IL SOFM DELLE MUSE 1~ lì(!)].)~11:~'~ D!G!J Sl!OBS \l PERSONAGGI di Fiammt a ,Monte- !{ fou, nuovo romanzo di Bino Sanminiatelli (Vallccchi, Firenze), sono nob1h toscani, viventi in palazzi aviti, in ville fra cittadine e paesane. Violetta, Roberta, Ilaria, Giulio, Tom e gli altri hanno quell'aria anglicizzata che è propria di certa società fiorentina. Ciub. di transito, Firenze si presta a pitrurc cosmopolite, anche se questo suo internazionalismo si hmita ai salotti, alle librerie, a1 musei... li resto della città è come assente; molti altri scrittori toscani ci hanno dcscntto il costume civico e paesano della regione senza nemmeno l'ombra di quella mondanità all'inglese, carattere invece di molti personaggi di Sanminiatelli. Le ragazze Traubc sono le protagoniste del romanzo. Violetta, la maggiore, al primo capitolo abbandona il suo amante, marchese Giulio Ardighi, marito del1':unericana Dorothy, e umanista che cita Brcmond e Keyserling, a dirla con Sanminiatelli, ma forse soltanto un dilettante, un esteta; e lo lascia per sposare un sudamericano. Ma non sarà un matrimonio felice: e un giorno Violetta torna, con la figlioletta Ilaria, a Montelucc. Violetta è il personaggio centrale del romanzo: gli altri non dovrebbero che girarle intorno come in seconda piano, ognuno seguendo le vicende varie della sua storia. Cosi Roberta. Roberta, la sorella di Violetta, cresce, diventa ardita, senza veli sentimentali davanti agli occhi: è una ragazza moderna, e vive modernamente trattando i giovanotti suoi coetanei cameratescamente. Roberta è sempre in compagnia di Tom, 1I giovane figlio di Giulio Ardighi, l'11manista. Vanno insieme i due giovani, giorno e notte: assistiamo alla scoperta d'un reggipetto nella camera del ragazzo, a. una conversazione fra lui e la compagna su questo indumento femminile. E, con ciò, niente di grave. L'autore, dopo averci messo sotto gli occhi quegli clementi che altre volte hanno servito ai romanzieri per significare che due personaggi fanno all'amore lit)Cramente, ci avvcnc che non c'è malizia alcuna fra Tom e Roberta: due bravi giovani che stanno accanto come marmi. Passano gli anni. L'umanista in\·ecchia e si corrode l'anima cercando inutilmente di riavere l'affetto di Violetta, e anche Violetta mvecchia, e. anche Roberta diventa una zitella. Solo Tom resta il giovane dell'avvenire: s'innamora di Ilaria, la fislia dell'ex-amante di suo padre, ~i diciassette anni più giovane dt lui, e poiché pur con la differenza dell'età loro due hanno in comune ecru ideali vaghi di vita disinvolta e di rivoluzione sociale, [!iungono felicemente a nozze. Così il romanzo s'avvil verso la fine: Giulio Ar• dighi, agli ult1Jli capitoli, muore tragicamente, ct:rcando la • bella morte•: Violetta dà fuoco a Monteluce, e quest'incendio dovrebbe essere simbolico, quasi a segnare la fine delle ragaize Traubc e l'a• Jento d'un'epoca diversa per esse. .1.vlaproprio di fronte a un romanzo come questo, occorre nell'esame un'estrema circospezione. Avvenimenti e situazioni più poveri e comuni di quelli narrati da Sanmìniatelli possono sempre nello sttle trovare una loro giustificazione, cioè una loro verità. Sanminiatelli invece non ci appare scnttore da romanzi psicologici e drammatici. Egli è scrittore toscano abile in bozzetti, e anche questa volta, accingendosi a un gran romanzo, ha forzato la vena. Gli esempi del moderno romanzo europeo gli hanno illuso