Omnibus - anno II - n.39 - 24 settembre 1938

m!IA ZI~, Mrs. Warc_ Scott, . ~ ~ mando un camencrc a ., i ,, ..I _ chiamare mio padre. Era ~.., venuto da Roma appena ricevuto il telegramma che gli aveva annunciato la morte dcll:1 'Sua bambina, e ora sedeva nella sua camera, con le finestre chiuse per non vedere il wlc allegro di Canncs e il' ~are. Era vecchio e affranto. Quando 10 ero nata, sci anni dopo il suo matrimonio, la '-Ua vita era ormai al declino. E dopo tre mesi soltanto, io giacevo morta nella camera oltre il corridoio. Non era certo un dolore individuale per me quello che lo opprimeva, ma il fatto che, scomparlla io, ben poco sarebbe rimallto di lui; ero la figlia del suo tra.monto, e tutti i progetti fatti per il futuro svanivano con la mia piccola persona. I ricordi della mia na,.cita, a Londra, nel p.1lazzo di mia nonna lady Lamington, erano ancora freschi: l'illu:-.tre profc~~or Crcig sempre prc5cnte, le grandi sofferenze di mia madre concluse nella appari7ione di una gracile, ossut.1 neonata dagli occhi storti. Qu(•Sta di'ìCendcntc della vivace Annabella L.unington, nata Drumrnond, e dtl formidabile cardinale Giovanni Vitcllcschi, maresciallo delle annate pontificie, dovette essere meticolosamente avvolta nell'ovatta. Il professor Grcig disse che se mi si fosse tcriuta per un anno una benda nera sugli occhi. in modo da 11011 farmi mai veder la luce, quc:-.ti si sarebbero raddrizzati ~nza bisogno di operazione, e la governante inglese aveva provveduto !iUbito a fissarmi sulle palpebre la benda nera. Ero co..-:ìdelicata che dopo sci settimane fui mandMa da mia zia Tercsia Ware-Scott nella sua splendida vili:. di Cannes, dove essa passava tutti gli inverni. Il dottore diceva che era l'unico modo per ~alvanni la vita. E da qui, tre mesi più tardi, i miei genitori avevano ricevuto il telegramma: e Dolorosa notizia. Stella morta >. Mio padre seguì il domestico nella stanza dove io giacevo nella mia piccola bara ancora aperta, su un tavolo coperto di fiori bianchi. Mi::i zia, la. governante, gli uomini delle pompe funebri mi stavano intorno. Dopo che mio padre mi ebbe guardata un'ultima volta, la bara fu chiusa. Mio padre parve incerto all'idea di quello che avrebbe dovuto rare, poi disse posando la mano ~ul coperchio: e La porterò io giù: debbo fare almeno questo>. !\•lia zia protestò, ma inutilmente. Te-' nendo la piccola bara fra le braccia. mio padre cominciò a scendere le scale. Gli altri fo scguiv;.mo. Al momento io cui stava per svoltare sullo stretto pianerottolo, la bara urtò contro la ringhiera e gli sfuggì dalle mani. Nel momento in cui urtava il pavimento, se ne sentì uscire un minimo, impercettibile vagito. In un attimo mio padre cadde in ~inocchio e tutt'intorno non furono che grida di spavento, e confusione di gente che accorreva. Mia zia gridava: « Stella vive! Dio mio, Stella vive! > e gli affoss.."\torisi urtavano l'un l'altro precipitandosi per le scale, e gridando « Aprite il coperchio! Un miracolo! Un miracolo! ». ' Febbrilmente comincfrarono a svitare le borchie dorate, ansimando e ripetendo e: catalessi > e « grazia divina>. ~ .110 padre cercava di aiutarli, ma era troppo sconvolto. Mia zia gemeva e si torceva le mani dicendo che era troppo tardi, che non si faceva in tempo, che f:ro ormai ~fTocata. Fu proprio allora che si sentì un grido: e: Un momento! La benda! » e qualcuno fuggì come il vento verso il corridoio. Gli altri avevano appena finito di svitare l'ultima vite, che piombò su loro una bianca e fantomatica figura, e qu~mdo io fui tratta fuori dalla bara, già era po<,ata sui