Omnibus - anno II - n.38 - 17 settembre 1938

~~<I;\(A che leitcmurn ,;gn;fi.- ' _ • casse per mc qualche cosa, co1 ;, 1 r..:7 nobbi per casa degli scrittori, __ .J sempre per via di mio padre, ""'---=-' che mi conduceva con sé a vi- :s11<1d1, o li riceveva in casa. '.\le ne res~~no impressioni incidentali e infant1l!•. Non mi attirava la letteratura, non m1 importavano gli scrittori e non mi batteva 1I cuor-e per la fama. Ricordo una visita a Cesare Cantù uno scalone di pietra, una stanza fredda'. tappezzata di libri fino al soffitto: c'eran hbri da per tutto, anche per terra. L'uorno che ci recammo a visitare stava infai:cottato sopra una scrannona, che mi pan'o alta, o forse io era piccino; rl\'Cdo soltanto una macchia di capcl11 bianchi un gesto un po' papale accennante bene~ dizione, cd un'atmosfera poco luminosa d1 nebbia e di gelo milanese. Forse er~ nellà 01hlioteca di Drera. Accanto, un fruscio d, sottant:: la signora \'illa-Pern,ce, che per lo storico avev.-1 un'affezione speciale, e per mio padre stima ed amic1zrn. l.Jn sentimento differente accompagna il ncordo d'una visita al senatore Giovan llattista Giorgini, genero di :\1anzoni, C'era un gran stridore di cicale nel cielo t' 1 lecci sta\'ano immobili sotto un sol~ che parcqi battere a mazzate sul soffietto della vettura, che dalla stazione di :\lontlgnoso ci conduceva alla villa. Durante una \'8Canza estiva, che si passava alla Spezia, mio padre s'era ricordato del vecchio gentiluomo toscano, che glt era caro per la coltura e per la signonlttà. Che pcc~ato ·, ~1ceva, che, con tanto ingegno, prt:fcnsca 11leggere allo scri\ere •. E che vena epigrammatica come quando, d'un deputato che alla Camer., non ave\·a parlato mai, promettendo però di far colpo il j{iorno in cui avesse • rotto il ghiaccio•• 11 G1orgmi a\'eva detto: L'onore;,ok- Soloni fi alnientt.· il 1,1;hiaccio ho. rotto; ma se a rompe, lo pt-rdura, c~l' rottura, che rottun ! ' La benedizione dei vecchi fa sempre ben~ ai giovani•, disse mio padre quando s'csci,·a dal Cantù. :\1a io non ero dello stesso parere: quella visita m'era parsa molto noiosa. !)al Giorgini ero escuo allctz:ro e leggero. Vorrei raccontare molte belle cose Ji Carducci, che vidi tre volte, ma ero un ragazzo senza passione per la poesia e per i poeti. Sarebbe molto carino che vi potessi rac• contare: • Carducci era amico di casa, e un bel giorno che io gli recitai bene una delle s'Je poesie, mi strinse il ganascino e mi dis!\c: "Ora,·o Peppino, ecco un Jj. bro per te", e su la copertina c'era scrit• to: A Giuseppe Prezzolini, speranza della lr ,erat1Jraitaliana•. Quella copenina ora sarebbe nel mio studio, incorniciata; con accanto la mia laurea, ottenuta dallo stesso Carducci a Bologna, ed egualmente incorniciata. .Ma non posso raccontarlo; d1 lauree no:i ce n'ho e quella dedica c'era. tra i miei libri di ragazzo, ma non d1 Carducci: era di D. C. CARDUCCI E ANNIE VIVANTI CON OLI AMlOI NAPOLETANIROBERTOM.&RVA8I,LUJOI SETTEMBRINI, RArFAELE CONFORTIED ENRICOPESSINA C. non era uno scrittore ma un patriotta ed un eroe; a quattordici anni aveva combattuto per la difesa di Roma con Garibaldi; fatto pri~1onicro dai francesi era scappato, e, tornato a combattere, dalla repubblica del '49 aveva avuto una spada d'onore. Poi aveva seguito sempre il generale. Era diventato suo intimo e dei suoi. Ed anche d, Casa Reale, specialmente della regina Margherita. N'erano nat, misteriosi poteri e lo circonda\'a un alone d'influenza. In casa nostra era venuto perché teneva due figlioli in col• legio, e non sapendo a chi raccomandarli nella città, dove non conosceva nessuno, li aveva appoggiati al prefetto, che ogni domenica h ntirava dalla reclusione e li teneva a colazione, o a cena, o a passeggio. Et due padri eran diventati amici. Tante volte il C. ci aveva raccontato le sue gesta. Era alto, con un bellissimo profilo e maniere signorili. La sua loquela \·eneta da,a una