Omnibus - anno II - n.44 - 29 ottobre 1938

nirc con me stesso che grandi cose da \'(.•dt·re non ce n'erano, appena forse un po' di animazione nervosa. in Via degli Avignonesi, dove era la sede del Partito Fascista. Solo la stazione, nel tardo pomeriggio, mi fece impressione: nessuno partiva, nessuno arrivava, la tettoia nella luce gialla era più povera e provinciale che mai, rivelava nell'accasciamento tutta la meschinità della sua attrezzatura e delle sue dimensioni. Era piena di guardie regie con le mantelline corte arrotolate, i moschetti ad armacollo. Non mi sembrava più di stare a Roma, ma a Monastir, a Santi Quaranta, in una qualunque città dei Balcani in tempo di rnobilitazione o di sommossa. Il vecchio Valiani mi riconfortò, pur vuoto di consumatori com1era 1 con l'aspetto familiare delle sue scansie piene di bottiglie, e la sua pubblicità dei carciofini. Al banco uno dei baristi era un «cliente», nel scnsò romano, di casa nostra., un calabrese che a Natale ci portava ceste di fichi secchi e di uva passita e durnnte tutto l'anno chiedeva a mio padre raccomandazioni per i figli, per i nipoti, per i cugini : e Ha saputo, signorino>, fece schizzando il selz nella menta, « questa sera è tornato il re. C'era Facta a prenderlo. Ora dice che i treni non ani• vano più. Che succederà, signorino? Il commendatore chf' dice? >. Molti credevano che un consigliere alla Cor• te dei Conti sapesse i segreti di Stato, e mio padre, quando gli domandavano : « Ma alla Corte che si dice? > ri• spondeva con un gesto impreciso e dei sospiri che salvavano il prestigio del consesso ed il suo. Un cameriere intervenne: « Ci sono i cavalli di Frisia a Porta Pia. Qua finisce a botte, vedrete>. Un altro ripctè due o tre volte: « Ari/amo la breccia ». I '1iornali della ~era dicevano: mobilitazione fascista, ma col punto interrogativo. Anzi, un corrispondente da Pisa.del Giornale d'Italia, dopo aver riportato un manifesto della Federazione provinciale fascista che annunciava: « Noi marciamo su Roma>, affermava che i fascisti intendevano par• lare di « una marcia spirituale>. A ca.sa cominciavano a infiltrarsi inquietudini, mio padre disse che si parlava di stato d'assedio, mia nonna citò il '98 a Milano e Bava-Beccaris. Mia zia scartava tutte le inquietudini con una rcd ... imperterrita e vedeva tutto fa. c1Je: i soldati non spareranno, i fascisti passeranno, la Camera avrà il fatto suo. E così in famiglia si dibatte• vano, con accento napoletano, fra le carte del solitario di mia nonna e le tazze del caffè, gli immutati problemi della coscienza civile : i limiti del dcvere d'obbedienza, la coincidenza fra la legalità e l'ordine. • La serata era mite. Decidemmo di uscire, con la vaga speranza di as.si- .stcre a qualche cosa, o forse solo obbedendo all'istinto che nelle ore incerte ci sospinge verso le luci e i no• stri simili. E poiché ci attirava Porta Pia coi suoi cavalli di Frisia, andammo alla Cremeria Reale in Via XX Settembre. Lasciando gli anziani intorno al tavolino del caffè, mia cugina, mio fratello cd io ci spingemmo verso Pona Pia a vedere se <:.'erano davvero i cavalli di Frisia, e domandandoci che cosa potessero esse.re. Scn• tivamo la solennità dcU'ora, ma di queste cose riesc~ difficile parlare i~ famiglia, e cammmavamo piuttosto s1• lenziosi. Via Nomcntana infinita e deserta dava un senso di angoscia, ma la Porta. alle nostre spalle, con le sue