ANNO Il· N. 45 • ROMA 5 NOVEMBRE 1938-XVII ~ <)NO vent'anni che celebriamo la no- @ stra Vittoria e ad ogni celebrazione essa ci prt'scnta un aspetto nuovo o nnnovato, Dalla rivendicaz.ionc della Vittoria contro le sue ncgationi all'interno e all'estero, Mussolini trusc la sua prima ispirazione pt:r la rcsurrc1.ionc italiana; daUa Vittoria l'inc.sauribilc energia a per. sisterc e ad osare durante gli anni torbidi della sinistra minaccia comunista; dalla Vittoria, all'indomani della Marcia su Roma, le ragioni e gli impulsi per la ricostruzion" spiri1ualc e materiale dcll'halia. Nonostante ogni avversità, nonostante ogni violenza parricida, Mussolini intul - e l'in. tuizionc fu degna del suo genio - che non invano la Vinaria passa attravcNO l'anima di un popolo; che, presto o tardi, la coscienu na"Zionale 1i sarebbe risollevata e sollevata contro quanti non avevano saputo né difenderla, né presidiarla od avevano conM"ntito alle vergognose contamina"Zioni del bolscevismo. Conoscitore, come nessuno, dell'anima popolare, egli avvertl che gran parte del disagio morale e dello smarrimento intellettuale di quei tristi giorni non era affatto dovuto, come si disse, alla stanchezza od all'esaurimento pel titanico sforzo compiuto, ma alle delusioni sopraggiunte all'indomani dd sacrifici e degli eroismi incomparabili. Per la prima volta, nel corso della sua lunga storia, il popolo italiano si era battuto unito e compatto, fino a distruggere, senza possibilità alcuna di rcsurrezìone, il suo nemico secolare. Improvvisamente, nella gerarchia dei valori mondiali, questo po. polo vittorioso, che aveva deciso, a Vittorio Veneto, delle sorti della coali'Zione alleata, si trovava in una incredibile posizione di inferiorità. Cli venivano contesi i naturali confini, che solo l'iniziativa volontaria doveva ricuperai e; gli \enivano negati i compensi coloniali, solennemente pattuiti in re. golari trattati, gli venivano negate le materie prime necessarie alla sua ripresa economica, misconosciute le garanzie in vigore da trent'anni per gli italiani della Tunisia, mentre la lingua di Dante veniva bandita da Malta. Nel Mediterraneo, divenuto sc:m- :,re pili un lago franco-ini,;leR, ~i trovava co. me in un carcere, alla mcr~è degli alleati di ieri, che raffon:avano la loro egemonia in tulio l'Oriente. • Solo gli antichi disfattisti, che espiavano la loro perversione morale nel connubio coi socialisti, potevano immaginare che questo popolo vittorioso si rivoltasse contro la memoria dei suoi morti, dei suoi caduti, in un acces.so di mania suicida. La verità era l'opposto. Il popolo non riusciva, invece, a perdonare a qu;.nt: avevano diuipato i frutti della Vittoria, a qu:uni l'avevano tradita accettando vilmente le sue dolorose mutilazioni. E se, in un primo tempo, reagì abban. dor- .ndosi ad una specie di delirio, non era ditficile, sotto le apparenze: scomposte di quei giorni, scorgere una l(ent'rosa passione mcrtificata, unicamente ansiosa della rivincila che le c-ra dovuta Quando si annunziò il Condottiero, che ne riassumeva gli idcali traditi e i sentimenti sempre vivi e vigilanti, l'ardore del primi giorni si ricompose e la nazione ritrovò lo spirito ddle giornate di maggio, del Grappa, del Piave, di Vittorio Veneto. E per una di quelle intuizioni immediate, che sono proprie dei popoli giovani, avverti che la lotta per la giustizia doveva euere trasferita sul piano internazionale. Incominciò allora, per opera di Mussolini, quella tenace, chiaroveggente campagna per la te\ isione dei trattati, che doveva conti• nuare fino ad oggi e trovare il mo epilogo nel Patto di Monaco. Mussolini riprese per conto suo, contro tutti le ide.1.lità per le quali si era combat-- tuta' la guerra, quelle idealità di giustizia, di collaborazione, di umana solidarietà, per le quali milioni di giovani erano caduti JOgnando un avvenire diverso e migliore. ln queva grandiosa opera di rivendicazione e di riparazione Mussolini parve solo. In r('altà. aveva con sé lo spirito del mondo, ouella forza imponderabile, mistcriosa, in- \;incibile, che è l'anima stessa della uoria. ldl'J.lmcute, façevano capo a lui tutti co. loro, in ogni parte della terra, che non '3· pevano r,usegnarsi alle iniquità seguite alla guerra mondiale, alle ingiusti'Zie di una falsa pace, che perpetuava gli odi e i rancori fra i popoli e fra gli uomini. Questo spiega l'irn•sistibilc efficacia della sua propaganda, i suoi succc.s.si, i suoi trionfi. Mai l'idealismo n1oralc r?be una più solenne e definitiva con~acraz1one. Oggi Versailles è una rovina e dallt: sue macerie si l("\3 la voce misteriosa di un 1111pNativo,che comanda di proseguire senza dchokzze e S('niil- deviazioni sulla via fino ad oggi luminosamente e vittoriosamente per. corsa C:li anti<hi ideali rivivono e sano ritornati act cnt're la forza decisiva della storia, la pOC'~Ìastcua della vita. Mussolini ha re50 giunizia al popolo italiano risuscita.ndo rirnpcro, ha rl'SO giustizia a genti amiche favo1<'ndo runione alla madrl'patri.l d1 membra dispt'r-H·- La nuova Europa si annun'Zia con b ~rconda vittoria, con la vittoria della '{Ìustiz1a Non ~ \rnza un profondo significato simbolico t·hc· nri giorni della vittoria un gio- \ anc: dl'lla nuo\ a genera Lione educata dal Fasd\ino, un figlio di un eroe dt>lla &rande '(1wrra, un combattente- \aloroso dell'Impero, JÌ 1ro\·i .1 Vienna, inviato del Duce, a compier(' un ·opt'ra di giusti'Zia riparatrice, l.ht' st·gn:1 la fini:' di quei trauati iniqui, che durantc- Hnt'anni o~curarono la civiltà dell'Europ,1 !5ì,) .\ BATTAGLIA di Vittorio Ve- ~ neto venne narrata secondo con- - cetti, e fu commentata con giudizi quanto ma.i diversi e contrastanti fra loro. Secondo alcuni fu una grandiosa battaglia, con la quale lo Stato Maggiore italiano, usando nuovi metodi strategico-tattici, distrusse in una settimana quell'esercito austriaco che per tre anni e mezzo non era riuscito a piegare. Secondo altri, non sarebbe stato che un facile inseguimento sulle tracce della voluta ritirata dcJl'escrcito di uno Stato in sfacelo. Naturalmente, critici così discordi non potevano mai trovare alcun punto di contatto; cd invece i giudizi degli uni non servivano che ad inasprire quelli degli altri, con sempre maggior danno perfino del buon senso. Oggi, pas~ati vent'anni e risolti tutti i problemi relativi alla successione dell'impero absburgico, tutti gli italiani possono comiderare con la massima obiettività gli avvenimenti accaduti nelle ultime giornate della loro grande guerra. Ricordiamo brevemente le vicende militari dell'anno 1918. Arre~tato il nemico invasore ,;ul Grappa e lungo il Piave, superata la cri'>i di ricostruzione e di assestamento dell'esercito, nella primavera del 1918 il nostro Comando Supremo attendeva alla preparazione di un'offensiva sull'Altopiano di Asiago, con lo sc.opo di acquistare profondità sul fronte montano e di intercettare la linea di arroccamento del nemico in Valsugana. Lo Stato Maggiore francese spronava continuamente il nostro Comando ad iniziare questa azione; ma, secondo ie notizie dell'Ufficio Informazioni, risultava invece sempre più probabile