Omnibus - anno II - n.44 - 29 ottobre 1938

IL SOFM ·DELLE musE UW C:-"RDUC:C:W fl \L CINQUANTA al cinquantot- !J to, Ciosué Carducci, ncll'cpistob.- rio e, d'altra parte, nelle liriche, ci lascia una immagine- di sé che poi gli anni non contraddi!òì~ero,ma a poco a poco mutarono come per una maturità umana guadagnata faticosamente, penosamente. _e il Carducci degli impeti e delle ire, questo che troviamo affidato al primo volume dell'rpi.,tolario, ora apparso prcs1:o Zanichclli di Bologna per l'Edizione Nazionale del poeta i e d'impcti e d'irc chc 1 se sortivano dal suo animo, finivano sempre col prendere sulla carta, perfino m quella non dc,;;tinata a stampe e a pubblico, andamc-nto secondo m0dclli appresi e vi~ti in letture e in ~tudi. Si direbbe eh(' per fedeltà a uno stile (in quei tempi a'ncora inct'rto. ancora maniera) Carducci sia andato fahificando nel suo cpi,tolario idee, ~cntimcnti e pa~~ggeri umori. E i suoi corrispondenti, g:li « amici pedanti» o gli altri ancor pili giovanili, erano infine il suo primo pubblico: qucJlo cui forse egli più ,i illuse di imporre una figura non ordinaria di ç,é. Ncncioni 1 Chiarini, Pclo~ini CO!>titui,cono un pubblico letterario che al giovane studente piacrva a suo modo vincere con novità <l'ingrgno, con e~tro,.ità d'immagini. Gli altri, poi, quelli degli anni fra il '50 e il '511 sono compagni occa..,ionali, coi quali non ~i abbandona, cedendo anzi all'inclina1"ione per gli sfoghi prctcnzio- ,j che a ogni Mudentc di liceo sembrano documenti d'anima. Eppurc 1 ci sono lettere lontane, e quasi tra,;curabili nella storia d'un pocta, che hanno accenni a pos\ibilità letterarie, poi per sempre perdute. C'è. nella tr<'dicc~ima lettera. indirizzata a Ferdinando Travaglini, il 19 lugliò 1853, come un animo meno giova•1ilmcntc avventato. \ ·i appare già qurlh ostentazione di pcmiC"ri e sentimt:nti non lievi che ci ritraggono sommariamente il Carducci come davanti a una platea, o da\·anti a uno specchio, a guardare se stesM> rifleSS0 nella meraviglia e sottomissione altrui e nella lastra j vi ri~u!tano ancora i segni di letture vicine, di impressioni Jet ·arie non superficiali ; ma poi non mancano accenti più liberi, di una semplicità che lo scrittore giovane non seppe conoscere che raramente. Se da quella lettrra privata, scritta in una perduta estate intorno al mezzo secolo, si volessero scoprire gli indirizzi che la prosa di Carducci pareva seguire e tentare, si troverebbe fra l'altro una incJinazione a sciogliersi dallo studio classico. Allora {e sia questo nostro non un giudizio, ilnzi appena un accenno} si poteva magari sperare una pro(a piana, nobilmente familiare, diremmo attica; e non furono the par- \·enze. L'umore dt:l giovane impediva già lo svolgersi di una prosa toscana; ma era, del resto, proprio la regione oltre all'umore, a far tentare vcr,;o 5trade meno agevoli. La Toscana granducale, nella sua felice, inerte mediocrità, insidiava Carducci, e lo menava lontano dal g'"nio nativo. « Io, per Dio! gri<lo col Giusti di sentirmi paesano paesano, e anche troppo, e mi sento grande appunto perché abbrucio di uno spregio grandissimo, immcmo per tutto quel che è forestiero. Evviva il buon Carducci uomo alla vecchia ... ». Chr è della lettera a Torquato Gargani, scritta anch'e~sa nell'estate del '.511 con un mazzetto di sonetti ad Alfieri, a Goldoni, a Parini, a Mcta.sta.,,io, dove il tempo è detto «vile», e il secolo cristianeggiante. ~fa quelle dichiarazioni antiromantiche ( e Il Romantici".mo e la nuova scuola è un sogno, che passerà come tutti i sogni e tutte le utopie, lasciando