IL SOFM DELLE musE DI U:l'iA l\llV"lS'F1A f t\ GENERAZIONE degli serittori che &J non casualmente, ma per una affinità d'intelletto e di gusto, collaborarono alla Voce, rivista fiorentina uscita fra il 1908 e il 1916, e diretta ora da Prcnolini, ora da Papini, ora da Prcz"ZOlininuovamente, e infine da Giuseppe Dc Robcrtis quasi per un prevalere finale dcl11artc sulla politica, della poesia sulla polcmiç:a, concludeva la prima giovinezza all'inizio della guerra europea. Nel 1914 i c. vociani> si avvi,wano, ognuno per strade diverse, ad opere e a curio,ità meglio confacentisi ai vari temperamenti ; e la guerra europea venne quasi a distrarli e misurarli; come un'improvvisa tempesta di cui era ragione una crisi più grande: quella di cui anche Scrr.1., anche Soffici, anche Prezzolini, e Papini e Dc Roberti1 e gli altri portavano i segni, Ma ragionando della Voce non si ha da rammentare soltanto il nome degli autori che ne Curano i protagonisti. Costoro nella rivista fiorentina trovarono l'a\•vio al personale talento; mentre, per molta altra parte, La Voce resta giornale di differente impegno, nato e formatosi secondo le naturali dispo,izioni d'animo di tutta una generazione oltre che di artisti, di profcssioniui, dì medici e di scienziati. Tanti i < vociani > dei quali il nome, a trattenerci nei confini dell'arte e della poc• sia, non ha alcun senso; eppure furono essi fra i primi a segnare le idee e i sentimenti d'una stagione intellettuale. t usci10, in questi giorni, nella collana dei Ro11u.01li bibliozrafici, curati dalla Casa Ulpiano di Roma a corredo della rassegna Il libro italiano, un indice informativo, ragionato e per qualche parie anali1ico delle nove annate della Voce. L'indice è staio compilalo da Enrico Falqui, che da tempo ha preso la mano a questi la"ori, oltre che di consultazione bibliografica, di deacrizionc uorica. E infatti a firma di Falqui l'editore Le Monnier di Firenze ha pubblicato or ora un libriccino, Peu.e d'appoflio, appunti bibliografici sulla letteratura contemporanea italiana; una guida insomma della nostra critica letteraria più recente. Ma di preciso rilievo è qucuo indice della Voce, compilato con una oggettivi1à che pone accanto allo acrittore oggi iHuure il dilettante che ieri partecipb a un comune travaglio per poi diuranenc. Tanto da sortire pur dal nudo elenco dei nomi e degli scritti il caratlcrc forse più nuovo e proprio di quella riviua, come ritrovo d'intcllctti alacri e curiosi. Si discorreva accanitamente d'arte e di poe1ia, ma si trattavano questioni pratiche con un fervore non ,oltanto giovanile. L'univcni1à italiana a Trieste, la questione del Trentino e J'ahra del Mezzogiorno, le inchieste sugli editori e sui giornali, p0i il nat.ionali• smo, poi il cinematografo, novità di quegli anni, erano come bandiere da seguire in carr.po aperto. A scorrere l'indice della Voce, si ha poi l'immagine d'un anteguerra italiano, oltre che amorosamente legato ali• cose dell'arte e della cultura, pittor..:sco e amabile nei suoi capricci intellettuali. E qui l'effetto che ha spesso un'opera bibliografica, fra l'evocativo e l'ironico; anche se firme e argomenti quasi ci acco• rano spinscndoci al confronto con la nostra attuale estrema inerzia d'intelletto. Questi i < vociani > che seguivano la rivista per una improvvisa v~zionc della noura borghesia alle cose giuste e belle della cultura, tro\'ando in Prezzolini un direttore pronto a dare rilievo a uno scritto d'evidente ragione non letteraria quanto agli altri di poeti e ·scriuori. Eppure era contemporaneamente che scrittori di sicura vocazione allo 3tile si andavano rivelando sulla Voc,. Palazzeschi, Serra, Slataper, Soffici, Jahier, Papini non si limitarono alla cronaca, alla polemica, e sulla Voce del 1 908 e del 1 909 ceco cosi le prime prose di fantasia. Apparvero cosi sulla rivista ancora a foglio i primi frammenti