un grande attacco austriaco, e perciò il nostro Comando, con grave disappunto di quello francese,· sospese per il momento ogni operazione offensiva per attuare più complete predisposi7ioni difensive. Purtroppo avevamo già sperimentato a no,.tre spese quanto poss:a css:ere pericoloso per un esercito farsi sorprendere dall'attacco ne12 PAGINE UNA LIRA rJ a SPEDIZIONE IN ABB. POSTAU Ul18 • L'AFFONDA.MENTO DELLA 118A.NTO 8TEPAN0''1 I JiU..BINAI SI GETTANO IN !IURE (An:ihh·lo di go.erra della Regia !hrlna) mico dopo l'arresto d'una propria offensiva. Il 15 giugno si scatenò infatti, contrariamente alle previsioni francesi, un grande attacco austriaco, da monte a mare. Ma il valore delle nostre truppe • e le tempestive predisposizioni del Comando Supremo valsero ad infrangerlo completamente e ad infliggere all'esercito avversario, che sul Piave aveva impegnato tutte le sue for-z.emigliori, una sconfitta decisiva per le sorti milit..1.ri e politiche dell'impero austro-ungarico. Per esso, perdere la guerra significava essere distrutto, poiché ormai i suoi popoli non erano uniti che dal vincolo dell'esercito e da comuni interessi di politica estera. lntacc:uo il primo e svaniti i secondi, le fon.e centrifughe delle singole nazionalità dovevano prima o poi prendere il sopravvento e distruggere la Monarchia. La completa sconfitta del giugno 1918, facendo svanire ogni possibilità di vittoria per l'Austria, rese possibile, anzi segnò l'inizio della disintegrazione dello stato nemico. Perciò non è vero che l'Austria sia crollata da sé, ossia per la semplice volontà autono, mistica. delle nazionalità da lei oppresse; l'Austria perdette il suo principale sostegno perché il suo esercito fu sconfitto dall'esercito italiano. Ma è altrettanto vero che le conseguenze di questa sconfitta furono tanto più immediate e definitive in quanto le latenti fo~e disintcgratrici rappresentate dai sentimenti di autonomia nazionale, non più trattenute da vincoli efficaci, poterono in breve compiere l'opera di distruzione dell'impero absburgico. - Insomma, la sconfitta. del giugno 1918 ha esposto l'Austria all'azione ma.lcfica delle forLe disgregatrici interne, e per questo, con la battaglia del Piave, l'Italia ha virtualmente vinto fa guerra. Ma ciò non significa che la guerra fos'>e finita: si doveva ancora accelerare, in~randire, perfezionare la vittoria. Sebbene onnai condannata, l'Austria avrebbe potuto danneggiarci ancora immensamente con l'adottare una politica remissiva, ritirandosi dai territori invasi : in una parola, prevenendo con subdole offerte il nostro colpo di grazia. Prolungando la sua agonia, trasformandosi in federazione, l'Austria poteva ancora avvelenare la nostra vittoria. Con la battaglia di Vittorio Veneto, l'e~rcito italiano evitò alla patria questo gravismo pericolo. Ma come fu possibile un così rapido e c.omplcto crollo dell'esercito ne-nico? Quali erano le intenzioni del Comando austriaco? Quale, in verità, il contegno delle sue truppe? II 29 settembre, la Bulgaria capitolava. Il 4 ottobre, Germania ed Austria chiedevano a Wilson la conclusione di un armistizio. Perduta la guerra 1 gli imperi centrali tentavano di evitare la completa sconfitta. Nello stesso giorno il Comando Supremo austro-ungarico nominava una Commissione di armistizio che, sotto la presidenza del generale \Vebcr, si riunì a Trento. Il Comando Supremo . \.-U. sperava di entrare in trattative sulla base dell'immediata cessazione delle o,;tilità e della successiva evacuazione dei territori occupati. Anzi1 più preciumente, la Commissione austriaca aveva avuto l'incarico di studiare le modalità per uno sgombro del Veneto da effettuarsi in nove mesi! Intanto, ai primi di ottobre, era cominciato già lo sgQITibro verso l'interno dei vari depositi delle retrovie. Insomma, il governo nemico voleva prevenire, con un anni~tizio generale 1 ogni nostra azione offensiva nella speranza di salvare ancora il suo esercito e di umiliare l'Italia, che avrebbe ricevuto il Veneto e qualche lembo delle terre irredente, non per virtù delle proprie armi, ma per l'intercessione politica dei suoi alleati. Ma il movimento di ribe11ione delle nazionalità oppresse diveniva ogni giorno più minaccioso, e il t 6 ottobre l'imperatore Carlo tentava di salvare la compagine dello Stato, sempre più corroso dalle scissioni interne, trasformando la Monarchia in una federazione di stati na7Jonali; per l'occasione, lanciava all'esercito e alla flotta un I ' significativo proclama. Ma il 18 giungeva al governo austriaco la nota del presidente \Vilson, con la quale egli esigeva la completa libertà per le popolazioni cz.eche, slovacche e jugoslave. Intanto la crisi interna precipitava e si estendeva anche all'esercito. Il 20 ottobre scoppiavano gravi ammutina~ menti a Belgrado, ed il 22 anche sulla fronte verso il Grappa e il Piave. Tuttavia a Vienna ogni speranza non era scomparsa: l'Austria aveva perduto la guerra, ma si poteva ancora sperare che l'Italia non ottenesse una vittoria completa. Per questo, occorreva evitare ad ogni costo l'avanzata del• l'esercito italiano. Tutte le arti della politica e tutte le superstiti forze del• l'esercito austriaco dovevano tendere a quest'unico fine. Il 23 ottobre, l'imperatore Carlo, mentre si rivolgeva persino al pontefice perché inducesse il governo italiano ad evitare « quest'ultimo spargimento di sangue>, incitava l'esercito alla resi~tcnza. e L'ora è torhida e grave >, diceva nel proclama all'esercito, « ma il disordine non deve turbare l'esercito né la flotta. I vostri doveri1 o soldati, sono chiari e semplici come il giuramento che avete pronunciato in co'>pctto dell'Altissimo. Non devono e<s¾!rvidubbiezze né tentennamenti. Nell'esercito trovarono da tempo la loro patria tutti i popoli della :Monarchia: per questo l'esercito potè compiere così grandi imprese>. Finalmente il 24 ottobre le truppe italiane muovevano all'attacco. Gli eroi del Grappa hanno veramente salvato l'Italia dalle viscide arti politiche del morente impero. 11 24 e il 25, la resistenza sulla fronte del Grappa alimentava ancora le -.pcranze del governo austriaco. Ma, il 26, l'impcr.i.tore Carlo telegrafava all'imperatore Guglielmo la sua decisione irremovibile « di chiedere, entro ventiquattro ore, la pace separata cd un immediato annistizio ». L'imperatore di Germania rispondeva esprimendo il suo malcontento e raccomandava ancora l'unità della alleanza, poiché le prcvi'>ioni sulle trattative in corso non erano sfavorevoli. li 26 ,era l'e~ercito italiano pas,;ava il Piave, e, nella giornata del 27, intaccava profondamente le linee nemiche. Allora il governo austriaco, con l'acqua alla gola, spedì, il 28, una nota a Wilson nella quale dichiarava di accettare la richiesta riguardante la completa li4 bertà da concedersi alle popolazioni czeche e jugoslave, e chiedeva che « senza attendçrc l'esito di altre trattative, si iniziassero le discussioni per una pace fra l'Austria e i suoi avversari, e per uO immediato armistizio». li presidente Wilson avrebbe dovuto iniziare le pratiche nece»arie. La conseguenza immediata di questa nota fu il distacco ufficiale degli czechi e degli iugoslavi dal nesso della Monarchia A.