IL SOFM DELLE musE f::ti 'I?. in ogni pagina di Renato Serra ztD: un continuo sospetto vcNO le proprie felici '-<'nsazioni e verso i propri impeti improvvisi d'animo 1 una dubbic-L.zadiremmo, ch'è il segno pil1 alto, più umano di lui. li lettore d'oggi, forsuo « posar le parole come un pittore i colori e veder il mondo spiciarsi nel 'iU0 splendore ... •· Ed era come se av- ,·c-rtis..e. in "é una consimile vocazione allosc1ivcrc ,egucndo 1'c:,t10. Di I)(, Robcrtis, no, non 'ii deve dire alt1·cttanto: ché la sua prosa ha il merito dello stile r.iggiunto lentamente e dir<'mmo fatiro,amentc, seguendo gli avvertimenti d'\ln gmto e d'un lavoro provati su grandi e~empi. Divcr~a l'educazione dei due scrittori: Serra ebbe a. giovarsi <leRli insegnamenti e del vivo ricordo cli Carducci, d<:riv:mdo :rn- • che di lì il gusto alle impre ..,ioni vivaci; Dc- Roberti'i invece, in cert.t sua pacatezza e calma, rivela il lungo e commosso <:;tudio della pro'l'a leopardiana. Che è come segnare due ~tili, due modi della nostra letteratura. se intento meglio allo scrittore che al critico, che pure resta guida sicura, non potrà non ricono ..ccre in quella sfiducia verso ogni « sorri-.O troppo soddisfatto della bocca >, che non ba~ta mai a nascond<'rc « la serietà e la tristezza sostanziale dell'animo>, il motivo più forte della prosa di Serra. E non che essa difetti di accenti piacevoli al senso, d'un gusto vicino a Soffici e a Papini; ma c;ono, queste, imprcç_sioni soltanto pitton:·schc, mentre nei luoghi più riflessivi e dubbiosi (In scritti come« Per un catalogo », « Ringraziamento per una ballata di Paul Fort >, « Esame di coscienza d'un letterato»), se c'è pittura è d'animo, se c'è verità è di spirito. La consuctudìne d'un tranquillo esaminare, dà alla prosa una castigatc-zza che diremmo classica. Scrittore non soltanto di ri0essioni, tuttavia ciò che oggi meglio distingue Serra fra tutta una schiera di scrittori, è la sua continua consapevolezza, il suo essere sempre pronto, con animo semplice, a un bonario esame di coscienza. Da arrivare così a pagine che doman'i potrchb<'ro ~vere lettori non soltanto curio'ii di cose letterarie, non soltanto desiderosi d'imprc5sioni pittoriche o di esempi di stile; ma inquieti e volentCro'-Ì di scoprire ìn un letterato segni confortevoli e rassicuranti di fede in quei principi che sempre regolano i pensieri e gli atti degli animi bennati. • E « b<'nnato > è parola spesso ricor-1 rente nella prosa di Serra, come·a indicare un costume, un atte~giamento. Fra gli scrittori delle generazioni nate e educate fra il calare del secolo scorso e l'inizio della guerra europea, fra gli uomini che hanno conosciuto una delle epoche più varie e trava- ~liate della vita it.'lliana, sì. da trovare onnai, ai giorni nostri. la loro vita piena di discordanze ciolorose e di debolezze pietose, Serra resta ancora come un riferimento sicuro. Se c'è ancora gente che ;1mi la bellezza d'un animo pronto a seguire la voce più intima e libera, Serra è senza dubbio il loro scrittore. Gli uomini che gli sono sopravvissuti, o vogliono il nostro rispetto soltanto per la lunga fatica dei loro anni, e per i meriti della lor0 arte, o richiamano la nostra attenzione, il nostro stupore, per altezza di pcn,;icro e di studi da cui cavarono un abito di nobile indipendenza; epp•11-eciò accade sempre non !Cnza riserve o incertezze, turbati come si è ormai per i contrasti di tante vicende e di tante, passioni. Di Renato Serra oggi si sono ristampate le opere. Quattro anni fa uscì l'epistolarìo e fu come !a scoperta d'un u·omo sensibile e pcmoso prima soltanto intravisto; oggi l'editore Le Monnicr pubblica gli altri due volumi delle opere, saggi editi e inediti. articoli di rivista, appunti, a cura di Giuseppe De Robertis e di Alfredo Grilli. Due amici di Serra hanno curato questa raccolta, e non poteva dar~i