la fantasia, e la prosa continuamente avverte il lettore di questi smarrimenti: si legga a pagina 4:2, a proposito degli amori fra Violetta e Giulio: , La bianca nudità si liberò dei cenci inutili. La pelle nascondeva una costruzione retti, perfetta, equilibrata, ma la sua carne stava subendo una misteriosa trasformazione ... •· E anche, più oltre: • Al senso di sbigottimento che aveva provato all'àppanre della sua nudità allo specchio dopo il ,primo amore con Giulio, della sua nu_- dità modificata da lui, era subentn1to 1I terrore del suo nuovo stato, e, a questo, una curiosità obiettiva, scientifica, un senso maturo e disperato della sua responsabilità. Ma i processi di evoluzione e di trasformazione che l'interessavano rimanevano completamente inesplicabili e non aveva nessuno a cui confidarsi. Così come inesplicabili le si rivelavano altri fatti fisiologici. Erano mutati l'odore e il sapore di alcune parti del suo corpo dopo 1 rapporti con G1uho? E che importanza avevano certe eccitazioni e certe funzioni oscure, in apparenza inutili?•. Espressioni, queste, che non ci stupiscono,. perché ne abbiamo lette d1 più ardite in libri più vecchi del romanzo di S.anminiatelli. Ma proprio questo ritrovare, nella prosa provinciale e paesana d'uno scrit•orc toscano, certi andamenti, fa pensare, per un momento, d'avere davanti una e- rcJtazione letteraria, fatta con divertente ironia. E cosl invece non è. Sanminiatelli ha il merito della serietà, fino al candore. Egli soprattutto vuol essere lo storico e 11moralista di certa gioventù del dopoguerra che avrebbe scemato le differenze fra i susi, o che almeno si vanta di averlo fatto. li cameratismo dei sessi è tutta una invenzione letteraria: gli scrittori se ne servono per facili effetti. Piace stupire il lettore, mo,trandogli due ragazzi in fiore che a pgni momento sembrano sull'orlo del peccato, mentre poi si_di_mostra che ne erano lungi le mille m1gha. Roberta chiama gli amici maschi i • suoi t_csori •,amai dischi, ama lo sport; e Ilana, che nella seconda parte del romanzo è un po' la continuazione di Roberta, se va a letto presto è perché domani, camHl -·,? ., ·-~- 00NPIDENZE "Fin da bambino ho u-u10 h1clin.a1lou per 1, oot, profood•'' po ostacoli•. Sanminiatelli' si compiace di portare sulla pagina le frasi, i modi di certa gioventù mondana, sportiva e, a quel che si dice, casta fino ad apparire di ghiaccio. Ci fa ascoltare le conversazioni dei suoi personaggi, e mai con ironia, sempre anzi con compiacimento. Questi personaggi di Sanminiatclli parlano per farsi ascoltare e per stupirci. La voce di Giulio quando chiede del figlio ha molto di cinematografico: •" Sai dove è il marchese Tom?" chiese Giulio accendendosi una sigaretta•. E anche: Avevo mandato a dirti che potevi cambiarti con tutta calma. Non mi piace che tu ti presenti in codesta maniera " E proprio d'un doppiaggio italo-americano pare quella di Dorothy quando riceve le amiche:•" Vuoi una tazza di tè?". Suonò il campanello: " Gemma, vuoi portarci del tè? O preferisci del porto a quest'ora?"