-U. Dunque, ancora il 28, con lo sfaccio all'interno e con la situazione militare molto scossa, l'Austria non si rivolgeva all'Italia, ma implorava la pace direttamente da Wilson; si spezzi l'impero, Wilson ponga qualunque condizione, ma l'Italia non vinca. Ma, intanto, l'irruenza del nostro attacco costringeva il Comando della V[ Armata A.-U. a trasmettere, il 28 mattina, alle sue truppe l'ordine di ritirata dal Piave al Monticano; ma, in quel giorno ancora, altre riserve au• striache rifiutavano di combattere. La grave minaccia della totale dissoluzione dell'esercito decise il Comando Supremo nemico a rivolgersi direttamente a quello italiano per chiedere l'armistizio. Nel pomeriggio del 281 il generale \-Veber, la cui Commissione era stata sciolta dal principio della battaglia, riceveva dal suo Comando Supremo questo telegramma : e La situazione esige la immediata conclusione dell'armistizio. V. S. si metta di conseguenza in viaggio con tutta la Commissione e cominci le trattative. Nella discussione si potrebbe così giustificare questo nostro passo. Noi abbiamo accettato tutte le condizioni poste da Wilson, siamo pronti a concludere immediatamente l'armistizio onde porre fine allo spargimento di sangue del tutto inutile. V. S. Ili.ma tenga presente, quale direttiva 1 doversi accettare ogni condizione che non tocchi l'onore e non abbia il carattere di una capitolazione >. Come si vede, ancora la sera del 28 l'Austria non voleva «capitolare». Evidentemente gli alti Comandi ed il governo austriaco non si erano resi ancora conto della rotta del loro e~ercito, e non riuscivano a convincersi della grande vittoria degli italiani. Ma
i Comandi più vicini alla fronte erano di diverso avviso e, per esempio, il generale Krohatin telegrafava al suo Comando Supremo: e Le disposizioni date non corrispondono allo stato attuale delle truppe; solo un armistizio incondizionato può ancora evitare, m;mtenendo l'onore delle anni, una catastrofe e, quale conseguenza, l'anarchia nelI1interno :t. Finalmente, il 29 mattina, giungeva alle truppe a.-u. l'ordine della ritirata generale sulla linea tenuta al principio della guerra, mentre il generale W'ebcr riceveva un telegramma nel quale gli si ra.ccomandava di ottenere la immediata cessazione delle ostilità, salvo a regolare in seguito le condizioni di armistizio. Alle ore 8,30 del 29, alle nostre linee di Val Lagarina, si presentava il capitano austriaco Ruggera, latore di una lettera per il nostro Comando Supremo, nella quale il generale Weber dichiarava di essere incaricato, con una Commissione, d.i iniziare le trattative per la cessazione delle ostilità. Alle 17130• del giorno 30, lo stesso generale \'Veber, col suo Stato Maggiore, varcava le nostre linee e, presentate le credenziali, giungeva nel pomeriggio del 31 a Villa Giusti presso Padova. Era il principio della resa. Tuttavia, anche durante gli incontri per la conclusione dell1armistizio 1 il governo ed Comando Supremo austriaco tentarono in tutti i modi di limitare la nostra vittoria. In quei giorni, le autorità austriache agivano secondo questa intenzione : ottenere l'immediata cessazione delle ostilità prima della precisazione e conseguente accettazione delle condizioni di armistizio. Se questo fosse possibile per comune accordo con il Comando Supremo italiano, bene; altrimenti, e forse meglio, far precedere di fatto la sospensione delle ostilità, ordinandola alle truppe austriache, nella convinzione che, di fronte alla passività di queste, anche quelle italiane si sarebbero arrestate e che magari sarebbe stato possibile intavolare trattative fronte a fronte, ossia fra i Comandi delle truppe marcianti; insomma, una tregua alla russa. È evidente che, in entrambi i casi, le autorità austriache cercavano di ottenere l'arresto della nostra avan7,ata1 la sottrazione alla prigionia del ma1,?g-iornumero di forze, anche con la sf>Crapza di adoperarle per salvare il salvabile nell'interno dello Stato. lo svolgimento delle trattative di armistizlc non sotto la pressione della nostra avanzata, e cioè in condizioni meno sfavorevoli. Infatti, quando, il primo novembre, il generale \Vebcr, giunto ad Abano con le sopraccitate direttive, seppe dal generale Badoglio che non si poteva nemmeno parlare di sospemione delle ostilità prima della conclusione dell'armistizio, e conobbe l'abbozzo delle indiscutibili condizioni di questo, fi55ate dal Consiglio interalleato dei ministri secondo le proposte di Orlando, si limitò a trasmetterle al suo Comando Su.premo facendole seguire dal seguente commento: « La Commissione non si ritiene autorizzata ad accettare queste aspre condizioni, inattese cd jncomoatibili con l'onore dell'esercito e della flotta. Non v'è alcun dubbio, ufficialmente, che l'rnte~,· impiegherebbe contro l'impero germanico alleato i mezzi di lotta conseguiti sulla terra e sul mare. Dcv'e~- sei.c lasciato al Comando Supremo 11 decidere se il complesso delle condizioni non sia co~ì grave da costringerci a continuare Ja nostra resistenzn. Forse I,. condizioni potrebbero es.sere opportune per attizzare la volontà di combattere dei popoli della monarchia, specialmente gli iugoslavi, fors'anche dei serbi dell'impero, contro l'Intesa; le forti pretese territoriali potrebbero anche essere sfruttate per un nuovo passo verso Wilson •· Ma, mentre le nostre truppe incalzavano l'esercito austriaco ormai in rotta, la disintegr.1zione dello stato precipitava verso il dissolvimento. La sera del primo novembre, il ministro della difesa della ormai indipendente Ungheria, Bela Linder, esigeva che le truppe ungheresi deponessero subito le armi. Ormai mancava un governo responsabile austro-ungarico e l'imperatore Carlo veniva a trovarsi in una situazione particolarmente tra2'ica: da una parte, riconosceva che « la fronte era bucata come un crivello cd il nemico poteva quindi penetrarvi dappertutto ed avvolgere da tergo i reparti che eventualmente continuassero a resistere i dall'altra, era necessario che dell'armistizio si assumesse la responsabilità anche il nuovo Consiidio Nazionale dcli' Austria tedesca, soprattutto per quanto si riferiva alla esigenza dei vincitori di usare le vie di comunicazione austriache per attaccare la Germania; condizione che l'imperatore Carlo, date le sue relazioni con l'imperatore Guglielmo, non voleva sottoscrivere a costo di abbandonare subito il comando dell'esercito. In questo dilemma, ossia necessità di accettare al più presto l'armistizio e necessità di ottenere almeno il benestare del governo dcli' Austria tedesca (il quale voleva far ricadere tutte le responsabilità circa la fine della guerra sul governo del morente impero), si dibattevano, dal 'l al 3 novembre, l'imperatore Carlo ed i suoi consiglieri militari e politici. All'una del giorno 3, veniva decisa la comunicazione al Comando Supremo italiano dell'accettazione delle condizioni di armistizio, cd ai Comandi delle annate ausLriache anche dell'ordine di sospendere immediatamente le ostilità; ma e;'t~~n d ~~~~tr~~ 1\cd 0 e~a i~1~ ~v:i~ ancora dato il suo