d'impressioni sensuali e visive. Soffici ragionava dell'imprenioni,mo francese; Jahicr scrive\'a racconti che erano insieme sfoghi d'un moralista. Narratore costui ancora fra i più singolari della nostra moderna letteratura (un raccontare che ricorda Péguy, ma con più dono, forse), inventò un personaggio, Cino Bianchi, che era polemico mentre poi divenne ragione di pagine apertamente fantastiche. Quanti infine gli scrittori di Jahicr e d'ahri che ancora restano da raccogliere in volume? E sarebbe una antologia divertente. Si anda\'a cosl educando un gruppo di lirici e di narra.tori, ".lccanto all'altro tutto d'intcllettuali turbamenti, curato a,•aramcntc da Giuseppe Prcnolinì. Si andava inventando forse una critica letteraria, che e fissò soltanto quell'assoluto categorico del " saper leggere ''i valido sempre, che è, anzi, l'unica cosa valida per cominciare a capire qualcosa dell'arte e della p~sia .., > a dirla con Dc Robcr1is, secondo le indicazioni della sua avvertenza a questo ragguaglio bibliografico. Ragioni, quc..stc,• tutte d'arte e di critica rigorpse soprat• tutt.> nell'editionc letteraria della rivista uscita a Firenze nei mesi dell'intervento mentre a Roma Prczzolini curava l'altra edizione, quella politica e moralistica. Al~ tri gli scrittori che si andavano rivelando in quello scorcio di tempo di pace: Bacchelli, B11ldini, Cardarelli, Cecchi, Linati, Pancraz.i, Pca, Vigolo, mentre l'editione romana si giovava di scrittori politici di cui molti ai primi assalti. Come il naturale divergere di due strade diverse, che, ormai, molti uomini di lettere e di pc111iero hanno percorso quui del tutto. ARRIGO BENEDETTI 11 Qui ohe ml munlgll& 1 • oh• oo\ l'Ilo !slco tu DOD &bbl1 gud1gt1&to di plfl. sorhtndo rom&llll" t~ TENDHAL si sentiva francese, ~ e ben francese. Ma certe linee - del proprio carattere, per cui si riconosceva diverso dai franccsi suoi contemporanei, e prima di tutto la disposizione all'amore appassionato, tirannico, senza riserve (l'amour-passion della sua famosa classificazione), a lui piaceva di attribuirle alla sua asccn· dcnza materna, d'origine italiana. e Mia zia Elisabetta >, scrive nella Vie d'Henri Brulard, risalendo ai lontani ricordi d'infanzia, e mi raccontò che il mio bisnonno era nato ad Avignone, città di Provenza; paese, come diceva lei con voce di rimpianto, dove crescono gli .tranci ... "C'è dunque un paese ", dissi a mia zia, " dove gli aranci crescono in piena terra? ". Oggi capisco che senza saperlo le ricordavo l'eterno oggetto dei suoi rimpianti >. Il ragazzo doveva vedere cc;m la fantasia una selva d'aranci in fiore: e Cedri cd aranci ch'avean frutti e fiori >, come cantava l'Ariosto ch'egli leggeva proprio in quegli anni : altro che i freddolosi aranci del municipio di Grcnoblc, piantati in casse ed esposti al pubblico solo nella bella stagione ! E la zia (che era veramente una prozia, sorella del nonno paterno di Stendhal), presa da un senso di nostalgica fierezza a quell'interruzione inconsciamente gocthiana del nipotino, gli spie• gò che j Gagnon venivano da un paese anche più bello della Provenza, che il nonno di suo nonno, a causa d'un molto funesto incidente, era venuto a nascondersi ad Avignone al sèguito d'un papa, che là era stato costretto a cambiar nome, a viver nascosto esercitando il suo mestiere di chirurgo. Ora, passati più di quarant'anni, Stendhal lavorava di fantasia intorno alle parole della zia Elisabetta e dava ingenuamente un colorito romantico, anzi stendhaliano, a quel racconto già leggendario: e Con quel che so dcli' Itali a d'oggi tradurrei a questo modo : che un signor Guadagni o Guadanianno, avendo commesso qualche piccolo assa-.sinio in Italia, era venuto ad Avignone verso il 1650, al sèguito di qualche legato. Quel che allora mi fece molta impressione era che noi (Stendhal si sentiva più un Gagnon che un Beyle) eravamo venuti