però qel buono»), e quel ripetere il grido del Giusti stanno a farci capire quali impacci soprattutto Carducci ebbe a combattere. La Toscana lo conduceva verso quella cautela che giudic.1.va il romanticismo un fuoco di paglia « pur lasciando del buono » ; lo portava al paese, al buon ~nso della vita sana, al disprezzo delle scuole (degli « ismi », direbbero oggi), gli faceva amare una letteratura da cui tutto, d'altra parte, lo allontanava e lo respingeva. Che se mancò nei primi anni al Carducci prosatore ogni felicità di Hile è pur vero che ciò accadde non per difetto nativo. La sua educazione, il suo studio lo menavano a diffidare del nuovo, ma erano poi qucJla educazi'>ne e quello studio medesimi che dovevano allontanarlo dalla povertà orm,-i.i •vernacola della lettnatura paNana delJa sua regione. Giu.,,ti, Carducci lo combattè in sé fino a giungere alla faJ.,,ificazionc- dei ~uoi sentimenti ; e se era un fahificarc, era in vista d'uno stile, e anche in cerca di una verità meno legata alle comuni apparenze. A poco valgono co,ì i consi~li al Gargani dove dichiarava Fo<colo e Leopardi troppo latini, corn;igliando di e accostar~i a modelli pill paesani », che era un giovanile consiglio. Carducci non ".fu.~~iva alla sorte che rendeva così arduo il lavoro drgli scrittori italiani. Anche pC'r lui, proprio come per i « latini » fo'ICOIO e Leopardi, accadeva di castigare attravcr'io forme cla~~ichr c. ma,~.ari, t~1lvolta, accademiche, i di'lordini di una LA CO)l.\llSSIO:-il PEII. L'AcaTIAZIO:-il PELLE oru1 VISITA LO STUDIO DEL PtnOll.lt I OO)UllSSAB.11"Va bent) allora prendiamo qnNto", (Di,.Ji B,noli) tradizione letteraria divcnu~a popolare e comune. Eppure, in momenti di abb<mdono, Carducci continuò a lungo ad indulgere a uno scrivere poveramente familiare. Va alla Normale di Pi,;a e ,;;j pcn~a dottore: ~crive alla fidanzata Menicucci, e le dice: « Dunque io, a' primi di novembre, sarò imma,icabilissimamente in Firenze per ... mi scappava detto abbracciarti, e ripartire poi in vapore la mattina dcli' 1 r. S.uò piuttosto bello in abit.o nero e con la tuba». L'epistolario di Giacomo Puccini, che è degli ultimi paesa.ni toscani, ha di quei modi fra scherzosi e commossi. :via Carducci contraddisse in sé quella Toscana, pur lasciando intravedere almeno nelle sue lettere una vita tranquilla e povera, fatta di abitudini familiari e civiche, ormai comunemente accettate fino alJ'intorpidimento della coscienza. Era l.t vita famili:ue della casa del dottor !\1ichele, dove diventavano gioie i e desinaretti »1 e pene le piccole spese; e di essa vita Carducci porta il peso e la insofferenza. Ma gli avvenimenti, anche i più forti, non hanno sempre .corrispondenti riflessi nelle lettere di Carducci. La morte del fratello, se dette modo al poeta di scrivere versi fra i migliori, non ha lasciato nella lettera del 10 novembre 1857 a Ottavio Targioni Tozzctti che qualche generica fra~. « Lo scrivere della morte di lui sarebbe tema degno di Giacomo Leopardi ». Poi, fra modi più commo,;si, accenna alla Grecia. t tuttavia nella lettera della morte del padre (a Giuseppe Chiarini, 1 _ 1 agosto '58) che Carducci ha i segni di una verità più diretta. JI racconto pare di un toscano antico, come se di questi toscani Carducci, davanti a un vero dolore, avesse ritrovato la semplicità, l'atticità d'una prosa senza ardua elaborazione di stile. « Mercoledì, benché non si sentisse di peggio, chico;c e volle i s;acramenti... Stamane, domenica, ha voluto l'e,;trema unzione ; e ha detto alla mamma che ci facesse scrivere, e l'ha detto con la premura