altrimenti. Di Alfredo Grilli è la « Notizia sugli scritti » che farà da guida <:;torica a ~cttori nuovi o ignari : di Giuseppe Oc Robcr1is 1 il saggio introduttivo: « Coscienza lettc:r3ria di Renato Serra », non soltanto sommario delle idee, dei sentimenti d'uno scrittore, ma anch<' ritratto morale. Giu'icppc Dc Robertis ha scritto il suo ritratto di Serra, non limitatamente con mano di critico. Se così fosse, egli ci avrebbe dato soltanto quei segni buoni a ,;tabilire un metodo di lavoro letterario. Giu~ppe Dc R.obcrtis ha fatto invece opera specialmente di scrittore. Di lui scrittore, si avevano ~egni in tanti articoli. pure in quelli dove più pareva seguire la traccia d'una. pa(!'.ina letta. < Come tutto qui è ben propor.donato e diviso! » esclama ora, dÙpo averci fatto lc~gcre la pagina abbozzata e l'altra definitiva del ritratto di Pascoli, tratto da certi appunti di Serra: esclamazione che quasi afferma ì principi d'una pro'-a d'arte oltreché di critica. Gli scrittori della Voce 1;cmprc, anchr nell'accingersi a opere rifle,.sive, espositive, perseguirono il modello della pagina hen scritta e meglio vari:lta di motivi. f. anche Dc Robertis fu, e resta vera mente, di quella ,;cuoia, che trovò in Renato Serra l'autore più estroso. Eppure rar3mentc è dato in. contrare due autori imicmc tanto vicini e discosti, come questi due. Comune in essi, il modo del kttore che si fida -;oltanto della pagina, pronto a trovare in una cadenza 1 in un vezzo un <cgno _rivelatore, ma lonrnna da Dc Robcrtis « la svogli.1tt:zza d'uno che la sa lunga>, l'atto iminuante e femmineo che furono le qualità .:,e non mi1:diori più di-,tintivc di Serra. Nelle « Lcttf're », panorama dc-Ila no'>tra letter.ttura ,·cr-.o il 191~, Sena chiamava la prma di Soffiè-i un dono, in quel e C'è una prepotenza, anche nell'essere insinuante, e il Serra fu tra i più insinuanti scrittori, con i suoi vizi, naturalmente, i vezzi, le graziette e smorficue. In questo a~ai vicino al Pascoli, e a quelle sue civetterie fanciullesche e care ora fastidiosi~~:,.1e... >. Co.;;ì nel saggio introduttivo, à segnare dello scriuore letto e commentato gli umani caratteri. Si leggano poi, a meglio definire il ritratto. ~li accenni alla formazione di Serr.1 fra Carducci e Croce: « ...godette, vorrei dire, drgli acqui,.ti del Croce come d'un superbo spettacolo; per ciò ch'essi potevano valere come testimonio d'un ingegno e d'un lavoro grande. Ma nel leggere e nel giudicare, per conto suo portò altro criterio, quello che aveva appreso non tanto alla scuola del Carducci, quanto col cotidi:mo studio delle sue opere, dietro quella guida rilacendo il corso delle proprie letture, affinando il gusto, assottigliando l'acume della mente,. Lettore volle es.sere Serra più che critico. e quasi intento diremmo a scrivere come un suo diario da segnare sempre sulla carta, nell'accingersi o nel condurre un lavoro, un se~no della stagione o dell'ora; eppure non è che travestimento, che civetteria compiaciuta. modo piacevole per prendere l'avvio. Lettore e soltanto sicuro della pagina ~tto gli occhi, ·serra tuttavia andò facendo d'o~ni scrittore esaminato quei rilievi di stilc1 d'animo, di storia che ~mprc formarono in essenza un saggio critico. Le apparenze diaristiche non dovrebbero nascondere ciò, Voleva soltanto sentirsi presente : « Lasciate dunque che vi parli di mc. Per studiare gli effetti di quella spirituale imitazione che occupa oggi la nostra curiosità, non trovo altro esemplare d'umanità meglio alla mano. Con un poco di buon volere, anche la mia storia assai ordinaria può servire di specchio a molte altre>. Che era un abito d'uomo oltreché di studioso; un voler misurare M!mpre se stesso, a temprare la sua alacre coscienza. Molto d'una generazione pronta e ardita di spirito ci viene così rivelato attraverso quell'intimo esame d'una CO· scienza. L'orgo~lio