da un paese dove gli aranci crescono in piena terra. Che paese di delizie!, pensavo». Gli aranci in fiore, simbolo dell'istinto possente e felice, e l'energia che va fino all'effusione del sangue: questo è davvero un compendio dcli' Italia quale Stendhal la sentiva e l'amava. Ed egli aggiungeva che la conferma della verità di quel racconto era nella conoscenza che in casa Gagnon si aveva della lingua e della letteratura italiana. La mamma di lui, Henri Beyle, non leggeva Dante nel testo? Le due retroversioni del nome Gagnon proposte da Stendhal sono non meno ingegno.se che ingenue. La prima (Gagnon-Guadagni) gli era stata suggerita da un nome abbastanza noto nella storia italiana, da lui incontrato forse nelle antiche cronache o nelle lettere del suo caro presidente dc Brosses, dove, a proposito del conclave di Benedetto XIV, è ricordato più volte il cardinal Guadagni; e case dei Guadagni fiorentini, come mi par di ricordare, si mostrano ancora a Lione nelle vicinanze di San Giovanni. Ma perché l'altra ipotesi abbia un senso bisogna correggere un errore di lettu• ra in cui sono caduti tutti gli editori I I e commentatori della Vie d~Henri Brulard. Stendhal, come ho verificato nell'autografo, non ha scritto e Guadanianno >, ma « Guadaniamo >, che nella sua malsicura ortografia italiana sta per « Guadagnamo >, e « Guadagnamo » tradotto in francese dà « Gagnons >, da cui (per l'orecchio è la stessa cosa) « Gagnon ». Tutto andrebbe a gonfie vele se non ci fossero i documenti d'archivio e gli eruditi che vanno a interrogarli. Due diligentissimi eruditi francesi, H. Chobaut e L. Royer) lavorando il primo negli archivi di Provenza e l'altro in quelli del Delfinato, han potuto risolvere il problema delle origini italiane di Stendhal e or.i offrono al pubblico le loro conclusioni in un dotto e lindo opuscolo (La famille matunelle de Stendhal: /es Gagnon, Grenoble, Arta ud, ! 938). Dalla loro impeccabile documentazione risulta che Jean Gagnon, filatore di seta, era nato in Provenza a Bédarrides, e col proprio figlio Antoinc, barbiere e flebotomo (ìl trisavolo di Stendhal), era venuto a stabilirsi a Grenoblc sui primi del Settecento. Questi Gagnon, come sembra, erano originari di un borgo presso Carpcntras, Montcux: ivi, almeno. viveva nel 1513, già capo di famiglia, il primo della linea del quale si trovino tracce in documenti, Gabricl ; cd era un piccolo proprietario di campagna. C'erano in Provenza, è vero, dei Gagnon oriundi piemontesi, venuti ad Avignone da Carmagnola verso la fine del secolo XV. Ma nulla prova che vi fosse parentela tra essi e i Gagnon di Monteux, anche se l'ultima parola non è detta. Altri Gagnon, d'altra parte, che non sembrano d'origine italiana, si trovano ricordati in documenti anteriori qua e là per la Provenza. E Gagnon è un casato molto comune nel mezzogiorno della Francia, ben radicato nella terra francese: sembra derivi dal vocabolo provenzale gagnoun, che vale «lattonzolo», e porcellino> o comunque il piccolo d'una bestia, Eppure, se i due eruditi francesi han ragione contro l'autobiografo Henri Beylc, il poeta Stendhal ha ragione contro di loro. Senza quella coscienza, senza dubbio malfondata, delle sue origini italiane, avrebbe egli scrjtto le pagine più calde e più belle del suo libro De l'amour? Le scrisse a Milano, proprio è il caso di dire col sangue del suo cuore, al tempo della sua passione infelice per quella Matilde Dembowski Viscontini nel cui sorriso gli pareva di riconoscer quello d'una Erodiadc leonardesca. Era, •Come a lui sembrava, una fiammeggiante passione italiana : così italiana che quando si faceva a descriverne i sintomi nel• l' Amour l'attribuiva a immaginari personaggi italiani : un Visconti o un Sai• viati. E sentiva il bisogno di mettere in guardia i lettori francesi: e Consiglio alla maggior parte delle persone nate in paesi nordici di saltare il