•. Ma la modernità soprattutto vuole apparire dalle frasi che si riferiscono a Tom, Roberta, Ilaria: Roberta corse in camera e prese il disco a volo. Altro salto ardito, altra scivolata finale, di gran classe, prima d'imboccar le scale ... •· La •modernità• e 1I •pensiero• reggono questo romanzo. Tom è il nobile dei tempi nuovi, che, col corporativismo, salverà la barca della famiglia. l suoi conrrasu col padre sono forti e tutti affidaci a frasi: So che disprezzi eh, si getta nel mare della vita, ma non ti 'accorgi che vivere d1 schemi è assai più comodo che costruire sul vivo"• afferma Tom al padre umanista. E più avanti: • " La fatica è della nostra generazione ", pensò. " Chi verrà dopo di not troverà il cammino già fatto ... "•. Fino alla frenesia del giovane aristocratico rivoluzionario che se la prende col vecchio servitore, dichiarandogli: • Sai, tu Prospero, che andrò a stare qualche giorno a Pian d' Alboia, proprio in campagna, proprio sulla terra? Sai che la terra è una Cosa sacra? Sai tu che il diritto di proprietà dovrebbe venir limitato al solo d1ntto di godimento e di alienazione dei frutti?•· E il povero vecchio ascolta; ha l'aria di un povero diavolo; ma una cosa ha imparato (questo lo affermiamo noi) servendo nelle case nobili: che non si deve dar troppa importanza alle infatuazioni dei padroncini. Lasciarli fare, bisogna: se smaniano è per passare il tempo. Poi si ravvederanno ... Ma Fiamme a Monteluu poteva essere un romanzo diverso. In proporzioni mo4 deue, avrebbe potuto narrarci la stori!l di Violetta e di Roberta, le ragazze Traube che vivono di ripieghi e che attirano i giovanotti per la loro cattiva fama. Ci sono qua e là degli accenni che mostrano quale romanzetto Sanminiatelli avrebbe potuto scriyerc. Ce lo spingeva tutto: la sua prosa provinciale, e anche la vicinanza di tanti altri narratori toscani che sanno raccontare i casi d'una famiglia con garbo, con vcntà; arrivando talvolta a far diventare lt: macchiette, cui essi sono tanto bravi, quasi dei personaggi da ricordare come se li avessimo conosciuti. E per Sanminiatelli sarebbe stato un passo avanti: quel passo che tutti attendevano che facesse. Dopo alcune novclte di tradizione fuciniana, dopo due romanzi non molto felici che furono come un apprezzabile sforzo, s'attendeva da lui un'operetta più riflessiva, più lavorata di questo romanzo d1 quasi cinquecento pagine. Dove vuole esservi tutto: solidarietà delle classi e dei sessi, rinascita dell'a-istocrazia terriera, amori fatali e drammatici, e finalmente, con la morte dell'umanista Giulio, lu fine d'un tempo che si vorrebbe lontano. Troppa roba per un romanzo, per un romanzo italiano diremmo... • B facile vivere di schemi--, dice Tom al padre con quella sfacciataggine che è difetto, secondo noi, delle più giovani generazioni; ma lasciando stare il modo con cui Tom dice quelle pa~ole, resta in esse qualche ~erità. ~ facile comporre romanzi dove siano amori, pensieri, eventi: lo •schema• è alla portata di tutti; ma pure resta difficile scriverli. ARRIGO BENEDETTI SAGGI GUIDO MARTA: Gente di ca1a (Quaderni di poc1ia, Milano, 1 938. L. 1 o). L'a. ci informa utilmente che Lionello Fiumi arrivò a Parigi e senza fanrarc, 1en• za battistrada ... >. Che la casa di Fiumi e è, oggi, la meta di quasi ogni scrittore italiano che ai reca a Parigi ... >, e che il mc• dt•simo vive assai modestamente: e Com• pl('tamente a digiuno egli consacra al la• voro di tavolino tutt2. la mattinata, cercando di prolungarla fino all'una, anche all'una e m("ZZ3, quando proprio la cola• zione sta per gelare! Il pomeriggio lo im• piega in genere per I(" visite, per i mille impegni, appuntamenti, interviste>. In appendic(", estratti di recensioni: vi figurano: Lucio d'Ambra, Arnaldo Fr2.ccaroli, Guido