Omnibus - anno II - n.41 - 8 ottobre 1938

IL SOFM DELLE MUSE ').t.\ VJTA letteraria è grama. Ma il ~ giudizio su quanto gli scrittori italiani compiono in questi anni corrrrà il rischio di C5SCrc crr::Ho se lo si voizlia dc-terminare da quelli che sono i gruppi, le rivi'itC, i giornali letterari. Lo scrittore italiano diremmo che ha la sorre di imparare ad amare la porta di ca-:a, tra-scorsi i fervori della giovcntl1 e degli inizi. Quella porta che, chiu"a~i ogni sera, serve all'incorai?~iamcnto senza cui san\ sempre impossibile accingersi a un qualsiasi lavoro non ,oltanto affidato alla fatica delle braccia. Come dire che '-C la vita letteraria langue, non .;j devono da ciò cavare accuse e rimproveri per gli '-Crittori italiani. Libri ne escono, giornali e rivi'-tC se ne pubblicano, e !ICla carta stampata raramente attira per improvvi~ rivelazioni d'ingegni è pur vero che dovunque sono i sc~ni d'una onorevole \'ocazionc. Si è tutti di..poi.ti a non ricono,;ccrc "Ohanto in una vita onesta c·d esemplare il fine degli scrittori, e comunque d'ogni persona che si dedichi alk coi,;e dell'arte; abbiamo tutti pieni ctli orecchi degli ec;cmpi di arti- ,ti che parevano sfuggire le sottigliezze della vita onci,;tamentc appartata j ma a noi sembra, comunque, non da tra- "-Curarsi la volontà diffui,;asì in giro di c"'cre persone onorevoli e, a dirla con Renato Serra. <benna.te». f:. qua,i una moda: lo scrittore italiano parl' che decisamente, dopo lo spreco dannunziano, diffidi d'ogni gesto che lo potrebbe far credere intcre,.,;ato a cose non attinenti alla lettcratur:i. E le mode, in certe circostanze, contano non poco. Nella nostra lettcr,uura vige ora un certo morali"-mOdel quale, se non è facile cono,;;ccrc la ragione, è difficilisc;imo ,;coprire il termine. Gli atteggiamenti degli scrittori, si sa, non mancarono mai col precorrere . i caratteri della poesia e dell'arte. Il rifug-gere da manifestazioni chias ..o-.c, il dubbio verso tutto ciò che posc;a 1.Cmbrarc staccarsi troppo dal mestiere letterario è segno d'un animo diffuso nella nostra letteratura contemporanea. Forse per le c,i. gcnzc di quell'animo alcuni gio\'ani scrivono difficile, a dirla scmplici,ticarncntc, cd è veramente il loro scrivere difficile non un vezzo, non una civetteria; ma piuttosto il risultato d'una attitudine a esprimere i propri pcn5ieri e sentimenti in una maniera più possibile wltanto letteraria. Sarebbe facile, salvando l'ingegno evidente di alcuni, trovare gli ai,;pctti ridicoli degli altri: se ne caverebbero i tennini per una commedia letterari.a alla Molière; ma tutti ce ne tratteniamo, e tutti, invece di restare incerti, finiamo col conci• dere che una letteratura trova sem• pre istintivamente i suoi mezzi per s.,'\lvaguardarsi dagli imminenti pericoli. Come se alcuni scrittori incerti nell'adeguari,;i a una prosa d'andamento comune, finiscano con incorrere nel di• fctto di chiarezza e, se si vuole, di concisione. Da concludersi che se la nostra vita leueraria è grama, la nostra letteratura si tiene in letargo. Non sono pochi i libri che ancora freschi d'inchiostro lusingano il pubblico generico dei lettori appena come una promessa per un domani di là da venire. Eppure sono segni d'animo poco ansioso per la nostra letteratura, le esclama1ioni secondo cui si vorrebbe rinnegata ogni onorevole povertà e dovrebbe esse• re irrisa ogni moralità letteraria. Nìentc ci umilia e insieme c'indispettisce quanto il vederci offrire esempi d'una vita letteraria in disordine, e nel suo disordine ricca di spiriti talvolta pro· prio nella loro cedevolezza, e nella loro indifferenza. capaci di grandi e universali ispirazioni. Seccano gli esempi di