presente capitolo. F. un'oscura dissertazione su certi fenomeni relativi all'arancio, albero che non cresce o non arriva a tutta la sua altezza se non in Italia e in Spagna>. Sempre, sempre qucll1osscssionc degli aranci in piena terra ! Perfino il rigore della casta e fiera Matilde gii suggeriva quell'immagine : e Non voler amare quando si è avuta dal cielo un'anima fatta per l'amore è privar sé e gli altri d'una grande felicità : come se un arancio non fiorisse per paura di cadere in peccato>. (Di,. ,1; u.,...Ji) Questo nel 1820. Diciannove anni più tardi Stendhal rappresentò la sua adolescenza e la sua giovinczza1 idealizzandole e trasfigurandole, nel più seducente dei suoi eroi, il delizioso Fabrizio della Chartreuse de Panne. Egli lascia intendere che l'austriacante marchese Del Dongo è solo il padre putativo di Fabrizio e che il padre vero è il tencntino francese Robert, quello che Fabrizio incontrerà o intravcdrà poi, generale, sul campo di \Vaterloo. Ma fabrizio, nonostante queste origini francesi più suggerite che confessate, rimane pur sempre il tipo ideale dell'italiano di Stendhal, tutto istinto, nato per la pura passione, anche sotto la maschera del machiavellismo. Come agisca in Fabrizio l'eredità paterna Stendhal non ce lo dice : è un mistero a cui egli accenna solo per rendere più aff.-.scinantc il suo eroe. Quel che ap~ pare in piena luce è l'eredità che gli viene dalla madre italiana, quella dolce e appassionata marchesa Del Dongo che assomiglia anche lei, come Matilde, a un'Erodiadc leonardesca. Anche in questa <loppia eredità, dunque, Fabrizio rappresenta Stendhal. E la Chartreuse de Parme rimane un documento che vale bene i documenti d'archivio. PIETRO PAOLO TROMPEO POESIA SIRO ANGELI: Il fiume ua (Le Panarie, Udine, 1938). l gio"ani poeti italiani quasi hanno raggiunto quella uguaglianza di temi e di modi che finisce col rendere anonimo e generico il lavoro letterario. Non si tratta nemmeno di maniera; perché ogni maniera sempre ebbe alh• radice uno stile precisabile e riconoscibile. Ogni volta invece che ci si tro\"a davanti a un nuovo poeta ilaliano, ci •i avvede tutto al più c.hc non devono eucre mancate letture frettolose, o giovanilmente diuratte, di Ungaretti e di qualche altro. Ungaretti è sempre presente almeno nella disposit.ione tipografica delle frasi. Siro Angeli quando scrive: <. Come il vento che non è ma canta - come il vento me stesso _ mi cerco>, evidentemente si lascia vincere dall'incanto dei veni vistosi per la disparità dei metri. Ma, in fondo, Siro Angeli si distingue dagli altri per certo suo prediligere temi sentimentalmente drammatici. Canta il suicida, la morte della 10· rella, le educande ... Indulge al quadretto di genere, al bouctto i e forse una volta avrebbe scritto candidi sonetti. Diego VaIeri gli ha scritto una volonterosa prcfazione. PAOLO Cl ROSI: ,tndert {:\. Can1iello, Buenos Aires). Paolo Girasi, autore di un volume di versi, :fodere, stampato a Buenos Aires, non è soltanto un poeta ; è uno che a scuola ha studiato il latino e ancora non dimentica le lezioni dei professori. Nella copertina si legge infatti il motto: Audtndo uirtu.s cresci:, tardando timor, e nel fronte• spitio è stampata una xilografia di E. Conca, sul tipo di quelle di Dc Carolis, che usavano al tempo dell'Eroica, con le parole fascinose Ex libris Paolo Cirosi. Non basta; la seconda poesia del volume è intitolata: Omnia vincit Amor. Le poesie sono invece in italiano; vi si parla di lampade, di tormenti occulti, di faacini dell'attimo vitale, di fiotti calidi di sangue. Se questo volume fo»c stato stampato trcn• t'anni fa avrebbe forse avute le lodi di Panonchi: oggi, nemmeno il critico lette. rario della Scena illustrata oserebbe difenderlo. Non se ne dorrà certo l'autore, che, tutto preso dal suo sogno d'arte, già è sul punto di liberare alle stampe un secon~ do \'olumc di