Marangoni, Ottorino Cerquiglini ROMANZI E NOVELLE SETTIMIO SEV. FORESTIERI: Il seme della 1loria (Quaderni di poesia, Milano, 1938. L. 8). Settimio Sev. ha domandato una prcfa. zione 2. Gaetano Callo di Carlo; il quale non gliel'ha negata. Anzi Gaetano Callo di Carlo ci confida: « Lieta parentesi a.lit! mie ricerche di studi<>sosono le ore dedicate alla lettura narrativa, soprattutto quando questa lettura porta i segni del forte, sd('• gnoso e sano animo bruz.io... >. Aggiun• gendo che quelle di Settimio Sev. « sono novelle che, come pagine staccate di una sola sinfonia, ripetono in 10rdina o a gran voce con note tremule di lievi melodie o con grido possente di ottoni esultanti il grande tema della guerra e dell'eroismo, dell'ideale e del u.crifido, della dedizione e dell'amor p2.trio >. Non contento, poi, di Gaetano Gallo di Carlo, Settimio Scv. pub• bliea in appendice un estratto cri1ico della sua opera. Secondo il Giornale d'Italia del 14-2-1937, e: .. .l'a. è sorretto d2. una fede profonda, corazzato da una cultura indcf c1tibile... >. VIRGILIO BROCCHI: Sul cal!al ddla morte amor cavalca (Monda.dori, Milano, l 938. L. I!,). t un romanzo del ciclo dcll'c isola son.:1.nte >. I romanzi a ciclo furono la passione delle nostre z.ic, vent'anni fa. Allora Brocchi poriava i b.lffctti neri ; mentre oggi, è col labbro accuratamente rasato che si fa fotografare. Aveva un asp("tlo severo, e invece ormai sembra un prete di campagna. Libri come qucs1i, dove sono messe a contra.sto grandi pauioni, ci rapprcsen• tane un'Italia che, migliore o peggiore del- ~:o;~r~,,u::n !~:~ :,sr~~act: ~~~o~:1,lepi~:~~ di gusto, desiderosa per la sua intima va. nità di pMole grosse e di pagine scritte col piglio dr-I grande scrittore. TITO LORI: Bufere su/fArno (ldca, Udinl.'. 1938. L. 1.5). In questo romanzo la signora Sarghi si 1uffa e nel gorgo delle deduz.ionì > ; Caro-- gli sente una e 10ttilc inquietudine>. Garogli e Diana, durante una passt'ggiata !1 anccscana, si e.sta.siano: e: Era uno di quei momenti in cui il cervello rifiuta di funzionare, e lo spiri10 si adagia sul primo so• s1egno, bramoso soltanto di fraternità e di armonia; e crede in chiunque sta vicino, perché anch'egli appare circonfuso di luce ultraterrena >. In appendic,: le recensioni :,. un altro romanzo di Tito Lori: Il gorgo, quale teuimoni:,.nu atta 2. convincere i lettori ignari o dubbiosi. l'.so, questo delle recensioni in apprndice, che rauomiglia alle raccomandazioni pe1 gli esami delle scuole medie. SALVATO CAPPELLf: Arritio nell'ultima notte (Corbaccio, Milano, 1938. L. 12). A pag. 25: e j •na notte l'uomo fu carpito a se stesso da una frenesia eroica: guardò. Egli deve ascoltare ciò che bisbiglia il suo terrore: cd egli non sa vincersi. La luna lo faceva immane ... >: a pag. 33: e Per la prima voha Jacopo si sentì 50ave >; a pag. 49: e Il pensiero della sua carne rinchiuu e nuda gli dava freddo ... > ; a pagina 137 « Jacopo rimase due giomi in questa immobilità cadaverica .. >; a pa- ~ &...... I •' \ l i{'· (dli. di Bar1011J gina 153; e Anche nella carne calpestata, nella carne in vendita, vi sono momenti di languida grandez.za spiri1uale... > ; e più avanti: e Ambedue, Jacopo e Vietta, non 1cntono la necessità, divenuta istinto, l'uomo di insidiare, l'altra di provarvi piacere. Essi ignorano di esseri!:due parti che vanno combaciate per creare il gaudio nella sua unità e nella sua in1ieruza >. VARIETÀ. GIACOMO LAURI VOLPI: L'tiquiuoco (Corbaccio, Milano, 1938. L. 15). t con successo che in Italia si stampano da qualche tempo libri di e vita vis.suta> d'autori che per la prima volta s'accingono alla fatica dello scrivere. E hanno succcs.so, e il pubblico corre a comprarli, a lcgg('rlì. Ch(' si abbia a che fare col principio d'una nuo...a letteratura?, ci si chiede. Che, alla fine, in Italia escano i libri scritti di" gente non legat:,. alla consueta tradizione accademica nazionale? li rimprovero fatto ai nostri scrittori d'essere sempre lct• lCrati prima che romanzieri, o poeti, è vecchio. Che ,iano i Majocchi, i Titta Ruffo, i Cualino, i Lauri Volpi, ccc. ccc., a portare nelle nostre lettere accenti nuo\·i e ingenui? Eppure così non è. San.a aprirli questi libri di medici, d'industriali, di can1anti per avvederci in qual(" equivoco si cada. li succes.so stesso, il rinnovarsi delle edizioni, spiega d'altra parte il mistero di queste opere solo in apparenza extra-letterari('. La nos1ra clas.se media, chr fTt"qucntò i q:innasi e gli istituti vedendo nel latino, nel greco, nella storia e nella filosofia soltanto delle necessità cui sottoporsi pcr raggiungere il diploma, la lictnza o il passag. gio all'università, si ritrova ad avere nei riguardi della lettcr3.tura come un 1cnti• mento discorde. La rifiut3. quasi offcsa dal \'edervi certa mancanza di frivoleu.a, l'am• mira pcr quel scn10 di magnificenza che v'intravede. Chi, pur non sapendo dire di Dante altro che e fu l'inventore della !in• gua italiana >, m.,n ha in mcnle qualche veno s12.cca10,incompreso, mutilato per citarlo in un banchetto, a un consiglio d'amministraz.ionc, durante la discussiOnt' d'una causa in tribunale? Tutti gli awocati, i medici, i commercianti, gli industri.i.li han• no la loro riserva di cultura italìana. Amano le parole magnifiche e in appartnta fortemente cspreuive. Si Sérvono d'ogni gonficua, d'ogni ecceuo verbale, e non per diletto, ma furbescamente a scopi pratici. Paiono 1anti amanti infocati, disposti a mentire pur di raggiungere uno scopo. Lon• tani ormai i tempi del ginnasio o dell'istituto quando ripugnava e annoiava la lettura d'un poeta. Non ci devono stupire cost i successi dci Majocchi, dei Gualino, dei Lauri Volpi. Come scrittori, fanno del loro meglio im• piegando un linguaggio fiorito che ad essi pare obbligatt>rio per la proressione letteraria. « Mi 5entivo molto solo, avevo bisogno d'affetto e mi aggrappavo alla spc• ranta d'un amore morente >, scrive il te• nore Lauri Volpi, o anche: e Non è lecito molestare il sonno dei trapassati con "ane rimembranze. La vit2. scorre perenne come l'acqua eh(" ha raggiunto l'Oceano > ; « Per tutto il resto del lungo viaggio foi a<""• compagna10 dall'immagine di colei, che il destino metteva ostin2.tamcnte sul12. mia strada >; « li sacrario della mia cua non fu contaminato da ambizioni sfrenate >. E infine a mo' di chiusura: l'Italia è terra « vibrante d'armonia, terra madre di fiori, di suoni e di carmi, terra feconda di messi, e di indite arti a raddolcir la vita per la gioia del genere umano; terra favoleggiata di santi, di guerrieri, di poeti e di artisti ; realtà eterna di civiltà incomparabile attraverso le tcmpe1tose vicende dei secoli >. Come dire che, in Italia, 'tl-Jai se il mestiere dello scrillore diventa alla por1a1a di tutti: il nostro, è un paese do\·e la letteratura è cosa dignitosa soltanto quando è opera di scrittori consapevoliuimi, di gente disposi.