scrittori che a volta a volta si Ul!li• liavano e si riscattavano dalle loro baso;ezze.Tante volte udiamo dire: < Per un '°lo libro, che fo~c un gran libro, daremmo tutta la onorevole e modesta letteratura contemporanea :>; ma s:1rf'bbc come bruciare la propria cai,;aper ammirarne le fiamme. Una ~ietà letteraria non può difendersi che secondo la propria onorcvolen.a : quella società letteraria che con la propria csic;tcnza ~ià giu'itifica i sacrifici che impone ai suoi componenti : quella società lette1 aria del resto che è sempre stata condizione necessaria per i libri che poi appaiono nati per un caso miracolow. È per que~to che non possiamo mancan: di ri,petto agli scrittori e difficili :., che conservano forse la nostra tradizione inventando quelle mode che mentre paiono capricciose sono poi il ~<'gno d'un animo, d'un carattere. Ed è 5-emprc per ciò che continuiamo a 1.'. ·ggere i piccoli autori contcn1poranei, niente affatto stanchi, di volta in volta, della loro piccolezza. ARRIGO BENEDETTI ' I -,r, .... .. ' ?. \A I • I ~ U CARATTERI, di Tcofrasto, sono belli !( a leggere. Ed anche il Lcopardì ne tu.- dune, mi pare, uno. Anzi (andiamolo a vedere nelle e Carte Napoletane>: voi. I, pag. 381), ne tradusse il prologo e il primo; qurllo della simulazione. Sono, sl, belli, ma semplici a confronto dei caratteri complicati, ambigui, a quadru.plicc chiusura degli uomini moderni. E se vr-ramcnte ì greci furono i greci di Teofrasto, è da dire che furono, rispetto ai mo. dcrni uomini, tutti poco ,,ui quant'è ,ruo il moderno. Si ammira in Tcofrasto il candido stile, lineare, parco, laconicissimo, armonioso: come l'ombra portata dal cono sopra ad un piano perfettissimo. L'acuto è in fondo. Ma i caraueri dei suoi uomini sono semplicissimi inquantoché, dello stesso simulatore, uomo doppio, Tcofras10 noo vi dice di più dì questo: e Andrà dal suo nemico e fingerà d·c.nergli amico:>. Dice Tcofrasto che il simulatore finge perdonare chi abbia sparlato, ma questa non è altro che una rotellina semplicissima del carattere del simulatore moderno e vorrei vedere chi sarebbe, oggi, quel frescone il quale non sapesse fingere di perdonare. Il fingere di perdonare, riserbandosi la vendetta a tempo migliore, oggi vuol dire dimostrarsi semplicemente ingenuo, e lanlo abbiamo presa la abitudine ai più bassi sentimenti di vendetta bestiale che nessuno crede più a chi, ricevuta che ave.ne una qualche offesa o bastonata, facesse, per semplice smorfia di simulazione, il gran gesto del gran San Filippo: che preso lo schiaffo alla destra gota parb la sinistra. Né si crederebbe più a chi non rispondesse con offesa ad offesa ricevuta. Dice Tcofrasto che il simulatore si scuserà. d'essere ritornato a casa oltre l'ora canonica, o che pregherà uno, evidente scocciascatole, di ritornare un'altra volta quando ci sarà più tempo per poterlo ascoltare; e, come azione la più nera della simulazione, indica quella del dare ad intendere d'essere lievemente indi.!posto, quando invece si sta benissimo di salu1c. Ebbene, a mc moderno, tutti questi dì Teo. frasto mi sembrano zuccherini, leccornie, cose :u~olutamcnte da nulla, e ricntranli, anzi, nel galateo familiare domestico borghese, di uso diffusissimo; cd anzi diventate un.a consuetudine unìvcrsalc; e tale, che si reputa, oggi, uomo privo di cortesia chi si limita, per farti capire che dcvi toglierti dalla sua presenu, ad acct-nnare a scusa qualunque, del sentirsi poco bene, dell'ora un poco incomoda, ccc .. Ed il vero simulatore moderno ecco come si comporta ogni giorno in ogni azione: non ti fa capire nemmeno per ombra CO· mc diavolo egli la pensi, siacché effettivamente non la pensa in alcun modo. La