più grande. E s;tava sempre peggio, e ~offriva terribilmentc 1 e non poteva re\Pirare. Poi ha detto: - a che ora avranno la lettera quei ragazzi? in tempo di desinare: tutta quella gente si turberà; non possono venire se non con l'ultimo treno : non faranno a tempo. - Poi ha mandato a. chiamare il prepo\tO e gli ha domandato: - avete da farmi altro? - Vi posso dare la bene• dizione in articolo mortis. - Datemela. - Al tocco r risalit•'> da sé in letto (ché era levato): e si è addormentato: svegliatosi, ha cominciato a sudare, e ha detto "l ldcgonda, questo è il sudore della morte". Ed è entrato in agonia, e moltis~imo ha ".offerto o;cnza mai lamC"ntarsi, e da ".é si è acconciato i guanciali, e da sé si asciu• gava il sudore». Dove poteva e-.'iCre il principio di uno stile minore cui poi mancarono le ragioni dello svolgimento. La To'icana granducale costrinse Carducci a un diverw studio per raggiungrrc uno stile sciolto da ogni ombra di parlare familiare, cd è forse per quc~ta nece!-.<tità di contraddire quelle che erano, anche per lui, inclinazioni naturali che la sua prosa conosce tante pagine dove è il segno di un lavoro non sempre frlice. ARRIGO BENEDETTI I . . ft: i\ QUESTO Garibaldi a Napoli n,l IJ 1860 di Gustav Rasch (cd. Latcrza), rcs1a :incora più documentata quella frattura che in Italia, e ?.ncor più nei pae,.i tedeschi, si Produsse fra gli anni del '48 e quelli intorno al 186o. t noto infatti come gli entusiasmi quaran1otteschi, in Germania, svanissero assai presto. I risultati di quell'anno erano stati ben miseri. Le poc.hc schioppettate di Ber. lino non bastavano ad instaurare una tra. di:r.ionc rivoluzionaria: il tentativo di unificaz.ione per mezzo di un'assemblea era fai. lito; $Cguiva Oimiitz: e il definitivo abbandono da parte dei politici delle ubbie democratiche e popolari. Perfino gli uomini del parlamento di Francoforte non vollero più parlare di liberalismo e di democra:r.ia: Droysen abbandonava, in filosofia, la teoria de!- l'dho1 per quella molto più attuale della macht, c Stahl rimproverava alla scienza tede~ di e~rsi posta a con1rasto con i poteri dominanti. La situazione veniva apprezzata e riassunta da una frase di Federico Guglielmo IV: < Chi vuol governare la Germania deve conquistarsela. I metodi alla Cagern non vanno più >. Il '48 rimaneva $Oltanto nel cuore di pochi esuli. Erano democratici senza speranza né ~guito in patria, che però trova,,ano conforto nella fede dei Garibaldi e dei Kossuth ; la dottrina maniniana della ri. voluzione delle naÌionalità oppresse: in fun- :r.ionc della liberazione individuale di tutti gli uomini trovava in loro i suoi più fedeli e caldi sostenitori. Cli esuli di tutta l'Europa vedevano la situazione, se si può parlare in termini matematici, come problema a due incognite da determinarsi simultaneamente: indipendenza e libertà. Ma presto ranno d('lle rivoluzioni rimase nel loro cuore non tan10 come esperienza per future prove, quanto piut1os10 come sogno e ricordo di giovincu..a. La Germania ufficiale, poi, contrariamente all'Icalia, ripudiava decisamente quel ricordo e si metteva per altre vie, più facili al suo popolo, più rispondenti ai bb1ogni di una particolare situazione s10. ric:a e alle tradizioni dei suoi governanti. Quasi ignoto in patria e nel resto del mondo, pt-r il solito disconoscimento non solo germanico \·er10 gli uomini che hanno visto fallire il loro programma, Gus1avo Ra.sch è uno dei libera.li del '481 uno di coloro che v~dcvano l'unificazione tedesca non come problema pruuiano secondo un programma. < piccolo> o e grande trdesco >, ma come necessità universale ed umana, riponendo fiducia anche nei metodi alla Cagern. Era dovuto fuggir,cnc dalla pa1ria in seguito alle barricate di Berlino. Arrestalo al suo ritorno dopo una srric di viaggi europei, scontò la sua pena. Fedele alle idee ormai sorpassate. veniva in Italia a cercare quell'aria che a Berlino non poteva respirare. Avvicinà Garibaldi e Cavour, amando la c.au~adella libertà italiana come quella della sua patria Nel 186o, poco dopo l'ingresso di Garibaldi nella duà, era a Napoli, oucrvatore appassionato dei fatti in metro a cui si trova.va. [u Italia, infatti, si stava effettivamente att.jando queJla ~ollaboraz.ioncau,picata anche da democratici tedrschi, fra l'azione del governo e del popolo che in Germania, con il rifiuto di Federico Guglielmo IV, era mancata. Se il '48, anche presso di noi, era finito da un pezzo, purr- non c'era stato nessun taglio netto fra democ.r.uici e mode.rati. In un dr-c,r-nnio,dal '49 al '59, le mutue r,r-criminazioni erano state fatte taceIl re, mentre Cavour e la monar<:hia davano una. base per i futuri accordi. Compiuta la revisione dei rispettivi programmi, tutti si enno dati all'opera comune. Balbo a\o,;\a potu10 rinunciare a quel sacrificio della libcnà in favore dell'unità che gli era parso ncccuario; Gioberti raccoglieva le sue nuove espcrienz.c nel Rinnoutlmento. Insomma, si preparava una classe politica e si dclintavano i lineamenti di quella nuova e destra> che fra breve avrebbe saputo trovare il pun. to del più solido equilibrio fra gli opposti termini della questione. 11 mcri10 dì tutto questo era anche di Garibaldi e dei suoi: l'idea repubblicana era una forza ancora vivissima, forza che, per volontà e circostanze, si seppe piegare nel migliore dei modi alla causa comune. Il Ra.sch comprendeva bene anche questo, e se le sue simpatie personali e il suo pa.ssato lo spingevano verso l'ala estrrma del partito unitario italiano, sapeva pur comprendere quell'ossequio alle superiori necessità del pat-sc che Garibaldi non volle trascurare. • Del res10, nel volume del RaS(..htali questioni sono sempre viue di scorcio. Sorgono da.I discorso con un po' di noncuranza e se ne traua di passaggio. E naturalmente, per esse come per le altre minori, non possono bastare due rìghe per farci trO\:are conscn• tienti alle conclusioni dell'autore; come quando, ad e ""mpìo,si critica il Cavour per non aver lasciato a Garibaldi la carica di governatore dell'Italia meridionale. Cosl, per due teni, il libro non è composto che di notazioni di viaggio, "divertenti magari ma spe"o oziose, di deJCrizioni di sfilate, uniformi e battaglie fumose con dei bei paesaggi di sfondo. I grandi per10naggi non ~no affrontati o considerali espressamente; ma appaiono di sfuggita e qua~i per cuo: Garibaldi che 5j volta a metà di una 1ea• linata per ringraziare dell'applauso i suoi volontari; il re Vittorio Emanuele 11 aneddotico, un Garibaldi appena un poco più maestoso. Si incontra anche un Crispi molto romantico e un ritratto di un colonnello Pcard, pochissimo conosciuto fra i Mille, gentleman di Cornova~lia e Cacciatore delle Alpi. Con essi, molti minori, garibaldini, prigionieri borbonici, legionari calabresi che non vogliono marciare, polacchi, ungheresi feriti e prussiani. Tutti, perà, sono dei bei giovani coraggiosi, dall"aspetlo marziale e con le diviM! ornate di penne, f.Ciarpe e spalline lucenti. Insomma, un esercito gari. baldino quale ce lo immaginiamo noi, armato alla meglio, chiacchierone e pieno di entusiasmo. Sullo sfondo, il popolo italiano, intorno al quale l'autore non