d'un rinnovamento, il SO'ipetto della vanità, lo scc;mtcnto dell'animo troppo consapcvoie•vengo11n continuamente a dare rilievo drammatico alla pa,:::ina. Poi la guerra giunge ad allettare gli animi contra'-tati, Quasi una sosta, un riposo. e La guerra è un fatto: come tanti altri di ouesto mondo; è enorme, ma è quel io solo; accanto agli altri, che sono ,;tati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, as<:;o)utamcnte, del mondo. Neanche la letteratura ,. Ciò nella prima parte dcli'« E1;amc di coscienza d'un letterato>, la pili dubbiosa, la più riservata dagli slanci e dai disordini, da apparirci O!Z:gi singolarmente confortante. La gl:erra di Serra non era che una so,;ta, attesa e chiC!.otada animi for<:;c troppo scontenti dei beni dei loro studi e d<'i loro pcns=eri. « La letteratura non cambia. Potrà avere qualche interruzione, qualche pausa, nell'ordine temporale; ma come conquista spiritualc 1 come rsigenza e coscienza intima, essa resta al punto a cui l'aveva condotta il lavoro delle ultime generazioni; e, qualunque parte ne sopravviva, di lì soltanto riprenderà... È inutile· aspettare delle • trasformazioni o dei rinnovamenti dalla guerr,1, che è un'altra cma: come è inutile sperare che i letterati ritornino cambiati, migliorati, i!ipirati dalla guerra. E~sa li può prendere come uomini, in ciò che ognuno ha di più elementare e di più semplice. Ma, per il resto, ognuno rimane quello che era >. Tale il senso della prima parte dcli'« F.,;;amc»1 la parte più riflessiva; poi, nella seconda, ecco l'abbandono agli impeti d'una scontente7.Za che sembra doversi calmare in una vita meno ap• partata e diversa: < Oopo i primi chilometri di marcia. le difTcr<'nzc o:aranno cadute ... ». Questa la <:;toria d'un letterato per un momento stanco _e smarrito. m,1 pure, nel suo ~marnmcnto, ~icuro che nulla cambia di certi principi cari agli animi « bennati > e devoti a~li studi. ARRIGO BENEDETTI 1-..-----------------------~--' DOPO OLI E8Allll . "NON' TE LA PRENDERE, CARO, TI FAREMO FARE L'ARTISTA Cdlt, di Bar10H) i)) ER LE VIE di Trastevere suonava ~ un organetto e finalmente in via Garibaldi mi riuscì di vederlo: era tirato da un cavallino di piccola statura con un fiore di carta gialla in fronte; un cavallino che camminava in mezzo alla strada. Via Garibaldi è una strana via. Comincia larga e quasi affondata fra alcuni palazzi dagli altissimi marciapiedi e poi, a mano a mano, si va restrin((endo, mentre le case che la fiancheggiano diventano basse ed umili, tinte a colori vivaci come costruzioni di un paese. Sembra un fiume di selci. Sembra terminare con una ripida scaletta; ma poi riprende a girare e si riallarga, divenuta viale con alberi e belvedere, fino alla fontana dcli'Acqua Paola: fr.a le sue curve abbrac• eia l'Accademia spagnola, un edificio con uno stemma complicato ad ogni angolo, e la via di S. Pietro in Montorio, che anch'essa sale al Gianicolo. E anzi, proprio dove la strada s'incurva e sembra aver fine, sorge il luogo più interessante di essa, il Bosco Parrasio: della sede dell'Arcadia, attraverso il cancello, non si vede che una lapide malandata e un cespuglio di fiori rossi. Tanto basta, insieme agli elrganti pilastri ricurvi che sono ai lati del cancello, ad invogliare all'ingresso. In fin dei conti, a quei tempi, la vita del letterato mi pare che non fosse da disprezzarsi. Mica come al giorno d'oggi che per trovare un uomo caro alle Muse bisogna girare per caffè e simili luoghi; al contrario, i letterati dei buoni giorni antichi, gente come oggi riposata e tranquilla, avevano sempre un luogo dal nome molto poetico dove radunarsi. Circostanza questa, che non poco doveva , influire sui loro poetici concetti. E del ruto, il luogo se lo erano scelto ben rispondente al loro animo: c'erano, e si vedono tuttora, cipressi, mirti cd agresti sentieri, e un