( ILSORCNIOELVIOLINO) ~~~!1\~~~@l FI1'1'A.LE Venezia, settembre. jl RRIV~~vi:MO ~1Festival di Venezia ap• ~ pena 1n tempo per registrarne la fine confortata cd assistita dagli ultimi . ,matori, critici, e musicisti che conti quc• ~t'Europa travagliata e ansio.sa di pace. Un magnifico torpedone del comit:!cto ci 1rasportò verso le cinque del pomeriggio, a Stra, lungo le rive del Brenta: dove (nella Villa Reale) avrcbbc avuto luogo un .:onccrto e spettacolo di danze del Sci e Scttecen10 veneziano, con il balletto del teatro dell'Opera di Roma. La corcogr:i.fia era stata affidata a Guglielmo ~1arrcsi; l'orchcura del teatro della fenice tra diretta da Roberto Lucchi, compctcnle trascrittore di antiche musiche italiane e veneziane. Un mucchio di foce.e deleterie, musicologi o dilettanti che fossero, faceva ala dinanzi al padiglione delle danze insieme ad altre sulle quali si leggeva l'innocenza musicale più completa e felice. Un pic"ic preparato su lunghe tavole all'aperto (tovaglie, bibite, bi1,eoui, tè e posate) faceva bella mostra di sé, sotto le piante gitanteschc. Era un:• splendida giornata d'autunno, di quelle giorn~te tardive da centellinare. P:i.csaggio sulle rive del Brenta, squi1ito e vuo• to, dove i minuti e i minuti fan dei ricami di luce, adagio adagio. 11 pubblico è seduto intorno sul pra10, come per una partita di 1olf, in pose di abbandono ispirate al e Conecno > di Giorgionc, o anche alfa piuura campcs1re e musicale di Wattcau. Folla in scampagnata elegante, che sembrava venuta Il per la pesca .i.Ile trote. Estetismo, illusione d'un certo tono art~stico, giacehe buttate sulle spalle, gambe I una sull'altra, o sotto, alla turca, atteggiamenti di graziosa noncuranza di figure coricate sull'erba, effetti dell'eccesso intelle.ttualc. Gli applausi del tutto personali piovevano sulle gentili danzatrici che si inchinavano•e arn;.travano, raccogliendo sugli agiti piedi le lunghe vestaglie trasparenti. Tuuo un divertirsi con la prcoccupaz.ione di essere distinti, e sufficientemente p!astici. E dietro la folla degli in,·itati, due vialoni, nel mistero di alberi grandiosi, vcc• .chiuimi, allineati, venerabili e sacri come gli elefanti dell'India. Sui cornicioni del settecentesco padiglione, alcune statue che avevan l'aria di eutrsi fermate nel meuo della dam.a, incan1atc e rigide su quel ciclo sempre più pallido, contro il tramon10. Una filtrazione di musiche antiche a traverso un'alta siepe di bosso, sormontata solta, .o dalle spalle e dallo uucrone nero del giovane direttore, l'orchestra rimanendo per. fcnamente nascosta e impercettibile. Qui c'è l'acustica del < se Dio vuole > e i violini non si sentono neanche se fossero tanti Kubclick. Smancerie, pantomime, camminate sulle uova, po.se plutiche da fotografo di mercato, ginnutichctta, igiene del corpo, poi un pizzico di Brunelleschi con un garbo birichino e pietoso. Altiuimo nella dolce atmosfera, ui;:i aeroplano ronza sull'ampio cerchio disegnato da. gli alberi in corona e va avanti difilato, ro• sicchiando, perforando quel sereno, come il tarlo in una bella torta azzurra. Il giorno dopo, concerto di musica da ca~ mera a palazzo Giuuiniani: musiche di Sda)owski, Pijper, CaJC!la, e Stan Colestan. Serata astrusa e difficile, sulla quale a fatica si disl1ngue la prima compos.iz..ione: una Sonatina discreta e armoniosa di Szl;i,. lowski per clarinetto e pianoforte. Musica tat1ile, senza luce: d'un cieco che va 1astando con le dita molli e cercando nelb. stoffa delle sue tasche la pipa abituale e i fiammiferi. E poi il gusto del fumo, lento sulle labbra e sotto le narici, e tutte quelle idee bizzarre e pigre che accompa• gnano, nel buio di un cervello senza imma• gini, la felidtà del fumatore; piccola cosa, che pcrb ,·aie la pena di ascoh.ire. Il concerto di chiusura, tenuto