spende veramente trop• pc parole. La sua ammiraiione srmbra che vada tutta alla borghe~ia ligure e lombar• da che forniva a Garibaldi i suoi volontari. Gli altri, sono tutti in pieno BaedeJur: i fic.rentini modesti r gentili, i napoletani allt"gri " rumorosi. La Napoli vista dal Ras.eh è degna di una guida turistica. Cosl gli osti, 1 musei, i venditori ambulanti e i e calessari >. Comunque, il libro resta un ottimo documento di quella trasformazione spiti1ualc a cui prima. si accennava e che in Germania. por1ò all'opera esclu~ivista del Bi. ~marck, in Italia a quella Cattiva collaborazione fra governanti e govcrn.ati che \embrava destinata a frutti mi~liori di quelli che in realtà non deue. MARCO CESARINI (CORRIEARMEERICANO ) i~ ij)~\f ij]l@ !iiil JIE UNVANQUISl!EO, l'invitto, ! (Random Ilouse, New York), si intitola l'ultimo romanzo di \V11liam Faulkner, cd è uno dei suoi meno felici. Dieci romanzi egli ha scritto con questo; e i primi furono opere di formazione, Soldiers' Pay, Sarloris, A1osq11itoes, Tlit sound and tht fury, As j lay dyi11g, tutti molto notevoli, e ognuno con qualcosa di eccezionale, ma in sostanza opere di rovello, ricerca, e affaticati. Poi \'Cnne Smict,wry, e fu l'atto di liberazione per la fantasia d1 Faulkner. Segui Light i,, August, luce d'agosto, e fu luce, un grande capolavoro, nuova forma completamente raggiunta nella letteratura americana e del rnondo. Pylon, in italiano pubblicato (:'\-Iond3dori) col titolo Ogri si vola, confermò le euforiche condizioni di fantasia dello scrittore, e se non fu d1 nuovo un capolavoro fu pur sempre un grande libro. Con Abu,lom, Absalom!, nono romanzo {su questo giornale, n. 1, anno I, reccnstto da :\lario Praz), l'arte d1 Faulkner riapparve inefficiente, come un'altra volta in rovello, e congestionata non per una sua forma rBRi:(iunta,ma un'altra volta per ricerca d1 forma. In The unf.Janquished, romanzo decimo, non vi è congestione, e ruttavia l'inefficienza continua ... Che cosa è accaduto? Proviamoci ad osservare Faulkner nel tessuto stesso della sua fantasia, nella sua prosa. Possiamo dare, naturalmente, indicazioni che portino a definire tutta la sua prosa in genere: dire com'css:i. sia vicina, per struttura, alla prosa di Conrad, nata forse proprio attraverso uno studio in~amorato della prosa di Conrad e cresciuta attraverso le preoccupazioni espressive che in ogni scrittore formatosi dopo la guerra ha determinato la novità di Joyce, eccetera; dire inoltre come sia prosa abitata da un istinto di solennità che continuamente l'espone ai pericoli dell'enfasi; dire infine come abbia una tendenza a torreggiare per la quale, qualche volta può venirle facile torreggiare in virtù d'abitudine, senza interna virulenza, i,- somma a vuoto, e raggiungere effetti da prosa vittorughiana. Ma prendiamola nel suo più alto stato di grazia, in Luce d'agosto, o anche in Pylon. Allora vediamo svolgersi in essa un mondo duplice, nutrito, immagine per immagine, da una duplice vitalità, L'immagine, ossia, è sempre accompagnata da una sua seconda incarnazione, ombra alle volte, e alle volte maggior luce, che in apparenza rafforza la prima, ma che in sostimza esprime un altro impulso della fantasia, un altro filone, un altro• ordine di idee,. L'immagine, ad esempio, dà un albero, o un gesto di donna, un grido di bambino; ed ecco, accanto, fatto scattare dalla molla di un • come se, o un • anche se,, sorgere (e senza costituir paragone) lo stesso albero, o lo stesso gesto, lo stesso grido in un mondo (dico mondo, non modo) completamente diverso. Non questo, beninteso, per un gioco di attribuzioni psicologiche relative ai personaggi. t nella scrittura, nella prosa, clic questo avviene; è la fantasia poetica di Faulkner che ha bisogno di esprimersi e si esprime una seconda volta; cd è appunto da tale necessità intima della fantasia dt creare contemporaneamente in due regni diversi che prendono origine tutte le duplicazioni, anche psicologiche, anche esterne, dell'arte di Faulkner. Passando ad esaminare la prosa ultima di Absalom, Absalom! e di T}. 