc alla sua generosit.¼. o al suo ,enti mento di giustizia, • I GRANDICONQUISTATORI fò" EL lutto infondato ci sembra l'altro U!) ar~om~nto che il Lippmann adduce. Riportiamo il passo del suo articolo e ne faremo la critica in ultimo. Per consi~crare nella giusta luce, egli dice, le ~rospettzvc dell'avvenire, bisogna mettersi ?al pun.10 di vista delle carriere dei grandi co_nqum:uori della storia: di Aless~n~ro, d1 Cesare, di Napoleone. Che cosa e.i insegnano le loro carriere? Decisero cui, forse,. a u~ cerio p~nto di ~on andare più avanti e d1 annunziare che 11 periodo delle conquiste era fìni10? Alcs.sandro conquistò un impero che si stcn~cva fin~ all'India e mori a trentairè anni ; e subito dopo il suo impero si dì• sgregò. Le conquiste romane ebbero tennine, in sostanza, sono Augusto ad una frontiera al di là della quale, fino a portata di offensiva militare, non esisteva alcuna forza militare organizzata di qualche irnportanta. Napoleone inva.se tu1to il continente europeo, e il suo impero crollò perché non riuscl a conquistare la Ruuia, né la Gran Bretagna. Se si deve trarre una morale dal passato, bisogna concludere che i conquistato.ri non si arrestano volontariamente per consolidare le loro conquiue finché non abbiano abbattuto tutti i loro rivali. Coloro che dimenticano come i grandi conquista1ori pensino e agiscano trovano eccessivamente difficile capire la nuova èra, in cui improvvisamente 1i sono trovati a vivere. La s.cric di errori commessi negli ultimi anni dalle democrazie furono dovuti alla illusione che l'età delle conquiste e della costruzione di imperi fosse morta per sempre, come è morto Cesare; e, invece, dal 1931, viviamo in una nuova epoca di conquiste e di costruzione di imperi. Fra la pace di Monaco e la caduta di Canton sono 1tatc gettale le ba.si di due imperi, grandi quanto quabivoglia altro impero della storia, e il nostro spirito è incapace di mantenere il passo con la stessa rapidità con cui procede la storia in aiione. Ma possiamo avere, in certo modo, una misura della rapidità degli avvenimenti, se pensiamo che occorrono ire anni per co-- struirc una nave da battaglia e sono bastati quindici mesi per conquistare la Cina. Spogliato del fascino della bella prosa del Lippmann, l'argomento si riduce a questo modesto schema logico: le nazioni noh abbienti d'oggi saranno sempre insaziabili puchl Alcs$&ndro, Cesare e Napoleone ru. rono insaziabili. Osscrvaz.ione n. T. Fra la premessa: e: Alcsundro... Napoleone furono insaziabili >, e l'illazione eh<" il Lippmann ne trac: e: quindi Hillcr sarà insaz.iabile >, non esiste alcun nesso di con,cgucn:r.ialità. Dal punto di vi. sta della pura logie.a, il ragionamento non vale molto più del seguente: un uomo è passato per la tale via; dunque tutti gli uomini passeranno per quella via. Noi diciamo che se il tale è passato per una data via, il talaltro potrà passarvi e potrà non passarvi. E se Napoleone non si ar• restò mai ,olontariamcntc, è altrettanto possibile che Hitler si arrc11i, quanto che non si arresti. E, in fondo, il ragionamento del L',1p· mann si riduce al vecchio luogo comune che la storia si ripete sempre. Che è il più falso dt:i luoghi comuni, perché in realtà la storia non si ripelc mai, e non vi è alcuna ragione per cui si debba necemiriamenle ripetere. Oss~rvazione n. ~. La premessa: e i grandi conquistatori del passato furono insaziabili > è arbitraria ... Alessandro, il più ro.. mantico degli eroi dell'antichità, Napoleone, il più terribile soldato dei tempi moderni, furono veramente insaziabili, furono veramente inf~rmi di quel male che Esiodo chia• mò 6/Je~, lo spirito di smisura1cua. Ma vi furono altri eroi nella storia i quali non perderono mai di vista il limite che di\•ide il possibile dall'impossibile, la realtà dal sogno. Carlo Magno non si ostinb a dar di cc-zzo contro