pensa bianca se tutto sommalo bianco gli fa comodo. La pensa nera, altrimenti. E pa.55a dal bianco al nero, a tutti i colori dell'iride, più veloce che non vipera per i sentieri. Dirò, poi, che l'abito del simulare è diffuso oggi talmente, che l'unico non creduto t l'uomo sincero. Prova1cvi, infaui, a far mostra di stare ad osservare una qualche cosa: trovcrc1e subito un simul:uore che, a scopo di nuocervi, vi domanderà il parere su quella cosa ; e che, se lo disingannerete sopra la sua già maturata sperani.a di farvi del male, anà ,ubito pronto un altro repertorio di domande, fino a ianto che vi saprà così bene involgere nelle sue reti chr, se voi non ci cadrete dentro, vorrà dire che voi slesso siete ttmpre stato più espeno di lui nel saper fingere e simulare. Anche quel certo mendicante, che si apposta all'angolo dove imbocca il mercato del vcncrdl e si fi~ge storpio d'un braccio, è un abilissimo simulatore! Infatti il suo avambraccio, completamente ripiegato sul braccio, è insaccato in una vecchia calzetta di cotone. V'è gente che ha compas- '' Non Torre! cbt Il mio fidan11t.oml riccnoactu, 11 I sionc di tale falso moncherino; ma qualcuno osserva che a la10 della strada sia nascosta dietro la siepe d'un orticello già pronta una bicicletta sulla quale, al termine del mercato, nell'ora, passato il mcz1.ogiorno, quando è un tramestio di carri e di gente che ricarica mercanzia e piglia il largo per 13. partenza, il finto storpio pa• ralitico alla ksta si scappuccia la calzetta dal gomito, si Jiber:a il ginocchio dalla gruccia che glielo teneva costrcllo, e, data una macsira occhiata all'ingiro, salta via dal suo angolo pietoso, afferra la bici• eletta cd eccolo correre anche lui a due ruolc, mercante di pic1à che ritorna ai suoi pacifici domestici lari. Alla più lunga ieri, quando ho aperto un giornale,• v'ho trovato che una signorina ,i fingeva amica dell'amica cd ani.i fingeva di proteggere l'amica n,.•sa dalle persecuzioni di ignoti. Ignoti i quali avevano preso ad attaccarsi al telefono pe:r dissuadere l'amica dell'amica di sposarsi con un tale giovinotto, dipinto, dal tele• fono, per scialacquatore, malmesso in salute, maldisposto dal lato dei denari, e chi più ne ha più ne metta. Ed anz.i fu ramica dclramica a consigliare cos1ci di ricorrere alla polizia. La polizia ha il do• vere di non credere a nulla che non cada sotto ai suoi occhi e fu cosl che si scoperse che le telefonate accadevano ad opera dell'amica dell'amica, ossia di colei che, per somma simulazione, aveva consigliato l'amica di rivolgersi alla polizia. (lo credo, del resto, che ogq:i non si possa vivere più di cinque giorni senza ricevere danno da parte d'un qualche simulatore; cd anzi credo che, al tempo moderno, chi non sappia simulare e dissimulare sia bello e spacciato). E deve, il simulatore, darti una risposta che implichi una sua c-ompartl"cipa1.ionc ad un luo affare, che non gli va? Ebbene, ti mànda la risposla «>ltanlo Quando è sicuro che li giungerà troppo tardi; onia quando o tu avrai rimr-diato da lt stesso, o per l'aiuto di altri amici, ai casi tuoi, o quando sarai già fallito o già spacciato. Deve, viceversa, il simulatore .fCus.arsi di non a-..erti mandato quella tal cosa che, da tempo, ti doveva? Ti risponderà che non ha poluto farlo prima giacché si trovava in viaggio. O se oon inventerà. la scusa dd viaggio inventerà quella d'una malattia. Un altro simulatore, di quelli invadenti che esercitano la dissimulazione non a scopo (che potrebbe CS§Crc, allora, scusabile) di difesa, ma a qu~llo di offesa, scriverà pregandoli d'un favore e rammaricandosi di non potertelo compensare perché egli è, giura d'essere, povero od