correlativo benestare. l'imperatore Carlo dava il contrordine con il quale riu.sciva. a '-Ospendere alle 2,30 la trasmissione della corrlunicazione al Comando Supremo italiano, ma non quella ai Comandi austriaci. Anzi il Comando dell'XI Armata del Tirolo comunicava al suo Comando Supremo che l'ordine di sospendere le ostilità era già stato diramato alle truppe di prima lìnea e che era impossibile revocarlo. In seguito a tale comunicazione, il Comando austriaco riconfennava alle 3,30 l'ordine a tutti i Comandi dipendenti di sospcndcrcimmcdiata.mentc le ostilità. Invece, la corrispondente comunicazione al Comando Supremo italiano cd al generale \-Veber, dell'accettazione dell'armistizio, partì da Badcn soltanto alle 10,10 del giorno 3, ossia un quarto d'ora dopo che il governo dell'Austria tedesca si era finalmente deciso o: ad accettare la comunicazione del Comando dell'esercito, secondo la quale il Comando stesso, in seguito alla completa dissoluzione delle truppe, si era vic;to costretto a sottomettersi alle condizioni dell'avversario>. Il radiotelegramma, partito da Badcn alle 10,10, giungeva, a cagione delle molte ritra.c;missioni,ad Abano soltanto aJle ore 16 del giorno 3. Ossia le truppe austriache ricevevano l'ordine di sospendere le oc;tilità, non soltanto fuori di qualsiasi ora stabilita fra i due Comandi avversari, ma molte ore prima che il Comando Supremo italiano avesse conoscenza dell'accettazione delle condizioni dell'armistizio, e ciò sebbene il Comando Supremo austro-ungarico sapesse che l'ora della fine delle ostilità doveva essere concordata fra le due Commi,;;sioni d'arOMNIBUS QUADRI STORIOI I LA PARTENZA DEI 30,000 COLONI PER LA LIBIA mistizio ad Abano. (Effettivamente, la sera del giorno 2, venne concordata tale ora nella ventiquattresima successiva all'accettazione delle condizioni dell'annisti2io). Insomma. il Comando austriaco ha consapevolmente fatto abbassare le armi alle sue truppe di fronte ad un nemico che non aveva ancora ricevuto nemmeno un qualsiasi avvi~o della conclusione dell'armistizio. E questo perché? Appunto perché il Comando austriaco sperava « che automaticamente, col sospendersi delle ostilità da parte austro-ungarica, si verificasse altrettanto anche da parte italiana, come era avvenuto nella sospensione delle ostilità in Russia> (come riconosce la stessa Commi,;;,ionc austriaca per il rilievo di infr;1. ,11i.al dO\'<"re rr:ili:.i.,· nella guerra), e cioè prima che poH·ssc intervenire il Comando C:,upremoit.d1.1no, e quindi con tutti i correlativi vantaggi per quello austriaco. Ma, finalmente, la disciplina delle truppe italiane, che proseguivano imperterrite nella loro avanzata, e l'intelligente fermezza del generale Badoglio, costringevano le autorità austriache a firmare, alle ore 18 del giorno 3 novembre, quella completa capitolazione che ancora il 28 sera era esclusa, come abbiamo visto, nelle stesse istruzioni date al generale Vlebcr per trattare l'armistizio. L'impero austro-ungarico scompariva. Il 4 novembre il generale Diaz così telegrafava a Parigi: « Studi per proseKuimcnto operadoni di tu.erra contro Germania procedendo da scacchiere italiario verso ,iord so,w stati qui completati da tempo per spo11tanea initiativa di questo Comando. S0,10 già i11corso di esecutione operatio,1i preliminari per la raccolta delle armate di opera;;io11e.Se Germania non sottostarà condiào11i armistitio che le saranno imposte alleati esercito italiario interverrà per costringerla alla resa >. Ora, se si pensa che il generale Foch, il 29 ottobre, ;1mmettcva ancora che la Germanb. avrebbe potuto resistere per altri tre o quattro mesi. ~i comprenderà meglio il grande valore dell'offcrta italiana. )Ifa la Germania, dopo lo sfacelo dell'alleata, e di fronte alla nuova minaccia, cedette. L'Italia vinSCinsieme a~li Alleati, ma, dete1minando il crollo austriaco, troncò la grande guerra. Con la battaglia difensiva del giugno l'Italia aveva già vinto. ?v(a non una sola giornata della offensiva di Vittorio Veneto fu combattuta invano. Il 24 ottobre, il generale Caviglia, comandante della VIII Armata, incuorava le sue truppe con questo proclama; « Soldati dell'\/111 Armata! t giunta anche per noi l'ora di agire. e venuto il momento di raccogliere il grido d'angoscia che giunge dai fratelli abbandonati oltre il Piave e di correre alla loro liberazione. L'impero d' Austria-Ungheria si sta sfasciando. I popoli che lo componevano, levatisi finalmente a spezzare le loro catene, hanno decretata la sua fine, e il presidente \Vilson con l'ultima nota ha approvato la sua giusta condanna. A voi, miei soldati, dare il colpo di grazia allo stato a.-u. battendo il suo escr~ cito, ultimo sostegno su cui ancora si appo~gia, mentre sta per cadere:.. t difficile esprimere meglio di così il vero significato della batta~lia di Vittorio Veneto. Anche nell'agonia, il vecchio impero voleva e poteva ferirci gravemente, e si deve ai mortì dell'ultima battaglia se la nostra vittoria non fu mutilata. N. P. ANOORA JJI SCHUSCHNIGO ,e) ROVIAMO, oggi, a evadere dalla ccrl,S"" chia della immediata attualità. e buttiamoci ai libri. E, prima di tutto, tor. niamo a un.t nostra vecchia conol(:enza: al volume e Dr4ìm,d Oesiu,eich > ddl'cx-canccllierc Schuschnigg, del quale già. avemmo occasione di occuparci nel numero del 19 man.o di questo giornale. Ne scrivemmo, allora, con &everità.. e Non è un gran libro>, dicemmo fra l'ahro: e non rivda niente di nuovo e manca di pa1hos, anche quando racconta tragedie>, E, dopo aver riportato un passo, in cui l'cx-cancelUcre deplorava la durezza dei trattati di pace e la condanna del popolo tedesco a un duraturo disarmo, vere cause, secondo lui, delle 1ucccssivc ccsplosioni> scrivevamo: Queste cose, in venti anni, sono state dette e ridette migliai:i di volte. Valeva la pena che il capo di un governo, il quale, per giunta, viveva cosi pericolosamente, pcrdcs.sc - il suo tempo a scriverle ancora una volta? :,. Poi citammo ancora un altro passo. L' Austria, secondo Schu,chnigg, aveva da $CC• glicrc fra ire vie: neutralità, Anschluss, pani d'amicizia ... E commentammo: e Così, grave e candido, ragionava il cancelliere Schuschn:gg, mentre la tempesta si addensava sul suo capo e sul\' Auuria... E al momento in cui scriveva, l'Austria. non ave. va più alcuna facoltà di sceha. Infine riportammo alcuni pensieri sull'Austria di autori vari, che Schuschnigg aveva rhmati nell'ultimo capitolo del suo libro. Alcuni di essi ci sembravano banali: per ci;cmpio questo di Hans von Hammerucin, autore di un libro su L'aspetto culturale dtll':tuslfia nell'anno 1935. e L'Au• s1ria >, diceva Hammcrttcin e è nel significato migliore della parola, un paese btn temperalo, sia per quel che riguarda il clima, sia per quel che riguarda gli abitanti >. Qualche altro pa~so ci scmbr~, fouc perché $tac<'ato dal testo, del tutto lapaliuiano, cc,mc, per esempio, il seguente, che era tratto da Schiller: e L'austriaco ha una pa. 1riL e la ama, cd ha ra~ionc di amarla >. Il libro ~i chiude con la trascrizione di una piccola frase musicale di Bcetho\en, che fu trovata negli archivi di Vienna