1:1• RA giovanissimo, Enrico Beyle, 1 f ; ~' quando venne per la prima •~ ~ f volta in I tali a. Entrò a Mi• UYl..\S lano con le truppe napoleoniche nel 1 800 e vi rimase fino al 1802, sottotenente del sesto reggimento dei dragoni, aiutante di campo del generale Michaud; ma non fu per lui un soggiorno ideale, o quanto meno non rispose a quello che un'infanzia infelice e un'adolescenza irrequieta gli avevano fatto sperare. Non fu un soggiorno ideale, perché gli toccò seguire i1 generale da una guarnigione all'al• tra, fra Bergamo, Mantova, Verona e Brescia, perdendo cosi un tempo prezioso per le pregustate scoperte, e perché la sua salute gli diede proprio in quel periodo gravi preoccupazioni. 2 probabile infatti che a quest'epoca risalga la famosa « malattia milanese», che doveva poi diventare in Francia argomento importantissimo per studi, tesi di laurea e ricerche, dalle quali .derivare le conseguenze fisio•psichiche di questa malattia giovanile sopra un temperamento eccezionale e anormale come il suo. Si era inoltre innamorato, e sebbene già fosse d'avviso che la felicità del• l'amore ~ più nel sentimènto di amare che nel piacere di sentirsi amato, questa passione senza risposta lo lascia va snervato e 5Cnza pace. L'oggetto era già quell'Angela Borroni, maritata Pie• tragrua, che fra le molte donne ama• te (gli stendhaliani non sono d'accordo sul numero esatto), doveva suscitare in lui i più grandi entusiasmi e le mag. giori amarezze. La conobbe appena arrivato a Milano; il padre di lei, ac• corto commerciante, si era messo a confezionare divise per l'esercito di Napoleone giunto lacero e malconcio, e aveva fatto fortuna. In quella bottega del Corso di Porta Orientale, fre• quentata da ufficiali francesi, brillava la giovane bellezza sensuale di Angela e il suo spirito perturbatore ; chiama• va Bcyle « il cinese>, a causa dei suoi occhi stretti a mandorla e del colorito giallastro, e non si sa fino a qual punto si accorgesse della passione provo• cata nel timido ufficialetto. Nel suo Jqurnal, Stendhal raccontò come quei due anni fossero intrisi di sospiri e di lacrime. Angela aveva per amante un uomo più brillante, più seducente di lui, forse ne aveva parecchi altri, ma di quell'epoca si ricorda particolarmente il Joinville, l'ufficiale francese che più di ogni altro eccitava la gelosia di Bcyle. Cosl a un certo momento abbandonò esercito ed amici, e a piccole tappe a cavallo fece ritorno a Parigi. Dicci anni dovevano trascorrere, pieni di avventure, di amori 1 di scontentezze e di irrequietudini, di nostalgie anche, per la città lombarda che subito si era pentito di aver abbandonata. E sempre risorgeva il ricordo di Angela Pietragrua, delle conversazioni nella bottega, e della musica di Cimarosa alla Scala. Era uditoì-e al Consiglio di Stato e ispettore dei beni della Corona, quando, scrollando le lusinghe di una brillante carriera e vari lacci amorosi, nell'agosto del 181 1 chiedeva qualche mese di licenza e fissava un posto sulla diligenza che doveva con• durlo a Milano, non avendo che un desiderio immediato : quello di rivede• re Angela e dichiararle il suo amore, ora che, quasi trentenne, aveva supe· rata la timidezza giovanile. Il loro primo incontro fu piuttosto imbarazzato, non aveva pensato che ii:t dicci anni questa donna aveva seguitato a vivere accumulando esperienze su esperienze, e che quindi si sarebbe tro• vato davanti a un essere lontanissimo da quello coltivato dalla memoria. Di• fatti Angela non si ricordava più di averlo conosciuto, senonché, da donna perspicace, lusingata di aver saputo suscitare una simile passione, vedendo i vantaggi possibili, si ricordò a un tratto, lo incoraggiò, lo portò inavver· titamente alla resa completa. Enrico Bcyle era pazzo di amore e dì felicità, avrebbe voluto consumare i quattro mesi di permesso a questa unica fiamma., ma nel suo programma vi era anche un viaggio di un mese in Italia per scrivere un libro, e do~ vette stra.pparsi dolorosamente alle braccia dell'amafa. Il libro scritto in quella circostanza, Rome, Naples et Florence, è in fondo tutto un inno al suo amore per Milano e per la bella milanese: giunto a Bologna scriveva: « Da otto giorni non mi sento di seri• vere. Penso sempre a Milano>. A Fi• rcnzc dice che « Milano sarà sempre per mc la città più interessante d'Ita· Jia ». A Siena si ferma appena dicci minuti, tale è Ja febbre di concludere al più presto l'increscioso viaggio, e una volta a Napoli morde il freno, e dopo aver assistito all'inaugurazione ..del teatro San Carlo si sfoga a critiL'USOITJ. DA UN VEGLIONE DELLA BOA.LA NEL PERIODO NAPOLEONIOO CQudro d•l lUgllara) cario in ogni particolare, e conclude che « la povertà delle decorazioni e la miseria dei costumi mettono il San Carlo ben al disotto della Scala •· E si sfoga in un : « ... mi struggo di tor• , nare a Milano», che spiega la rapidità di notazione e le molte inesattezze contenute nel libro. Tornò dunque a Milano, ma Ange• la era in villeggiatma presso Varese, cd egli senza esitare un momento la ra~'{iunsc per vivere ancora ore di ca• priccio, di gelosia e di tormento. E, dopo aver ancora per poco tempo as• saporato i sorbetti nei palchi della Scala, annusato con voluttà l'odore di stalla che invadeva le strade della città e suscitava in lui eb.rezze senza pari, dopo aver spinta la sua curiosità nei pettegolezzi dell'alta e della media società, ma soprattutto dopo essersi bene accertato che questa e non altra era la sua vera patria, e che dopo aver bevuto a questa fonte, nessun'altra mai avrebbe potuto soddisfare la sua sete, scaduto il permesso, il 27 novembre prendeva la via del ritorno pensando a quell'Angela che di lui si rideva, che non capiva il suo genio, che lo tradiva a ogni occasione, alla insostituibile Angela Pictragrua : « Amo la più bella fra le donne, così bella da farmi paura, quasi terribile di bellezza sovrumana, superiore al resto dell'umanità». Ma la sua vita obbediva scnsibil• mente ai suoi ardenti desideri. Durante la campagna di Sassonia nel 1813 1 En• rico Bcyle si ammala, ottiene una licenza di convalescenza, e dove trascorrerla se non nel clima che guarisce tutti i mali? Rieccolo dunque a Mi. !ano, ancora debole e malaticcio, ma desideroso di vivere liberamente la sua vita senza obblighi e senza disciplina. Vi era ancora e sempre Angela, che però cominciava ad annoiarsi di un amante che non la lasciava respirare, la seguiva dove lei andava, e ora per giunta parlava di non muoversi più da Milano. Era difatti questo un mo• mento in cui Stendhal pensò a fare un bilancio delle sue strette risorse (un piccolo assegno dal padre, una mezza pensione dall'esercito, il ricavo della vendita dei mobili di Parigi) e decise in conseguenza di rompere ogni rapporto con il passato e stabilirsi a Mi • lano. Gli si prospettava una vita assai limitata, ma non era cosa tanto grave, se questo era il suo clima e il solo luo• go che lo interessava. Era arrivato al punto dj odiare la Francia, paese sen• za forza e senza virilità, diceva, pieno di gente vanesia e di tutti gli sciocchi del creato, mentre invece Milano era una città forte e superba, accogliente e fedele, unica al mondo per le sue donne, per l'accurata sistemazione delle strade, che a Parigi invece forma• vano una cloaca generale, per il suo particolare odore di letame e perché ci si viveva semplicemente, senza tante cerimonie. Dopo la caduta di Napoleone, per• duta la spcranz.1. di esser nominato in qualche prefettura, Stendhal fece atto di sottomissione alla casa dei Borboni, chiedendo ad essa una sistemazione. Non l'ottenne, e la sua cittadinan7.a milanese rimase allora confermata per la forza delle cose oltre che per il suo volere. Da quel momento lo si vide in tutti i salotti, in tutte le strade, nei ritrovi, ma particolarmente alla Scala, nel palco dcll1abatc Di Breme o in quello della Viganò, celebre bellezza del tempo1 preoccupato di tutto ascol• tare, di tutto sapere, munito di qua. dcrni verdi dalla costa dorata 1 i fa. mosi cahiers verts, su cui annotava continuamente con la sua minuta e indecifabrile scrittura (disperazione de• gli editori e degli stendhaliani) ogni idea, ogni immagine o impressione che gli venisse, tutto quello che ve• deva e sentiva, e date, e nomi. Amava Milano, il popolo, la