la potenza musulmana, L'Inghilterra, da Elisabetta ad oggi, combattè contro varie nazioni continentali, ma non sognò mai, neppure quando era al culmine della sua potenza, di ridurre in suo dominio il continente. Bismarck rese grande e potente la sua pa1ria, ma non sognò mai imperi mondiali e diede prova nella vittoria di uno spirito di moderuionc di cui la storia forse non ricorda altro esempio. Osservai.ione n. 3. Infine la premessa nella formula: e Alessandro, Cesare e Napoleone furono insaziabili> è erronea. lnsatiabilc fu Alessandro; inuziabilc fu Na.polt.onc; non già Cesare; e, anzi, proprio per ques10 ~ommsen gli tributò le più alte lodi. e: Cesare è for~ il solo fra i potenti della terra >, disse Mommscn, e che abbia conservato, fin? al termine della sua carriera, il tatto politico con cui si naviga fra il possibile e l'impouibile, e che non sia fallito dinanzi al compito più difficile per le nature riccamente dotate: quello di riconoscuc, al colmo del successo, il limite na. turale delle cose. Egli fece quello che era possibile, e non la.sciò mai incompiuta una cosa utile per correre dietro a un'altra impossibile. Ma là dove riconobbe che il destino aveva parlato, obbcdl sempre, Alessandro sull'Hasc, Napoleone a Mosca dcsistct• tcro perché non po1cvano fare altrimenti e maledissero il destino, che li arrestava'. Ma Cesare di sua volontà si fermò sul Tamigi e sul Reno; e sul Danubio e sull'Eufrate non sognò piani sconfinati di conquis1a, ma solo un regolamento :agionc..,olc di confini>. ln co~clusione,. il ragionamento del Lipp. ~ann Cl. scmb.ra infondato sia dal punto di ..,,sia logico, sia da quello storico . RICCIAROETTO Anno II• N. 60-10 Dicembre1938-:nn JIMNIBUS SETTIMANALDEI ATTUALITÀ Il POLITICA E LETTERARIA ESCE IL SABATOIN 12-16 PAGINE ABBONAMENTI Italia a Impero:aono L. '21 umutrt L. 22 Eatero1 anno L. 70, 1tmHlre L. 36 OOJl'J lfUJll:RO IJJU, LIRJ. Jhnoscriul, dhegni e fot.ogn6e,anohe ■e non pubblicati, non 1I readtnbcono. DlrHIOH: Roma - Pia11a della Pllotta, 3 T1lefono H. 66,470 .l.m.m..l.rabtr11!0111: Milan.o- Piaua Carlo Erbl 1 6 Telefouo N, 24.808 hbblldù.: Per mlllhne~rodi alteua, bue nna colonut ~·11!~!iv1~g8~i~1:l~JM, 1 T 1 ,\:f~;o B;o~:~ Parigi, 56, Rue do.FanbourgBalnt-Honori I '

m ~ L 6 SETTEMBRE 1898, una f~nciull~ bionda di diciott'anni, vestita d'un lungo abito di ':....--~ seta bianca e di un manto di velluto rosso e di ermellino ricamato con leoni d'oro, si alzò tra le acclamazioni del suo popolo, per giurare fedeltà alla costituzione del regno dei Paesi Bassi. Suo padre era morto, e. Guglielmina diventava legittima regina. • I tempi cambiano. Non un solo sovrano è rimasto della schiera fitta di re e di granduchi, di principi e principotti, che esercitavano un governo dispotico in tutta l'Europ'a, quando Guglielmina salì al trono. Due rivoluzioni hanno cacciato lontano dai loro paesi i re di Portogallo e di Spagna. L'imperatore di Gcnn.,nia. esiliato in Olanda, vi ha trascorso una metà del regno di Guglielrnin:-. L'impero di Francesco Giuseppe non esiste più ; lo zar di Russia e la sua famiglia sono stati assassinati. La Turchia ha. licen• ziato il suo sultano, e « L'ombra di Dio su11aTerra > è stata sostituita da un generale col cappello duro. La Ser. bia ha inn::i..lzatoal trono una nuova dinastia. Soltanto il re d'ltalia (i Sa. voia sono l'unica famiglia regnante di Europa che può competere per antichi• tà con gli Orangc•Ì\assau) siede sicu• ro sul trono. Tutti gli altri sovrani 1 colleghi di Guglielmina quarant'anni fa1 sono morti. La carta d'Europa mostra mutamenti ancora più gravi dcli' Almanacco di Gotha. La Norvegia si è divisa dalla Svezia ; la Gran Bretagna ha accordato la libertà all'Irlanda e ai suoi al• tri Dominions i la Polonia è ri,;orta, la Finlandia ha conquistato l'indipendenza e tre nuovi Stati, Estonia, Letto• nia