fl UAì\ IJO, in un caldo pomcrig~io dclQ l'agosto scorso, un operaio inavvertitamente buttò il mozzicone acceso -della sigaretta su un sacchetto di fuochi d'artificio, lasciato in un angolo dello Studio n. s della« Columbia•, e le piccole bombe di carta e le girandole riempirono lo stabilimento di botti e di fumo colorato, una mezza dozzina di bellissimi canarini terrorizzati volarono via e la terrorizzata gravida gatta dello stabilimento deue alla luce cinque gattini. I fuochi d'artificio, i canarini e altre specialità di vario genere, del valore di circa cinque milioni di lire, facevano parte, assieme a specialìtà più note, come Lionel Barrymore, Jean Arthur, James Stewart, Edward Arnold, Mischa Auer, del materiale col quale la • Columbia• stava trasferendo sullo schermo uno dei più grandi successi teatrali del dopoguerra in America You can't take it with you, di Moss Hart e Georgc S. Kaufman. Quattro milioni di lire ave\·a dovuto pagare l'anno i=corso il presidente della• Columbia•, Harry Cohn, agli autori della commedia per il solo diritto di ricavarne un film e, subito dopo la firma del contratto, Robert Riskin, uno degli assi della sceneggiatura, s'era messo al lavoro. Alla fine di giugno 110 mila metri di pellicola erano stati girati, ed eran pronti per il taglio e il montaggio. Per i primi di settembre i 110 mila metri erano stati ridotti a 3500, ed erano pronti per la prima visione. Verso la metà di settembre tutta la critica di New York assicurava che Harry Cohn avrebbe rifatto i 40 milioni spesi nel film e in più avrebbe incassato una ventina di milioni. Interrogato in proposito, il sorridente presidente della « Columbia• dichiarava: • Non c'era bisogno che mc lo dicesse la critica. Ne ero certo•· Da che derivava la cieca fiducia di Cohn nel prodotto della sua djtta? Yo11 ,an't take it witli you è stato diretto da Frank Capra. La • Columhia • non possiecte, come le maggiori compagnie consorelle, né una imponente catena di cinematografi, né una luminosa collana di stelle. Frank Capra sostituisce la catena e la collana agli occhi dei proprietari della ditta. Questo geniale, irrequieto siciliano di quarantacinque anni è ormai al culmine della sua carriera. Ha vinto per due anni di seguito (Accadde una notte, 1935; È a"ivata la felicità, 1936) la più alta ricompensa accademica che esista in America per i cineasti, fa statuina per il miglior film dell'annata dell'c Accademia delle Scienze e Arti del Cinema•. Ha creato o migliorato fondamentalmente la personalità di una mezza dozzina di stelloni, come Barbara Stanwyck, Clark Gable, Claudette Colbert, Jean Arthur. In diciassette anni di carrirra cinematografica ha fatto fiasco un:- volta sola, nel 1927, con un film Pn l'a1110redi Ntike, in cui Claudette Colbcrt si ostinò a non ascoltare i consigli del regista e sbagliò in pieno la parte. Un solo fiasco di critica e di cassetta, in diciassette anni di lavoro, è certamente un primato imbattibile. Ed è per questo che la• Columbia•, quando l'anno scorso fu accusa:a da Capra di inosservanza di contratto, si affrettò a rinnovarglielo a condizioni spettacolose: sette milioni di lire aU'anno. Ed è per questo che la critica, dopo l'ultimo successo, lo ha battezzato il direttore n. 1 del cinematografo. Ma dicendo che Capra è il regista n. r non si dice che egli è numero I sotto tutti i riguardi. Man mano che acquistano prestigio, i direttori acquistano anche una certa specializzazione. La specialità di Capra, e il suo estro, sono di descrivere e mettere in luce l'umore, il sentimento, la simpatia umana della media umanità americana, e poiché la media umanità ha parenti dappertutto, si spiega l'accento universale e l'universale richiamo dei film di Capra. Ma in quanto a stravagan.za egli non ha certo l'inventiva di La Cava (L'impartggiabile Godfrey); sa far presa sulla sentimentalità popolare, ma non può rivaleggiare con Georgc Cukor (Margherita Gautier) in melod1ammi sentimentali. Quanto a film di azione, John Ford (Uragano) o Vietar Fleming (Capitani coraggicsi) lo superano, e lo supera il viennese Henry Koster nell'arte di mettere a frutto la grazia primaverile della gioventù (Deanna Durbin e Danielle Oarrieux sono state manipolate o rimanipolate da lui). Lubitsch gli è superiore nella commedia sofistica e mondana. E malgrado ciò, Capra è numero 1, perché egli ha tutte le qualità degli altri, filtrate e sistemate attraverso una delle più lucide e incisive intelligcn;r,e che abbiano finora onorato la repubblica del cinema. Lo carriera dei registi è spesso di una rara incoerenza, e quella di Capra non fa eccezione alla regola. Da Palermo dove è nato egli arrivò assieme ai genitori e a un fratello maggiore, Anto010, a Los Angeles nel 1903. Aveva allora sei anni. Per molto tempo egli e suo fratello vendettero giornali sulla passeggiata