Omnibus - anno II - n.33 - 13 agosto 1938

IL SOFM DELLE DIUSE R f. CRONACHE letterarie spesso si gio- & vano d'un aggettivo che può dispiacere agli autori, quando invece non li lusinga. Chiamare e: giovane > uno scrittore è infatti come 1:uciarlo in aspettativa. Lo scrittore giovane è quello ancora d'incerto talento, e infine, pur se d'ingegno sicurn, indeciso di fronte alle strade della fant:uia. Talvolta, il recensore, il cronista lcttcruio si adattano a quell'aggettivo quasi per non impegnarsi: per una loro timidezza o pigrizia. IMomma, autori giovani restano sempre, e nei ca.si migliori, quelli di cui non è sicura la sorte. Ci piace per questo chiamar giovani non soltanto in riferimento alla loro età alcuni narratori italiani che paiono più virtuosi che ispirati, più volonterosi di lavorare che auenti a svolgere le trame della• loro immaginazione. Lo scrittore giov.ine, oggi, spesso, attende all'arte del raccontare con non comueto fervore. Il racconto gli nasce facile dalla penna, la prosa u·gue i fatti narrati do• cilmcnte. Una strana bravura, nella sccha dei temi e nella maniera di svolgerli, che rende stupiti e dubbiosi. Enrico Tcrracini, col suo volume di rac• conti Fantasmi alla festa (Parenti, Firenze), ! senza dubbio scrittore giovane di racconti. I suoi personaggi non vogliono es,. srre caratteri, ma soltanto figure d'un quadro pittoresco, parti di un discorso a cadenze: liriche. Molte cose di Fan1tumi alla foto rammentano le prose evocative di Angioletti e i racconti di Loria ; ma solo agli inizi della composizione, ché poi Terracini non pare resistere a queste maniere. Finisce con infittire il discorso di fatti, qu:hi per desiderio di giovarsi delle esperienze comuni ad altri scrittori, arricchendosene, giovandosene fino a portarle troppo avanti. E forse non Ai tratta che di giovanile incertezza, di provvisoria indecisione fra il racconto legato a una prosa abilmente cadenzata, e l'altro stretto dall'intrico dei fatti. Si vedano poi i personaggi di questo giovane scrittore genovese, gente d'una media e grossolana borghesia, mai illuminata, mai sorpresa in momenti che non siano di torbidi pensieri e presentimenti. Modo parziale di guardare le cose e le persone del• la propria città, urto: colpa di quel voler adeguarsi a una idea di letteratura veri.sta e frenetica, probabilmente ; ma questo ca• ratiere Terracini lo ha in comune con alcuni autori della sua stessa città. Volendo giungere poi a un confronto con le prose del precedente volume di questo scrittore (Quando aueuamo vent'anni), preme mct• tere in vista la costanza di certi caratteri. Ancora un gusto per le rappresentuioni crude, e ancora un3 indulgt-nza scntimcnta. le verso i propri per.sonaggi ; ancora, soprattutto, un compiacersi di cadenze che quasi fanno venire in mente la ballata, la canzonetta popolaresche. Segni, tuttavia, più d'un tempcramcnto che d'una caratteristica fant,uia di narratore. Anche Giorgio C. Cabclla può cuere con• sidcrato fra gli « autori giovani >, almcno per i racconti del volume Denaro (Emiliano degli Orfini, Genova), dove è evidente un ~rande impegno di avviarsi ad opere na .. ,.rive. L'ambiente t quello dei piccoli commercianti, dei piccoli impiegati che pa• re scelto spesso dai narratori genovesi, fin da Remigio Zena, autore d'un romanzo fitto di cose vere benché non troppo ravviv;uo da una discreta fantasia, come La bocca dd lupo. La materia che il vero offre all'osservazione dei narratori è sempre vasta: la diremmo immensa, infinita. E i novellieri