veni: L'anima olla fonte, Come potrebbe essere altrimenti? Au.dendo uirtu.s crtscit, tardando timor. SISTO ~iatr~a IUiliE BIVI Dli ~ • L TITOLO dell'ultimo volume dì Angelo Gatti: Ancoroui ali, ,iue del ttmpo, 1937 vorrebbe significare punti fermi, verità primordiali. L'immagine non è nuova (poco c'è di nuovo in Catti e pochissimo in questo libro): nell'ultimo capitolo di /fia ,d Alberto egli aveva espres• so un'idea simile. Gli uomini, diceva, hanno invcn1ato i giorni, i mesi e gli anni per farsi eterni ; e finché il v:mpo scorrerà continueranno a scompartirlo e a misurarlo. e In ogni scompartimento, poi, si mettono, con le loro opere, come ritra.11i in cornice; e tan1i scompartimenti, l'uno accanto all'altro, fanno la storia. Così, al ritornare dei giorni, dei mesi e degli anni, getta~o per un momento l'lncora nel panato; rin• novano intanto le poche gioie e i molti dolori, ma delle sofferenze non si curano: Prc• feriscono soffrire, ma sapere che vivono, hanno \•issuto e vÌ\'ranno, piuttosto che scomparire senza memoria e senza rimpianti>. t, come vedete, un pensiero solenne e un po' miuerioso, un luogo c?munc del~'Ottoccnto in forma non ermetica ma evidentemente lambiccata. Contrariuimo alla \·era natura di Angelo Gatti, ma essenziale per comprendere lo scrittore. . . Gatti è di Capua cd è uno spinto 1creno come il ciclo di Capua: un temperamento facile e felice. Nella convena:r.ionc dev'essere di\/ertente, soprattutto quando parla di e tipi alla Dickens > o di belle donne Le sue forme naturali d'espressione sono l'a~eddoto, la canzonetta, la canzo~cina. Violentando la propria natura, egh ha \'Oluto essere poeta, romant.icre, pensatore. Non dico che sia fallito del tutto: è un uomo d'ingegno e qualcosa ha fatto; ma una parola tutta sua non è ri~scito ~ dirla. Leggete i Racconti di qi.e~h lemp1: se~- brano riduzioni di racconti ottocenteschi. Non c'è mai una figura che sia vis1a in modo nuovo mai una parola che vi traicini mai u~ momento in cui l'aria, per dirla' con lo stesso Gatti, si trascolori. Anche su llia ed Alberto si possono far~ serie riserve. Il romanto s'ispira ai grandi temi dell'amore, della morte e_ dell'immortalità. Gatti ha creduto che s1 potesse fare un romanzo riportando pari pari dei e brani di vita> • e infatti parla del romanzo come di ~na storia vera. Egli dice negli A ncorozgi che, finito il ro~an1~, la sua morta compagna gli pareva risuscitata col libro e non discutiamo. Sappiamo bcni»imo ;be Ilia è stata per lui la doona unica, l'amore che sopravvive alla_ morte e diventa sempre più vivo; ma sentite che cosa dice il Gatti del e meraviglioso colloquio > degli innamorati: < Mormorii, più che parole i atteggiamenti di la~bra, volgere d'occhi, polvere d'oro d'al! d~ fa~falle i sospiri, lenti aorrisi, carezze, r_1c~1am1l,e~: geri e capricciosi, come quegli m~palpa~tl~ fili della Vergine che traversano 1 sentieri dei boschi, e vengono non si 1a d! dove e vanno non si sa dove. Bastava un ricordo, una nostalgia un desiderio; e l'innamorato soffiava abba~donatamente nell'aria la bolla iridescente, che l'altro coloriva delle_ sue luci e dei suoi colori. Quando scoppiava, cosl tenue cosl lcggeu., cosl fatta di nulla, rimaneva 'ancora negli occhi il luccichio, e intorno al viso la fre1cheua di quell'aria splendente>. Concetti,mo e luoghi co'!'uni come vedete. Qui la vita non è vuta co'n occhio che vede per la prima volta: è vista con gli occhi di tutti i giorni ed è stiracchiata. Quella bolla iridescente è proprio fatta di nulla e non ci dice nulla, anzi c'infastidisce. Di Ilia il Gatti si è molto occupato anche nei Canti delle quattro stagioni, ma senza riuscire a dire una parola poetica. La cosa migliore è la canzoncina carduccianeggiantc: Tu solo, dove c'è il verso affettuoso: e Com'eri piccolina! >. Gatti ha scritto un volume di M a.uim~ e caralttri e al quale>, dice in Àncora11•, e {mi sia permesso una volta tanto I<>s:fogo) molti attingono, senta nemmeno dir gra• zie come si beve alla fontana di piazza, sc~za ringraziare il podestà. >. . . Insieme agli scritti di argomento m1htar~, questo lìbro di massime è forse la cosa _m•: gliore di Gatti. Con~cnc ~o!tc osservauoni acute o curiose sugh uom1n1 e sulle don• ne i ma, siamo giusti, è come il libro dei p~vcrbi: ci si pub trovare quello che si vuole. At1corat1i alle riue del tempo, invece, che il Gatti considera tanto, è una delle sue co1e meno riuscite. Il libro ha questa dedica: < A I)ia. - Ai miei cari - Vicini a mc nel lavoro - Come in una preghiera >. Nel pr~mio si legge che Angel? Gatti, da vent'anni in qua, tutte le mattme senz'eccezione, in casa o in viaggio, durante le vacanze e negli altri mesi, in buona •alule e con qualche acciacchctto, si è messo a tavolino per 1crivere, al rompere dell'alba in estate, al lume della lampada nell'inverno, lavorando 1ino alle dodici. <. Un~ stanza tranquilla, una larga tavola, molu fogli di carta, un calamaio e una pen1_1a, \'CCchi pur essi di vent'anni ; nel pomeriggio, il penJicro di quel che a\/rei scritto l'indomani ; la sera a letto presto; e sono stato e sono felice>. Evidentemente qui Gatti si calunnia. Se fosse vero quello che dice egli si sarebbe ridotto a una macchina da scrivere,, t vero tuttavia che, da quando si è messo a r~r lo scrittore, è andato perdendo sempre più il contatto con la vita. Egli vive in un mondo di carta e s'illude di euere un nuovo ~fachia"elli. e Io disputo sottilmente con don Chisciottc e con Amleto, galoppo con Orlando e con Rinaldo, sorrido a Beatrice e a Margherita. Sceso dalla montagna, dove Prometeo incatenato mìnaccia ancora Giove, veleggio alle spiagge della Grecia: l'Acropoli risplende; di là dal mare s'apre la 1erra d'Italia, e una selva nereggia, dove l'Inferno spalanca la sua voragine j ma la marina tremola e chiama, ed io, dopo' il lungo viaggio, approdo alla terrazza d'un antichìuimo castello, che nelle notti illuni lo spettro d'un re visita, chiamando il figlio. Bruciano i torridi soli del Rlrniyan3 e cadono incessanti le nevi del Kalevala; ogni gocciola canta nei magici fiumi dell'Indo e del Reno, e su ogni rupe s'affaccia una fanciulla coi capelli al vento; dall'ultimo suo libro, il giovane soldato, ucciso nell'ultima guerra precipitando dal ci<'- lo, mi saluta ancora col suo sguardo lim. pido e diritto. No, neuuno è morto, di quelli che vissero: né gli eroi né le mol• titudini. E nemmeno io morrb. Sono parte dello spirito universale>. Essendo il· libro una raccolta dì articoli, non possiamo analizzarlo minutamente, pt.r non andare troppo per le lunghe. Diremo dunque che ci sono moltì giu~ dizi discutibili, specialmente in materia d'arte, Gatti ha letto l'elogio scritto dal Galvani in morte della moglie. Tutti sanno che si tratta di un discorso accademico c.he può avere un limitalo interesse per la biografia del grande scient.iato: dimoura che Galvani era un buon marito. Dal punto di vi- f 1ta lettera.rio è una cosa mediocrissima. Ma Gatti legge: e Una sola volontà avemmo s,emp:-e e lei e io, un solo costume, un solo desiderio >, pensa a Ilia e proclama, senza nemmeno sospettare che dice un'enormità: e Non c'è nella lingua italiana poesia più bella cd alta di questa >. Quel mediocri ... simo elogio sarebbe il vcr1ice della poesia italiana: più alto della Divina Commedia, del Cantoni,", del Furioso, della G11usalemme, dei Conti. Un giudizio simile dà sui racc0nti e sui canti di Cicogna. e; l due libri, ispirati dalla fantasia della scienza, sono forse, con un altro o due, i più originali della presente letteratura italiana; alcuni titoli degli inni dicono, meglio d'ogni \pÌegazionc, la natura di quell'arte: Inno alla matematica, Inno all'officina, Inno al danaro>. Cicogna è morto provando un motore e merita rispetto e simpatia. Ma i suoi racconti rivelano un Wells meno vario e meno interessante, i canti un Longfellow più declamatorio. e Titani, titani son gli uomini...