nel 1934, su parole di Hcinrich von Collin: e Che solo lo voglia, e l'Austria sarà al disopra di tutto. Lo vuole! Lo vuole! >. E Schuschnigg ripeteva: e Lo vuole! >. Lo voleva? E, in ogni caso, non bastava eh<' lo volcs~ l'Austria. Come il lettore vede, il nos1ro giudizio fu severo ; e potè sembrare ingeneroso. Schu«:hnigg era caduto da pochi giorni. La sua politica si era conchiusa con una catastrofe: l'Austria, la millenaria Austria, era finita. Qualche lettore potè pensare che la Opportunità politica del momen10 ci facesse vc:lo e ci impedisse di essere equi e :fcreni. , Rispondiamo; fummo indulgenti. Appunto perché Schuschnigg era un ,,into, appun1o perché la sventura si era abbattuta su lui, attenuammo, quan10 potemmo, la du. rrn:a della nostra critica. E ne è prova la re<cnsionc, ben altrimenti severa, che è stata fatta del libro da C. A. Macartncy in lntunational A0airs, l'autorevole organo del Royal ln1ti1ute o/ lnternational A.iai,s. L;-i quale recensione, apparsa nel fascicolo di settembre-ottobre della detta rivista, e cioè circa sci o sC"tte mesi dopo il nostro articolo, fa al libro csauamcntc le stesse no~lrC'critiche: banalità., mancanza di dram. maticità., scar$Czza di fatti nuovi; ma le fa su un tono assai più duro del nostro. La riportiamo qui sotto. Premettiamo che il libro, del quale, quando noi ne scrivemmo, esisteva solo l'edizione 1cdesca, è stato, nel frattempo, tradotto in ingle$C col titolo < Farewell, Austria>; che è uno s1rano e llupido arbitr:o del 1radut• torc, perché il cancelliere Schus,chnigg quando scriveva, a tutto pensava meno che a dare un ~dio all'.fustria; né nel teno aceenna mal ad addu. ScrivC", dunque, il Macartney: e li naturale rispcttO' per un uomo, che 1al1 alla posizione di capo del suo paese e, insieme, la na1uralc simpatia per le sue sventure prcdispOngono il lettore a favore del libro de I !'e x-canccllicrc Schuschnigg Parewell, Austria. Ma né il rispe110, né la simpalia possono impedire che .s.i riconosca che il libro è c1tn:mamcntc stupido (dull); e, da parte di un uomo nella posizione di Schuschnigg, avere Kritto un libro stupido sugli ultimi giorni dcli' Austria indipendente, deve cncrc stata un'impresa quasi eroica. Comunque, il fatto è che queste pagine mancano di drammat.icità fino alla frigidità, e non sempre sono scritte bene. Può darsi chf" la colpa $ia1 in parte, dei traduttori, giac. ché Schuu:hnigg, disgraziato in tante cose, non lo è nato meno nei traduttori, i quali, ci si dice, sono stati parecchi, ma tuui uniformemente cattivi. Ma per un'altra parte è certamente del cancelliere ucsw, il quale è tutt'altro che felice nel disporre e nell'esporre la sua materia Il libro, s'intende, non manca d'interesse storico, ma meno di quello che li poteva sperare. Ci sono pochi fatti nuovi; e l'ingiustizia verso la socia1-democrazia è un scrio e diffuso difetto. Dagli storici futuri, esso sarà utilizzato; ma non sarà. mai una delle loro mag• gfori fonti >. Come si vede, quel che scrivemmo era il meno che si potesse dire di un siffatto lib,o. Naturalmente, con questo, non intcn. dcvamo minimamente pronunziare un giudizio sull'uomo; ciò che sarebbe s1ato veramete ingeneroso. Quanti sono sensibili al dramma dC"ll'improvviso precipitare di alcuni uomini dalle vette del potere e della buona fortuna nella miseria, non potranno leggere senza commozione la descrizione dei funerali, che hanno avuto luogo qualche giorno fa a Vienna, del vecchio padre dcll'ex-canrclJicrc, che fu fcld-marcsciallo del. l'Impcr, -"on più di un centinaio di persone SC"guivano il feretro e una metà erano mogli e cameriere di diplomatici ura• nieri; c'erano vedove di ufficiali, donne anziane, vestite semplicemente, e '\·cechi militari, che erano stati camerati del fcldmarcsc.iallo nella grande guerra o prima. Una grande croce verde era st:tta mandata dagli ufficiali del reggimento di artiglieria da montagna, che furono camerati del morto, in guerra: e Al loro valoroso coman. dante nella grande guerra i camerati >. C'era il figlio dcll'cx-cancellicrc, il piccolo Kurt, di 14 anni. C'era la signora Vera Schuschnigg, cx.contessa Fugger Czcrnin: portava un ,·cstito lungo, tutto nero, e un fitto \·elo; sembrava pallida, sotto il velo, e i suoi capelli biondi erano sottilmente striali di grigio. Mai un fcld-maresciallo dell'Impero ha avuto, in tempo d_i pace, funerali così semplici. E c'inganneremo, ma la semplice e disadorna cronaca di questo funerale ci sembra straordìnariamcncc pate;tica. In quelle \Cdove di ufficiali, poveramente vestite, in quei vecchi militari, che erano stati carne• rati in guerra del defunto marC"sciallo e che ne seguono fedelmente il feretro, è come lo spettro ddla vcceh..ia Austria ; e c'è ai~chc tanta tristcua, tanto ~nso di cose morte, e tanta fedeltà e umanità. E, in fohdo, il vecchio maresciallo è staio, in morte, -più fçrtunato del rrandc impero, che egli scrvl in pace e in guerra: perché ha avuto un funerale semplice, ma degno e commovente, mentre la ,,ccchia Aus1ria altro funerale non ebbe che il libro dell'ex-cancelliere. VECCHIELETTERE,VEOCHISCANDALI ~ UTTI sanno che Carolina di Bruns. U wick, moglie di re Giorgio IV d'Inghilterra, fu tutt'ahro che un modello di "irtù. E, se non ricordiamo male, anche in questo giornale fu raccontata la storia della sua scandalosa condot1a e del processo, ancora più scandaloso, che ne se. gul. Ora sono state pubblicate in tre grossi volumi le lettere di Giorgio IV (Th4 letters o/ King Ceorg4 IV. Editcd by A. Aspinal, Cambridge, University Prcss. 75 s.). dalle quali si apprendono parecchie; cose nuove e picxanti sul conto della famigerata regina.: fra l'altro, per esempio, che essa, quando era ancora principessa di Galles, forse per vendicani del marito, scc&e fino a fare da ruffiana alla figlia, la principessa Carlo~a, e la incoraggiò in tutti i modi a mal fare. Costei si era innamorata di un certo capitano Hcue. Questi era un brillante ufficiale del ,e• reggimento dei dragoni si credeva da tutti che fosse un figlio natu• raie dello zio della principessina, il duca di York. La governante della gio,,aniuima Carlotta, lady dc Clifford, pcruiisc per varie !ettimanc al brillante ufficiale di cavalcare; a fianco alla carrozza della principcua, mat• tina e sera. Ma poi fece aspri rimproveri alla principessa e, avendo conuatato che non aveu più alcuna autorità su di lei, si dimise. Quando il reggimento del giovane c.ipi1ano andò via, la giovane principcHa fece una confessione completa al padre e gli disse che essa e si incontrava continuamente col c:apitano Hcssc presso la madre, a Kcnsington, e aveva avuto con lui col. loqui segttti all'insaputa di lady dc Clifford ; ma la principessa di Galles lo sapeva cd era connivente, e anzi usava condurla, insieme con lui, nel suo appartamento personale... e quindi li faceva entrare tutti e due nella sua camera da letto, ve li chiudeva dentro e se ne andava; e nel girar la chiave, diceva loro: " A p,isent ie uous laisse, amuse,e-Pou1" >. (Chi sa perché glielo diceva in francese). 