teatro, davanti alla facciata della vi"a, con sedili di pietra e uno scanno marmoreo per il presidente. Invece degli uomini, oggi, ci sono delle piccole lapidi, confitte nel muro di cinta, ognuna di esse portante un nome e una lode: gli Arcadi, infatti, erano ragguardevoli pei:sonaggi e molto illustri, anche se non tutti belli e maestosi come pare fosse Gian Vincenzo Gravina, uno dei fondatori. Anzi, si dice che il Crescimbeni, Alfesibeo in Arcadia, fosse dotato di un tal spropositato nasone da esser chiamato Nanca dagli amici, La sua appendice è chiamata addirittura, in una lettera di Giampietro Zanotti, la cosa più grande e maestosa di tutta l'Arcadia. ì'vla pure, sotto la presidenza di tale naso, si tenevano solenni adunanze. L'accademia era sorta al tempo della regina Cristina che veniva dal nord, con un felice e fausto ingresso, a prendere in mano le redini della poesia italiana; ma solo dopo la morte della Basilissa, così Cristina era chiamata dai suoi ammiratori, aveva preso il nome di Arcadia. Da principio, si trattò soltanto di quattro poveri lener.ti.i che andavano a spasso per i Prati d1 Castello, luogo pubblico ed aperto a tutti, ragionando di poesia e di altre belle cose. Il 15 ottobre del 1690, fra i buoi e le pecore che numerosi pascolavano presso alle fosse del castello, si udi uno dei quattro esclamare:• Egli mi sembra che noi oggi abbiamo rinnoWklo l'Arcadia!-.. Probabilmente i letterati si erano portati la merenda e avevano passato una giornata all'aperto fra bei discorsi: la frase, in tal modo, ebbe effetto. Ma purtroppo, non si seppe mai chi fu a pronunciarla. poiché ognuno dei quattro partecipanti alla scampagnata, i poeti Guidi, Zappi e Gravina e Crescimbeni, attribui a se stesso l'esclamazione fortunata. Ma la ricerca di questa felice pater,,ità, lì per lì, contò poco. Era sorta l'idea di fondare un'accademia che rinnovasse veramente la poesia e che del1'Arcadia portasse il nome; gli pseudonimi, se così si possono chiamare, che i componenti dovevano portare, furono estratti a sorte, e si srabill che ognuno degli aderenti dovesse pagare la somma dì due giuli per anno. Presto la notizia si sparse per Roma e donne, cavalieri, cardinali e principi vennero a dare la loro adesione. I primi giorni di vita furono faticosi. Si trattava di dar leggi di convivenza a uomini dì lettere, di trovare una degna sede, un'insegna, un capo e dei nomi, dei bei nomi poetici. Per essi, si ricorse a Teocrito e a Virgilio, come più tardi per l'ispirazione di odi e di sonetti, e comparvero i Benaco e i;tli Oleni, i Laconii, gli Japitei e, nomi graziosis5imi per le donne, le" ldalbe e le Nossidi. La famosa Faustina Maratta si chiamò gentilmente Aglauro Cidonia. Poi, ad ogni arcade fu assegnata, idealmente s'intende, una porzione del territorio di quella felice ed inesistente provincia. Era un bellissimo gioco. A~chc l'insegna fu presto trovata: la siringa del dio Pan e la corona di pino: ma ben più difficile fu lo scovare una sede adatta. Prima ancora che la si trovasse, si stabiH che si sarebbe chiamata Capa,i,io. e che in essa do,·ess<' aver posto un Serbatoio, una specie di segreteria da dove si potessero .sei;tuire tutte le attività del nuovo cenacolo. Ad ogni modo, dai Prati di Castello i novelli arcadi si trasferirono dapprima a Villa Paganica, poi presso il principe Corsini alla Lungara e poi ancora agli Orti Farnesiani sul Palatino. Tutti luoghi ameni e ,·erdeggianti, ben forniti di lauro, per i futuri trionfi. Da ultimo, il buon re Giovanni V del Portogallo, amante di poesia e di inni in sua ~loria, regalò all'Accndcmia 4000 scudi: fu una pioggia d'oro. Gli arcadi com• prarono il Bosco Parrasio, con Capanna e s~rbatoio. E si pensò all'arredamento. Nel 1711, lo narra il Crescimbeni stesso nel suo primo libro sull'Arcadia stampato in Roina presso Antonio de Rossi in Piazza di