- a credere tremendamente alle difficoltà del proprio lavoro, avendo sperimentato con quanta fac;Jità la parola diventi ragione di insincerità <' di inganno. SISTO ill~ &1IPlllliil~®&1 •~VE1'1Z•o~• 1 L PRIMO VOLUME dell'• Enciclol( pcdia scientifica monografica italiana del X..Xsecol<p: lm.m,zioni t int.'t11tori dtl XX ucolo, di Artemio Ferrario, è un libro a sorpresa. Artemio Ferrario non è uno qualunque: è ingegnere, deputato al Parlamento, segretario dell'Associazione nazionale fascista inventori. Convinto che il fenomeno creativo sia, sotto un certo aspetto, un privilegio della nostra n1zza, vorrebbe rafforzare nei lettori una coscienza in\cntiva e msieme additare idee sane e temi concreti. Egli soffre quando vede che gli stranieri tendono a negare le nostre glorie scientifiche e tecniche e s'indigna dantescamente da\·anti • a li malvagi uom1111d'Italia che commcndan le cose altrui e le proprie dispregiano•. I menti e le glorie dei nostri scienziati e dei nostri inventori devono essere dappertutto riconosciuti e celebrati; la Patria dev'essere liberata dall'asservimento a1 brevetti e ai progetti stranieri e dc\·e avere nuove materie prime e nuovi cicli tecnologici, anzi addirittura l'indipendenza e la vittoria. Leggendo queste dichiarazioni, si dice: Finalmente! i ; si va oltre, e cadono le braccia. Sembra che l'autore non sappia che non si può nvcndicare ciò che non si conosce, non si capisce, non si ama, e che non si può fare storia della scienza quando mancano preparazione scientifica e senso storico. In troppe pagine di questo libro vediamo insieme alla rinfusa verità, inesattezze e svarioni inverosimili; vediamo sullo stesso piano uomini insignificanti e uomini sommi, chi intravede a stento un aspetto di una verità e chi fa consapevolmente e porta a fondo una grande scoperta. Per questa mancanza di prospettiva, il Ferrario finisce col mettere in cattiva luce, contro le sue Più evidenti intenzioni, gli scienziati e gh inventori che più vorrebbe esaltare. La verità è che l'autore non riesce a nvendicare nulla sul serio. I suoi entusiasmi scientifici e i suoi odi sono apparenti. Apriamo a caso il libro. Ecco: siamo a pagina 41. Vi leggiamo che l'Accademia del Cimento intraprese per la prima volta l'esperimento noto, non si sa perché, sotto 1I nome di pendolo di Foucault . Tutti sanno che I' Accademja del Cimento notò la rotazione apparente del piano di oscillazione del pendolo, ma non la capì, non capi nemmeno che era una esperienza importante e non la pubblicò. Foucault mvecc scopri di nuovo il fenomeno (indipendentemente dall'Accademia del Cimento) e ne fece la teoria, spiegando che la rotazione deve variare con la latitudine e che è una nuova prova della rotazione terrestre. 11 suo merito è innegabile e nessuno' glie l'ha mai contestato. Antonio Garbasso, che è così geloso delle nostre glorie scientifiche, dopo aver ricordato che gli accademisti del Cimento avevano eseguito la celebre esperienza circa due secoli prima di Leone Foucault, aggiunge: Evidentemente, non ne avevano compreso il significato•· Nella stessa pagina 41 dice il Ferrario: e E:: erroneamente attribuita a Newton la paternità della teoria ondulatoria per spie~ gare i fenomeni della luce; ma questo merito spetta invece a padre Francesco Maria Grimaldi, bolognese, della Compagnia di Gesù, il quale la enunciò