11 principe fu sopraffatto dall'orrore, ma la giovane principessa gli raccontò ancora: e Io posso dirvi di più, e cioè che mia ma. drc ci portava le letcerc, a lui le mie, a me le sue, finché ne parlai a una persona, che mi consigliò di spezzare questa corri.spondenu >. Aggiunse: e Dio sa quel che sarebbe accaduto di mc se e.gli non mi avesse tanto ri$pCtlata >. Al che il principe rispose: e Figlia mia, solo la Prowidcnu vi ha salvata>. Questi fatti son venuti alla luce poche settimane fa, e cioè quasi un secolo e mezzo dopo che accaddero. Ma, come si suol dire, meglio tardi che mai, e qualche cosa sarebbe mancala al mondo se si fos.sc continuato ad ignorarli. In fondo il mestiere dei re ha qualche g1ave inconveniente o, per dir meglio, qualche scrio svantaggio di fronte a quello d1 uomo comune. Perché l'uomo comune può almeno consolarsi col pensiero che, dopo I.i sua morte, nessuno sì curerà più dei suoi peccati o delle sue dcbolcue o, per dirla con una frase piuttosto volgare, ncsiuno andrà a rovistare i suoi p::t.nni sporchi. Ma i re e i gr.1ndi di questa. urra non hanno un siffatto conforto. E, a di~tan2a di quasi un 1ecolo, c'è gente molto indiscreta che trova intC"reuantc acccrt3re che una regina di Gran Bretagna fece o tentò di fare la knona alla figlia. E chi scrive deve, con molta contrizione, confessare di essere fra conoro. RICCIARDETTO Ano !I - N. <O· 6 NmmbN 1938-m, 1 l OMNIBUS SETTIMANALDEI A'fTUALITA POLITICA E LETTERARIA ESCE IL SABATO IN 12-lS PAGINE ABBONAMENTI ltalia e Impero: 1LI11I,1.0 42, remutre L. 22 Eatero I a11110 L, 701 Hmet\NJ L, 36 OGNI NUMERO UNA LIR1 lhuoaorlUI, dl■egul e fotogn6e, anche H non p11bbl!cati 1 11ou ,t renhu\100110. Dltulou: Roma- P!asu della Pllotu., 3 Telefono N. 66,4?0 imllllllhtruloa..: lillla.no - Pian.1. Carlo Erba, 6 TelefonoN, 24,608 PubblldU.:
~, 0 •~ OME, dove, quando la rivo- ;•. luzione. ungherese è comincia- ,, ta, lo ignoro>. Questa era la ~ risposta che Michele Karolyi soleva dare e chi lo interrogava su quel movimento che, ..tuttavia, resterà legato al suo nome, come il crollo dello zarismo è legato al nome di Kcrensky. Il 29 ottobre 1918, verSO le dieci di !'.era, una folla di qualche migliaio di persone, ammassatasi nel centro di Budapest, si avviava verso la collina di Buda, dove sorgeva il palazzo dell'arciduca Giuseppe, per fare una manifestazione contro l'homo rtgius e reclamare che venisse lasciato il potere al conte Karolyi. Ma il governatore militare aveva fatto sbarrare i ponti, e i gcndanni reali e la polizia spararono sui manifestanti che si dispersero lasciando sul terreno quattro morti e una quarantina di feriti. L'indomani su tutti i muri della capitale magiara cominciarono ad apparire grandi manife)ti simbolici simili a quelli usati nella Russia bolscevica. La sera, il giornalista giudeo Condor {il suo \'ero nome era Nathan Krauss), sobillava un gruppo di popolani aizzandoli a imJX>sscssarsidel Comando della pÌazza. I soldati di guardia al palazzo fecero causa comune coi rivoltosi e un ballerino giudeo, certo Heltai, si presentò al comandante della piazza che, solo, senza difesa, gli cedette il posto. Contemporaneamente un altro giudeo, certo Jctvai, s'impadroniva, assieme a una ventina di uomini, della centrale telefonica. Poco prima, il comandante la guarnigione, il generale Lukasies, aveva telefonato al Quartiere Generale a Baden per comunicare a re Carlo gli avvenimenti di Budapest. Il genera.le aveva aggiunto di poter, sì, reprimere la sommossa, ma che, certamente, la repl"CS5ioneavrebbe fatto .-..pargcrenon poco sangue. « No, no>, rispondeva vivacemente il re, e non voglio che si tiri sul popolo>. Egli forse aveva già. capito che niente poteva ormai salvare la dina.stia degli Absburgo o, forse, temeva per la vita dei figli rimasti al castello di Godòllò. Infatti, pochi minuti dopo, impartiva l'ordine éhe fossero immediatamente ricondotti a Vienna. Il mattino seguente, re Carlo incaricava il conte Michele Karolyi di formare un nuovo Ministero ungherese. Karolyi compo~e in fretta e furia un Gabinetto al quale parteciparono radicali e socialisti. Poi, per telefono, prestò giuramento di fedeltà al re, assicurandolo ancora una volta r!ella sua devozione alla corona. Intanto, nelle strade di Budapest, i soldati, che, sbandati, affiuivano ~empre più numerosi dal fronte, acclamavano alla repubblica. Trasportata da autocarri tutti fioriti di crisantemi {di e rose d'autunno>, come li chiamano in Ungheria), coc~ .carda rossa al petto, la soldataglia percorreva la città, .scaricando i fucili in aria e mischiando alle note dell'lnterna{ionalt i nostalgici canti della patria magiara. Lo spettacolo stava fra il dramma e l'operetta, fra la sommossa e il camevalc. E ovunque, all'asta delle bandiere rosse, alle insegne dei negozi, fra le braccia delle popolane in preda all'c~altazione, fasci di crisantemi, i funebri fiori che fecero dare a quelle giornate, in cui tutto un passato colava a picco, un nome di cattivo presagio: la rivoluzione delle e: rose d'autunno>. Al crepuscolo del 30 ott.obre il conte Titta veniva assassinato. La notte stessa il principe Luigi di \Vindi~chg-raetz si recava da Vienna al castello di Schifobrun dove re Carlo gli comunicava l'uccisione di Ti'-za. Il principe, - come egli stesso narra nelle sue memorie, - tentò di mettere in guardia il sovrano contro ~iichele Karolyi, infido e ambizioso. Il re protestò contro tale accusa, dicendo che Karolyi aveva prestato giuramento di fedeltà. E sorridendo, a'5giunsc: e: Credo anzi sia la prima volta che un ministro presta giuramento per telefono>. Il giorno dopo, i fatti davano ragione al principe di Windischgraetz: jJ conte Karolyi. esagerando la portata dcll'agit.1zione che ancora regnava a Budapc!!t e presentandola come una vera e propria rivoluzione, telefonava al \Ovrano per chiédergli di scioglierlo dal vincolo del giuramento. Il 12 novembre, una d,-Jcgazione magiara presentava a re Carlo un mes.saggio in cui 11 governo provvisorio di Budapest comunicava al '-0vrano la ri,oluz.ione del popolo magiaro di cambiare forma di stato. Il 16 novembre, la repubblica era proclamata a Budapest. Il giudeo Bela Kun (vero nome, Kohn arrivò a Budape,t dalla Ru'-\ia, '<>ttO il nome di Sel>Pc;tyen,as"ieme a un ~ruppo di medici e infermieri del181!18 • L'IKPERATORE PI.AlrOE800 GIUSEPPE AL 0.