miei occhi la famosa benda nera, mantl'nuta ferma dalle impassibili mani della governante britannica. E io cominciai a vivere per la seconda volta. A Roma la mia famiglia abitava il ~econdo piano di Palazzo :Massimo. Spesso facevamo dei soggiorni a Corneto. Mettevamo un paniere con la cola1ione in un baule, e partivamo in carrou.a attravcr-:o la campagna. Mia madre, molto bella e giovane, portava una lunga gonna di mussola bianca con una sottile cintura di satin. Il suo gran cappello bianco po~ava sulla sua bocca un'ombra perpetua. Mio padre, ancora un bcll'uomo, teneva i guanti gialli posati sulle ginocchia. Io sedevo di fronte a lui, vestita alla marinara. Nella rhiara luce solare dovevamo sembrare un soggetto per un quadro di Manct. Mio padre e i suoi fratelli avevano passato la loro infanzia nel castello dei Vitclleschi a Corneto, tra~fonnato poi in museo. Erano là quando i loro genitori morirono, a due mesi uno dall'altro. Mio padre aveva allora dodici anni. ~fi raccontava spesso della sua atte-.a in un'anticamera, mentre i fratelJi maggiori, gli avvocati di famigli:i, i p:.J1l"nlie il notaio erano riuniti per sfate111are l'eredità. La riunione era presieduta dal fratello maggiore, S:ilvatore, cardinale e più tardi segretario di Stato di Pio IX. Questi era uscito dalla stan7.a, era venuto da mio padre facendo saltellare nella palma certe pietre verdi e luccicanti. e Queste sono tue >, gli aveva detto, e: sono gli smeraldi di nostra madre, tienli da conto>. Mio padre guardò i gioielli che avevano appartenuto a sua madre, alla quale aveva voluto un gran bene. Per lui non erano che pietre senza importanza e senza significato: c'cr;1no la collana, due orecchini, il braccialetto, una spilla e il diadema. A un tratto sul suo vi~, fino ad allora triste e solf'nne, apparve un rapido sorriso. Poco d?~, _tornati a Roma, sì presentò rl un g101ellicre, po-.c gli smeraldi sul suo tavolo e chiese; e Quanto mi date per qu~c,ta roba? >. fl gioielliere, impassibile, contò e pesò le pietre, e offerse poche centinaia di lire. Mio padre, ignaro del loro valore, accettò con cnt~~ias,1;0. Aveva fatto il piano di fug- ~1~e ~1.cas..1.e andarsene a Parigi. In lui riviveva lo spirito avventuroso dei ~lloi antenati, che in verità non doveva ~ntf'~&mcnt~pcrde~e nemmeno con gli ,mni. Vestito con I pantaloni corti. Ja cravatta a fiocco sul giubbetto di ~cll~to r_icamato e le scarpe con la fib. b,a, .s1 presentò alla taverna da dove p:rt1va la diligenza per Civitavecchia. Non ~veva bagaglio, ma faceva risuonare 111 fondo alla tasca i ducati d'argento del gioielliere. E così salì sul grande veicolo, che fuggì per le strade deserte dcli'Agro, verso il mare. Ma intanto la sua scomparsa era stata -.coperta dai familiari. 1J cardinale Vitellcschi fece fare delle ricerche ~cppc così che il ragazzo era stato vist~ d:'-1gioielliere. Vi ~i recò, si free sub~to restituire i gioielli, e chiese un'ud1cnz~ privata .1 Pio. JX. Un'ora dopo un. distaccamento d1 gendarmi pontifici comand..tto da un colonndlo -.j l~nci~v.a di gran galoppo sulla strada d1 C1v1tavccchia. Mio padre fu sorpreso al momento in cui stava per ..-:a.lirseu un'altra diligenza prr proseguire il viaggio. :\1:algrado le sue proteste indignate ìl colo~nclJo lo caricò sulla. groppa dei proprio ca~allo e montò con lui, tenendolo. solidar:1eme e senza complimenti per .il braccio. Fu un ritorno inglorioso e m,.o_pa~re arrossiva sotto gli sguardi stupiti dei contadini della Campagna. Appena a Roma, il fratello lo condusse dal Papa, che gli parlò severamente. del suo dovere di obbedienza v~rso il fratello maggiore, ma finì il nmprovero con un sorriso buono e una benedizione. Mio padre passò il resto della sua infanzia a palazzo Vitellc.