e Lituania sono sorti dalla rovina del vecchio impero russo. Eredi degli Absburgo sono la Cecoslovacchia, la Iugoslavia, l'Ungheria e la Romania. Un altro piccolo Stato nuovo dei Balcani è l'Albania. « Sicura in mczro alle onde>, è! il motto della Casa di Guglielmina. Le origini degli Orange-Nassau ri~a!gono al settimo secolo. Nel 1400, i Nassau si stabilirono in Olanda, e un secolo più tardi un matrimonio fece entrare nella famiglia gli Orange. Il primo principe di Orangc-Nassau, il giovane Guglielmo, rimase nei Paesi Bassi per de. siderio dell'imperatore Carlo V da cui era protetto, e diventò, col nc..11:ignolo di Guglielmo il Silenzioso, il p ·.mo sovrano dell'Olanda indipendente. Da lui discende Guglielmina, undicesima nella successione di sette stadholderr e di tre re. Quattro secoli di devozione di una famiglia al suo paese sono impersor.ati in lei. Suo padre vide morire la propria moglie, tre figli e l'unico fratello, nel corso di pochi anni. Riammogliatosi 1 fu di nuovo padre a sessantatrè anni 1 e la piccola Guglielmina diventò l'ultima tenue speranza di una dinastia antichis..,ima. La giovinetta salì al trono in circosta01..c non proprio fauste. Suo padre av,.va regnato durante quarantun ann,; aveva molte virtù, ma un pessimo carattere. Ineguale e dispotico (sua madre era figlia di uno zar di Russia) urtò, com'era inevitabile, contro le rigide convenzioni della Corte olandc.~, e ancora più contro il liberalismo dei freddi e sciocchi politicanti del paese. Sempre più amareggiato e diffidente, a misura che passavano gli anni si ritrasse, verso la fine della vita, quasi a vita 50litaria. ] ministri lo ve· devano solo quando· il cerimoniale imponeva che si presentassero a rendergli omaggio, e anche allora egli li riceveva quasi sempre seduto con la sua bambina sul pavimento dello studio completamente coperto di giocattoli. Alla sua morte, il rispetto e l'amore del popolo per la Corona erano molto diminuiti. Con grande abilità, la regina madre mise innanzi in ogni oc~ casione GuglielminaJ l' « orfanella di Stato>, e la bimba regina cominciò a guadagnarsi un affetto che, formandosi il suo carattere, si sviluppò in amore devoto. A dieci anni, Guglielmina apparve per la prima volta sul balcone del palazzo reale di Amsterdam, davanti alla folla plaudente dei suoi sudditi. « Mamma >, chiese guardando quella moltitudine, « tutta questa gente è mia?>. La madre rispose : « No1 bambina ; -sci tu che appartii:ni a tutta questa gente >. Que~to fu il principio che informò l'educazione della futura regina. La sua gioventù Guglielmina la passò non ali' Aia, ma nel palazro di I-Jet Loo, una ba,~a e- grande villa a due piani, a poca distan1.a dalla città di Apeldoorn. Le N0trc, l'architetto di Venaillcs, ne ha disegnato i giardini. Residenza appartata e pacifica, solo Napoleone la trovò troppo tranquilla. Nel bmco adiacente, il padre di Gu• glielmina aveva fatto co~truire uno chalet minUscolo per la sua piccola fi. glia. Qui la futura regina si dedicò alla sua distrazione preferita, la cucina. Come doveva dimostrare in seguito, Guglielmina amava fare le cose a fondo: davanti allo chalet di Het Loo, ci fu dunoue un piccolo orto in cui la bambina coltivava con le proprie mani i legumi e gli ortaggi necessari ai suoi manicaretti. Intanto, profe~sori famo'li le imegnavano le lingue, la storia, la legge costituzionale ; ammiragli e generali brizzolati i primi ele• menti delle scienze navali e militari. Spesso i figli di genitori anziani hanno un'intelligenza straordinaria. Questo fu certo il caso di Guglielmina, se potè svolgere il progranuna dei suoi studi, incredibilmente carico. La sua governante inglese, mi,ss Saxton. \Vinter, si adoperò, con l'approvazione della regin::i.madre, perché la infanzia della principessa ereditaria non fosse troppo solitaria. Guglielmina aveva una