gentilezza squisita ai suoi racconti. Di tutti uno m'aveva particolar• mente colpito. Alla presa di Palermo, nel '6o, s'era trovato a testa a testa con un ufficiale borbonico in un convento di monache, e dopo essersi sparati addosso le pistole, senza colpirsi, s'era ingaggiato un combattimento con la sciabola at• traverso le 5tanze di questo convento, in cui 11borbonico perdeva sempre terreno, ma tro,·ava sempre un'altra stanza, fra suore che strillavano e in atto di spavento e di cantà si sarebbero magari inframmesse, senza l'aspetto deliberato e feroce dei due-. Alla fine il C. aveva disarmato l'altro. Gna scena da Fairbanks, ora che ci ripen,;o, dopo aver visto j) Figli-Odi Zorro al cinematografo, che guasta tante belle cose. Il C. mi regalò un libro di Verne con quella dedica, che allora mi faceva rabbia. ~on avevo nessuna inclinazione per le lettere. Svolgere i temi d'italiano mi faceva terrore. La poesia non mi piaceva. I.a letteratura mi pareva rutta chiacchiere, E se 4tmpatia avevo, era piuttosto per le matematiche, per le scienze esatte. Mi piaceva risolvere problemi di geometria cd equazioni d'algebra. Le armonie che scopnvo tra I numeri e le stringenti dimostrazioni, che non si potevano eludere, mi appassionavano, Quella dedica non diceva nulla alla mia immagma.zione, né alla mia ambizio~e, sicché la misi nel no- ,·ero d1 tutte quelle cose che, quando si è ragazzi,la gente più grande di noi e gli amici dei nostri genitori ci rcjtalano, pensando di farci chi sa quanto piacere, e invece non fan né caldo né freddo, o ci annoiano. Yla una poesia a Carducci la recitai, con effetti :ilquamo differenti da c1uelli che avevo immaginato in prmc1p10, Carducci era m casa nostra un nume, però non tutelare. Xono~tante l'influenza politica del suo amico, mio padre non ricorse mai a lui per entare una destinazione cattiva - e per mio padre, come per quasi tutti i toscani del suo tempo, credo che catti,•a s'idt.:ntificasse con meridionale o insulare - o per ottenere una deco~zione, o un aumento d1 stipendio. Delle decorazioni, faceva lo stesso conto dei titoli nobiliari, accompagnandone nel• l'intnnnà le sonore qualifiche con epiteti e gesti e talora suoni irrispettosi, ma portando con sostenuta indifferenza quelle che gli a\"evano meccanicamente dato du• rante la sua carriera, e che certamente non aveva sollecitato. Raccontava talora di quel fattore, fatto ca\·ahcre per avere aiutato l'elezione d1 un deputato, al quale 11 padrone stuzzichino soleva ordinare: Ehi, cavaliere, mi tenga il cappOttQ; ehi, cavaliere, mì stringa la sella,, Cli aumenti di stipendio, quando venivano con l'anzianità, li accoglieva con piacere, e sole\'a elogiare gl'lnglesi che, secondo lui, avevano dato a non so qual generale, vincitore nel Sudan, 11titolo d1 baronetto ma anche una bella somma di sterline. Ma però non avrebbe mai seccato il suo Carducci per cose di questo genere, sebbene avesse avuto occasione d1 rendergli qualche servizio quando Carducci era poco conosciuto e mio padre, per esser stato segretario particolare del mmistro Peruzzi, era tn buone relazioni con la bu• rocrazia d'allora. Lo si vede da due lettere che saranno pubblicate nell'Epistolario raccolto dal prof. Albano Sorbelli, la seconda delle quali è particolarmente importante per la storia dei sentimenti politici del Carducci (t). Una voha, però, il nume ebbe un pensiero gentile e tutelare per 1I suo antico amico. ~io padre era stato inviato prefetto in una provmcia vasta e considerata difficile, perché di sentimenti irredentisti, che a quei tempi d1 non senrna Triplice Alleanza pote\"an costare caro a un rappresentante del governo. C'eran parecchi deputati e vari senatori da considerare, i! nientemeno che una diecina di fogli tra quotidiani e settimanali, ognuno a servizio di un partito, o per lo meno di un'ambizione politica. Prima che ar• rivas.se a destinazione, Carducci scrt!'ISC spontaneamente a