~hi. Era sempre accompagnato dal suo tutore monsignor .Contini, che poi gli rimas~ grande a~mco per tutta la vita. Questo monsignore era anche confessore: nella chiesa del Gesù. Allora c'era l'usa!1z.a,<3uan~o si confessavano gli uomm1, d1 aprire la porta del confCMionale, e di far stare il penitente in ginocchio davanti al sacerdote. Una volta uno dei penitenti, al momento di finire, dis~ a monsignor Contini: e Padre, ho dimenticato di dirvi che ho rubato un paio di fibbie d'argento! ;t, . e Bene, figlio mio>, rispose il monsignore, e: dovete promettermi di restitu.irle s_ubito al loro proprietario, altnmentt non posso darvi l'assoluzione». « Non potreste prenderle voi, padre?>. e Che cosa vi viene in mente! Nemmeno per sogno, figlio mio! >. ROMA • PUZZA BA.li PIETRO NEJ PBJlfI ANNI DOPO IL '70 « ?\{a, padre, se il loro proprietario rifiuta di prenderle quando io gliele offro? #. e J n questo ca~, figlio mio, potrai tenerle per te >. E quindi diede l'assoluzione al pcnitentl', che ~ ne andò via tutto contC"uto. Quando, dopo tre ore di confessioni, monsignor Contini tornò a palazzo Vitclleschi per riprendere. il suo 1>0sto di precettore di mio padre, si accorse che le fibbie d'argento delle sue scarpe erano sparite! Mio pa<lre non vedeva sovente suo fratello S.ilvatorc, di venti anni più anziano di lui; ma a tavola, c1u,mdo tutla. la famiglia ~i riuniva, ascoltava :-.pcssod,1 lui aneddoti :.ul Papa e sul Vaticano. Uno speci~1lmente aveva molto div<-·rtitomio padre. Una ~ignora ~(iller, americana di Pennsylvania, aveva sollecitato una udienza dal Papa. Pio IX non sapeva l'inglese e il cardinale \"itelleschi fa. ceva d,1 interprete. Non appena l'americana fu introdotta nella bella sa.- I;, damascata delle udienze, cadde in ginocchio: « Santità », declamò, « grazjc, grazi(• per il miracolo! ». ~fio zio tradusse. « Che miracolo? » chiese il P.1pa :1tt1:n·eN> l'interprete. « Quello delle calze. Durante tutt.:1la mia vita. Santità. io ho sofferto orribilm(·nte di reumatismi. Avendo saputo che Vostra S:unità può fare dei miracoli, quando l'anno passato venne a Virginia un uomo che vendeva una vostra calza, io l'ho comprata per cinquecento dollari. D.1 allora io porto ~cmpre quc:-llacalza, S<uHità, e non ho mai più avuto rrumatismi. Grazie per il miracolo, grazie! ». Mio zio tradusse ancora. e Ditele », dis,;e il Papa, e cht è fortunata. Jo pure porto le mie calze, e da semprei e sono pieno di dolori reumatici lo ~tesso». Allora mio padre era e pcr:-.ona ~rata> al \"aticano. Poteva andare e venire per le sale e le gallerie, per la biblioteca e per i giardini. Qualche volta copiava i quadri dei grandi maestri. Una volta che stava seduto in cima a una scala copiando un Raffaello, la scala scivolò proiettando mio padre sul pavimento, e solo per pochi centimetri le 'ìUa tcst.1 non sfondò la tela dr! Raffaello. :\fa mio padre non passava tutto il suo tempo in Vaticano, come suo fratello Sal~atore. Aveva tante cose da fare in città. La Roma del 1850 era gaia e piena di intrighi divertenti. C'era il te;1tro, la caccia, c'erano i salotti del patriziato, la passeggiata sul Corso a mezzogiorno, e i grandi balli, fra i quali quello ddlla principcs-.a Ro~pigliosi, nel m,1gnifico palazzo affrescato da Guido Rcnii era il più famo~ di tutti. Mio padre era giovane e molto bello. Tornando a casa alle sette del mattino eia qualcuno di que:iti grandi balli, spe~ incontrava sullo scalone di m::i.rmosuo