vecchie mura piene di esperienza, sor: geva pacificante. Il bello è che quesu cavalli di Frisia non mi ricordo se quella sera li ho visti veramente, o se soltanto ho racoontato di averli visti e poi ho finito per creckrci. Quan• do tornammo al caffè, al nostro tavolo si era seduto un deputato meridio• nale del partito popolare, aoC?ra alla sua prima, e credo anche ultima, legislatura. Qualche giorno prima aveva detto a mio padre: e Fra sei mesi tutta l'] talia avrà la tessera del partito popolare, e voi pure, ?on Alessa~- dro ! >. e Tutto può darsi>, aveva n• i;posto mio padre. Ora però gli ricordava scherzando la sua profezia: « Non mi pare che stiamo proprio su quella ,trada >. L'altro si difendeva ancora: e Aspcttate 1 aspettate•: I fascisti, diceva non hanno espenenza, come vo• lctc 'eh~ occ-upino i Ministeri che hanno chiesto? ... E autorevolmente con• fennò: « Avremo un Mini5tçro Salan• dra ». Era l'eco della Sala dei Passi Anno II • N, U • 29 Ottobre 1938-un MNIBUS SETTIMANALDEIATTUALITA POLITIOA E LETTERARIA BSOE IL SABATO IN 12·1& PAOJNE ABBONAMENTI Italia e Impero: auno L. 4.21Hme1tr9 L, 22 Eete:o 1 11.EIDO L, 70, 1emeuu L. 36 OOlll lfUIIIERO DNA LIR..l lhnoaorhtl, dlaegnl • fotograS1,anoh, u 11011pubblicati, uo11 11 ruthul1co110, Dlt1J.loa1: Ret11a• Plu1a della Pilotta, 3 T1l1fonoN. 66,470 .lm.mlalltru.foa.: lflla110• Plana 0ulo Erbai 6 Telttorio N, 24,808 PabbUdti: Per millimetro di altena, bue onacolonu1 L, 3, Rl•olgeul all'Agulia O. Bruchi )(l!ano, Via Sal•ln!J.10, Telefono20-907 Parigi, 158R, neda l't.nbonrgSalu'"-Hooori .lOO8TO 19U - SCORTE A.lUIA.TE BUI TRENI Perduti. I giornali già vi accennavano. Orlando era superato, Salandra era quello del « maggio radioso >. ~ Giolitti? E Giolitti no, almeno nel pn• mo tempo; e poi non poteva nemmeno venire a Roma, perché i treni non viaggiavano più. Mia zia propose freddamente: e E, scusate, perché non un Ministero Mussolini?>. e Donna Giu• scppina, donna Giusep~ina, voi scherzate! E dopo, come s1 presenta alla Camera? Come volete che abbia la fiducia?». Ne nacque una breve polemica, e mia zia ricordò appassiona• tamente le bandiere insultate, i mutilati offesi per le strade: « Episodi, don• na Giuseppina, incresciosi episodi, ma episodi>, attenuava l'onorevole, fin• ché mio padre si coprì, tol~ la seduta e pagò il conto. Non ho l'impressio: ne, a ripensarci, ora1 che qualcuno .d1 noi fosse inquieto per la monarchia, eppure in casa siamo tutti monarc~ici e per avere avuto un nonno a1u• ta 1 nte di campo di re Umberto ci sentiamo legati alla dinastia come ~ la avcs.simo accompagnata alle crociate. Senza dubbio il discorso di Napoli al San Carlo, quattro giorni prima 1 era servito a prevenire il fornrnrsi di qualunque ansietà di quel genere : la Corona non era più dietro il Ministero, come nelle crisi normali, ma al disopra. L'indomani fu il giorno dello stato d'assedio. Tante prefetture erano già occupate dai fascisti, e i giornaH annunciavano gravemente che a Pi.sa, ~ Perugia, a Piacenza e a Cremona, 1 poteri di pubblica sicurezza erano passati aJl'autorità militare, come a Roma stessa. A dir proprio la verità quella mattinata fu veramente triste, per quanto ~'?'i, a distanza, quello stato d'assedio fantasma, apparso e scom• parso, del quale non si saprà mai se lo abbiamo visto veramente o se è stata soltanto un'illusione ottica, possa ~brare un po' comico. Quelle parole: « l'autorità militare>, risvc~lia• rono malgrado tutto qualche cma in fondo al cuore che contrastava dolorosamente alla propemione istintiva: non era più un Mini~tcro effimero che tentava di sbarrare il passo al movi• mento nazionale, ma uno degli elementi permanenti ed essenziali della nazione stessa. Questa storia della vecchia Italia seminata di Aspromonte e di Fiume,' che calvario patriottico! ).falinconicamcnte, uscii: era una giornata piovosa. I tram non circolavano, pattuglie fermavano le nutomobil~ pr!