nella sala dello splendido teatro della Fenice, s'apri con Somnium, una Juiu di Adriano Lualdi. Il brano del nostro onorevole comincia con una schermaglia istrumentale di cui non si riesce a scoprire l'intenzione, né la direzione; tocca ora questo ora quell'i1trumento, riprende, riprova, assaggia, parte per finta, e ritorna. Tutto questo modo di procedere dilatorio, e senza sfogo, comin• eia a c9nfonderci l'udito, a deludere gli uditori. Si ha sempre più l'impressione di essere caduti l'h un equivoco. Ogni tanto il nostro autore sembra voler arrivare a un riassunto di questo inven• t.ario del preu'a poco; m::i. non gli ries,ce, e la cosa, fondata su un malinteso, continua fino a una specie di sospiro finale: moncherini agitati nell'aria da un sordo· muto. Finisce per abbandono, come si dice di un boxeur che le ha prese invece di darle. ~a ricomincia la Juite con un secondo round dove Lualdi attacca con molto meno coraggio del primo e senta cambiar mcto• do, difendendosi peggio di prima, e benché ricorra ai colpi bassi, troppo bas,i, le piglia di santa ragione, scopre il fianco e ne piglia sul fegato, sulla milza. Non ha più fiato per star ri110, e pure fa ancora il gradasso, con disperati ricorsi alle plateali trombe e al turiboli pestilenziali di quella tale melodia che si vende a peso e a misura. Walton, invece (Conctrto per violino e orche un), ha un'altra malattia: lo scorbuto. Però ... Walton la porta da gran signo. rt. Nobilmente. Con tanta finezza che non si vede. Lavoro e lavorio, cc n'è in questo lungo concerto tutt'altro che dispren.abile, e leggermente sapiente, ma arido. In q.u~nto a Honcgger, egli, come era preved1b1le, do\'eva superar gli ahri e se stc!SO nel Nott11rno per orchestra. Un pezzettino d3. nulla; ma che isola.men. to, ch_e distensione nella pura poesia, dopo Luald1 e Wahon, questo e notturno:. riposan~e ! Che, modo calmo, uguale e pacato, ~a:~~;;, p!~:~nctrarc nella tenebra, senza t una fase sola, questo pezzo: un miraggio notturno, nel silente giro della luna. Brano breve, ben situato fin dal principio. Una sensazione impalpabile, ma giusta e definita, senza gesti, che del resto l'oscurità non darebbe ~ vedere, ma in un'aria dolce e lieve a respirarla. Un e notturno:. infine, col suo ondeggiare velato, il suo moto di pendolo; i suoi capricci bui, veloci, e indistinti nella none, i suoi balbeuii fatti di silenr.io, e tutte le trovate, che . uomo, rasentando la genialità, ha l'occasione di incontrare sul suo cammino d'esploratore. t un'altra cosa. Non ha il rìlicvo di Stravi~ski, Honegger: ma talvolta, ne è l'eco; intendo dire, senza inferiorità alcuna. F. poi è tutto di un tono divtrtcntc e profondo, d'una appropriazione attillata e sot• tile, significativa e perfetta. li maestro Gino Marinuu.i si presentava a quest'ultimo concerto del Festival vene• z.iano, con due Quadri lirici per baritono e orchestra. Il bari1ono Tagliabue, reduce dai teatri all'aperto, che ha avuto davanti a sé le folle di ventimila persone, e ne ha subito l'attra:r.ionc, vorrebbe ora cantare con più moderatezza, ma è troppo tardi: la sua voce domina inutilmente su quest'orchestra di pigmei, intralcia e annienta musica e musicisti. Ma nella seconda lirica gli avversari (cantante e orchestra) si riconciliano, La music:i di Marinuzzi si ricompone e si colora vivacemente ; starci per dire che il baritono Tagliabue ha ritrovato il tono e la bellezza della sua p.arte ncll'istrumcntale che gli risponde, da pari a pari. Comunque le due liriche del celebre ma'estro ottennero u'n successo molto caldo e impetuoso, che invece di placarn ragionevolmente a esecuzione finita si tramutb in una grande e affettuosa acclamazione al riapparire di Marinuu.i. Hindemith chiudeva la serata con la "Juite di balletto> intitolala Nobiliuima