borghesia e la nobiltà milanese, voleva penetrare questa città nel suo significato più intimo, conoscerne a fondo i sentimenti e con• dividerli, apprenderne la lingua, il dialetto perfino. E quando mancava il cahier verl, scriveva sui polsini, an• notava date e parole su carte da gio• co, pe7.zetti di carta sgualciti e appallottolati in fondo alle tasche, sulle breiclle e una volta sul vetro dell'oro• logio. Questa abitudine di scrivere, e di scrivere molto, per cui taluni lo giu• dicarono grafomane, non mancava di dare ombra ai buoni milanesi e di ren• dcrli un poco sospettosi della sua inva• dente cordialità. Era un tempo in cui la classe aristocratica aveva ancora qualche prestigio, e perfino gli intellettuali, che per mille ragioni avrebbero dovuto essere contesi nei salotti meglio quotati, arrivavano a fare ba,;sczzc pur di varcarne le difficili soglie, e si davano da fare a procurarsi raccomandazioni e presentazioni, e poi facevano sacrifici di ogni genere per avere un vestito o una cravatta degni di questa lontana divina aristocrazia. Cose che oggi non si capiscono più, per cui riesce difficile ammettere che, per una intelligenza come quella di Stendhal, l'essere te• nuto a una certa distanza dalla nobiltà milanese dovesse costituire una delle più pungenti spine dell'esistenza. Un gesto di semplice oortesia da parte di una dama aristocratica gli faceva perdere la testa e sospettare intenzioni amorose : così per la contessa Càssera una sera• alla Scala, così per la contessa Fulvia Verri, la comtesse Fulvia, con la quale si inventò addirittura una avventura alle isole Borromeo. Lui stesso avrebbe voluto innalzarsi, essere dei loro : si faceva chiamare Monsieur dc Beyle, e alle sue amanti conferiva titoli, come contessa Simonetta alla borghesissima Angela Pictragrua, com• tesse Palfy a sua cugina Daru, comtesse Cendre a una signora Cini conosciuta a Roma (Cini•Cinis•Cenere• Cendre). Ma l'aristocrazia non rispose alla sua simpatia, forse a causa della fama di spregiudicato che aveva, o del troppo manifesto desiderio di ricchezze e di apparire brillante e seducente, pur non avendone né i mezzi né il phyS1·que. Aveva creduto nei primi tempi di far colpo col suo grande mantello, il cappello piumato c lo sciabolonc da ufficiale napoleonico, in seguito fece molto assegnamento sul cravattone nero girato quattro o cinque volte attorno al collo, e sui baston• cini flessibili da spezure con un gesto un po' teatrale nelle fotti discussioni. Effettivamente esagerò tanto, che le signore dell'alta società, un Belgioioso che da Beylc era stato calunniato, e qualcuno del clero ricorsero alla poli• zia, e il giovane loquace fu severamente redarguito. Per queste ragioni dovette presto ammettere di muoversi con maggior disin• voltura fra la gente borghese. La borghesia milanese era da lui definita bo. naria, sagace, ospitale, schietta, e a un certo momento la preferì perfino al• l'aristocrazia, poiché in essa si sentiva considerato come uno di casa, e vedeva aperte per lui le porte dei salotti, delle ville, dei palchetti della Scala e, gran privilegio!, della Società del Giardino. La Scala era veramente la più grande gioia che i suoi amici potessero procutargli, sempre ne parlò nei suoi scritti, dicendo insomma che l'aver conosciuto la Scala era valso a disgustarlo di tutta l'altra musica del mondo, poiché : e La musica vive solo in Italia, e in questo bel paese non bisogna far altro che l'amore. Qui l'a• more è delizioso, altrove non se ne ha che la copia ». Amore, musica, Milano, Scala, non esisteva veramente altro1 per lui. Nel palco dell'abate Di Breme, alla Scala, conobbe la parte più rappresentativa dell'intelligenza italiana: poeti, scienziati, uomini po• litici; conobbe Vincenzo Monti, che volle a un certo punto paragonare a Dante, e sua moglie Teresa Piklcr, che gli ispirò per qualche tempo un dolce sentimento; conobbe lord Byron, Giovanr\i Berchet, il celebre scenografo Perego, Viganò, l'astro della coreogra• fia, il marchese Ermes Viscontt, espo• nente della scuola romantica in Mila• no. Così si può dire che se non riuscì mai, malgrado il grande desiderio, a farsi