per questo potrebbero cssere gli artisti meglio ispirati. Così sarebbe se per il raccontare non occorressero due condizioni: quella di 1aperc osservare vcrt1-m~n1c le cose di questo mondo {e invece gli autori giovani paiono, più che raccontare cose viste, raccontare co~e volute vedere per ambi1.ionc letteraria, o per educazione fatta su altre opere narrative) e l'ahra dell'essere scrittori, oltre che abili novellatori. Il dover scrivere impone dei limiti già di per sé al grande campo che si offre agli autori di racconti; dando3li, d'altra parte, modo di uscire dal generico, dall'anonimo; offrendo, infine, una misura da trovare dentro di sé, nell'intimo. Ora gli scriuori come Giorgio C. Cabclla ci sembrano ancora incerti nei riguardi dì questa misura. La loro prosa, che è pia• na senza vistosi1à, come si addice ai nar• ratori, colorita appena da modi popolareschi diventa troppo arrendevole, come qucl. la d'un cronista. I personaggi di Denaro, l"' ,ituaz.ioni, gli ambienti sono for~ non scelti a caso, ma seguendo una predilezio• ne della fantasia; e~pur-e quel sospetto di cose dette quasi per assaggio resta. Il ero• nista letterario, cosl, si arrende a non pre• cisare il giuditio. A lasciare aperta la strac!a: sono tante le vie dell'arte' Anche per chi scrive racconii. E tutte proficue, pur se ,ilcune troppo facili a pcrcorref'Si, Cli autori giovani quasi stupiscono, tal- \'oha, per certa loro fatica nell'accingersi a comporre novelle. Hanno garbo nel raccon10, eppoi nel delineare caratteri quasi .tppaiono goffi, affaticati. Arturo Tofanclli è toscano. Ha la prosa facile, la parola esatta più per l'istinto della regione che per precise doti letterarie. Anni fa, scriue racconti che, pieni d'incerteue, potevano fare intravedere un narratore. Erano come u•ntativi senza impegno. Ma ancora quell'impressione di scarso impegno resta, specie nelle novelle con personaggi, che vor• rebbero essere le più costruite, mentre restano le più fragili e casuali. Nel volume Il fiume rosso (Primi piani, Milano) tuttavia non sono soltanto novelle. C'è anche una cron3ca: «Empoli 1921 >, racconto di cose viste, scritto con qualche efficacia. Gli autori come Arturo Tofanelli, cui pare mancare il dono della fantasia, si giovano molto nel raccontare cronache. Cli 2.vvcnimcnti vim prendono un loro rilievo nella memoria, e la prosa semplice aiuta a lasciare che i fatti prendano un loro spicC"0 da sé. ARRIGO BENEDETTI / i ..... ~ ~ç? I~ ~~~"!' ''Due lire • cinquanta l'eno1 »• lo oon du lire udo a sendre il • Lohengrln>I" I . . . "'; ~I ETRO Paolo Par,.anese, nato e r :;':- vissuto ad Ariano di P11glia - ~ ora Ariano Irpino - non fu po<.'ta né del suo paesaggi.o né della ,;ua gente; e se fu presto con-,idcrato poeta del popolo. fu grazie a un pu• gno di gente più o meno convenzionale che seppe descrivere e compian• gc-rc con a.ccenti che andavano dritto al cuore della moltitudine. Ebbe tcm• peramento pugliese, espres~ con cadenza lucana, con la stes,;a cadenza fo,..e suggeritagli dai cantastorie e suonatori d'arpa di Viggiano, villaggio della Basilicata, dai quali appre,;e e tra-.cri-.se più di una canzone. Fu piuttosto un sedentario, non si muoveva da Ariano che per qualche rari,;.simo viaggio a Napoli dove aveva tanti amici e ammiratori, e l'ultima volta fu quando morì, nel 185'2. « Quando parve la ,;alute tornargli fiorente sulle guance e per le vene, una febbre ina• !"lpcttatalo colpì in i\apoli, dov'era so• lito pas.