assicura c-hc ~li affari gli vanno male, malissimo, sempre in peggio, a rotta di collo: dacché s'è messo in commercio non ha mai più potuto mettere da parte un soldo, né compensare, com'è suo rammarico, le fa1ichc di te che l'hai aiutato. Un ah10 simulatore, allo SC0· po di non ricompensare la tua opera secondo quello che essa vale, ti scriverà che per quel che tu hai fatto e gli hai dato, <'gli ha perduto, ha rimesso, non ha mai tratto un ccnusimo di guadagno. E soggiungerà che il genere del tuo lavoro non è più apprc77alo, non è più cercato e che egli e lo (a per te > ad accettare cib che ~li hai man. dato in regalo oppure in vt'ndita. Un altro, ti darà ad intendere che ha an• cora la tua roba in magau:ino; o che cc l'ha spars:t per i magazzini dei suoi corri5pondenti, mentre si può 5tar sicuri che egli ne ha già ~ran parte venduta. Un altro, di quelli che si fingono apo~toli e c-he non sono ahro di diverso da abilissimi simulatori, dirà c-he non fa, di quel che fa, nulla per i denari, ma lo fo per e fine culturale>, 'P<'r e soddisfazione d'anima>, per < guadagno spirituale>, e che, anzi, tutto quel che guadagnò una volta, commerciando, ora lo riversa nella sua altività seconda che, secondo lui, ha puro scopo spirituale. Oh, invece i simulatori spirituali! Per essi, tenere il pitdc in due staffe è la cosa più semplice che sappiano fare. Tenerlo in una soltanto essendo loro impos,ibilissirno, daranno, da una parte, ad intendere, ai sinistri, di tener sottomano bordont" loro, e viceversa invece si gio,·cranno d'una vaga voce, che pu sinistri li fa pas,art', allo scopo di farsi notare, da quelli di dcnra, eppoi temere. E siccome oggi mancano, al mondo, precisamente i caratteri, sarà cosi che quelli di destra si lasceranno abbordare e lusingare dalle promesse del ,imula1orc: promesse c~ic consi~tN.1.nno nel far tinta d'aver abbandonalo lai sinistra senza minimamente averla abbandonala; e, meglio, consisteranno nel riuscire a portare a spasso sia la sinistra che la destra. I e vedremo•, i e faremo•• i e diremo>, i e non credo >, i e: sarà, ma non mì risulta > sono giochetti, sono inezie rispetto alle tmvatc del simulatore moderno ; il quale saprà fingere di essersi data una martcl• lata, in un dito della dcs1ra mano, per isbaglio, se è assicurato presso una qualche Compagnia, mentre invece se l'è data per farsi dare il sussidio o la pensione d'invalidità. Prendiamo le donne: Emi non vuol ve• nirc con le perché è corrucciata, o perché tu non le hai compr.ala la volpe argentata, od un lutin rose qualsiasi; o, più semplicemente, è corrucciata perché tu non le vai a genio, o pcrch6 ha un altro caipriccio in giro. Ebbene, rimandandoti ad altra volta ti darà ad intendere che oggi è indisposta, e che ne awà, come il solito, per una seuimana. E se tu ,·orrai, come San Totil• maso, vedere, ti dirà che è brutto, e che non si può vcdt'r nulla, ccc. ccc .. Simult-rà, simulano quasi tutte, mal di testa, mal di cuore. Ne conobbi una che si lrova,•a a villl"ggìarc, per c:urafsi del mal di cuore, in un paesino di collina. Dice.va di non esscrc più capace di fare due passi senza che non la riprendesse l'affanno. Ebbene: o che io la sapessi lusingare molto bene, o che altro, so d'averla condotta, un giorno, a spasso, per dicci chilometri, fatti quasi a passo da soldato, tanto che, al decimo chilometro, ci venimmo a ritrovare in un ahro pa, e. Era un paese con un viale dr,eno di pini altissimi. Non ne ho mai visti di uguaili ahi cd in tanto numero, diri11i per tanta lunghezza di strada. Sopra • le punte loro volavano le palombc. Ma la donna non mi luciava libero nemmeno di alzate gli occhi. Venne mezzogi,nno; e si mangiò allegramente; mentre