gran passione per gli animali: capre, colombi, polli e conigli erano i suoi preferiti. Due tombe, nel parco reale, una di « Baby >1 il primo pony della principessa, l'altra del suo primo cavalto, « Hindin >, testimoniano questa sua simpatia. L'inverno, come tutti i bambini olandesi, i pattini e la slitta erano i suoi sport preferiti. Temperamento molto sensibile, Gu• glielmina adorava le sue bambole. Rifiutandosi con ostinazione di farle dormire in « letti estranei >, viaggiavano con i propri letti, completi di biancheria e di ogni oggetto di uso personale. Il baule delle bambole era affidato alle cure spet.iali della cameriera della principessa, che lo sorvegliava come se contenesse tesori inestimabili. Per desiderio della madre, la giovinezza di Guglielmina fu sottratta ad ogni sorta di pubblicità. Ma alcuni aneddoti ba.stano a farci intravedere il suo carattere. Pioveva a catinelle (un vero tempo da ammiragli) il giorno in cui la regina giovanetta inaugurò la statua di De Ruyter a Flushing. « Sono bagnata fino all'o'i.so>, fu il commento di Guglielmina, « ma non imJ)<?rta,mi sono divertita un mondo a vedere infradiciarsi il borgomastro durante il suo interminabile discorso>. E un'altra volta (questo episodio lo racconta la \Vintcr)1 incaricata per punizione di copiare una carta dell'Europa, Guglielmina, alunna ribelleJ disegnò un'Olanda di proporzioni gigantesche, troneggiante minacciosa su una minuscola Inghilterra. Dopo il suo diciottesimo compleanno, mag~ior!'nne $Ocondo la costituzione, Guglielmina fu ufficialmente nominata regina. Il giorno dell'incorona1ione superò a piedi la breve distanza fra il suo palazzo di Amsterdam e la Nuova Chiesa, già avvolta nel mantello di ermellino e vcllutoJ preceduta dalla Spada dello Stato e dallo Stendardo del Regno. Nella chiesa, la Corona1 lo Scettro e il Globo furono depos_ti ai suoi piedi e intorno a lei si strinsero i suoi fedeli Staaten Generaal: Senato e Camera dei Comuni, i rappresentanti eletti dal suo popolo che, a turno, le giurarono fedeltà. Il matrimonio di Guglielmina era una chiara necessità di Stato. La scelta rra ristretta a un principe protestante, ma chiunque avesse anche la più reLA REGINA OUOLIELMINA D'OLANDA LA REGINA OUOLIELlUNA E LA l'IOLIA :PRINOIPE88A GIULIANA mota probabilità di ereditare un trono straniero era escluso dalla costituzione, per evitare legami internazionali personali. EnricoJ duca di MecklenburgSchwerin, fu prescelto all'unanimità. I due giovani si conobbero a Cannes e si spo\arono un anno dopo, prima che la regina compisse i ventun anni. Il duca diventò cittadino olandese col titolo di principe dei Paesi Bassi. Un aneddoto ci rivela come la sua posizione di principe consorte non fos• se proprio invidiabile. La mattina stessa in cui, otto allni dopo le nozze, gli nacque una figlia, il principe s'imbattè in uno dei ministri del Gabinetto che si congratulò caldamente con lui. « Peccato>, osservò il principe, « che sia una femmina>. « Ma, Altezza>, ribattè il ministro1 « posso assicurarvi che dopo i regni felici delle regine Emma e Guglielmina, in Olanda nessuno si lamenterà certo di avere una principessa al posto di un principe:,. « Questo non lo mettevo in dubbio>, rispose Enrico. « Pensavo solo al povero diavolo che sarà un giorno il principe consorte :,. Un anno dofX>il suo matrimonio, la regina si ammalò di tifo e per qualche settimana l'ombra della morte fu sopra Hct Loo. Guglielmina guarì, ma una sua sperata maternità venne a mancare. Seguirono sette anni di ansietà: la regina, ultima della dinastia 1 non aveva credi. Un'altra volta la morte la sfiorò da vicino, quando le ruote della carrozza reale rimasero incastrate nelle rotaie del tram. Solo la presenza di spirito del conducente, che frenò fulmineamente, e del principe, chç impedì ai cavalli del landò di im- ~ 411 ~ ◄ ◄ ~ • A ~ ~◄ 4 ti ~ • - -• pennarsi, evitarono una catastrofe. Morta la regina1 il trono s.