visione. Queste musiche, che non sono forse fra le migliori di questo in1creuantc autore, "enncro suonate un po' meccanicamente, a traverso le difficoltà, per gli istrumcntisti, di lavorare allo scoperto (voglio dire a parti nude e reali), poiché non ci sono in quest'opera accordi d'armonia, o impasti sonori che fungano da < rifugio > e base di rifornimento. Alla fine, anche a Paul Hindcmith andarono gli applausi e gli omaggi dei suoi vecchi ammiratori. BRUNO BAR.ILLI IL HA.ESTRO :BRUNO BARILLI ALLIEVO AL OONSERVATORIO DI PARMA Bergamo, settembre. ~~- RA il 1924. Il Teatro Reale del- ~ l'Opera si chiamava ancora ~ Teatro Costanzi, e tutte le notti, al primo canto del gallo, una signora vecchissima, silenziosa come un'ombra e con un candeliere in mano, traversava ~enza muover passo il palco- ~cnico marcio di suoni, badava che l'uhima eco dello spettacolo fosse spenta, dopo di che non diciamo che andasse :1 dormire, perché il sonno a quell'età è una troppo pericolosa tentazione, ma si appoggiava a una quinta e aspettava lo spettacolo successivo : la signora Carelli madre. Costei aveva udito tutte le opere, conosciuti tutti i compositori, fino a Saverio Mcrcadante el ultra; ma prima di ritirarsi definitivamente nel paradi• so dei melodrammi defunti, dei cantanti senza voce e delle corone d'alloro senza gloria, fece in tempo quaggiù a udire anche un'opera che non rientra in nessun repertorio di opere, a conoscere. un compositore che non partcciP.a d1 n~ssun~ categoria di compositori : Emira! dt Bruno Rarilli. Come tutti gli artisti molto singolari Barilli crede di essere a posto col co~ dice della norma. f. la sua civetteria. Gli piace Puccini e ostenta un ragionato amore per le fonnc di statura media. Ma è una rrt'aniera di prudenza, pure, un pudore istintivo, la precauzione dell'uomo troppo alto, che va curvo per non dare nell'occhio. Nella stessa Emiral l'apparenza è modesta e confortata da buone parentele, ma nell'essenza di questa opera, e fin nel titolo che sembra la forma araba di «ammiraglio> e non è invece se non il nome di una fanciulla schipctara. si nasconde il terribile germe dcli:\ pazzia. La verità è che trattandosi di uomini mascherati, che dicono i loro pensieri in musica e ~ono comandati, sotto, dalla bacchetta di un signore in frac che, come tutti i direttori di matti, è pili matto di tutti, la pazzia finisce col diventare ragione. Di Emira[ ci è rimasto un ricordo straordinariamente musicale e ondeg• giante, come di una danza vista in un lontanissimo sogno e modellata sulla scala orientale. Barili i è nato a Fano davanti ali' Adriatico, e la nostalgia con cui, bambino, guardava il mare e, di là da questo, immaginava l'Oriente con i minareti bianchi e gli occhi delle donne che brillano sopra l'iaJrnàc, non si è mai spenta dietro la sua faccia di cavallo stralunata dai so$"ni,sotto i capelli che gli fumano fuort della testa. Quattordici anni sono passati d'allora, e mentre i bambini nati in quella notte emiraliana oggi chinano le bitor• zolute fronti sulle orazioni di Marco Tullio Cicerone, ecco la seconda apparizione di Bruno Barilli nel mondo degli operisti, col melodramma in tre atti A1edUJa, rappresentato la sera del. l' 1 1 corrente al teatro Donizetti di Bergamo, come spettacolo d'apertura delle manifestazioni liriche bergamasche del e Teatro delle Novità>. Stretta a un atto solo e affiancata alla Salomè di Strauss, tutta trepidante di suoni come quei fantocci grondanti di campanelli sui quali si esercitano gli apprendisti borsaioli, la mite e discreta Emiral fece allora figura di Cene• rcntola. Ma anche la Pazienza è una musa, e mentre gli audaci di ieri hanno rientrato le unghie nel fodero e la BA880RILIEVI ROKAlil NEL GHETTO loro lingua si è caricata di gramigna, il tempo si è assestato e molte ragioni <seriesi ·sono fatte strada. Per parte loro, ed esauriti gli altri ripieghi, i modernisti hanno pensato di tornare alle forme chiuse e al vecchio melodramma italiano, ma in maniera parafrastica beninteso e in forma di pasliche. Barilli invece, fatta sua l'esperienza di una nostra zia, che al tempo dell'ora legale si ostinava a non spostare l'orologio, assicurando che presto o tardi il governo le avrebbe dato ragione, ha :ispettato che tornasse l'ora solare, e l'altra sera, nel vasto e sonoro teatro di Bergamo, ha avuto la soddisfazione di constatare che l'orologio della sua musica era in orario con quello del tempo. Duplicato femminile dell'Olandese Volante, Medusa solca i mari ove e: la dura sorte eternamente innanzi la sospinge>, ma non quelli del nord, sibbcne il bacino orientale del Mediterraneo. Che oltre al nome siano in lei altre affinità con la beo nota Gorgona, nulla nel libretto interviene a confermarlo, salvo la parola « anguicriniw. >, che, come aggettivo dannunziano, vale meno per la precisione che per il lusso. Comunque sia, cs~a. porta lo scompiglio tra i figli di Salvestro Veniero, podestà di Negropontc; due ne uccide e col ter.to, Orso, fugge sopra una nave, ma la~ciandoci il sospetto che nemmeno per lui quell'amore sarà ncco di felicità e confortato dal sorriso dei bimbi. Che importa? Lontano e dal veris~o e dal simbolismo, e stavamo per dire e lontano da tutto>, il libretto di C?ttone Schanzcr non offre al compositore se non alcuni pretesti M:enici, quali i libretti dì Francesco Maria Piave offrivano a Verdi. Questo nome nén è capitato a caso. Del Simon Hoccantgra udito pochi mesi fa al ~faggio Fiorentino, abbiamo trovato il pendant in questa Medusa di Bruno Barilli. La stessa ansia, lo stesso affanno, lo stesso respiro grosso e pesantemente ritmato; e qualcosa di non facile a~sicme, di nobilmente voluto e come di « melodramma del melodramma > : un gioco molto scrio e da signori. Su Barilli musicista i mestieranti facevano pesare un tal quale sospetto di dilettantismo, che la sapientissima fattura di questa opera, la strumentazione perfettamente articolata e tutta liquida negli effetti marini del secondo e del terzo atto, l'equilibrio tra orchestra e parte vocale smtntiscono dei tutto. Dice Pindaro che ogni mille anni Medusa dimette per una notte la sua natura mostruosa, ritrova. quella di donna bellissima e canta un canto di una bellezza sovrumana. Se pur aves- ~imo avuta qualche ragione di dubitare delle parole di quel lontano poeta, la signora Gianna Pederzini nella parte di Mcdu'ì-a cc l'avrebbe tolta immediatamente. Il maestro Franco Capuana ha concertato e diretto l'opera con scienza sicura e ::iffetto di collega, forse un po' troppo compiacendosi della bravura dell'orchestra, che incitò alla parte di protagonista, come il direttore di circo incita il puledro alle pirolette. Il successo è stato clamoroso, con un complesso di venti chiamate, di cui molti'ì-sime all'autore. ALBERTO SAVINIO (PALCHETMTIILAN)ES MARMIAELA Milano, settembre, Jéj) O1CHE' da quando ci è stata affi- ~ data la rubrica dei teatri di prosa invano abbiamo aspettato Maria :Vfelato a Roma, ci siamo determinati a venire noi stessi a Milano, per dare sfogo alla nostra impazienza e alla nostra lunga nostalgia. Del resto, i nmtri incontri con colei il cui nome ricorda I'/ metto e le sue celebri api, sembra non possano avvenire -.e non all'ombra di questo Duomo es'-0 pure così dolce, e da qualcuno para~onato a un mazzo d'asparagi. Per incidenza di genera7ioni o per ragioni di altro genere, talune attrici come Nella Sonora o Fanny Marchiò splendono nel nostro presente ma non illuminano il nostro passato; altre invece, come Maria Melato. lucono tra i nostri ricordi più remoti, ma non brillano nella luce d'oggi. • Così fino a ieri. Ma ieri Maria