una cinquantina di amici che aveva nella provincia elogiando mio padre per 11 suo patriottismo, per il suo galantomismo, e per le sue buone lettere: e m nessuna provincia fu cosi bene accoho come li. Con tutto ciò, io non son stato allora carducciano, né un lettore appassionato di Carducci, anzi credo di avergli dato due piccoli dispiaceri. Che cosa potev·essere un poeta per un bambino? C'era negli scaffali di casa un grosso libro che forse qualche bibliofilo ricorda: / quattro po~li italiani, edizione detta del Viaggiatore, perché m carattere minutissimo contiene le opere di Dante, Petrarca,_ Ariosto e Tasso, che si supponeva I viaggiatori d'allora a\'eSsero !"intenzione di portare con sé; e di ognuno d1 essi ha incisa un'immagine, a mezzo di una pagina, con la corona di lauro m capo. Avevo sentito tanto parlare di Car• <lucci, quando seppi che avrebbe pass uo la notte m casa nostra, un'estate che si reca\'a in una valle delle Alpt. ~on l'ave. \'O mai visto, né c'era in casa una sua fotografia. lo, che a\·evo spesso osser\'ato le teste dei quattro poeti italiani con la corona dj lauro,_ mi immaginavo il poeta d'oggi anche lu, con la corona di lauro in capo, e domandavo a mio padre: Che cosa fa della corona la notte? Se la leva? La mette sul comodino? La ripone sopra il vaso da notte?•· QucStl: domande da bimbo, più che da ragazzo ~avrò allora avuto otto anni), fu. r?n riferite da m10 padre a Carducci, che c1 nsc, ma 10 fondo rimase soddisfatto, Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso a\'C\'ano la corona.. Anche Carducci ... Come 1 quattro poeti ... E di mezzo a una faccia selvosa due occhi porcini mi guardavano e. bnllavano sorridendo. Se non che, la simpatia che potevo avergli ispirato quella volta con le mie ingenue osservazioni, dovette passargli più tardi, la seconda volta che lo vidi. Avevo 1mpar~o a mente il T'amo, pio bove, e siccome tutti i babbi hanno le loro debolezze, e spesso hanno le stesse debolez7..e, dovetti far sentire a Carducci i prodigi della mia memona. In quel tempo arrivava a casa un periodico satirico, compilato da quel burlone di \'amba: /..'O di Giotto, che con I suoi pupazzi attirava la mrn attenzione e dove ho pescato le mie prime cognizioni di politica estera; cioè i baffoni di Crispi, i tre capelli di Bismarck e i discorsi di Caprivi, che non capriva null:t, In quel periodico era apparsa un giorno una parodia della poesia carducciana, composta per schernire un certo comitato presieduto da Gio• vanni Rovio per erigere un monumento :i Giordano Bruno. comitato che non nesciva a raggranellare abbastanza denaro. Esso incominciava: T'amo, pio Bo\ 10. e si;raH~un monumento li fra Giordano Oruno in tor m, stnt<..J.. e hniva: delle tasche il d1\in ,;ilenzio Hrde. Per quanto faccia, non mi sovviene n_essun altro verso, e non son nemmeno sicuro di quelli che cito; ma certo il sonetto d_ovevaessere molto divertente, perché mio padre, nonostante ti suo culto carducciano, se l'era imparato a mente e andal'a recitandolo or a questo or ~ quel. conoscente col quale discuteva di pohoca e d, letteratura. Ed a forza di rip~terlo tanto a,·eva fatto sl che io piano piano me. l'ero ficcato m testa; e colle nme e 11mov1_ment? comune al sonetto originano, mi veniva d1 prendere l'uno per l'altro. li giorno m cui fut rnvitato da mio padre a dar proya della mia memoria, non so per quale disattenzione o diavokna infilai la parodi:. mvece dell'originale; T'amo, pio 801:io... Dicono che Carducci Cl nmase male. _Sono passati molt'anni e non posso ricordare che sbaglio feci poi una sera giocando a tressette, compagno di Carducci. Cerco invano di rievocare quella serata, che .dovette essete memorabile per il preside del liceo, che ebbe l'onore di gio. care contro Carducci, Sotto la luce della lampada a petrolio di ferro stampato con In sfera di porcellana bianca, vedo un gran fumo di sigaro, a serpcnune; e Car• ducc1 che bussa e che striscia, con le carte in mano, senza parlare, perché a tressette non si parla; e la rovina che si avvi- "Cma,a mano a mano, con disastro finale di assi lasc1at1 nelle mani del nemico, ché aver abbandonato I cannoni con le munizioni intatte non sarebbe stato una colpa peggiore per un comandante d'artiglieria. Questa fu la seconda volta che vidi Carducci da vicino. L'ultima fu a Firenze. ?