\are un mc,;e estivo in sui primi di agosto: cd a' 29 del me,;e stesso una convulsione lo speme, quando un mal di n€'rvi, mal cono,;ciuto e ribelle, pa• rcva già domato e distrutto>, scr1sse Nicola Susanna nella prefazione alle Poesie inedite. ~oò anche nella più squallida miseria, il « buon canonico di Ariano>, come lo chiamò Benedetto Croce, dopo che il suo nome era stato annotato fra le liste politiche, nell'elenco degli attendibili, e dopo es~re stato coinvolto nel proce'-So degli im• putati del '48. Alla notizia della sua morte, la polizia borbonica tentò di impedire che gli fossero tributate le onoranze funebri, ma il vescovo avcn~ do energicamente fatto dire che in chiesa comandava lui e non altri, al prete e poeta defunto la cittadinanza e tutto il Capitolo della cattedrale pote• rono degnamente dare l'ultimo saluto. Era nato nel 18 t o da un negoziante di stoffe e da Giovanna Faretra o Faietra - donna bclli~.sima, a quanto si di..-.;e,e a..,,ai intelligente, - terzo fra undici fiçli. Non nacque con la camicia, che e indice di sicura fortuna per Ja vita, Pietro Paolo, ma col cordone ombelicale girato attorno alla gola co• mc un capestro, e la levatrice si af• frettò a interpretare questa speciale presentazione del neonato come un se• gno del collare ecclesiastico che ne avrebbe più tardi cinto il collo. Fatto ..,ta che, dopo un'infanzia piena di malattie. di notti agitate da incubi e da paure, e che Soltanto una rappresentazione a un teatro di fantocci rischiarò con una ~mazione di gioia, egli fu sui dieci anni messo in un !.<:mina.rioe vi rimase fino ai quattordici. Non ebbe escmpi molto edificanti in quel seminario dove - come egli stesso racconta nelle Me morie - primi maestri gli furono preti e frati piuttosto i~noranti, grossolani nei modi e nel linguaggio, e poco C'a.stigati nei costumi; furono quelli tuttavia gli anni in cui prec.c i prirni contatti con la letteratura, improvvi!mndo poesie, tragedie e prc• diche. Di questa facilità (che sempre, del resto, doveva caratterizzare la sua vena) egli diede in quel periodo continue prove che dovevano impressionare compagni, maestri ed amici. Aveva appena dicci anni, era da poco entrato in collegio, quando cominciò a recitare versi estemporanei, poi a sedici, nel teatro di Bcocvento, una sera improvvisò una tragedia intitolata Sedecia, e a diciannove, in ca-.a di un ami• co napoletano, un'altra avente per titolo Il vendicativo. Più tardi, il 5 luglio 1838, ancora a Napoli, nella sala del collegio di Veterinaria, creava il AfaJanidlo, e così altre volte, precedendo di poco nella fama di improvvisatore quell'altro poeta lucano che fu Nicola Sole, nativo di Seni<-e,e la gen• tilc Giannina Milli. Non era ancora ordinato prete, quando verw i venti anni si innamorò di una ragazza del suo pae!'.e, chiamata Ro,.a Vemacchia: possiamo facilmente figurarci CO'-afosse nel 1830 l'amore fra un ~eminarista e una ragazza di un paese, ove ancor oggi ci si guarda per anni dalla finestra prima di poter !',Cambiare una parola, ma ad ogni buon conto Rosa morì in tempo pcoché egli rinsaldasse i legami che fra lui e il !13· cerdozio -.i erano andati alquanto rallentando. A ventun anni, dunque, fu ordinato .sacerdote e nomìnato mae,;tro di grammatica nel seminario di Ariano; non passò molto che fu fatto C'anonico di collegiata, e a ventiquattro anni ottenne la cattedra teologale. Alla morte del vescovo del suo paese, Pietro Paolo ventiseienne re.,se per circa un anno la diocesi in qualità di vicario capitolare, ma l'anno seguente abban• donava tanto le cariche sacerdotali che l'insegnamento per dedicarsi alla poesia e alla predicazione. Non a tutti è nota quena attività del prete irpino, che si svol~c accanto a quella di poeta per cui divenne presto famoso, ma egli fu certamente uno dei più singolari cd eloquenti oratori sacri, e si racconta che quanti ebbero la ventura di :i.scoltarlo, rima,;ero affascin:i.ti dalla sua p:i.