presentare per esempio al celebre Melzi d'Eril, duca di Lodi, né in casa Litta, e neppure ad Alessandro Manzoni che, per quanto letterato, era sempre un nobile, tutte le altre vie gli furono facili per vivere secondo il suo piacimento. E si nutrì di questa vita, ne fece sangue, e la sua continua preoccupazione era di non sentirsi ab• ba.stanza vicino ai milanesi, di non riuscire a diventare veramente dei loro, amato da tutti. Nel frattempo l'amore per Angela Pietragrua precipitava. La stanchezza di lei si manifestava sempre più: spesso gli proibiva di andarla a trovare, o gli faceva dire che era fuori di casa o ammalata, lo obbligava ad assentarsi da Milano, col pretesto di sviare i SO· spetti del marito, in realtà per non vedenclo davanti continuamente. Tut• to questo valse pian piano ad aprirgli gli occhi; ormai vedeva chiaro nel giuoco di questa donna che nonostante tutto esigeva ancora da lui un assegno mensile, ma non voleva rompere la cara consuetudine, e procrastinava per non rimanere solo tutto a un ttatto. E maledisse quella cameriera licenziata, che venne un giorno a raccontargli come era sempre stato tradito e bef. foggiato da Angela, dal marito e dal cavalier servente. Non era d'altra parte il momento più felice della sua esistenza: imbarazzi finanziari che lo avevano condotto alla miseria lo costringevano a scegliersi un alloggio sempre più modesto; lui, amante delle comodità e del lusso, che aveva abitato nel palazzo d'Adda, in quello Bovara, poi all'albergo della Bella Venezia, era passato all'albergo del Pozzo ed ora in una povera ca• mera di via San Pietro all'Orto. Di più a· ..t. continue noie con la poli• zia, si sentiva sorvegliato, e da quando lo pseudonimo di Stendhal non era più un mistero per nessuno, i suoi libri erano censurati per gli attacchi contro il governo austriaco e la reli• gione. Messa dunque una pietra defi• nitiva sul suo infelice amore per An• gela Pictragrua 1 Stendhal si diede a una vita più seria, di modo che per qualche tempo fu lasciato in pace. Fu que~to il periodo in cui preferì acco• starsi ai liberali, al Confalonicri in particolar modo, e al Pellico; e per mezzo di uno di questi amici, Giu• seppe Vismara, nel 18 16 fece la cono• scenza di Matilde Viscontini. Ed eccoci arrivati al suo secondo grande amore milanese, e non invano dicia• mo grande, poiché complessivamente il numero delle donne milanesi amate da Stendhal si eleva a dodici. Matilde Viscontini non era una bellezza, ma aveva il fascino della dolceua, della grazia, era una intellettuale, e dopo l'avventura sensuale, questa si prospettava a Stendhal come una promess..'\di felicità intesa nel senso più alto. Questa signora apparteneva al• l'alta borghesia, era divorziata Dembowsk i, e come aureola scandalistica ancora le tremolava intorno la storia amorosa trascorsa fra lei e Ugo Fo• scolo. Involontariamente questo precedente pesò sulla bilancia, non appena Stendhal tentò di affacciarsi nella sua vita : ella non voleva ricadere in un simile amore, non affrontare più il giudizio severo della società, ma dedicarsi all'educazione dei figli. Così lo scrit• tore francese fu tenuto a distanza, cor. tescmcntc ma senza speranza. Non era mai stato bello, Stendhal; il e cinese > di molti anni prima era diventato un borghese già invaso dalla pinguedine, con vari acciacchi e il ventre prominen• te, nonostante fosse appena fra i tren• tatrè e i trentacinque anni ; le sue pretese di eleganza lo rendevano ridicoio il più delle volte, insomma gli manca• vano tutte le doti necessarie a colpire il cuore e l'immaginazione di una donna giovane e corteggiata. Matilde n_on poteva capire il suo modo di esprimere i sentimenti standola a guardare silenzioso tutta una sera dall'angolo di un salotto, per poi scriverle lettere in cui le chiedeva perdono dello stupido con• tegno e le confessava per l'ennesima volta il suo amore. Sorgeva al suo fianco quando ella meno se lo aspet• tava, a Milano o in viaggio, e si faceva umile quando lei lo strapazzava ordinandogli di cessare una buona volta le compromettenti assiduità. Questo amore culminò nel 181 g, senza che mai Matilde fosse toccata