>. Gatti ripete con soddisfazione il giudi:.io di grande borghese che ha dato di lui uno dei più acuti critici italiani. e Grande ~ wgli aggiunge con sobria modestia, < non sarò, ma borghese si >. La borghe1ia, ,econdo lui, è eroica e ri• dicola e se le dovcs1e dare e un'inserna nobile > sceglierebbe il pellicano. e Brutto e sgraziato, con le vastissime ali spalauc.atc •e svolazzanti, ritto 1ullc lunghe gambe storte, l'uccello si apre il petto col becco tagliente, e dis~nsa le sue viscere sanguinanti ai figli, per sfamarli>. Gli artisti sono borgheli. e I libri di Stendhal non sono pervaai di spirito borghese? Julien Sorci non è il bor• ghesc per eccellenia? E i libri di Balzac? E il nimiciuimo della borghe•ia, colui che la insultb a. tutto spiano, Flaubert, non ha scritto il libro più borghese, Madom• Bouary? Forse per vituperare la borghea.ia? Ma egli piange quando parla della signora Bovary, E Barrts, il borghese nuionalista? E, tra i pacati, il nostro Manzonl!_ E il Nievo? E il Fogazzaro? E il Verga? E gli ingleli, da Ficldbg a Dickcns a Thackcray a Calsworthy? E i russi, da Cogol a Cccof? Questa è la letteratura del mondo, è inutile negare: borghese, fatta da borghesi, per borghesi ; vale a dire, e sia ben chiaro, per ottenere i ,uffragi e le lodi dei borghesi, 10li dispensatori, oggi, della gloria. E quando il nobile Tolstoi, che sino a un certo giorno ha scritto da grande borghese, vuole liberani dalla costrizione delle idee borghesi, fa libri di predicazione, non più d'arte>, t difficile avere idee più confuse di cosl. Al Gatti non· 1>aua nemmeno per la testa che gli autori che lui chiama borghesi a noi interessano non perché borghesi ma perché artisti; non gli passa per la testa che i personaggi che a noi intereuano sono quelli dell'arte e non quelli della cronaca • a cui eventualmente l'artista si sia ispirato, li Gatti vuole spiegare perché il Manzoni, che è cosl grande e tanto ammirato fra noi, sia poeo conosciuto e quasi mai citato dagli stranieri; e risponde che Manioni ha, dell'uomo e della ,ua sorte, la concezione che per molti di noi italiani è la più compiuta ed augusta, anzi egli porta al limite quella concct.ione. Il Manzoni, ins.:,mma, sarebbe cosi italiano che solo gli italiani lo possono capire. <Siamo>, egli insiste, e diversi dagli altri, anzi singolari, anche nell'arte; e il nostro anelito di compiuta armonia, di suprema perfe7.ione, sembra a molti ,tranieri prova di debolezza e di ra5scgnazione che, maravigliando, non convince >. Come si spiega, allora, l'universalità di tanti nostri artisti, di tutti o quasi tutti gli altri? Gatti non ci dice nulla in proposito e aspetteremo il suo prossimo artlcolo. Per ragioni di spazio, non poniamo nemmeno accennare, ad altri giudizi non meno di.sc:utibili. Oltre i giudizi assurdi ci sono vari fiori letterari. Ne offriamo uno al lettore: < Nelle secche mani del France, pur cosi fini e belle, l'orrenda e gloriosa opera umana della guerra si affloscia e perde fiato 1tridendo, coo,e una vescica sgonfiata >. Ci sono anche fiori epico-metafisici, ancoraggi eterni. Ecco il pii>. profondo: <. Da milioni d'anni i fiumi, cantando o ruggendo, portano al piano il !anlj:O e i sassi dei monti; e sempre la montagna divalla lentamente al piano, e sempre il piano scivola lentamente al mare >, Si potrebbe continuare senza fine e potrebbe essere divertente. Da milioni d'anni la terra gira e gli uomini camminano e mangiano e dormono e poi si svegliano e cosi sarà ancora per secoli e millenni, Lo strano è che un uomo d'ingegno, come il generale e ac.cadem.ico d'Italia Angelo Gatti che tutti ammirano, racconti cose vecchie e trite col più catremo candore. SEB. TIMPANARO
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