1mvanquishtd notiamo che la duplicità esiste sempre, ma che la seconda immagine è, di volta in volta, una semplice ripetizione della prima, ossia paludamento. Non ha più vita sua, è qualcosa di forzato c di floscio, un morto strascico dietro alla prima. Pure si vede chiaramente che lo scrittore non può separarsene; in Absalom, Absalom! egli lotta per non trovarsi dinanzi alla necessità di separarsene; in The rmvanquished non lotta più, si lascia andare, e la duplice ricchezza della prosa, tendendo a fondersi in una ricchezza sola, diventa incolore in tutta la sua estensione. Questo è accaduto. Ma che cosa è? Un male nella fantasia? Un male nella prosa? Io non lo credo. Credo piuttosto che tutto il male dipenda da un errore di partenza. In entrambi i suoi ultimi libri Faulkner ha preso una falsa posizione dinanzi alla propria fantasia. Tanto Absalom che Th~ u,manquishtd si riferiscono a personaggi cui Faulkner aveva accennato in altri libri. Peggio: si riferiscono a personaggi visti come• antenati • di per• sonaggi d'altri libri; a personaggi che ripetono, indietro nel tempo, le caratteri• stiche psicologiche, esteriori, d1 personaggi d'altri libri. Ma qui non s1 fa questione di personaggi; si fa questione di motivi; i motivi ai quali i personaggi appartengono. Ebbene: Absalom e Tht Uttva,,quished nprendono moti"i accennati in altri libri e li svihppano. ln che dominio? Sempre m quello della fantasia, pensa Faulkner. E in tal senso si sforza. Da qui la sua falsa posizione. Quei motivi erano già negli accenni degli altri libri. Accenni erano nati, cd erano completa~ mente creata, conclusi in qualità di accenni. Lo sviluppo loro in Absalom e sPecic in The wrna,rq11ished avviene dunque per virtù d1 schema, premeditazione. Lo scrittore non concepisce, bensl medita, ragiona, trae conseguenze; i suoi fantasmi deriva a forza d'ingegno da nitri fantasmi; e In sua prosa, tagliata fuori dalla fantasia, scorre sen.:a più la vita che le dava duplice forza. Quello che in The 11nva,1quished si sah•a è, qua e là, qualche cosa che, pur nel meccanismo della premeditazione, porta o implica motivi nuovi. La storia riguarda una famiglia nel ).1czzogiormo americano al tempo della guerra civile, e precisamcnre durante gli ultimi due annl della guerra e i primi anni del• periodo cosi detto d1 ricostruzione. [ motivi che sviluppa riguardano, nel risultato esterno, orgoglio e pre!\unzione d'eroi~mo, battuti ma non vinti. ).folto efficaci e pieni di verità poetica questi motivi erano stati in L11u d'agosto come sfondo alla desolazione del vecchio rJ1ghtower, o di miss J3urden. Ed efficaci erano stati in qualche racconto; efficaci erano stati, pit'.1o meno, anche in Sartoris. Ora, in Tht 1mt·anquislud, presi e svolti per se stessi, appaiono non solo chiaramente esauriti, ma persino quasi estranei alla natura di Faulkner. Eppure costituiscono la ragione nativa del rom:::nzo. La novità, in essi, tra essi, è data, di tratto in tratto, dalla rappresentazione della terra americana 186o-70 come un11 memoria di terra primigenia, un principio del mondo; e dalla innocenza di un fanciullo