io, stupefatto, mi domandavo dove fosse andato a finire il mal di soffocamento di cuore. Un'al1ra donna, moglie d'un disgraziaitissimo marito che non meritava sl mala avventura matrimoniale, faceva nel scgucn1c modo: non appena il povero uomo avesse non dico aba1a la voce, ma apèrla la bocca, ella si poneva a gridare a sante armi ; e spaJanea•,1a finestre, e sbatteva porte, e chiamava :i.iu10: il tutto, per radunare gente; cd allo scopo, calcolato prima, di aver te· stimoni e scu,e per domandare la separazione coniugale cd imbastirgli il ricatto, or• mai solito, del mantenimento alimcn1arc. La simulnionc è, anzi, di natura femmina. Il vero uomo forte non dovrebbe mai ricorrrre al simulare. t lì che sta la ragione nobile dello stare al mondo: nel non voler simulare, pur sapendolo fare, se si volesse. lnt:,nto, giacchf tutti simulano, è da dirt' che dal mondo ,ia scomparsa ogni vera for,a spirituale. Credo che soltanto Fra Cint'pro dei Fio,~ui di San Francc,co, e non qul"IIO del poeta ricco, vivesse al mondo senza simul3.re, egli che si faccva vedere a compiere ogni cosa che gli venisse consigliala col suo estro di poeta: come quando regalò le campanule d'oro e qut-llc d'argento delle palme d'altare del convento, ad una povera mcndicantc: e che il s.1q:restano, infuriato, ricorse al guardiano, e che il guardiano tanto q:ridò contro il fraticello che q:lì vcnnt' meno la voce. SERGIO MONTESI J(..>) UELLA parte del rione Campo ~ Marzio che è comprco:a fra il _ Tevere e il Corso e più ancora l'altra fra il Tcv('re e il Pincio conservano b('n visibile. con le loro ~trade e ~tradette incrocianti~i ad angolo retto, la tipica impronta del Cinquecento cla'!~ico e del Settcct.~nto razionalista. La squadra e il compasso han lavoralo molto in quei paraggi e d'un rione ancora qua~i campc,;;trc, dove abbondavano certo i giardini e gli orti e forse perfino le vigne, h:m fatto una geometria di pietre e di mattoni d;\ cui la linea curva è ri.1?orosamcnte esclusa ai fini dell'urbanistica clasc;ica e neoclassica. Oggi, tutto sommato, anche perché nel Cinquecento e nel Seicento non vi ,i ricostruirono molli edifizi ~olcnni, prevale nel rione l'ai,;petto settecentesco. Ma in quell:1 scacchiera di '!trade tirale < a fil della ,;inopia » ci ..a.no le strade Roc;aun.··e le ,;;trade Colombine. Una Colombina ,;;iknzio..a., fon.e un poco manutengola e ruffiana, era la via. de.1?liSchiavoni 1 che correva diritta s<·nza hottcghc 1 in un'ombra grigia, \'er'-0 J,, prospctti\'a della tribuna di San Carlo ;il Corso. La via delle Colonnrtk, con le ,;;ucq,;;tcriee le :-.uebotwgurce di commestibili, era invece una Colombina alk:gr.t l' ciarliera. Le ha i11ghiottite tutte e due. imicme con le loro compagne, il baratro da cui si le~ vano i magri ruderi del mausoleo di ,\ugu,to. Quando a notle alta si velano Le pie stelle, t· il suon dclrore Da San Carlo al Corso in dodici Bal7i arri,a nel 11110 cuore; E la luna wli1aria Per il cil'I chi:no $effonde, E ~I\ .11:ui \Ogni calano Li<·ti, a. frotll' vagabonde; Su ·1 terrazzo io mu0\'0 tacita, E era' fior del para.petto L00111bra.rnia s·accampa immobile Sovra il muro di rimpclto. Sl· la Contes,a Lara potesse ancora affacci.ir<ii a mcz.znnottr al suo terrazzo di piazza Monte d'Oro, fonc s'accor~crebbc che il mono della campana di San Carlo ..,'è mutato nel traversare il gran vano. Due clf•ganti Rosaure sono senza dubbio via del Clementino e via della Fontanf"lla di Borghc-\c: ma che cosa pos- ~ono al paragone di via Condotti? Strada Condotti, come dicono i vecchi romani nati :mcora ,otto il papa : dal Cal>anova ,ti D'Annunzio c'è da fare un'antologia sulle sue grazie e sui suoi trionfi. Via della