Melato è riapparsa per noi sulla scena dell'Odeon, e una nuova luce si è accesa nel nostro presente, rosea, tranquilla, paciosa. Lo spettacolo era consacrato alla ;\lloru in vacan{a di Alberto Casella, e Maria Melato faceva la part<' di Alda di Cesarea. A questo nome il lettore appena al corrente delle relazioni tra società e letteratura drizzerà le orecchie. Ci troviamo un'altra volta tra quei pcrsona(tgi che non acquistano realtà se non nelle pagine della Scena illustrqta, nelle ville che hanno nome e Félicità >, nei parchi pieni di sogno, in riva agli stagni sui quali dormono le ninfee, tra gentiluomini e gentildonne che si chiamano Don Maurizio Calboll di Collalto, Grazia Maria Sara di San Luca, Selma dc Selva, ecc. C'è anche uno ~rittore che si chiama Severo Ardenza. Non faremo l'ingiuria al lettore di raccontargli questa commedia, o « favola tragica > come la chiama l'autore, perché il lettore la conosce certamente e probabilmente l'ama. Perché no? Diversamente da tante altre commedie di cui nessuna ra,:done né apparente né celata ~iustifica l'esistenza, questa Morte in vacanta trae lo spunto, "e non altro, da ima piccola trovata che avrebbe potuto essere trattata da Achim von Arnim, e che d'altra parte ha ispirato a Schubert uno dei suoi Lieder più toccanti. Achim von Arnim però non solo era scrittore, ma possedeva pure quel sentimento del pudore, di cui Alberto Ca• sella sembra del tutto sprovvisto. Non sappiamo fin dove arrivi la resistenza alla veri;?o,:rnadei 11ostro lettore, ma è certo che noi, Quando udiamo Alda di Cesarea dire che « il roseto è tutta una fiamma > e Grazia Maria che « vorrebbe chiudere J;!;liocchi con palpebre di sogno :t, siamo grati al reJ!olamcnto che fa spegnere la luce in sala prima che il sipario si apra. Quanto a Maria Melato, i:xr rimettere in moto il ricordo che ci era rimasto di lei, dobbiamo spingere la memoria fino ai primi anni del nostro secolo. Alberto. Giovannini non aveva infi?:cri10ancora le. ostriche fatali che così presto dovevano rapirlo all'affetto del nostro pubblico, Virgilio Talli non a\·eva ancora quell'apparenza di tartaruga fuori di casa che nei primi anni del dopoguerra gli vedemmo trascina• re per i ristoranti notturni di Milano, ma sfoi;.r~i:w::niel Re la faccia radiosa di un sole barbuto, saliva nella Buona fi1:liola di &abatino Lopcz una sc;ila ,con un passettino < da commendatore> che era un modello di osservazione, e in Come le fo~lie acc~licva sul suo petto leale la testa sc:irmigliata di Maria Melato, palpitante d'amore per il «suo> Max. Come ritrovare, nella bionda e opulenta sig0ora di op;J;!;i,la brunissima fanciulla di allora, che tra scatti selvag~i e lunghe attese piene di sospetto si svegliava alla vita? « Vieni, Max!>: in questo appello che chiude la commedia di Giacosa, e che Maria Melato lanciava con quella voce « diaframmata > in cui gorgoglia il groppo gutturale di tutte le cose che una fanciulla non dice ancora e forse non pensa, riechep;fi?:iavail grido primordiale, sciolto da ogni immissione di civiltà, costumi, idee, con cui la donna chiama l'amore. Il fiume ,z;iovanc e ribollente si è steso in un lago tranquillo. Quale preferire? Un sa,tp;io cj?;oismo ha moderato i gesti, sui;i:J,!;eritcohe le forte non vanno sprecate. La freddezza della maturità è rispettabile e commovente. Non si abbia a male Maria Melato del raffronto mobiliare, ma in lei ritroviamo le cose che amiamo e vediamo a poco a poco scomparire, il lampadario di cristallo in mcuo al salotto, le poltrone coi falpalà, le conversazioni tranquille, l'arte del riposare. A. S. LEO LONGANESI • Direttore ruponsablle RIZZOLI & C.• A11. Pfr l'Arte doella Su.mp,a . \lilano RIPRODUZIONI ESE<.UITE CON MAn:RIALE FOTOGRAPICO ., ~'ERRASI,\•.
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