• vate e le invitavano a rientrare 111 rimessa. Nei cortili dei Ministeri giace· vano in attesa i soldati. Questa volta vidi davvero i cavalli di Frisia: ce n'erano sul ponte davanti al Palazzo di Giustizia, non parevano un osta• colo molto temibile, né i soldati a guardia avcva?o l'aria c~nv~nta.. I~ piazza della Pilotta gruppi d1 cunos1 S06tavano a guarda.re le autoblinde, grigie come pachidermi, che custodivano il Comando della divisione. Stra• no, a poco a poc:;o,stando in mezzo alla gente, le mie preoccupazioni si am• morbidivano, sentivo confusamente e resistendo che ero stato esagerato a pormi ur. dramma di coscicnza1 quasi me ne volevo come una ingenuità. Da quei passanti preoccupati soprattutto della mancanza dei tram emanava una confortante sensazione che tutto qucll'appa.rato di forza era una mostra. Roma sentiva d1istinto l'assur• dità di un urto sanguinoso fra gli uf• ficiali dell"cscrcito e i fascisti, e non prendeva sul serio quel tardo tentativo di fcnnezza governativa. Nel pomeriggio, il clima si ri~aldò. I gruppi di fascisti che circolavano più liberamente si fecero più &requenll e più folti, ne vidi parecchi stracciare indisturbati i manifesti dello stato di assedio, e le prime bandiere cominci~- vano a sventolare alle finestre. Noti• zie di incidenti balenavano ogni tan• to, sentii dire di revolverate a piazza dcli' Ara Coeli, di conflitti fra fascisti e fornaciai al quartiere Trionfale. Di giornali uscì soltanto, mi pare, il Paese, ostile al fascismo, ma verso sera i nazionalisti in C.."'lmiciazzurra distribuirono gratuitamente una edizione straordinaria dell'Idea .Vaz.ionale, un foglio solo che annunciava che il re aveva rifiutato di firmare lo stato di assedio. ln Galleria Colonna la folla li accolse con battimani, e lo squadrone delle guardie regie a cavallo, al• !:umato da quel chiasso, si spinse fin sotto il colonnato con molto spriuar di scintille e fragore di zoccoli sotto Je volte, e poi se ne andò come era venuto. Passò per il Corso un camion pieno di fascisti, a grande velocità. Forse andavano a far a revolverate a San Lorenzo. Cantavano, lanciando alalà, le lunghe nappinc nere dei fez da arditi scosse sulle spalle, moschetti e man• ganclli in aria. A Piazza Barberini, piena. di fascisti, vidi bruciare un mucchio di giornali. Li prendevano da un'edicola a fasci, li buttavano sulla fiamma pigra, sbattuta dal vento, qua• si invìsibile, ed era un gran dimenare di scarpe e di bastoni per ravvivarla. La gente guardava, qualcuno appro• vando, altri senza dir nulla. Guardie non se ne vedevano: da quando la sede di via Avignonesi era stata restituita ai fascisti dopo una breve occupazione, piazza Barberini era territorio fascista. C'era certamente chi pemava all'olio di ricino, e faceva il suo esame di coscìenza nella sempre più evidcn~ te imminenza della vittoria del Fascio, ma indubbia.mente il volto della città