Croce e via Frattina c;ono due Colombine imborghesite qhe tendono ~•~farfalla re in Rosaurc: ancora un po' di tempo, e si vedrà. fn. vece via :\•fario dc' fiori, via delle Car• ro~c e ~ia ~cl"i~na hanno fatto, ahime, cattn:a nu<;elta, e pare non ci sia verso di riabilitarle. ;',,fa vedete che Colombine dabbene e dignitose sono via Borgognona e via Bocca di Leone. An~he ~enz:l.avere il gui,;to degli amori ancillari non ,;i può fare a meno di amarle. lo devo però confcs'!arc che via Borgognona è la mia preferita. DiscreJa, ombro~a, con le sue tranquille botteghe, le sue J>Ortedi servizio, le sue facciate po~tcriori o laterali di palazzi 1>atrizie d'alberghi, via Borgo- ~nona va dolcemen1c salendo dal por• tonc cieco del palazzo Ruspoli, che la chiude a occidente, a quell',mgolo morto. quasi un'appendice di piazza di Spa• gna, che è la piazzetta Mignanelli, e di lì si può dire che ,;alga fino alla Tri• nità de' Monti. Ma ammirate la sua modestia: mentre Rosaura, cioè via Cc_,ndotti, vi ascende trionfalmente, spiegando tutta la pompa del suo guardinf antc fiorito, per la grande scalinata a ventaglio di Ale,sandro Specchi, Colombina, in cuffia r in pianelle, vi sale per la modesta scaletta di servizio che ,;bocca incontro al palazzo Zuccari. Non crcdia1c però che via Borgognona 5ia priva di storia. Ha i suoi annali, e perfino un po' di blasone. Al principio dcl~1Ottoccnto, quando già quella parte d1 Roma era invasa dai forestieri r vi ,;j costruivano i nuovi alberghi e vi formicolavano le pensioni, l'umile strada pareva ancora un pezzo di _ghetto. Dalla cantonata di via Belsiana fino all'attuale palazzo Torlonia correvano sca~lioni diseguali su cui si annidavano malfamate casupole. Solo di là da via Mario dc' Fiori la facciata P.osteri?rr del palazzo Lepri, oggi Bezzi Scali. dava quakhc nobiltà al luogo col tardo barocco delle sue sagome. Ma quando don Marino Torlonia ebbe comperato d:-i Gerolamo Bonaparte l'antico palazzo Nuncz in via Bocca di Leone, costruito alla fine del Seicento da Giovanni Antonio dc' Rossi, volle dare un contorno dcg-no alla sua nuova dimora, e dall'architeno Antonio Sarti ne fece prose~uire il fianco in via Borgognona; sulla via Bocca di Leone fece poi aprire quella graziosa piazzetta impero che nel progetto del Sarti doveva es'!ere limitata da due padiglioni simmetrici, mentre uno solo ne fu cretto, quello che co ..tituisce la facciata dell'Albergo d'Inghilterra. Il fianco di Quc,;to albcrgo 1 opera anch'c.sw del Torlonia, risponde in via Borgognona là dove un tempo pullulavano le luride casupole. Bisogna sentire con quale effusione di lodi, del resto più che meritate, vien celebrata in una rivista romana del tempo, il Saiiintore, l'iniziativa di don Marino: Graziosa e onesta ambizione, per un ricco e nobil sip;nore, spendere il superfluo suo riconruendo comode, e polite abitazioni, là ove erano prima spelonche e tane di belve, più che case di uomini t Onore al duca Marino Torlonia ! Ecco, alle cagioni sue, rinnovarsi nel cuore di Roma una s1rada già fuggevole per tristezza e infeuatricc per miasmi diuturnamcntc esalanti! Onore a lui, che in uno al munifico Governo e .ti magnanimi pochi, fornisce pane e lavoro :i.Ila classe degli artigiani poveri! L'autore dell'articolo, Francesco Gasparoni, ci fa sapere che in quello stes• so tempo l'agenle della Corte di Spagna, don Jo'ìé Del Castillo y Ayensa, fece rinnovare il palazzo dell'Ambasciata, ricostruendone coi disegni d'I~nazio Dc-I Frate il fianco su via Borgognona, prima rustico e e rasscmbrantc più a fienile. che a qualsivoglia altro abbietto edifizio ». Ancora un poco di tempo, cd ecco il Quarantotto. Il 24 maggio di quell'anno arrivò