- rola fluida e armonio"a e dalla sua persona che era alta e bella. Chiuso nella cerchia ri,tretta del paese, non ebbe che di rado, recandosi a Napoli, l'occasione di parlare e di scambiare le idee con persone che avrebbero potuto giovargli; le sue letture furono anch'esse a~ai limitate, e il mondo in cui visse non fu né vario, né interessante, né capace di grandi apporti alla sua poesia. Di più l'abito ecclesiastico doveva chiudere molte vie alla sua vena, vietargli molte soglie, ca~tigare inccs1:;antcmente il .suo linguaggio. Perciò, e perché effettivamente le sue poesie corsero presto sulle labbra di tutti, furono adottate nelle scuole, e inserite in tutte le antologie, ancora fino ad oggi, lo si di~sc poeta popolare. Ma lui stc~~o si difendeva da questa definizione: e Sono poi popolari le mie canzoni? ... E questo è un duro tasto da toccare, e molte e divcrre cose dovrei dire, per rispondere acconciamente a tale interrogazione. In prima dovrei dire che le canzoni del rJopolo .sono quelle che egli stesso compone nelle officine, nei campi, nelle miniere, su per le vie, per lo più un tantino incolte nella frase, ma riboccanti di spirito e di vita. E poi dovrei dire che il nostro italiano popolo non è oggidì CO',Ì rammorbidito I dalla i~truzionc corne !"livorrebbe, per fargli a..saporarc quella poesia la quale con dc.licatez.-a di tinte e .squisitezza di affetto tocca dei suoi desideri, dei .suoi amori, delle sue credenze. Donde ~i potrebbe conchiudere che poesie \'e• ramente popolari le mie non sono, né fatte assolutamente per tutti coloro che dicon,>i popolo, e che formano'le mfcnori cla.s.sidella cittadinanza>. Se non di cantare per il popolo, le sue intenzioni erano di cantare del po· polo, e questo fece: il popolo era pittoresco, caratteristico, pieno di pretesti poetici non contrastanti con la .sua condizione di prete. Poi il popolo era povero1 e come tale suscitava nobili sentimenti di pietà, compassione, ~ene• rosità, fede nella bontà e nella giusti• zia divina che tutti livella, E que,ta era in fondo tutta la poesia del poeta irpino, mc'<;sain dolce cantilena : Un poverello sta moribondo, gli passa innanzi, né il guarda, il mondo: ma la campana dell'agonia gli annunzia il termine della sua via, e dice: Al ciclo dch ! spiega l'ale, lddio ti aspetta, spirto immortale. Din din, c!on don, t'allegra, o povero, questo è il tuo suon! con tutti gli altri es~eri colpiti da un feroce destino, da dolori di ogni gencrè. come la Cieca, per e~rnpio: Sono cicca: un dl fui bella come all'alba è bello il ciclo; ma una sera un 'enao velo sul mio ciglio si calò ... o ht Boscaiola : Nacqui tra le montagne bo.1caiola povera e sola: povera e sola, senta pan né veste, nelle foreste .. oppure il vecchio soldato che ricorda le ~mtichc battaglie fumando la pipa: Rataplan ! Perché guarda la gente a vedermi appoggiato al bastone ... ? Alto là: sono un vecchio ~ergente, e so dirvi che voce ha il cannone ... ! O il marinaio che ama la sua bella ma più ancora ama il mare j o il coscritto che dà il saluto alla innamorata: Ecco, il sole è alla collina, e il tamburo già. suonò, deh, non pianger, cara Nina, fra cinque anni io tornerò ... Poesia, questa, che recitata a gran voce da nostro padre spalancando le finestre per svegliarci ogni mattina, stabilì per sempre i nostri rapporti di simpatia con Pietro Paolo Parzane.se. E finch~ poetava sui poveri, sulla provvidenza, sulla fede e sulla carità, tutto andava bene, ma il difficile veniva se l'argomento o l'immagine era una donna. Si può ben dire che non scordasse per un istante la sua qualità di prete, cd è così che nelle sue poesie la donna appare soltanto come un riflcs~o: fonte di pietà, di dolore, di rinuncia, di purezza, e se talvolta egli si lascia un po' prendere la mano, lo fa con una evidente gaucherie, quasi dìfcndcndosi da possibili allusioni. A questo modo potè narrare molte storie di amore, fare il ritratto di una armena nell'harem, o nell'arème - co• mc dirà altrove - o raccontare, nella poesia intitolata Il pugnale, di una bellissima fanciulla, fa quale durante la cerimonia nuziale che la unirà ad un giovane barone, è dallo sposo invitata a seguirlo sul verone a respirare la fragranza degli aranci, e lì egli la ucçide con una pugnalata al cuore. Il poeta poi spiega perché : Ei la uccise. Una notte fatale gli svcnaron la madre diletta: ci fanciullo raccolse il pugnale, e vent'anni sognò la vendetta. Quel pugnale rendè all'ucciaor, della figlia piantandolo in cor. Dove il senso della fiaba disumanizza passioni e gente. Ché altrimenti biso• gnava convincersi di una sola cosa, che unica aspirazione di una donna dovesse es.sere l'amor filiale, l'amore alla religione, il sacrificio e, per quelle ve~ ramentc toccate dalla grazia divina, la morte. La miglior cosa che potesse fare una donna evocata dal Parzanesc, era di piangere, di soffrire, ma soprattutto di morire: M:uori, o fanciulla: sul tuo bel viso ucma una luce di paradiso Bianca colomba, dch ! il volo affretta, Jddio d aspetta. Orai .sta bene che Pietro Paolo Parzancsc fosse un prete, ma tutto questo non è affatto naturale, e saremmo tentati di definirlo poeta amoroso mancato, e di stabilire il .suo refoulement. Non è che si voglia qui creare il « complesso Parzanese >; lo indichiamo tuttavia agli appassionati di psicanalisi, se a loro piacesse di cercare quel che si nasconde nella poesia di questo prete che non poteva cantare l'amore. • Riusci ad andarci assai vicino, tuttavia. Cna quindicina di anni prima, Thomas M:oore aveva scritto Gli amori degli angeli, e se ne parlò assai, non vi fu anzi nes~un romanzo inglese di qudl'epoca che non alludesse alla poesia dolce e ~ntimcntalc del Bardo di Erin, e il poema angelico dovette pia~ cere al Parzane!'.e, il quale vide forse in esso una strada, una indicazione che gli avrebbe permesso di parlare di amore e di donne, senza venir meno alla dignità dell'abito indo.s.sato. E scrisse lturieleJ lo scri.s.sefra il 1838 e il '41 e se lo tenne per molti anni fra le carte, ogni tanto variando, limando qua e là, e un giorno lo reg.1lò con molti altri inediti a Ferdinando Villani, un suo carissimo amico di Foggia. lturielt dormì per anni ed anni il sonno degli angeli, poi, mentre Ariano nd 1910 festeggiava il centenario della nascita del suo poeta, e gli erigeva un bu..t.o di bron7,0 in un'aula della villa comunale, Carlo Viviani, figlio di Ferdinando, pubblicò il poema inedito, col sottotitolo di Tradiz,io,ie orie11tale. Sono ben duemila, se non piùi•gli endecasillabi in cui Pietro Paolo Parzane~e na1ra degli amori di Iturielc, angelo esiliato dal trono di Dio - ma non maledetto - nel giorno della grande rivolta. Condannato a espiare .sulla terra