non rispecchiava nessuna apprensione. Chi sa che avranno fatto i ministri a quell'ora? Telefonavano ancora a qualcuno? Mandavano ancor-d telegrammi cifrati? Gli ?neddoti CO• minciavano a correre, s1 raccontava che un ministro avesse lungamente dato istruzioni telefoniche per la re• pressione... al generale De Bon~ in• stallat06i nell'ufficio del 1\-efetto d, Pc• rugia. Verso sera ci fu una dimostra• zione al Quirinale: mi ricordo Raffaele Paulucci che gridava: « La gen_cra• zione di Adua e quella della Vmo• ria ... ». Poi apparve Filippo Crem~ncsi che era stato dal re a portargh le e;pressioni di devozione _del m1:1nicipi~. Vidi da lontano il panciotto bianco, 1I pizzetto brizzolato, il pol,;ino inamidato che gestiva nell'aria imbrunita. La gente applaudiva anche lui, ma gli ap• plausi avevano un tono cordiale e con• fidcnzialc. Le giornate seguenti mi si presentano alla memoria come un giorno solo lunghissimo e insieme brevissimo. Andavamo con mia cugina continuamente all'HOtel Bristol, dove si era insediato il Comando fascista, a domandare notizie della colonna Igliori. La piazza era mantenuta sgombra da un cordone di triari. Non mi sembra che la notizia dei gravi incidenti del quartiere Trionfale e di piazza Italia o quella delle incursioni dei fascisti nelle redazioni del Paese, dell'Epoca e del Aloudo producessero molta impressione. Ormai si era tutti orientati in modo positivo l'annuncio della formazione del Ministero Mussolini aveva chiuso la porta sul passato. In due giorni un regime durato sessant'anni era <:.rollato, ma si guardava piuttosto all'oriz. zonte sgombro che alle macerie. E poi ora che il pericolo era passato se ne comprendeva meglio la vastità: a ve• dere tutti quei giovani dilagare dalla periferia al centro, marciando per tre dietro i gagliardetti, quelle facce risolute, quei movimenti nervosi, quel• la stessa loro gloriosa sporcizia di accampati 1 i borghe:si perplessi e i tran• vK'ri ostili capivano bruscamente che nemmeno lo stato d'assedio avrebbe potuto fermarli. « Non si sarebbero fermati>, mi disse un mio antico pro• fessorc del ginnasio, « come non si SO· no fennati i Mille a Calatafi.mi >. « E allora sai che macello! >, interloquì un giovanotto magro con un impennea• bile pieno di bottoni, di fibbie e di controspalline. Aveva la faccia scura, una piega amara alla bocca, e poiché da Pona Pinciana appariva, ancora lontano, un drappello con un gagliardetto, camminando spedito e cantan~ do sonoro: « Addosso ai comunisti - che non si son mai visti >, si tolse il cappello come se avesse caldo. Ho assì.'i-titoda una finestra della Consulta alla sfilata delle squadre in piazza del Quirinale. Sotto a noi la gente premuta e spremuta fra i cordoni e il palazzo vociava: e No spig,,tte . 1 >. Non vedevo il re, ma solo lo spigolo del balcone e un signore della Corte che vi si appoggiava. Le squadre non finivano mai. Noi aspettavamo sempre che apparisse la colonna Igliori. C'erano dei fascisti a cavallo, mi pare pugliesi, con un largo sombrero. Gli alalà tuo:1avano dopo il guizzare minuto degli eja, e grandi cartelloni ogni tanto veleggiavano sul fiume nero con un nome di città : la folla consapevole applaudiva le squa• drc delle provincie più insanguinate. Una signorinetta ossigenata che mi pungeva un fianco con il suo osso iliaco aguzzo ed era molto eccitata dal fatto che in una finestra vicina c'era Delia Laure~iana, ripeteva