fratello il cardinale che scendeva per recarsi in Vaticano. Mio p:1drc allora si inginocchiava reverente, in frac e ~parato candido, per ricevere la 1:x-ncdizionedel porporato dalla sottana a strascico. Poi, allegro e di!!involto, andava a mettersi a letto. Mio p.1dre non perdette mai la benevolenza di Pio IX, nemmeno quando si uni al partito liberale. Le opinioni politiche del resto non gli impedirono m.ii di rimanere in fondo al cuore fedele alle vecchie tradizioni romane e alle usanze p~irticolari della SU,\ città, Molte volte mi ha parlato con rimpianto delle splendide Pasque roman1.:,quando il Papa era ancora il -;ovrano di Roma. La sua dc~crizionc era vivaci"lsima e mi ~mbra.va davvero di vedere la folla versarsi nella piazza di San Pietro dalle strette straducce dei Borghi. e l'arrivo dei cardinali e degli amhasciatori nelle loro berline di g.il..1fregiate di :-.temmi e di corone e sco1 t<.tte da cinque o sci staffieri sulle cui livree erano ricamate le armi di Sua Eminenza o di Sua Eccellenza. I c;ivalli erano ornati di placche d'oro, di 11a:-.ui,di fiocchi. ~Li :-.iccomc la pompa dei C~ffdinali era uno spettacolo di ogni giorno, a Roma, essa non attirava 1'.ttt1..•nzioncdel popolo quanto le umili carrozzelle dove ~devano le tante celebrità mondiali del tempo, venute a Roma per assii;tere a questo meraviglio\O cd unico spettacolo. Appena era finita la messa papale, tutti gli invit.Hi i,i riversavano fuori, \ulla piazza, per essere presenti alla bcnedi~ zion<: « urbi et orbi » : cd era un -:ingoiare spettacolo, quello di tante pcr- ~ne in uniformi di gala, coperte di decorazioni e d1 ordini equestrii mescolate alla folla degli umili popolani in una confusione che rivelava lo strano car.1ttcre insieme autocratico e dcmoc1atico della ,Hltorità pontificia. Tutti t'rano uguali di fronte al Pontefice che app.1riv;_1sulla loggia, nei suoi p.1ramenti candidi, portato a spalla sul suo trono dai scdi.ui coperti di velluto cremisi fino :"I.ilapunta delle scarpe, seguito dai grandi Habclli di piume di stru1.zo. Pio JX ;_1vevaufla voce chi.1.- rissima. Quando aveva d;,to la benedizione, la folla, rinaasta ad attenderia in ginocchio, si rialzava e si di~perdcva in ogni direzione, verso le col.1zioni pasquali che riunivano giocondamente tutto il parentado. Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrarono in Roma; ì e: neri » chiusero i loro portoni e tutti i r.1pporti fra il Vaticano e i e bianchi > furono rotti. Ma qualche tempo dopo mio padre ricevette da Pio IX un biglietto: e Come marchese Vitclleschi non posso ricevervi più, ma come mio diletto figlio France,;co siete sempre carissimo al mio cuor<'">. Mio padre era molto intimo della Famiglia Reale, e fu fra gli incaricati di ricevere Vittorio Emanuele II al suo ingresso in Roma. Presto venne nominato senatore. I suoi amici erano, fra i grandi nomi: Mazzini, Verdi, più tardi Crispi. Quest'ultimo e molti altri venivano a trovarlo mqho spcs!)(),e in- 'iieme parlavano, parlavano, parlavano, di quello che avevano fatto e di quello che volevano fare in futuro. Poi c'era Fclicr Cavallotti, la cui voce sorgeva i,cmpre a criticare, a protestare, a demolìre. Mio padre non aveva per lui troppa simpatia, e quando venne ucciso in duello, come il bel conte di ì\,forra)', con una puntata di sciabola nella bocca, disse ironicamente ; e E: st~1to colpito dove ha peccato>, e la frase fu subito ripetuta in tutta Roma. Con gli anni, gli animi si calmarono. Mio padre divenne uno dei membri più noti del Senato e i suoi discorsi furono conosciuti e app1·ezzati in tutta !'Itali:'\. Dopo una vita brillante, trascorsa fra la 1>0liticae la mondanità, a cinquan1:'\~cianni mio padre si innamorò della seconda figlia di lord Lamington. 