il peccato di aver pjanto sulla ,ortC' dei fratelli precipitati, incontra Adina che di lui si innamora, ma alla quale non potrà mai, per ordin(' divino, !IVClarela sua casta na• tura immortale. Anche lturiele trema di amore e lotta contro questo senti• mento fin troppo terrestre, ma Ariele, il più bello fra tutti i cherubi• ni, viene una volta a consolarlo, e gli rivela che le \offerenzc prodotte da questo impossibile amore sono la condizione perché pur1ficato egli sia un giorno riammesso alle arpe cclc~ti (non viggiancsi). Adina si consuma di pas- ,.ione, e 5en7.asapere quanto di vero è nelle ~ue parole, chiama J turielc il suo e: Bcll'angelo esiliato>, poi muore ed è a~..u.nta, angelo anch'essa, in Paradiso, seguita all'istante dall'amato redento. Del poema naturalmente non .si par• lò mentre l'autore era ancora in vita e forse su questo egli aveva fatto assegnamento sperando in una giustizia pmtuma, né lo conobbe il Dc Sancfr~ che ne avrebbe certamente fatto cenno con le altre cose, inclinato com'era '"r"o il Parzanesc da una affettuosa indulgenza di conterraneo, e solo le più recenti bibliografie ne fanno un rapido cenno senza entrare nel merito. Soltanto noi potevamo parlarne, che avemmo l'infanzia cullata dai .suonatori d'arpa di Viggiano, i sonni ri1;co~si~alla poesia del coscritto, e al• zandoc, sulla punu dei piedi vedevamo in lontananza, a nord, il monte Vulture oltre il quale è Ariano. Per una ragione tutta nostalgica e sentimentale, dunque, come si parla dello zio prete tenuto in considerazione di sapiente un poco folle, là in un paese dell'~talia meridionale, perché fa delle poesie, cos.'1 veramente straordinaria per un ambiente di massai, di propriet:ui e tutt'al più di notai, ove non penetra il vizio della letteratura. Ma, confessiamolo pure per finire, a costo di attirarci le critiche peggiori ~ ma chi non porta la croce quaggiù? - se abbiamo risuscitato qui Pietro Paolo Parzanese è soprattutto perché, contrari come siamo alla poe• sia inutile, fine a se stcss.1. 1 questa sua. banale e d'occasione, a noi piace infinitamente. L'ADDETTO ALLE SCHEDE LIIII WIQ!ill~ ìg1 RMANNO Scudcri ha pubblicato ~ alcuni capitoli sull'arte di Giovan• ni Verga, a rivendicare la grandezza di questo .scrittore; una grandez7.a, a dire il vero, da nessuno negata. Che gli studi su Verga siano fiorenti non si può forse affermare; che essi siano quasi sempre ad opera di studiosi d'accento universitario, e quindi scarsamente sensibili alla no• vità d'uno .scrittore ancora moderno, è innegabile; eppure molta parte del saggio di Scuderi sembra voler essere una gratuita difesa. La critica, non di rado, qu:i.ndo considera scrittori di rilievo, assume un andamento che la ravvicina stranamente alle perorazioni degli avvocati alle Assise. L'arte d'un romanziere cessa d'essere arte, per diventare oggetto di minute e spesso arbitrarie analisi psicologiche. A Scuderi non difetta la buona volontà, comunque la sua difesa di Verga non è fatta in favore d'uno scrittore. Dello scrittore niente è detto dello stile. Il quale se invece di scrivere in prosa si fosse servito della pellicob, oppure del tea• tro, sarebbe stato lo stesso. L'altezza dell'arte verghiana è data per dimostrata, per sottintesa : come è, del resto, nel ricono~imento universale. Ma al critico è lecito dar per sottinteso ciò che egli ha officio di documentare? A poco serve isolare in una analisi dei 1.Walauoglia il senso dcli'« onore>, "Ppoi l'« a.more>, eppoi la «natura>, cioè il paesaggio, e infine una certa