&8TELLO DI 00D0tt0 CUNOHEBIA) la Croce Ro55a, qualche settimana dopo l'avvento al potere di Karolyi. Alla sua partenza da Mosca, aveva ricevuto una somma di 300 mila rubli destinati a finanziare il movimento bolscevico in Un~heria. La sezione della Croce Rossa moscovita, insediata a Vienna, aveva ricevuto l'ordine di fornirgli altro denaro a mano a mano che il movimento si sviluppava. A detta dello st~so Bela Kurr, furono dodici milioni di rubli che ~1osc:agli versò durante i quattro mesi di preparazione per instaurare la dittatura CO· muni\ta in Ungheria. Prima della guerra, Bela Kun era un oscuro giornalista a cui vari giornali, poco importanti, di Budapest avevano affidato infimi servizi di cronaca. Tra.sferitosi in provincia, a Koloszvar, ottenne le funzioni di segretario di una società di mutuo c;occorso fra operai. Accusandolo di aver sottmtto una certa somma dalla cassa, gli opera.i lo cacciarono dal posto e un proce\SO contro di lui stava per e~.scre istruito quando scoppiò la guerra. Partito per i Carpazi con un reggimento di fanteria, Bela Kun venne fatto pri~ioniero e internato nel campo di concentramento di Tomcik, in Siberia, dove imparò il rus10. Dopo la rivoluzione di Kerensky, Bela Kun fece amicizia con l'ebreo Radek (di vero nome Zobclsohn), incaricato della propaganda bol'5cevica fra i prigionieri di guerra. A'-sieme a Radek e a un altro giudeo, che si faceva chiamare Ernesto Por, fondò una rivista q-tti.man,tle : Il sotialista inttrnazionale, redatta in ungherese, e per la quale ricevette dai bolscevichi ventimila rubli. Più tardi, quando i tedeschi, p<'netrando in Russia, parvero mettere in pericolo i Sovirti, Kun propo'-e di formare, con i prigionieri di guerra, un battaglione internazionale per rorganiz,azione del quale inta~ò altri trentamila rubli. Nono,:tante la prop~tganda drl compagno Radek1 M>ltanto trenta volontari risposero all'appello. Ventidue fuggirono non appena ebbero intascato il premio di arruolamento di 150 rubli. Bela Kun spavaldamente si mise in marcia verso la frontiera, alla testa del suo impressionante battaglione, ma tre giorni dopo credette opportuno sciogliere il... corpo dei volontari e raggiungere Pietrogrado. J n breve, divenne uno degli intimi di Lenin che, nel 19181 lo incaricò di organizzare il Congresso dei prigionieri di guerra. Per afTrontarc le spese generali, Bela Kun ricevette quarantaseimila rubli ; ma c'è da ritenere che anche que~ta volta i conti del giudeo non fossero troppo chiari se i e: comp~ni > lo trattarono apertamente, in piena seduta, di ladro e di truffatore. Nonostante ciò, Bela Kun riuscì a farsi ammettere a.I e corso di agitatori >, una scuola voluta da Lenin e sulla quale il dittatore rosso fondava molte speranze. Il e: corso> durava quattro settimane e ogni allievo percepiva cinquanta rubli per giorno. Fu dopo aver seguito questo corso singolare che Bela Kun ~i dette ad organiZZMe vari grupoi di agitatori: uno rumeno, affidato a Pascariu ; uno francese, con alla testa il capitano disertore Sadoul; uno tedesco, uno cèco1 ecc., dei quali, naturalmente, Bela Kw1 amministrava i fondi. Tornato dunque a Budapest a fare propaganda bolscevica, Bela K un ottenne, nei primi tempi, pochissimo succec;so. Il giornale che immediatamente fondò, il Voro1 Uj1ag ( Il giornale ros- ~) divertiva forse più che atterrire i lettori, con i suoi grandi titoli di que• sto tono : e Non basta uccidere i borghe~i, bisogn~ farli anche a pezzi >. Le riunioni che egli organizzava e durante Jr quali 1 con monotonia e voce scialba (era un mediocre oratore), e<sponcva ed illunrava i metodi dC'lla rivoluzione rucca, richiamavano un esiguo gruppo di uditori in gran parte ebrei. I sindacati operai gli erano apertamente ostili, e anche fra i soldati, che pure avevano già so,;tituito le gerarchie con e Consigli > al modo sovietico, Bela Kun era male acc.olto come lo provò l'infelice impresa da lui tentata il 1 ° gennaio ael 'r 9. Messosi alla testa di una. banda di scalmanati, composta di qualche centina.io di vagabondi, di di,;ertori, di cx-detenuti e di prigionieri di guerra russi, il comunista riu- ~ì ad invadere il cortile della caserma Maria Terc,;a da dove si mi.se ad arringare i soldati affacciati alle finestre delle camerate. A un tratto, da una delle finestre, partl un colpo di fucile che dette il segnale a un vivace ,cambio di fucilate fra soldati e comunisti. Bela Kun ordinò subito la ritirata e guidò i suoi uomini a un'altra casenna dove lo scacco che subì fu ancora più vergognoso. I soldati riuscirono a chiuderlo nella prigione della casenna da dove fu fatto uscire qualche ora dopo, per l'intervento del suo cort"(')igionario Giuseppe Pogany, che godeva di un certo ignobile prestigio prt'iSO la truppa da quando aveva a.ssa.s,;inato,a,;c;iemead altri ebrei, il conte Ti.sza1 ritenuto respoMabile della guerra dalla soldataglia. Questo Pogany, che da ~ si era eletto commi'5a• rio dei Sovieti dei soldati, si riteneva un grande autore drarmnatico per aver scritto in gioventù tre atti su Napoleone. Nelle redaLioni dei giomali lo chiamavano e il Napoleone del ghetto>, e quando scoppiò la guerra ce:-- cò, come potè, di fa"i esonerare dal servizio militare, essendo collalx>rato• ro del giornale ~ocialista Nepuava {La Voce del Popolq). Il Ministero della Guerra autorizzava i quotidiani a trattenere i redattori che fo~'!ero ritenuti indic;pcmabili, ma il direttore del Nepuaut2 credette di poter far beni~)imo a meno dell'opera del Pogany che immediatamente si huttò su un foglio borghese e sostenitore della ~ionarchia, At Est (La sera), ove ottenne l'esonero dal servizio militare, grazie all'intervento del conte Tisza che, quattro anni dopo, Pogany doveva assassinare. Intanto Bela Kun, quindici giorni dopo il mancato affare delle caserme, si recò nel centro minerario di Salgotaryan, alle falde dei Carpazi 1 dove gli operai, eccitati dalle sue concioni, saccheggiarono paesi e villaggi per tre giorni. Molto lwingato dal successo ottenuto (egli stesso ebbe a dichiarare: e: t stato questo il mio primo grande successo>), Kun tornò a Budapest, e, riunito nuovamente qualche centinaio di vagabondi e di d.ìsoccupati, li trascinò all'assalto_ delle tipografie di due giornali « borghesi >. Un altro c. successo > : tutte le macchine furono man~ date in frantumi. Karolyi domandò allora al capo della missione militare francese di far venire qualche ree-~imento a Budapest per ristabilire l'ordine. li tenente colonnello Vix rispose invitando il presidente della repubblica ungherese a fare arrestare innanzi tutto Bela Kun. e Fateci il piacere di arrestarlo voi stesso>, replicò il conte Karolyi. Al che l'ufficiale franccse obiettò che non aveva avuto l'incarico di fare anche da capo della polizia di Rudapest. Di Il a qualche giorno, l'occasione si presentò al titubante Karolyi di compiere l'atto di energia necessario. All'uscita di una riunione in cui aveva parlato Bela Kun, il solito gruppo di rivoltosi assaltò la sede del Nepu.,ava. La polizia sostenne l'attacco lasciando sul terreno, dopo una vera e propria battaglia, otto agenti uccisi. Bela Kun fu pronto a dichiarare puhblicamente di non entrar per niente nella sanguinosa sommossa e a far ricadere tutta la responsabilità sul presidente del sindacato dei disoccupati. Ciò non di meno venne arrestato e malmenato a tal segno che dovette esser curato all'ospedale. L'indomani molte migliaia di operai, che is- .s:avano a guisa di bandiere copie del Neps{ava, organizzarono una manifestazione contro i comunisti, inneggiando alla patria magiara. Ma la stampa ebrea cominciò una serrata campagna per presentare Bela Kun come un martire. Anche in seno al governo, due ministri giudei bolscevizzanti presero energicamente la difesa del correligionario: il ministro della Guerra, Guglielmo Bohm, e il ministro dell'Istruzione, Sigismondo Kunfi (di vero nome Kunstadter). I due ministri si recarono alle carceri a visitare Bela Kun e gli altri capi comunisti arrestati, Laszk>, Korvin-Klein, Rabinovitz, ecc.1 