a Roma Vincenzo Gio• berti, nel c;uo g-iro trionfale per l'Italia, e scese all'Albergo d'Inghilterrn nuovo di zecca. F,rnfare, fiaccolate, versi estemporanei di Ciceruacchio, di;;corsi dell'abate hiosofo, un drappello di civici in uniforme, messo a sua di~posizionc per guardia d'onore. E via Borgognona, in gucl clima bollente, fu ,;;battezzata e si chiamò via Gioberti. Se a ridarle l'antico nome sia stato il rancore mazziniano contro il neo• ~uelfo del Primato o l'odio reazionario contro il polemista del Gesr..ita modurio, non saprei dire. Certo è che quella vampata d'entusiasmo non durò molto. Qual_nmo, se ben ricordo, ha voluto confcnre a via Borgo~nona anche il lauro poetico, attribuendole l'onore di aver dato i natali al vate Pellegrino Spcrnndio Diacòni, che nella Roma di Pio Vf suscitava le più matte risate tra i let1cratì bontemponi, a cominciare da Vincenzo Monti, coi versi strampalati del suo poema il mare !{rande. Ma è un errore. Spcrandio, è vero, canta di se stesso ncll'ci,;ordio del poema: lo già nacqui a' Borgognoni Presso il gran Romuleo corso Da Parenti onesti e buoni: Che v't dubbio? v'è discorso? Ebbi padre un gentiluomo Che tcnca il bas1on col pomo. Fu non lunge San Marcello ti mio Fonte Bauismale ... Ma egli non allude già a via Borgo• g-nona, bcmì alla piazzetta che si apre dinanzi alla chiesa dì San Claudio dei Bprgognoni, tra piazza Colonna e San Silvestro, dove vide la luce nel 1726. Un altro poeta abitò veramente in via Borgognona: Gabriele d'Annunzir. 1 Vi trovò casa al suo primo arrivo a Roma, allo scorcio del 1881, proprio quando la musa incominciava a innamorarsi della sua testa ricciuta di adolc'!ccnte. Una cameretta al quinto piano del palazzo Primolì, oggi CamP<'llo, quello che sorge in cima alla strada, segnata col n. 12, di faccia al palazzo dell'Ambasciata di Spàgna e lo supera di qualche metro, salendo a cercare con le sue terrazze, al livello del Pincio, l'am)>io orizzonte di Roma. ~ il solo palazzo la cui facciata principale guardi su via Borjtognona: un'elegante facciata accademica evidentemente coeva alle costruzioni di don Marino Torlonia e di don José Del Castillo y Aycnsa. • Ma Gabriele non pensava a que1;te cose: l'amore e la poesia erano i suoi soli pensieri. Nella cameretta di via Borg:ognona. da cui dominava Roma e' il mondo, c.crissc le ultime liriche del Cm1to 11ovo; là corresse le bozze e acca.rc-,.zò i primi esemplari del volumetto che il Sommaruga si preparava a lanciare; di là partivano le appassionatissime lettere alla < s\rana bimba da li occhioni erranti » che nel Canto novo si chiama Laila e nella Chimera Vcrdespina. < Sono tornato proprio ora dall'Università >. scriveva a Laila nella nona lctl(•ra di quel carteggio, « ho fatte le scale di corsa1 centotrentacinque ~alini, e sono arrivato qui senza. fiato. Volevo la tua lettera, l'ho trovata l'ho baciata. l'ho aperta tremando·». ' Cli ~calini. chi voglia salirli in pelle- • grinag~io, son sempre centotrentacinque, né uno più né uno meno. Ma va no~ato, per J.a ~toria, che il proprie• tario li ha rivestiti a nuovo di marmo bianco ... Of:?'~ivia Borgognona custodisce questi ricordi in un silenzio pieno di decoro. E: diventata, non ~ perché. la via f>refcrita dai rilc~atori di libri e dai fornitori di pelletterie e pe~amoidi: gente tranquilla che attende senza fretta al proprio lavoro. Forse il fiorire di que'!te pi~colc indu!ltrie ha qualche r:t.p• Porto coi prossimi negozi d'arte di via Condotti, di piazza di Spa~na e di via del Babuino. Certo esso contribuisce a ma11tc1:ere alla veochia strada quella sua aria di dignitosa ancillarità. MAZZAMURELLI

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