1-::ssa era molto bella, biondissima con gli occhi celesti, molto pili giovane di lui. Il loro breve fidanzamento fu concluso da una clcg.mti(,sima cerimonia nuziale a Londra, alla quale assistCttc tutta la :-.ocietàmondana e politica del Regno Unito. Mia madre an ivò :'.l. Roma piena di idct• nuove, perché l'Inghilterra poteva allora considerar:-.i molto avanzata nel lasciare alle donne la loro indipcndcn7.a; a Roma a quel tempo, per quanto la cosa po:-.~aoggi sembrare ridicola, era tuttavia generalmente ammesso che una signorina anche cinquantenne non potc!-se u5circ senza dama di compagnia, e che una signora di una posizione mondana elev:ita non dovesse farsi vedere per strada se non seguita a qualche pa~so da un domc:-.tico. E fu così infatti che mia madre dovette ra..-:..cgnania fare il suo footing per le vie di Roma. Qualche anno dopo, al momento dell,t mia nascita, di questa usanza antiquata non rimaneva più la minima traccia. Una moda fatta di attività, mentale e intellettuale, stava trasformando le vecchie consuetudini di cerimoniosità e di etichetta. J tempi cominciavano a evolvere verso l'epoca proustiana di Parigi, che poi a sua volta si è dissolta nella guerra. Mia madre era un'ottima pianista, e siccome la musica era molto amata a quel tempo. ella suonava spesso per i suoi invitati a palazzo Massimo, dove mio padre era andato ad abitare dopo il matrimonio. Franz Lis.zt veniva spessissimo da noi, e anche Verdi, ma quest'ultimo soltanto per parlare di politica con mio padre. Liszt era un grande amico di mia madre, e ne stimava moltissimo il talento musicale. Anche da vecchio Li1;,zt conservava la semplicità sognante e il fascino ingenuo della sua infanzia. Detestava però che gli si chiedesse di suonare nei salotti. Una volta venne a pranzo da noi, avendo messo come condizione che non gli si chiedesse di suon.tre. ~!algrado questo, gli invitati cominci.:irono a insi-:tere: e: Per piacere >, supplicò uno, e almeno una nota! >. e Vada per una nota >, conces~ finalmente Liszt. Si al.t:ò,si avvicinò lt:n1.1mente al pianoforte, alzò con solennitd un dito, e batt~ un tasto. e Questa è la ,ostra nota », dis:-.e, l tornò a :-.edere, tra la costernazione e l'imbarano di tutti. Una delle mie più grandi gioie cr;.1 raggiungere mia madre dal parrucchiere. Il parrucchiere di mod:l a quel tempo era il signor Pasquali, che avev.1. sposato una parigina, figlia del principe dei parrucchieri parigini. Era il signor Pasquali che serviva per),,()nalmente la regina Margherita. La signora Pa:-.qu:tli era una specie di personalità, conosciuta da tutti, di rnodi addirittura regali, e con una conversazione interessante. Il loro negozio stava in via. Condotti : appena vi facevo il mio ingresso, la signora Pasc1uali mi veniva incontro, mi offriva in regalo un piccolo campione di profumo, e mi conduceva nella cabina dove si !itava lavorando alla chioma di mia madre. Allora non esistevano a~ciugatori clct• tri<.:i,e quando i capelli, lunghissimi sempre, erano stati lavatii bisognava a:-.ciugarli a mano; prima si comprimeva la testa con dei tovaglioli caldi, poi l'artefice, mentre con una mano teneva in alto le punte dei capelli, con l'altra mano agitava sotto di loro un ventaglio di carta. Se la signora aveva molta fretta, si aggiungeva il ventaglio supplementare di un assistente. Sebbene mio padre fosse molto più vecchio di mia madre, era tuttavia così giovane in tutto che la differenz..i