\110 padre non era più prefetto, e Carducci non era più Carducci. Lo incontrammo nel tranvai di circonvallazione. D1re1 che fosse stato di pnmavera, dal ricordo della luce di quella mattina. Era <1edutodi faccia a noi, accidentato, triste e accompagnato da una specie di servitore, che do\'C\'a sorreggerlo per la via. Riconobbe il babbo e cercò di parlargli. :\1a la lingua non lo serviva be,ic_. Gli si legge,·a negli occhi sforzo, rabbme vergogna d1trO\·arsi in quello stato in presenza d'un amico. Barbugliò ch'era stato a fare una passeggiata a San l\Iiniato per vedere la tomba d'un poeta. Di Giusti? Così almeno capì mio padre. 11 tratto che si percorse assieme era breve, ma parve a tutti un viaggio lungo, interrotto da silenzi, :--:on c'era gente e non si sentiva che il rumore del tranvai. Finalmente si arrìvò dove mio padre doveva scendere. Carducci lo abbracciò come potc\·a, perché non si alzò in piedi e la sosta non era lunga. Forse pensavano ambedue che non si sarebbero rivisti più. Mio padre mi disse infatti che non ere• deva di rivederlo più e infatti fu C'>Si, ma non come lui forse si aspettava. ;\lori lui prima di Carducci, portalo \'Ìa da un male dello stesso $tenere, ma più rapido. Di questi accidentali incontri con letterati, quello con Enrico Panzacchi mi restò impresso soltanto per la sua pancia. Ern parsa a mio padre una gran trovata farlo chiamare candida10 in una lotta elettorale, mi pare contro un santone del socialismo locale; e, sollecitato dall'ambi• zione, il Panzacchi ave,·a accettato. lo non lo ricordo che nel primo momento in cui lo vidi, e mi colpì, perché cercava di star'seduto sopra una seggiola di stile, non saprei dire se Impero o Luigi XV, ma certamente una seggiola ptccola, fragile e scomoda, con $tambe esili e schienale sottìie. Non era quel che ci voleva per il suo sederone e per la sua ventr_aia. Ci capiva male, e stava appoggiato sul marjtine; le cosce ad angolo retto col ventre glielo facevano strabuzzare da tutte le parti, comprimendo pantaloni, e panciotto e giacca, con grossi costoloni o giogaie, che dovevano corrispondere a tante piegature e vallicelli della sua superficie sebacea. Il Panzacchi fumava e in quel momento era tutto circondato da una serie di ,,olutc di fumo azzurrognolo; dal fondo del suo ventre, più che dalla sua bocca, come da quello d'un violoncello, pareva escire una voce profonda e ben modulati. Chi sa quanti! gr~ziose cose di l~ttere, di st2ria, di pol1t1ca avrà dette il bravo p~fessore di e-stctica, ma io non saprei dav,·ero ripeterle, prima di tutto perché non le C3f.•i\'O, (: poi perché di tutto l'uomo una !"'.Osa aveva sorpreso la mia immaginazione, quella sua formidabile -pancia. Nonostante la sua amicizia per mio padre, non ebbi occasione di conoscere Enrico :--.:encioni, Era anche lui stato compagno di scuola con Carducci, ma più intimo del babbo, che lo considerava come un fratello. Era già morto, quando ebbi da lui una rivelazione. In una cassetta d'ordinanza, che aveva avuto durante la campagna del 1859. mio padre conservava le più care corrispondcm·..e, molte anterion alla formazione del regno d'Italia. Ricercatore di francobolli, si capisce come quella cassetta fosse per me un campo diamanufero, che avrei voluto esplorare a mio modo: ma non c'era verso. La cassetta era chiusa, il. genitore n'era geloso. lin giorno, che il desiderio del francobollo giallo da un soldo del granduca mi aveva reso più as.tuto, riescii a impadronirmi della chiave, e 111 una stanza lontana, dove 11 rimbombo dei