trent'anni prima dell'inglese•. Il nome di Ne\'10n non può essere uno sbaglio di stampa perché il Fcrrario sta parlando proprio di Newton. L'errore è inesplicabile perché tutti ~anno che Newton è il sostenitore della teoria corpuscolare e lo sa naturalmente anche il Ferrario che a pag. 156 dice: • Newton non credette alla teoria ondulatoria e la sua alta autorità bastò per farla declinare, sicché tutto il sec. XVII tornò, si può dire, alla teoria corpuscolare•. Non è nemmeno vero che il padre Grimaldi sia un vero sostenitore della teoria ondulatoria. Il fisico bolognese aveva idee teoriche piuttosto confuse. Il suo grande merito è la scoperta dei fenomeni di diffrazione che, non si sa perché, per il Ferrario divengono (pag. 161): • la diffrazione del raggio solare, chiamata poi rijlessiont di Nrn;- to11 •. Non si può negarlo: Newton porta sfortuna al Ferrario ed è umano che il Ferrario se ne vendichi. La teoria del volo mediante il più pesante dell'aria, egli dice, fece un gran salto indietro per opera di Ncv.ton, il quale, essendo un calcolatore formidabile, prese la penna e dimostrò che l'uomo non avrebbe mai potuto volare. • Anzi, andò anche più in là e dimostrò che non possono volare neppure gli uccelli. E siccome, malgrado fosse Newton, vi fu chi osservò, sia pu• re con qualche titubanza, che gli uccelli volano lo stesso, egli spiegò che questo avveniva per oscure cause fisiologiche che sfuggono al calcolo •. Questa battuta (non esito a dirlo, a costo di scandalizz.are gli scienziati) mi piace, perché, una volta tanto, ottiene lo scopo, che è quello di far sorridere. Si intende: si tratta di una parodia, che colpisce non Newton, ma certi newtoniani. Non so invece se si debba piangere o ridere leggendo la singolare affermazione su Galvani (pag. 393). Dopo aver parlato delle prime esperienze di Galvani, quelle in cui si ottenevano le contrazioni medjante la scintilla della macchinn elettrica, il Ferrario continua: • Galvani andava soprattutto ricercando clementi nuovi da gettare nella sua polemica còn Volta, a sostegno della sua tesi dell'elcttric,tà animale. Allora sostituì all'antenna di prima, ossia allo scalpello •e al file,, un archetto formato di due metalli. Toccando questo archetto la rana riebbe le contrazioni muscolari senza bisogno delle scintille della macchina clcttrostatic.1. ~1a per contro, l'arco binH:tallico veni\·a piuttosto a dare ragione a Volta, che vi vedeva né più né meno che la sua pila·. Se alla licenza liceale un candidato ripetesse queste straordmaric affermazioni sarebbe boccttno. Chi ha scritto qucstt: righe (ripetiamo che non ~ò essere il Ferrario, ma un aiuto incompetente) non sa nulla della polemica tra Volta e Galvani, e non ha letto, anzi non ha nemmeno visto la memoria fondamentale di Galvani, che cita, col titolo lievemente 111esatto, nella pagina precedente. Se no, si sarebbe accorto che solo nella prima parte della memoria si parla dcll'az1onc dell'elettricità artificiale sul movin·.cnto muscolare, mentre nella ~econda parte si parla degli effetti dell'elettricità atmosferica, e la terza parte, che è più ampia, e parecchie pagine della quarta so• no dedicate all'elcttric1tà animale. Lì Galvani descrive e discute l'esperienza con l'arco conduttore che, secondo il Fer• rario, sarebbe stata fatta per combattere Volta. Il grande fisico di Como (chi non lo sa?) cominciò a occuparsi dì ("lcttricità animale ·dopo aver