di età non aveva importanza fra loro. Erano una coppia bene assortita. Mia madre era così a posto nella società del suo tempo come mio padre nella vita politica. La società di mia madre era quella dello strascico} delle parole delicatamente sfumate, del bel canto e del tiro a quattro. Mio padre conosceva Gladstone, Bismarck e tutti i grandi uomini politici del tempo. Allora la società era tanto lontana. dai cocktails partics quanto la vita politica dall'intervento delle masse. Entramdi rappresentavano un aspetto della cul_!Era. oggi interamente scomparso: mia madre era una brava acquarellista, si interessava di storia e suonava Chopin; mio padre dipingeva ad olio e discuteva di filosofia. Era anche stato un instancabile ballerino e un intenditore di musica. Tanto lui che sua moglie erano pieni di vivacità e di umore indipendente: bastava dire a mia madre: e Cara, non puoi far questo», perché subito decidesse di farlo a qualunque co:-.to.La sua ostinazione è ancora proverbiale a Roma. Una volta, mentre )tava scrivendo un lavoro di ~toria, le venne in mente d.i inserirvi la fotografic1.di un quadro che si trovava in un convento di clausura a Torino. Tutti i suoi amici le assicurarono che non sarebbe stato assolutamente possibile ottenere il pcrmc-.so di fotografarlo. Mia madre si rivolse a Leone XIII, che le rispo'>eche la clausura era infrangibik·, e che nemmeno il Pontefice ave-va il potere di sospenderla. Allora mia madre ricorse al Re Umberto; questi le disse che le dava la sua autoriz.zazione1 purché il convcntv avesse acconsentito a far uscire il quadro fuori delle sue mura. D'ordine del prefetto fu costruita lungo la facciata del convento un'impakatura sulla quale salirono mij, madre e due fotografi, mentre da una finestra dd convento il famoso quadro era calato per mezzo di corde fi110a loro per cs~cre fotografato. Intorno si era n.lturalmcnte formata una gran folla che non t.lpiva nulla di quello che stava succedendo intÒrno alla chiu,a dimora delle suore invi~ihili. Appena prc-:c le fotografie, il quadro venne immediatanwntr tirato su e !iparì dentro la fine,tra con ~ran soll!cvo, suppongo, della madre mperiora. . Il mio primo ricordo della mia madrina, la Regina fvfargherita, risale a quando avevo quattro anni e i miei genitori mi portarono al Quirinale per vederla. Ricordo perfettamente di e~re stata in piedi sulla tavola della mia cameretta rnentre mi vc"itivanoaccuratamente per <1ue:-.taoccasione con un ve!ititino bianco e un cappello bianco, e tutti mi raccomand~ivano di ri!iponderc molto gentilmente alla Regina. I miei genitori cd io andammo in !andò al palazzo reale. Attraversammo molte sale e anticamere e finalm('nte la dama di Corte, che era la marchesa di Villamarina, ci introdu:-.se nel ~alouo dove :-.tava la RL·gina. Vidi una lunga camera con delle fine!'-tre altissime e in fondo un divano di damasco :-.ul quale sedeva la Regina, il petto coperto da fili di perle. 'oi ci avvicinammo, e dopo poche parole, io salii cautamente in gr·embo alla Regina. Mentre gli altri parlavano, io mi mi~i quietamente a giocare con le perle. A un tratto chiesi : e Dammi queste palline, vorrei giocarci>. La Regina rise e mi accarezzò dolcemente: « Te ne darò di molto più carine>, mi rispose. La conversazione durò pochi minuti ancora c poi l'udienza ebbe tennine. Pochi giorni dopo riceveui un pacchetto da.Ila Regina. Lo apersi con grande emozione e dentro ci trovai un' filo di perle e ~ma scatola di palline colorate, di cristallo. (contir1ua) STELLA VITELLESCHI

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