elegante della metropoli californiana. Quando il commercio andava male, Antonio prendeva a pugni il futuro regista di Accadde ima notlt, per attirare l'attenzione e Ja pietà dei passanti e fargli vendere più facilmente i giornali. Capra si licenziò dalle scuole medie all'età di sedici anni, e si adattò a tutti i mestieri pur di mettere da parte il denaro sufficiente per l'iscrizionc all'Istituto sup..:riore di tecnologia. Durante gli anni universitari imparò a gustare la fisica, i Saggi di Montaigne e 1 promeui sposi, e vinse una borsa di studio di 500 dollari. I primi anni la laurea di tecnologia gli servi poco, perché svolse successivamente le seguenti attività: precettore di belle lettere del nipote di un favolosamente ricco giocatore di Borsa di Los Angeles; potatore di aranceti a quattro lire al giorno; scrittore di impubblicatc novelle; agente produttore di una screditata società di assicurazioni; usciere di una barcollante ditta cinematografica da tempo inghiottita in un mare di debiti e d'oblio. Nel 1921, a San Francisco, Capra incontrò un cx:-attore, Walter Montague, che si era messo in mente di produrre film in quella città. Questo Montague aveva delle idee abbastanza curiose sulla maniera di ideare e fare i film, e solo la più nera disoccupazione potè persuadere un uomo realista come Capra a collaborare con lui. Una delle idee peregrine di Montague era che San Francisr arebbe fatalmente diventata la capitale del cinematografo, a causa della sua fitta nebbia. Un'altra idea ancor più peregrina era che egli avrebbe fatto certamente una fortuna girando film basati su poemi classici o scritti da lui stesso. Capra dovette far buon viso a cattivo giuoco, e si adattò a produrre un cortometraggio ispirato a una ballata di Kipling. Il filmetto costò solo 1700 dollari; fu accolto bene dalla critica e in maniera mortificante dal pubblico. Di li a poco, insistendo Montague nel fare film ricavati da poemi e peggio ancora da poemi scritti da lui, la ditta falli. Ma Capra aveva imparato il mestiere e non trovò difficoltà a impiegarsi presso Hai Roach, come ideatore di trovate comiche (gogman). Un giorno egli chiese a Roach se gli lasciava dirigere un film. Roach rifiutò, e Capra, offeso, passò col grande Sennett. Per altri due anni, fino al '261 continuò a ideare scherzi e lazzi burleschi, e molti ne mise sulla carta per il comico Harry Langdon che ora è stato appaiato a Olivcr Hardy dopo la separazione di costui da Stan Laurei. Finalmente Harry Cohn fiutò il talento del siciliano e se lo portò alla • Columbia•. Capra ha, da allora, ripagato ad usura il suo benefattore. Quella certa cosa è del 1928; Dirigibile del 1931; Biondo pfati,10 del 1931; L'amaro tè del gt,ierale Yeti del 1933; Signora ptr m1 gior110 del 1933. Fino a questo film, Capra aveva lavorato solo su sceneggiature scritte da Jo Swerling. Ma, in quell'epoca, scoperse Robert Riskin col quale doveva fondare una delle più accreditate ditte di sceneggiatura del mondo. Sig11oraper 1m giorno era già un buon esordio. L'anno appresso scoppiava la mezza rivoluzione di Atcadde una nott~. Per questa commedia Capra aveva richiesto il ceffo, a quell'epoca assai truce, di Clark Gable, e Cohn se l'era fatto prestare dalla •Metro•, convinto in cuor suo che il regista questa volta prendeva un grosso abbaglio. Ma Capra aveva deciso di trasformare Gablc da una minaccia per la sociità in un commediante, e lo diresse secondo questa sua decisione, malgrado lo scetticismo generale. Fu il successo che tutti sanno, e da allora il Gable da commedia ha preso il sopravvento sul Gable da melodramma. I registi vecchio stile, specialmente i superstiti del cinema muto, sono abituati a dirigere spettacolosamente, gridando, sbracciandosi, vestiti come cavallerizzi da circo e spesso armati di frustini coi quali sottolineano i loro ordjni napoleonici. Ma appartengono a un altro mondo. Come molti direttori della sua generazione, Capra lavora senza apparato e senza manierismi, s'intrattiene pacificamente coi suoi attori e i suoi assistenti, non grida mai. Molt'acqua è passata sotto i ponti anche a Hollywood. È passato il tempo degli atteggiamenti e degli esibizionismi spropositati. Ora è di moda, anche per le celebrità, un numero privato di telefono, una piccola automobile, un villino modesto sul mare e una moglie per volta. Frank e Lucilla Capra sono fra gli esponenti più tipici di questa evoluzione della società hollywoodiana: trascorrono gran parte dell'anno in un villinetto isolato che si son fatti costruire sulla spiaggia di Malibu, vanno in gita su un'automobile da impiegati, mandano due dei loro tre figli alla scuola pubblica, non hanno mai nulla da dire ai giornalisti, e non vanno mai a vedere un film la sera della prima. Evidentemente la preistoria favolosa di Hollywood sta per finire, se non è già