letto la memoria di Galvani e quindi dopo aver preso conoscenza di tutte le esperienze fatte dallo scienziato bolognese; e arrivò alla pila dopo molti ragionamenti e molte espe• rienze e quando Galvani era già morto. Il Ferrario (il suo uomo di fiducia) crede, a quanto sembra, che Volta abbia inventatp la pila prima dell'esperienza di Galvani. f:: una delle tante versioni della famosissima esperienza. Ne sentii una \'Olta una più divertente, in una lezione a soldati. Galvani, raccontò nello stupore generale l'oratore improvvisato, passeggiava per le strade di Bologna, quando incontrò una rana. La toccò con un bastone di rame ed essa si commosse. Così Galvani inventò la pila. Eppure quel bastone di rame sta bene in mano a Galvani, meglio che uno d'argento o di ferro; e una rana che vada a passeggio per via Ugo Bassi o via Rizzoli potrebbe ispirare al mio amico Luigi Bartolini una delle sue più originali acqueforu. Poi Galvani che, vedendo saltellare una rana, inventa la pila è grande. In fondo, col suo curioso racconto, quell'oratore riuscì a dare ai soldati un'idea del genio dì Galvani; il Ferrario non dimostra nulla, come non dimostrò nulla Romagnosi. Secondo l'autore invece (pag. 187), < nel 1802 Giovanni Battista Roma.gnosi, di Trento• avrebbe fatto l'esperienza di Oer!>ted. Questa \"Olta però egli procede con una certa cautela perché parla non a nome proprio ma • sulla fede del dottissimo Gian Fr:inccsco Rambelli •. Parrebbe dunque che quest'uomo dot• tissimo amm~tta un tisico di Trento, chiamato Giambattista Romagnosi. Questo fisico non è mai esistito. Si tratta invece del celebre Gian Domenico Romagnos1, nato a Salsomaggiore e vissuto a Trento e a Milano. Nell'estate del 18o2. il filosofo del • non so che•, eh~ non era più pretore di Trento, sì annoiava e non avendo voglia di giocare né a scopone né a scacchi cercò di pa:-;sare il tempo con la pila. Fece così le esperienze che furono riassunte nell'articolo sul galvanismo, pubblicato nel Ristretto de' Joglieui tmit-trsali di Trento dt'I 3 agosto J 802, e più volte stroncato. Il Romagnosi non foce e non pretese mai di aver fauo l'esperienza di Oersted; e quando il fisico danese annunziò la scoperta si guardò bene da fare rivendicazioni. Egli a\·eva creduto solamente di avere • ammortizzato• la polarità di un ago mainetico mediante la carica elettrica del polo isolato di una pila. L'esperienza che egli fece non presenta interesse, essendo dovuta a ripulsione elettrostatica e ad attrito. ~ un'esperienza da filosofo disoccupato e nient'altro. Poiché lo spazio non ce lo consente non ci fermeremo sulla confusione che fa l'autore (a pag. 36) tra peso e massa, né ribatteremo la sua affermazione (pagina 35) :::he le tre leggi della meccanica (o, come dice lui, della dinamica) siano state' scoperte da Newton, dimenticando Leonardo e Galileo, o quella più gra\'C che quei principi e il principio dell'energia non siano che ipotesi. Ci limiteremo ad invitare il 1ettore a le~gere quello che il Fcrrario dice (pp. 379-380) sul telefono. L'autore non distingue (sembra impossibile) il telefono dal microfono. Artemio Ferrario e Valentino Bompia• 111, come tutti sanno, sono due uomini di grande valore. Siamo perciò convinti che essi non tenteranno di replicare, Il meglio ci auguriamo che se la cavino con s_pirito, ritirando il volume dal commcrc10. SEB. TIMPANARO
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