ogni dieci minuti : « Ma quanti sono! Ma quanti saranno! >. La cupola di San Pietro si fondev:l col ciclo grigio nel• la sera giungente, e due staffieri ap• parvero sul balcone reale e posarono dei grandi doppicri sulla balaustra; non m perché la folla applaudì, for;e si rese conto allora che il re stava al suo posto da tanto tem~ e gliene fu grata. Finalmente apparve la colonna Igliori, dopo tanti « Eccola, eccola> spesi inutilmente da mia zia e da mia cugina: era riconoscibile per la mutilazione e per i capelli biondi del suo comandante, che cavalcava in testa. Dietro a lui c'era un altro cavaliere, e noi gridammo in coro : « Adriru10! Ecco Adriano!> e .io mi sentii un nodo alla gola, a dire il vero, con la sensazione che la signorina ossigenata e quelli del suo gruppo ammirassero un poco anche mc, parente dello squadri• sta. Mia zia sospirò con tenerezza: e Come è pelato! > e infatti a quella distanza sparivano i pochi capelli che ancora ornavano il cranio di mio cu• gino e il luccichio della sua calvizie cc lo segnalò ancora per qualche tempo sulla colonna che si allonta.nava per Via XX Settembre. Quando uscimmo era molto tardi, e file di gente che rincasava occupavano i marciapiedi, drappelli di C.."'lrabinieri tomavano in cascnna. Erava• mo stanchi, eppure avrerrimo voluto qualche coo;a ancora, per non mettere fine a quella giornata. Ma1grado il posto comodo alla Consulta non eravamo rimasti soltanto spettatori. E: difficile spiegarsi, e non vorrei usare parole retoriche per paludare la modestia della mia partecipazione. Certo ~ che quando sulla piazza si fennò a ,;aiutarci un nostro conoscente vecchio giolittiano e ci disse con un sorriso furbo: « Tutte belle cose, ma lasciate fare all'ari!i. di ~1onte Citorio »1 mi sembrò di essere improvvisamente tra. sportato all'estero. Allora guarda.i verso la facciata della Consulta dove qualche finestra. metteva ancora. rettangoli di luce •nel gioco barocco delle masse d'ombra, e mi domandai 'luale potes;c es.sere quella del Capo del governo al lavo10. • MANLIO LUPINACCI LA ORIBI BRITANNIOA lf\\ A SEITEMBRE ad oggi sono avveU!.,/ nute molte cose strane in Inghilterra. In settembre l'Inghilterra ebbe pau. ra. Il vocabolo potrebbe sembrare poco opportuno o poco cortese; ma non facc!o che tradurre dall'inglese. t l'ebdomadano Caualcade che ha di1tinto il periodo della paura e quello, se cosi si pub dire, del e do• po-paura >: th,: scar,: e th,: post•uar,: pt:· 110d. L'Inghilterra, dunque, ebbe paura. Seguì un'ondata di esultanza e di entusiasmo. Ma fu di breve durata. A distanza di sole dur- settimane, l'esplosione di giubilo, con cui tra stato accolto Chamberlain al suo ritorno da Mooaco, appariva all'ebdomadario Caualcad,: e isterica, grottesca e lcg• gtrmente ridicola>. L'Inghilterra ha poi vissuto sotto il peso di e un'atmosfera op• primcnte >. Ora c'è e un generale sollievo perché apparentemente si è evitata la guer. ra, ma il cuore è pesante >: prcss'a poco, lo stato d'animo di coloro che abbiano da poco e seppellito un parente, vittima di una lunga e penosa malattia >. E sono cominciati gli es.ami di coscienza. L'Inghilterra è il paese classico degli esami di coscienza. Ed è anche il paese in cui ques•c virili confessioni restano senza effetto. Dalla fine della guerra in poi, la poli. tica inglese ha accumulato errori su errori. Il primo e più grande errore della Gran Bretagna