finita. A. D. HOLLYWOOD • OOKPARSE OINESI DORANTE UNA SOSTA DEL FILM 110RO OIYEBE" ALBUM DI FAKIOLIA1 ELBA DE OIOROI (Fot, OmnibH) NVO'VI FILH llA mlOIB IDEISUD ~ Li spettacoli del Supercinema f.QI' mettono sempre un po' di soggezione. Tra quelle mura pesanti e severe, tra quei drappi appesi ai palchetti assiro-babilonesi, tra quelle iscrizioni latine, ci si sente a disagio come quando si entra in un mausoleo o in un tempio. E fa uno strano contrasto veder su quello schenno apparire i volti ridenti e grassocci degli attori americani, o i portamenti lascivi delle dive non più giovani: par quasi d'assistere a una profanazione. A questa massiccia costruzione s'addicono piuttosto le strepitose rievocazioni storiche di Cecii Dc Mille, i terremoti di San Francisco, gli incendi di Chicago. Come, al contrario, alla frivola architettura del Corso Cinema si addicono i frivoli film di Lubitsch e i capricci floreali di Constance Bennett. Ogni sala cinematografica dovrebbe ospitare le opere che più le convengono. Così, un film come Sotto la Croce del Sud non era proprio indicato per soddisfare l'aspettazione di quel pubblico che si reca al Supercinema con l'illusione di assistere a qualche grossa sorpresa. Dopo cinquanta minuti di avanspettacolo, formato dal solito film Luce, da due saggi di opere di prossima programmazione, da un documentario sul viaggio in Giappone della missione italiana, da un documentario sui cavalli da corsaJ e infine da un lungo annuncio pubblicitario su di una cat'acqua purgativa per i malati d1uriccmia, s'arrivò storditi e assonnati alle prime scene di Sotto la Croce del Sud, con la speranza di trovare in questo spettacolo un ristoro a tante fatiche. Ma, purtroppo, Sotto la Croce del Sud non era un film «divertente•· Si capiva subito che questo film non voleva divertire. Voleva forse educare, documentare, ammonire, e chissà quante altre buone intenzioni erano sottintese dietro la favola: ma divertire, no. Ora, in un film d'ambiente coloniale, dove di solito i personaggi sono piuttosto dipinti con gli spazzoloni dei decoratori, che non ooi pennellini di martora, non si pretende davvero una rappresentazione bonaria e accurata, uno studio di caratteri o una tranquilla commedia di cost.umi. Ci ~•aspetta invece un racconto movimentato, avventure sorprendenti, vicende nuove e straordinarie. I nostri spettatori sono troppo abituati alle forti emozioni dei film americani, per accontentarsi di un genere di narrazio ne che, pur ispirandosi evidentemente a quelli, ne affievolisce il tono, ne diminuisce gli effetti, limitandosi a un pallido intrigo, in cui i personaggi scellerati commettono gratuite ribalderie e i personaggi onesti si dimostrano così sciocchi e infingardi. Si ride, a veder con quali sguardi di cane bastonato costoro manifestano una smania tanto molle per una specie di donna « fatale » in chimono, da far quasi pensare che •il problema « sentimentale J, nei coloni d'oggi, sia, _per gli aut6ri del film, qualcosa di spavento~o e irrimediabile. Né valgono a salvare un racconto monotono le poche scene girate sul luogo, ferme a ripetere ciò che ormai tutti conoscono: le danze degli indigeni, il clamore dei tam-tam, la caccia all'uomo con le lance, tra l'intrico delle piante. Sicché perfino i pochi meriti del film, come l'abile e precisa descrizione di qualche ambi~nte, in cui la scenografia è di una intelligenza non ordinaria, rimangono senza sfogo, mentre le ri.gure del racconto vi si muovono lentamente, costrette come pesci domestici nei vasi di vetro. .B davvero peccato che vadano sprecati, nei nostri film, tanta fatica e tanto denaro per questi spettacoli; che pure testimoniano una volontà non condannevole di trovare qualche via diversa a una produzione così pavida: laddove un maggiore impegno della fantasia libererebbe il più delle opere da tanti disinganni, che ormai si succedono con andatura regolare. Che gli scrittori di scenari siano i soli responsabili della povertà delle favole, è • un'affermazione che non possiamo condividere. Per troppe mani passa la prima stesura del soggetto, perché si possa stabilire che soltanto da quella dipendano tutti gli errori. Né, d'altra parte, si comprenderebbe per quali ragioni proprio qu~l soggetto sia prescelto per la sua traduzione in immagini. Nessuno più di noi è convinto che gli sbagli provengono soltanto dal poco studio, dalla stanca improvvisazione, e da un'ingannevole credenza di saper bene imitare la produzione straniera. Come se ogni imitazione, praticata da chi non s'avvale di proprie esperienze, non fosse un impoverimento senza speranza, e come se quel che soddisfa coloro che vivono, ad esempio, sotto la Croce del Sud, potesse accontentare quegli spettatori che vivono, invece, sotto l'Orsa Maggiore. MARIO PANNUNZIO
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