nella partecipazione al sogno cli orgoglio degli adulti; dalla fraternità benedetta tra il fanciullo bianco figlio di schiavistll e il fanciullo negro figlio di schiavo; infine, dopo furore e furore, da una rinuncia alla vendetta che non si sa se è perdono verso il n~mico o pc:-dono verso se stesso. Th~ unvanquishtd è stato molto festeggiato dalla critica americana meno esigente; e sembra si avvii ad avere il grande successo di pubblico che un'opera con• venzionale non manca quasi mai di avere n questo mondo. ELIO VITTORINI I ·uNIVERSITA' Cattolica del Sacro ,la Cuore ha raccoho le conferenze della 1ua commemorazione leopardiana. Quali siano state le incertezze nell'oraina una commemorazione per molli aspetti dif. ficile e per moltissimi altri impossibile, dice P. Agostino Gemelli ; poi gli altri conferenzieri si sono scelti un tema da svolgere con sapienza più retorica che critio. e Leg. gcnda e verità intorno a Giacomo Leopardi >, è il titolo del disc.orso del prof. Romolo Vuoli, ordinario di diritto coloniale; < La donna nella p«sia di Leopardi>, quello del discorso di Maria Sticco, lettrice di lingua italiana ; < Ragione e fede di Leopardi>, quello del discorso di G. A, Lc- ,-i, profesSOredi liceo; e Giacomo Leopardi " Anima feri1a - da la discorde vita " > è l'ultimo, dovuto a. Giovanni Colombo, assistente di letteratura italiana. 1fa perché ragionare di Leopardi e S,m Francesco come ha fatto Paolo Arcari dell'Univcnità di Friburgo? t vero che queste commemorazioni accademiche spesso esigono i 1cmi più strambi e occasionali. Si rivolgono e.uc più che a studiosi, a un pubblico che fre. qurnta le sale, i ritrovi dove lo studio cede il posto al diletto e alla curiosità cultura.le; comunque ragionare del e Messaggio di San Francesco nel centenario lcopardia.. no > è come scegliere un tema buono soltl'nto a divagazioni di gusto incerto fra il brillante e il familiare. Tante le parole improprie, non appartenenti né al vernacolo, né a. gergo, piutlO• sto nate da un capriccio, e 1alvolta dal più presuntuoso dei capricci, e Filmare>, < visionare >, e parcheggiare >, e commissionare>, e cscntass<'>, < propagandisticu », e noveccntiStico >, e cosi via vanno sulla bocca delle moltitudini, ma non spontaneamente. Esse infatti non servono né a sil;'.nificarc con estrema concisione- un atto, una cosa, una qualità. Estranee ai dialetti, ma.i po• tranno entrare nella lingua, e sempre con. $CTVerannoquel loro carattere astratt,:, e superficiale insit:-me. Sono parole udite al cinema, lette sui giornali di varietà e asco!• tate in una conversazione, o ma.gari full:gc. volmente in tram. Restaror:o nella. memoria non per la loro efficacia, ma anzi ptr la loro sprecisionc. Sono parole che dicono più di quello che dovrebbero e che paiono conferire un tono tutto particolare a chi le usa. La lingua finisce con l'es$Cre un mezzo continuo di falsità. Si falsano i propri sentimenti, e si infirma per 6C'mpre il proprio carattere. Come se una classe media ambiziosa, e pigra pur nelle sue ambizioni, impedisca ogni naturale sviluppo della nostra lingua. Jl linguaggio popolare trascur:i.to o falsificato dalle classi medie, che vi temono un segno d'origine, si trova ad essere isolato completamente; la letteratura, quando non voglia fare del colore e del folclore, lo abbandona e, costretta a ignorare le parole fai.se e artificio~e che n.on. significano che v:i.ghe e piccole ambiZI001 1 s, trova come costretta a una purezza che ipesso diventa facile e incapace di qualsiasi novità. CA.LIBANO

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