fu quello di lasciar riarmare la Germania. Non discuto se fosse giusto o ingius10 che la Germania rimanesse inerme, mentre 1utti si armavano. Riconosco, anzi, che era in.giustissimo. Ma solo il di• sarmo tedesco poteva dare ai vincitori la sicurtzza di conservare quello che avevano preso. li secondo errore fu di non accet• tare l'invito dcli' America del 1931 ad agi• re insieme per arrestare l'impresa giappone• se in Manciuria. Il terzo errore fu quello di provocare gratuitamente l'inimicizia del. l'Italia, in occasione dell'impresa d'Etiopia, con una serie di minacce la cui futilità resterà memorabile. Ma, se fu nulla nei fatti, la politica inglese fu terribile a parole. Si discusse molto, in Inghilterra, di impedire il riarmo tedesco. Si discusse molto di punire il Giappone, di sabotarne il commercio, ecc. E as• sai più si discuuc e si blaterò contro l'Italia. E in generale si declamò sempre contro le dittature. 1 tre popoli presi di mir-a si abituarono a considerare l'Inghilterra come l'ostacolo che sbarrava loro la studa. Co• st la politica inglese non riuscì a impedire il sorgere dei tre nuovi imperi, ma riuscl a farseli tutti nemici. Sone, così, il triangolo Bcrlino-RomaTokio. Esso fu in gran pane opera dell'InghHterra. E rappresentò subito per l'Inghiheru. un pericolo mortale. Fone mai, nella sua storia, l'Inghilterra si era 1rovata di fronte a una combinazione di forze cosl schiaccian1emente superiore. Senz'altro alleato che la Francia, essa non poteva nello stes.so tempo opporsi alla Germania nel mare del Nord e nell'Europa centrale, al. l'Italia nel Med.itcrraneo e in Africa, al Giappone in Estremo Oriente. L'Inghilterra a\'eva di fronte tre avversari, che agivano di concerto, cd era nell'impossibilità sia di affrontarli tu•t'e tre insieme, sia di staccarli, ad uno ad uno, dalla temuta combinazione. La potenza britannica nel mondo fu paraliuata. , Chambcrlain ereditb questa situazione quas.i disperata. Egli non fece che tentare di mettervi riparo e di differire l'ora in cui l'Inghilterra avrebbe dovuto pagare il prez. zo degli errori commessi dai suoi predecessori. Perciò le critiche che gli vengono fatte sono futili e ingiuste. La stessa situazione, la s1eua dispersione delle forze era un elemento di dcboleua per l'Inghilterra e di potenza per gli avver• sari. Campanella scrisse (e già altra volta ho citalo qur ~ v•ntcnza profonda) che benché la Coron• di. Spagna fosse la più po• tr-nte monarchia dei suoi tempi, purt la stessa vas1ità e la situazione dispersa dei suoi domini erano caus.a per c~sa di ingua• ribile debolezza. Nient'altro che per difendere il suo impero, es.sa a\1rcbbe dovuto combauerr- sui Pirenei e in Italia contro la Francia, ;ci Paesi Bassi contro i fiamminghi, nel Mediterraneo contro turchi e barbare• s-chi, nell'Atlantico e nella Manica contro gli ingksi. E»a doveva essere onnipresente e onnipotente. E, difatti, la Spagna combattè contro tutti quei nemici e anche contro altri, che si procurò gratuitamente per soste• nere la causa della Santa Madre Chiesa. E fini col soccombere allo sfor-zo. A distanza di circa tre secoli e mezzo, la situazione si è riprodotta proprio ai danni del vincitore dr-11'/niiincible Armada, pro. prio ai danni dell'impero che sor,e sulle rovine dell'impero spagnolo. :\la, più abilmente della Spagna di Filippo 11, l'Inghilterra ha cercalo di differire quanto più a lungo sia pouibile