·uebbe passato a qualche piccolo cd oscuro principe tedesco, estraneo e sconosciuto agli olandesi, ma di un ramo dei Nas• sau. Era naturale che il paese si preoccupasse. Fortunatamente una sera, sul finire dell'aprile 1909, i corrispondenti dei giornali nazionali e stranieri furono pregati di passar la notte nel palazw reale. Alle tre dopo mezzanotte una cena calda fu servita e, all'alba, apparve improvvisamente un dignitario di Corte. Aveva appena cominciato a leggere l'antica formula tradizionale che s'interruppe felice: « Signori, è una principessa! :,. Gli anni della grande guerra furono un incubo anche per l'Olanda. Mancava il cibo1 mancavano i combustibili, ia vita economica del paese era para• lizzata. VOianda non aveva più niente da trasportare oltremare. Alle sue frontiere era di guardia mezzo milione di uomini, l'intero esercito, che rimase mobilitato per quattro lunghi anni, a tener lontani i possibili invasori. E per peggiorare la situazione quattro provincie, quasi un terzo del territorio nazionale, furono inondate nel 1 g t 6, quando una delle grandi dighe cedè sotto l'impeto di una tempesta straordinaria. Il sollievo dell'armistizio esaltò molte persone. Nella vicina Germania, mentre le monarchie erano in pericolo, demagoghi socialisti avevano acquistato il potere. Sembrò per un istante che anche l'Olanda dovesse perdere il suo tradizionale equilibrio. Il C..'lposocialista Troclstra annunziò la rivolunc, ma1 con molta onestà, l'annunziò con una settimana di anticipo. I lealisti ebbero il tempo di sollevarsiJ guidati dalle provincie profondamente cattoliche del Sud. J1 giomo fissato per la inaugurazione della repubblica si ebbe la più grande dimostrazione di lealtà che la monarchia avesse mai avuta. Centinaia di migliaia di persone arrivarono all'Aia con bandiere e stendardi dagli angoli più remoti della na• zione. Staccati i cavalli dalla carro1..za reale, le truppe la trascinarono per tutta la gran piazza delle parate. La regina, abbracciata a Giuliana, era commossa fino alle lacrime. Con voce tremante pregò i soldati che tiravano il !andò di andar piano. « Vorrei ve• dere chi mi fa questa manifestazione>, disse. « Tutta l'Olanda, Maestà >1 rispose una voce, di fra gli alberi spogli. E un'ovazione eno1me le fece eco. La folla tumultuava intorno alla carrozza della Landsmoeder~ la « madre del pac~e :,, come è stata chiamata da allora Guglielmina. Quando fu giunta in trionfo a casa, in quel modesto palazzo che sorge al centro di una strada frequentati,;sima dcli' Aia1 la regina ap• parve al balcone fra i suoi ministri. Quella sera stessa fece pubblicare un proclama in cui annunziava che « le riforme sociali saranno applicate con una rapidità intonata al ritmo del nostro tempo >. Il principe consorte mori nel 19341 così all'improvviso che, ingannati dalla lievità del suo male, i medici giudicarono inutile avvisare la principessa Giuliana che si trovava in Inghilterra, ospite degli Athlones al palazzo di Kensington. Una mattina di luglio, prima dell'alba, una signora sola passeggiava sul molo dell'Uncino d'Olanda, e quando il postale di Harwich attraccò, madre e figlia s'incontrarono sulla passerella e s'abbracciarono in silenzio. La regina parlò di nuovo al suo popolo : « Siamo commosse e grate >, cominciò commemorando la morte del suo sposo, « che la sua bontà e la sua cordialità, la semplicità della sua natura gli abbiano conquistato tanti amici. Ringrazio Iddio >, fini, « per l'amore del mio popolo:,. La regina è di natura molto riservata. La sua indole seria tiene la gente a distanza, ma più per timidezza che per una consapevole freddezza. La !tua risolutezza quasi maschile è diventata d'altra parte proverbiale. Una volta, alle manovre militari francesi, desiderando osservare più d'a vicino un can• none avanzò senza esitare nel fango. « Faccio così anche a casa>, disse. Durante le inondazioni dell'inverno 1926, arrivata col treno fino al limite estremo delle acque, si fece trasportare assai più in là, sulle spalle di robusti marinai . 