pass~ m'avrebbe prima avvertito se qualcuno veniva, potei a mio agio fare una. bella raccolta di francobolli degli ant1ch1 Stati italiani: col giglio estense, col marzocco toscano, con la trinacria dei Oorboni. Ma scorrendo la corrispondenza in cerca di francobolli, non potevo fare a meno di dare qui e là un'occhiata al contenuto, e qualche frase mi fece soffermare su certe lettere, ~1rmate Enrico, che poi seppi essere il Nencioni. Erano lettere di confidenza e d1 abbandono, fra amico ed amico, piene di confessioni d'amore, d1 lotte tra passione e rispetto di se stesso, di dolori e di propositi, che mi rivelarono tutto un mondo nuovo, per me lettore fino a quel punto di novellieri allegri italiani e d1 avventure del Verne. Saranno state tinte di uno sciagurato romanticismo e di effusioni, come quelle che si leggono nelle spesso rugiadose conferenze del Nenciom, ma so che a quel tempo sollevarono dentro di mc qualche cosa di nuovo, Come molti ragazzi, l'amore mi era parso una sciocchezza e una specie di malattia ridicola subita dai grandi, che avrei voluto evitare. L'altro sesso mi aveva destato un prurito di curiosità mista di orrore, ma senza nessuna nota sentimentale. Nei libri che leggc\"O saltavo le espressioni e le scene d'amore e non avevo trovato nella biblioteca di mio padre volumi più insipidi delle Letlere di Ab,dardo ed Eloisa. Quelle scritture d'un morto, scoperte a quel modo, e lette in fretta in ginocchioni mentre frup-avo per rubare un tesoro proibito, mi parlarono d'un mondo che era stato per me, fino ad allora, una lingua straniera ed ostile. Kel salotto della signora Emilia Peru-izi mio padre aveva conosciuto un cortese capttano che faceva le prime armi in letterat~ra,. Edmondo De Amicis; e molti, molt anni dopo, quando Dc Amicis era celebre, il vecchio conoscente si ricordò di lui e venne a trovarlo. Se non che itempi eran cambiati. C'era stato un temporale in Italia: 1898. Una certa tensione divideva gli animi. De Amicis era socialista, all'acqua di rose, ma socialista. i\lio padre, come ho detto, forcaiolo; e oggi, che ne ho conosciuti di più auten• tici, potrei aggiungere: all'acqua di rose. Non andavano dunque d'accordo in politica, ma a\'evano i comuni ricordi della s1~nora Emilia. Oc Amicis come socialista era sorve. gliato; e venne a tro\'are il prefetto, sOr\'e~ gliato; e alla stazione, dove mio padre lo accompagnò, avrebbe dovuto essere sor- ,·egliato. Un agente in borghese do,eva seguirlo e confermare ch'era partito. Mio padre fece chiamare qualcuno e gli disse che per quelle ore il De Amicis era sotto la sua sorveglianz:i. Tenne l'ai-nico a colazione, e l'accompagnò fino al treno: dovere cd ospitalità eran sah·i. Sulla scala della prefettura incontrammo il provveditore agli studi. Era un vecchio clericale rincorbellito. • Sa chi è questo signore?• gli disse mio padre; È Edmondo De Amicis•. E il provveditore disse: « Non lo conosco"· Fu ipocrisia politica? Ignoranza vera? Si noti che a quel tempo De Amicis era da molti anni l'autore del Cuore. Ero presente al dialojto e mi fece impressione. :\la non ricordo null'altro del De Amicis, salvo i suoi capelli bianchi. La fcnerazionc carducciana non fu, in genere, molto inclinata per le arti; e, sebbene mio padre fosse stato amico di Die~o Martelli, in casa non c'era un quadro o un bozzetto d'un macchiaiolo. Però, facendo una visita a Firenze, mio padre mi condusse in piazza Santa Croce per salutare un suo antico amico pittore. Lo faceva, diceva lui, per compassione; perché il poveretto era un uomo fallito; la sua pittura non valc\·a nulla, e nessuno gliela comprava, sicché appena riesci\'a a vivere. Lo studio erà 111piazza Santa Croce, dalla parte smistra per chi si metta a guardar la facciata; cd era un pianterreno assai umile, pieno di tele, che a me par• vero sgorbi tristi; e tutto quello stambugio era triste. come l'uomo, che mi pare fosse lungo e secco. Così è che