l'ora delle e spiegazioni supreme>: non già per la insufficienza dei suoi armamenti, ma perché sa che queste e spiegazioni >, anche se sohanto con uno dei suoi grandi avversari, la lascerebbero senza fiato e alla mcrcè degli avversari successivi. Sotto questo punto di vista, Chambcrlain salva non solo la pace, ma l'impero inglese. L'Inghilterra poteva fare la guerra. al Giappone nel 193 r, benintr-so insieme con l'America Poteva fare la guerra alla Germania nel marzo del 1936, al. l'epoca del « colpo > della Renania. Ora non la può fare più. Ora è troppo tardi. E si arma e si armerà. terribilmente non già per fare la guerra, ma per non farla: e cioè con la speranza di incutere un salutare ter• rore agli avversari e di dissuaderli da pro- .. positi aggressivi. Proprio col medesimo in• tento, usavano i generali cinesi di una volta far dipingere draghi terribili sulle loro bandiere. Il qual sistema aveva almeno il van1aggio di non es.sere molto costoso. Uno dei più autorevolì studiosi inglesi di politica internazionale, il professor t\rnold Toynbce, in una conferenza che tenne alla Chatam Housc il I o marzo (e cioè quando I'Auuria e la Cecoslovacchia erano ancora in piedi) si pose il problema se l'Inghilterra possa e abdicare > ; e lo discuue con gran• de ~rcnità. Per abdicazione egli intendeva: che l'Inghilterra ceda una parte sostani.1a• le dei suoi possedimenti e .si ritiri dalla pO· sitione di grande potenza, che ha tenuto negli ultimi 2.50 anni, passando cosi a una condizione analoga a quella dell'Olanda, del Belgio, della Svizzera, dei paesi scan• dinavi, e lo credo>, cosi rispondeva al quesito, e che, se la Francia e la Gran Bretagna ab. dicassero, si costituirebbe rapidamente una Confederazione europea sotto la guida del· la Germania; cd ho ragione di temere che questo nuovo impero germanico, delle proporzioni drgli S1ati Unili, sarebbe ancora una potenza aggressiva. L'Inghilterra e la J,'rancia, diventate neutrali, si troverebbero in una posizione geografica non dissimile da quella del Stigio nel 1914, perché sa• rcbbcro in una specie di " terra di nessu• no" (no man's land) fra una Mittcll"uropa, guidata dalla Germania, e un Nord Ameri• ca, guidato dagli Stati Uniti. La loro posizione non sarebbe dissimile da quella della Cecoslovacchia (il Toynbee parlava il 1 o mano) fra la Germania e la Russia >. In sostanza, secondo il Toynbce, j termini del problema sono i seguenti: r. • Dal punto di vista economico: la Gran Bretagna non polrcbbc dar da vivere all'auuale popolazione scnz.a la sua grande industria e, quindi, ,,.nza il suo commercio estero. L'una e l'altro ces.serebbcro il giorno in cui la Gran Brc:tagna rinunziasse alla sua posizione di grande potenza. 2, • Dal pun10 di vista politico: l'Olanda o la Svezia possono essere state neutrali nell'ultimo secolo perché la potenza marit• tima inglese garantiva loro il rnantenimcn• 10 della pax britannica. Ma se la Gran Bretagna di\·cntasse neutrale, quale pax le sa,. rebbe offerta? E da chi le sarebbe garan• 1i1a) E potrebbe, essa, contare su una pax amt:rit:ana? Conseguentemente, il Toynbee giungeva alle seguenti conclusioni: 1) che le democrazie sono siate sconfitte nel loro tentativo di attuare l'idea della Lega e che e per competere con le diuature si debbono convertire in Stati fascisti>; 2) che per l'Inghilterra è impossibile ab. dicare, anche se in momenti di debolezza gli inglesi