11 suo carattere corrisponde idealmente al carattere del popolo olandese. La sua semplicità, il suo odio per tutto ciò che è pompa e fasto, sono noti. Le visite di sovrani stranieri SO· no state scarse, durante il suo regno, e i suoi viaggi la regina li compie di solito in incognito, con il titolo preferito di contessa van Buren. Solo una volta all'anno 1 il 3 settcmbrt, il giorno in cui le spetta di inaugurare il parlamento, si veste con splendore regale, e, adagiata nella sua carrozza d'oro, si fa portare alla Corte dei Cavalieri. Sotto l'alto tetto di legno, mentre il sole di autunno accende le decorazioni dei gentiluomini e i gioielli delle signore, la regina in mezro a1 suoi fedeli Stoaten Ge,ieraal, legge il suo discorso del trono, il programma di un altr'anno di legislazione parlamentare. La regina Guglielmina odia ogni specie di finzione, e rifiuta di far qualunque cosa solo perché la si giudica conveniente. Le visite dei sovrani stra• nieri non sono incoraggiate, a meno che interessi comuni e vincoli di parei,tela nor, le rendano desiderabili. Quando il re dell'Afganistan fece il giro delle Corti europee, Guglielmina non era in casa. Ma quando giunse in Europa Hirohito, allora principe ereditario del Giappone, la regina si prodigò per offrire al « nostro augusto vicino d'Oriente > non solo la più ceri• moniosa, ma la più affettuosa accoglienza. Molti suoi sudditi avrebbero gradito in lei m.'lggiorc amore delle forme. Ma Guglielmina non ha ceduto. Rifiutò un nuovo palazzo per cui un ricco patr:ìotta aveva offerto un terreno nel sito più bello dcli' Aia. Il palazzo vecchio, sebbene sia la residenza reale più dimessa di Europa, ha accolto i suoi predecessori e dunque può aocoglicre anche lei. La regina, quando ha voglìa di star sola, si reca ad abitare ìn una casetta .incor più modesta in un angolo dimenticato delle Dune, che ha battezzata « Ruigenhoel > (Angolo selvaggio). C'è poi sempre il suo amato Het Loo. Una volta, durante una crisi del ministero, fu necessario convocare il capo socialista per una consultazione. Era la prima volta che regina e uomo di Stato s'incontravano. Quando, dopo un faticoso viaggio, il leader ar• rivò al palazzo, fu ricevuto in una stanza dove l'attendeva una colazione e la teiera si scaldava dolcemente sul suo tripode. Sebbene prossima ai sessant'anni, la regina non manca mai di fare ogni giorno una passeggiata in bicicletta. Si reca a visitare vecchi e malati, che le stanno particolarmente a cuore, e legge loro qualche libro, lasciando la bici• eletta familiarmente appoggiata all'ingresso. , Il suo odio per il cerimoniale l'ha trattenuta dal visitare il grande impero coloniale. Laggiù ella è la « Grande e Potente Sovrana >, e la sua semplicità sarebbe turbata. Questa è stata forse l'unica mancanza di Guglielmina nella sua condotta degli affari, cd css.a cerca di rimediarvi studiando con cura speciale tutto ciò che si riferisce alle colonie. Una volta, dopo una calamità nazio• nalc1 i rappresentanti di tutti i partiti essendosi riuniti per discutere il mi• glior modo di soccorrere i danne~giati, la regina si recò alla riunione sola e a piedi, dal suo palazzo, con un soprabito di taglio maschile e una borsa sotto il braccio, come una qualunque borghese rispettabile potrebbe recarsi a un comitato di beneficenza. Si sedè a capotavola, alla destra del presidente e la discus,;ione continuò. Per tutto questo gli olandesi amano la loro regina: è così che la conoscono, e non in tiara ed ermellìno. KESS VAN HOEK

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