tutti ebrei. Fecero nominare immediatamente un e compagno> a direttore della prigione, cosicché i detenuti poterono continuare, dalla loro cella, a dirigere il movimento comunista. La campagna della stampa ebraica, la propaganda di Giuseppe Pogany, svolta specialmente nelle caserme, ebbero il loro effetto. Si videro, in breve, centinaia di soldati ostentare la coccarda rossa e immensi cortei di disoccupati percorrere la città al canto dell' I nternaiionale. Nel frattempo le truppe rumene, serbe e cecoslovacche penetravano sempre più nel territorio ungherese. li conte Karolyi faceva continuamente rilevare al colonnello Vix che, se non veniva fermata, l'occupazione avrebbe aumentato il disordine e le agitazioni in Ungheria, perché anche i patrioti si sarebbero gettati alle soluzioni disperate. Ma, invece di inviare qualche reggimento a Budapest, per ristabilire l'ordine, lo Stato Maggiore francese, insediato a Belgrado, ritirava dalla capitale d'Ungheria anche il distaccamento di spahis marocchini che vi si trovava da qualche settimana. Contemporaneamente il colonnello Vix riceveva l'ordine di comunicare ul presidente della repubblica ungherese una nota del Consiglio Supremo che autorizzava i rumeni ad avanzare di cento chilometri nel territorio unghere~. Inetto e fatalista, il conte Karolyi si gettò allora completamente in braccio a un suo giovane confidente, l'ebreo Kery (in realtà si chiamava Kranmer), rimpatriato allora da Berna dove lo stesso Karolyi lo aveva inviato in missione. Karolyi si mise a.I lavoro. Avrebbe liberato dal carcere Bela Kun e compagni, rimettendo loro .il potere perché distruggessero ciò che restava dell'Ungheria. E intanto la rivoluzione bol~cevica scoppiava il 20 marw 191q, senza che Karolyi vi prende!isC parte preponderante, e per iniziativa di un gruppo di giudei. I due ministri ebrei Bohn e Kunfi, che asc;icme agli altri avevano dato le dimi"sioni, si recarono al carcere dov'era Bela Kun per fi,sare con lui le ultime misure da prendere al fine di instaurare in Ungheria la repubblica dei Sovicti. Tutta la notte le auto dell'esercito, dietro ordine di Pogany, percorsero i sobborghi per convocare i membri dei sinda. cati operai e i soldati a una grande assemblea che il mattino seguente proclamava la dittatura proletaria. Il confidente di Karolyi, l'ebreo Kery, e l'ex ministro Kunfi, recarono la notizia al presidente della repubblica imponendogli di dare le dimissioni. Essi stessi redassero immediatamente il proclama che il presidente doveva lanciare al popolo. Nel manifesto, fra l'altro, asserivano falsamente che la Missione mi. litare interalleata aveva dichiarato che « la linea di demarcazione doveva essere considerata come frontiera politica » e che « lo scopo evidente di ta• le operazione era di fare dell'Ungheria una base strategica contro l'annata dei Sovieti russi che combattevano in Rumenia >. Forse per uno scrupolo tardivo, Karolyi si rifiutò di apporre la firma al documento. I suoi due segretari, gli ebrei Simony e Gellert, firmarono per lui. Così furono quattro giudei che misero fine alla repubblica ungherese presieduta dall'ambizioso magnate. Un'ora dopo, Bela Kun e i suoi amjci venivano liberati e portati in trionfo. L'indomani Budapest appariva coperta da manifesti rossi1 che annun• ciavano l'avvento dei Sovieti al potere, che decretavano lo stato d'assedio, che ordinavano la chiwura di quasi tutti i negozi di cui si sarebbe fatto l'inventario, che proibivano ogni riunione. E come ritomello, ogni manifesto recava: « pena di morte; sarà passato per le armi >, ecc. Bela Kun instaurava immediatamente un C.Oruiglio esecutivo, i cui membri prendevano il nome di commissari del popolo. La presidenza fu affidata ad Ale.ssandro Garbai, personaggio oscuro, ma che aveva il privilegio di essere cristiano e che serviva cosi a mascherare in parte il carattere semitico del movimento comunista. Difatti, su ventisei commissari, diciotto erano ebrei, cd ebrei erano tutti i vicecommissari. Uno dei primi provvedimenti dei Sovieti fu l'espulsione dalle università dei professori cristiani che furono sostituiti da ebrei. Alla lista dei capi-c9munisti venne ad aggersi ben presto l'ex-disertore giudeo Tibor Szamucly, che fu incaricato di spargere il terrore nelle campagne per « convincere > i contadini a consegna• re le derrate ai Sovieti. L'attività. del Szamuely fu spaventosa. AC<!Òmpagna• to da una trentina di indivi,dui, aveva oollocato il suo Quartier Generale in un treno blindato che lo trasportav:i continuamente da un punto all'altro del pae.;e. I oontadini, denunziati dai Sovieti locali, venivano condotti di. nanzi a lui e giustiziati. La gran festa, indetta per il 1° maggio 1919 a Budapest, non valse a nascondere la inquietudine che invade• va ognuno. Era corsa la voce che i rumeni avevano attraversato il Ti.sza, e che anche i cèchi avanzavano celermente nel territorio ungherese. In tutta fretta, fu organizzata l'armata rossa che ebbe un primo scontro con j cèchi. Incoraggiato da qualche picco. lo successo, Bela Kun decise di sferrare una grande offensiva contro i rumeni per il 20 luglio. Egli a.ss.icurava che in quel giomo la rivoluzione bolscevica sarebbe scoppiata in Germania, in Italia, in Inghilterra e in Francia . Mentre la giornata passava tranquillamente in tutta l'Europa, l'armata rossa di Bela Kun attaccò i rumeni sul Tisza, Ritiratisi al di là del fiume, i rumeni passarono ben presto all'offen• siva e sgominarono i rossi ungheresi che, in una settimana, persero più della metà degli effettivi. Mentre i rumeni avanzavano, Bela Kun riunl H Consiglio dei Sovieti. • e Il proletariato », gridò con enfasi, e si è mostrato indegno della rivoluzione. Per il momento bisogna cedere, ma tornerò ben presto>. E, con un treno speciale, lasciò Budape~t as,icme a tutti i com• missari del popolo, suoi correligionari, per raggiungere Vienna dove il governo bolscevizzante di allora li internò pro forma. Poco dooo Bela Kun evase, e, sotto falso nome, riuscì ad entrare in Germania. Mentre stava per imbarcarsi da un porto del Baltico, fu arrestato. La sua estradizione, che Budapest reclamava 1 non venne accordata. Bela Kun, espulso, si recò in Russia dove Lenin ,:z:li affidò un incarico a Odessa. I capi comunisti rima•iti a Budapest pagarono per i figli di hraele che si erano dati alla fuga: processati, vennero condannati a morte. Tibor Szamuc:ly, il terrorista della campagna, apprese la notizia della disfatta mentre prc"iedeva la -.eduta del tribunale rivoluzionario a Gyor. Raggiume precipitosamente Budapest, ma troppo tardi per prender posto nel treno speciale di Bela Kun. C,on una veloce auto fug~ì verc;o l'Austria, ma alla frontiera venne fermato dai doganieri. Mentre gli a~cnti telefonavano per chiedere istruzioni, Szamuely si sparò un colpo di rivoltella alla tempia. La municipalità. del luogo rifiutò la sepoltura al cadavere nel cimitero. Fu ,;;otterrato fuori del camposanto 1 • co~- tro il muro di cinta, sul quale il giorno dopo apparve c;critto: « t crepato un canr >. LUIGI MELANI
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