fu,, senza saperlo, nello studio di Telemaco Signorini dove, anni dopo, dovevo andare a vedere, con i suoi quadri, un disegno re• galatogli da l)egas in segno di stima. Eravamo a Firenze quando mio padre mi fece conoscere uno scrittore, che però non era un suo amico. Scolaro ribelle, un bel giorno avevo piantato le scuole pub• bliche, con l'intenzione di abbandonare gli studi, ma, cedendo alle insistenze di famiglia, m'ero poi rimesso a preparare privatamente la licenza liceale. Ora, fra i ripetitori che ebbi, ricordo sempre con gramudine e con affetto un povero diavolo che avrebbe dovuto insegnarmi a fare i componimenti, e che io andavo a svegliare la mattina di buon'ora, prima che egli iniziasse la sua giornata !'ICOlastica; lo trovavo quasi sempre m veste da camera, un po' curvo, con gli occhi infossati, forse neppure lavato, ma si scusava con una voce melodiosa; e con gesti delle mani che aveva gentili e leggere, mi facevit sedere nel suo studio, pieno di libri, dove ogni tanto entravano dal giardino adiacente, con l'aria di essere i veri padroni del luogo, alcuni magnifici gatti. La comune simpatia per questi animali fece presto rompere la scorn delle ...-:onversazionì tecniche, con le quali il po"·eretto cercava di compiere l'impresa di persuadermi che io pote\"O scrivere, allorché io ero persuasissimo del contrario; e la lezione di bugie, come io chiamavo i componimenti di Italiano, dh·entò invece una corwersazione di umanità e di letteratura. Qualche volta io adocchiavo sugli scaffali un lìbro che mi piaceva, e lo chiedevo in presuto al mio maestro. Qualche volta egli mi parlava non d, Dante ma di Shakespeare. Poi mio padre morì, e io ne approfitta, per interrompere gli studi, le lezioni e i conati per la licenza !ice.aie. La mia conoscenza col povero diavolo, che andavo a svegliare tutte le mattine di buon'ora, finì cosl, e soltanto più tardi veni\'o a sapere che G. S. Gargàno, vit• tima mia mattinale, era anche uno scnt~ tore, ma ostile a me ed ai miei compagni di avventura. G. S. Gargàno scrweva nel 1l1arzocco, noi s'era fatto il Leonardo. Eran passati degli anni, quando il caso volle che si tornasse di casa vicino. Spesso, la mattina, lui prima di andare a insegnare al ginn..,11ioe io prima di an• ~are a corregger bozze in tipografia, ci si mcontrava dal fruttivendolo a fare le prov• viste per la famiglia. • Buon giorno, professore•• gli dissi un giorno, ., la letteratura ci divide, ma il fruttivendolo ci riunisce•· Di sotto le sue occhiaie mi rispose egli col suo solito sorriso buono, e son certo che deve aver pensato d1 me ~h'ero uno scapigliato, probabilmente un ignorante, ma dopo tutto non un cattivo ragazzo. GIUSEPPE PREZZOL1NJ (1) A Lu1ct PRElZOLl'-1, Torino. Firtn::t, 35 af(oslo 1864 Caro Gi~i,_Oua'lsÙ la C"Jttacd11tra stampa che i':' maled1co al re: sento che a Tonno il F,schutro dice ch'io ,ion rep11bbliumo: sento ancora che o a te o al '.\linistcro vt-nnero relaziof'li ch'io_ face,·o prof..:s'lione di rrpub. bl,cano /tderaluta. Tutto ciò mi spiact-: e vo' che sappi almen tu, che, s'io avessi la com·inz1ont- che la forma n~pubhhcana convenisse all,'l1aba, a quest'ora aHei già obbedito alla m1a cos.cienza e, chiest~ la dimi~sione mi .sarei s_c1ohodalla frdchl\ ~iura1a o! rt-.' Dt-1 rc!ito II Go,·e1no faccia qut-1 che vuole di me: tutto mi è staio offerto, io nulla ho mai cl~1~sto,non chiederei n~ pur (lra?.ia O giust1z1a. Solamente, se mi \'Oghon mandar via o sospendere, avrei caro di saperlo un poco 1nnanz1,per accomodare la fami~lia, E perciò prcsi;ote (e t1 debbo anche ringraziare per la premura affettuosa eht- so avermi tu dimostrala) che tu voA:liafa1mi saper qualcosa, almeno. qu<'I che ne pensi e nt credi tu. Seri\ 1m1_dunque <1olamente dut- right- ma prest~, dt gra✓i11. Abbi pazienza della' noia che 11do; e credimi, con grato affet10, tuo am,co C1osuì: CA.Rm:cx:1

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