non bene chiarita « civetteria :.. Quan• do questi « motivi > del romanzo non siano, a volta a volta, legati alla pagina da riferimenti allo stile, cioè alla prosa di Verga, essi hanno un vago valore dcscnuivo. Anche quando ~i parla d'un romanziere, anzi, proprio quando si parla d'un romanziere. l'occhio del critico deve essere attento alla pagina. Altrimenti, le lusinghe dell'intreccio, del sentimento che aleggia sempre su avvenimenti umani, rischiano di condurre fuori strada, a valutazioni se non sempre errate. tuttavia insicure e imprecise. Il. roman1.0 è fra i generi letterari quello di più difficile lettura. Quante volte scorrendo opere di poco conto, maga'ri tradot• te malamente, non ci .siamo fennati incerti se doverci dichiarare ammirati o doverci liberare dalla soggezione d'un soggetto, d'una materia, o a dirla con modi d'oggi, d'un e: contenuto:. commovente la nostra immaginazione? Ermanno Scudcri nei suoi capitoli vuole difendere la «spiritualità> dei ~alavo glia, seg,:iod'una polemica vaga, visto che non s1 ha da dimostrare per ,;piritualc quell'opera che già s'ammette es~erc di poesia. Certe dimostrazioni sono ozio~e, oppure denunciano un equivoco di termini. Opera di !',pirito come ogni opera di poesia (Scuderi en· faticamente ma .superficialmente am• !Y1ettequesta verità),/ Malavoglia sono 111tantooggetto d'una polemica che ci a~pare inutile. Da una parte Momighano _eMai-1.ot.che avvicinano i pcr- '-Onaggt del rom;1111,0alle e: bc~tie > (e potrebbe essere un riferimento non impegnati,·o o morale, ma. solo connesso a certi carattc-ri della fantasia di Verga), d;1\l'altra. Scuderi e Bmetto che negano quella che essi chiamano una accusa. Momigliano non è certamente un critico fra i più .sensibili quando lasciati gli autori del passato si avvicina ai contemporanei; eppure non crediamo che pos"a .seguire Scuderi su tale terreno. Che è quello della corte d' ru,. sise più che della critica. Nella pn.,.faziouc, Scuderi dichiara che per spiegare l'opera d'arte occorrono « doti di gusto, di pensiero, e, quel che più importa, di esperienza umana e di cultura vasta e molteplice >. Non dubitiamo intanto delle doti di pemi€'ro e d'esperienza umana.dello Scudcri; bensì delle altre, di gusto e di cultura. Come fare intervenire, in un dijcorso su Verga, Fercnc K0rmendi, l'autore di battaglia di tanta ignorante e ineducata borghesia? A pag. 16 Scuderi non e.sita a tale citazione, qua:si a definire• l'essenza ddl'artc vcrghiana. Se è vero che l'arte serve a « far comprendere le connessioni na.scoste che esisto,io dietro Jutlt' le costJ e che sono Il senso vero delle cosr, come ha detto il celebre romanziere ungherese Ferenc K0rmendi il \'erga, nei suoi Malavoglia, quest~ scopo ha m~rabilmente raggiunto>. A pag. 58 poi ecco una paragone fra ~e:ga e_IbJ.llcz (il K0rmendi di quind1c1anni fa), a dirci quali siano i gusti e le letture dello Scuderi. E non che un romanzo di Verga non p◊!l'-a essere chia• rito da un paragone con La barraca del fluente romanziere spagnolo; ma occorrerebbe più discrezione di quella che lo Scuderi mette. Segno che egli bada alle favole, ai filoni sentimentali, e non allo .stile degli scrittori. Un lettore di K0rmendi e di Ib:iò.ez non può certo dirci qual~ sc~ittor~ sia Verga; potrà ragi()- narc, dei suoi personaggi come un avv?ca~o dei _suoi clie~ti, lasciando"i sfuggire I segni dello .stile, che, invece, dovrebbero servire esclusivamente nella anali.si d'uno scrittore. CARLO DADDI

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