da un sentimento così fedele e commovente, e quello stesso anno Stendhal, anche per cer• care di strapparsi dal cuore questo amore disperato, partì alla volta di Grenoble. Suo padre era morto non lasciando che debiti, e mentre egli ave·• va sempre fatto assegnamento sull'ere• dità per migliorare un poco le sue con• dizioni di vita, dovette invece tornare a Milano più infelice e povero di prima. La polizia da questo momento non gli diede più pace, e la stessa società che un tempo lo aveva accolto cor• dialmente parve come per un tacito accordo abbandonarlo a se stesso. Correvano strane voci sulla sua inspicga• bile permanen-za in un paese non suo, sulle misteriose risorse di cui viveva, sulle sue occupazioni, e presto si trovò sospetto ogni suo gesto, ogni sua parola. Sensibile, e già depresso a cau.sa della durezza di Matilde, questo fu per Stendhal un acuto dolore, e si al• lontanò da tutti per non correre iJ rischio di ricevere affronti. In questo momento Matilde avrebbe potuto molto per lui, ma arrivò solo a conceder• gli un poco di amicizia, un angolo nel suo palco alla &ala, mettendo d'altra parte esatte barriere ai loro rapp ..r.t.i, e questo significò per lui la fine di tutto. Esclamava talvolta: « Les honnetes femmes, aussi coquine.r que l~s coqui• nes! » e si capiva a chi voleva alludere. Comunque, la polizia fu quella che recise crudelmente le ultime speranze, significandogli l'ordine di lasciare 1-fi. lano entro l'anno. La sua frequentazione coi liberali era troppo sospetta perché il governo austriaco non se ne preoccupasse., e inoltre era considerato uno scrittore troppo pericoloso, che sotto vari pseodonimi pubblicava libri di pericolosa lettura aJlo scopo di aiz. zare alla rivolta il Lombardo• Veneto. E non è escluso che perfino la povertà di Stendhal abbia dato ombra ai più suggerendone l'espulsione come di un indesiderabile. Quello che non bisogna dimenticare è che Stendhal aveva ab• bracciata talmente la causa politica degli italiani da rischiare anche lui a un certo momento la pena di morte come qualcuno dei suoi amici liberali. Ma nessuno allora lo rilevò, e Sten• dhal, abbandonato ormai da tutti, la• sciò Ylilano, l'amata. Milano dove aveva trasconi i suoi anni migliori, se pu• re di miseria e di amari bocconi, e dicendo addio a Milano sapeva bene di dire addio alla sua giovinezza. Era l'agosto 1821, Matilde a"veva accolta la notizia con un mal represso sospiro di sollievo. Era stato, tutt') sommato, un grande amore spirituale e purissimo per forla di cose, e poteva seguitare così per tutta la vita. Quando appre• se la morte di Matilde, avvenuta poco tempo dopo la sua partenza da Mila• no, Stendhal scrisse questo atto di fede: « ... Sempre fedele amerò Matil• dc; continuetÒ a farla vivere nel mio ricordo, sarò quello che mantiene accesa 1a lampada, e solo veglierò da• vanti alla sua memoria, fino al mio ultimo giorno». A Parigi lo consolò un poco l'ami• cizìa con Giuditta Pasta, la celebre cantante, perché con lei poteva parlare di Milano, bevendo vini italiani e gu· stando i cibi caratteristici di Lombar• dia; poi nel 1828 eccolo di nuovo alle porte della città : vaga per le strade in cerca di memorie, chiede alle auto• rità austriache un permesso di soggior• no. Ma non l'ottiene, e prima che sor. - ga il sole è già fuori dei navigli. Nel 1830 fu nominato console gene• raie di Francia a Trieste, e l'anno do• po a Civitavecchia dove rimase dicci anni vivendo anche a Roma; ma la città del suo cuore, quella in cui avreb• be voluto vivere e morire, fu sempre quella dì cui amò intensamente le don• ne, la musica, il dialetto, quella che gli dettò, per finite, l'epigrafe incisa sulla sua tomba, in lingua italiana: QUl GIACE ENRICO BEYLE. MILANESE VISSE - SCRISSE • AMÒ ADORAVA CIMAROSA MOZART E SHAKESPEARE A ~1ilano non vi sono, a nostra co• noscenza almeno, testimonianze del soggiorno di Stendhal. Forse i milanesi hanno voluto rispondere all'amore del grande scrittore risparmiandogli l'onta di uno di quei brutti monumenti fra cui portano a spasso la loro indifferenza. L'ADDETTO ALLE SCHEDE
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