vi pensano: e noi siamo prigionieri >, egli disse, e della nostra passata grandezza > ; 3) che e probabilmente nel futuro (forse nel prossimo futuro) la nostra grandezza ci imporrà sacrifici, che saranno più gravi di quelli del passato, anche di quelli della guerra del 1914 >. Io non credo che questa analisi del Toynbce o ahri simili studi sulla sorte futura dell'impero britannico abbiano altro valo• re che quello di mere esercitazioni dialet• tiche. Nessuna nazione, che sia riuscita a costruire un impero, vi rinunzia a freddo; e sarebbe un caso di viltà e di stupidità col• lettiva nuovo nella storia se l' Inghitcrra rinunziasse al suo impero. E opportunamen• te, a questo proposito, Wickham Stced ricordava i versi di Kiplift8: W, sail,:d wltueua a ship could sail. W,: fovndt:d many mi1h1y Statt:s. God 1ront our 1r1:atn,:ss not fail For crautn /ear o/ beinl trt:at. (e Noi navigammo dovunque potesse giun• gcrc una nave. Noi fondammo molti Stati potenti. Dio protegge la nostra grandezza dal cadere per codardo timore di essere grande>). Il problema, dunque, non è se l'Inghilterra possa o debba abdicare, ma. eh,: cosa dcb. ba fare per non essere costretta ad abdicare. E, secondo qualche inglese chiaroveggente, dovrebbe fare molte cose sagge e gra\'i. La prima sarebbe di non farsi nemici, che non sia assolutamente necessario farsi (At:lhiopia doct:t), e di transigere rapidamente le liti pendenti che non tocchino interessi vitali dell'impero. La seconda sarebbe di rieducare gli inglesi e di pcrsuadcrlì di quc.ste veri1à elementari: che non si può preten• dere di controllare tanta parte delle ricchez.. ze del mondo se non si è risoluti a eombat• 1ere i che l'impero, come fu costruito con la forza, così non si conser"a altrimenti che con la fon:a; che spetta agli inglesi difenderlo e che sarebbe, da parte loro, follia sperare nella Lega e nei terzi (America). E la teru cosa saggia da fare .sarebbe di a\'ere più figli, perché al fondo della crisi britannica è una crisi di popolat.ione. Quest'ultimo argomento, da solo, richiederebbe un lungo di$Corso. L'Inghilterra è scesa, con la Francia, alla più bassa quota dì natalità, al disotto del limite necessario per la S{"mplìcc continuu.ione della popolazione. Lo s1euo si dica dei Domint, specialmente di quelli più esposti all'offesa nemica: l'Australia r- la Nuova Zelanda; e per giunta cui chiudono le porte all'immigrazione, che, sola, potrebbe salvarli. Come riconosceva recentemente un parlamentare inglese, una nazione che non riesce a perpetuare se stessa perde il diritto al suolo su cui \·Ìvc. Una popolazione in diminurione non promuove la pace, ma invita all'aggressione; non evita la guerra, ma la rende più probabilr- i e potrà farla sempre più diffìcilmcnte. Nel 1922, lord Northdiffe rholgeva agli australiani questo patetico appr-llo: e Voi dovete accrescere la vostra popolazione. Solo il numero può salvaryi. li mondo non sopporterà che l'Au• stralia resti vuota. Il vostro continente deve avr-rc la sua parte di popolaZ.:one. Voi non ,wctc scelta. Dozzine di milioni d'uomini verranno nel vostro paese, lo vogliate o non lo \'ogliate. E non sar:mno le vo5trcmìsure lr-gislative ad arginare qur-sta. marca umana>. Lord Norlhcliffe parlava all'.\ustralia; ma, in fondo, lo stesso discorso potrebbe essere fatto a tutto l'impero inglese. RICClARDETTO

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