Ceri, il Serbatoio faceva un bellissimo effetto. Davanti alla porta d'ingresso, si vedeva una statua di Clemente X I, protettore dell'Accademia, e intorno a lui erano i ritratti dei cardinali e prelati che davano il loro nome ai registri della istituzione. Sugli altri muri erano quadri, statue e le imprese delle ,,arie colonie che l'Arcadia 10 breve tempo aveva disseminate per tutta l'Italia, prima fra esse quella di Reggio Emilia, detta la Forzata, ché i suoi componenti non dovevano poetare che in rime forzate. Sopra alla porta pendevano due corone, l'una, di pino, con il sigillo dell'Accademia, era il premio dei vincitori delle gare poetiche; e l'altra, di pmo e alloro, con un sigillo mostrante una verga e un cane, era l'attributo del capo degli arcadi. Egli, simile a un buon pastore, doveva condurre il suo lirico gregge sulla strada maestra. Naturalmente, fu proprio per cingersi le tempie di questa corona che sorsero le prime lotte e i primi scismi. Vincitore di tutti fu Alfesibeo, e il Gravina dovette contentarsi, come era esperto giurista, di dettare le leggi, che furono scolpite in marmo e che ancor oggi si vedono sulla facciata della villa. Per esse, . l'Arcadia fu organizzata a somiglianza di una repubblica che delega il potere a un Custode e a un Pro-custode. Su di essi vigilavano: Duodeumvin· eletti, come il capo, da il Savio Collegio di tutti i membri. Gravina, dopo l'ultimo ballottaggio, stanco ma non domo, provocò lo scisma e fondò l'Anti-arcadia. Essa 0 cbbe breve vita e ingloriosa nei giardini di Don Livio Odescalchi. E così il tempo passava molto lietamente. Ad ogni Olimpiade si celebravano i giochi con relativa incoronazione dei poeti trionfanti, e si trattava di gare a cont~u, a ingtg,io, a trasformazioni e a ghir/a,ide, cioè di gare di egloghe, canzoni, sonetti e madrigali. Poi, per riposare la mente, gli arcadi giocavano e scherzavano. Fu inventato perfino un gioco per le sere d'inverno, e il suo nome era dell'oracolo o sibillo,zt. Si sceglieva, prima di tutto, l'oracolo che doveva rispondere ad ogni domanda- fatta con la prima parola che gli veniva alla mente, e poi due interpreti il cui compito consisteva nel trovare il perché e la spiegazione delle parole del sibillont. Per esempio, si domandava se per rendere un animo perfetto sia necessario l'amore. E l'oracolo rispondeva: •Cristallo!• oppure:• Balcone! 111 mentre gli interpreti con sottilissime disquisizio0i, tentavano di spiegare. Tempo felice in cui, forse, i letterati giocavano all'oca. Ma, del resto, i più begli ingegni d'ltalia per più di un secolo appancnnero all'Arcadia, e se ad essa non si può attribuire il merito del loro sorgere, pure in essa tutti si ritrovavano e si riconosce• vano, fin quegli uomini di umili origini quali erano il Men?.ini e Giovan Batta Fagioli, ai quali fu dato, attraveno l'Arcadia, il mostrarsi e il farsi conoscere. i\'ei fasti dell'Arcadia figuravano perfino due santi, il Beato Cardinale Giuseppe i\fa. ria Tommasi e il Venerabile Pignatelli e con essi, di anno in anno, Malpighi, Ma~ galotti, Redi, :vluratori, Vico, Alfieri e Pindemonte. • E poi l'Arcadia finl i suoi wmpiti e i suoi giorni. Vernon Lee, recatasi al Bosco Parrasio, vi trovava, solo custode, un prete arcade coltivatore di fave nel mezzo del sacro teatro: sulle statue 'al naso rotto i contadini attaccavano le loro giacche. Una vista deprimente: la poesia, almeno in Arcadia, sembrava moribonda. E oggi si vedono belle automobili lucenti davnnti al suo cancello; l'interno è tirato a lucido e, a giudicare dai mobili, nella casa c'è almeno una donna bionda. Un cane zoppo si aggira fra i cipressi del giardino dedicato a Cristo: un cane che, secondo il racconto della cameriera che riceve i visitatori, è caduto da una finestra del primo piano. MARCO CESARINI ( LETTEARLDAIRETT)OR ~OT'I~I &'Jll@rn:!ill&~~ ~ t\RO DIRETTORE, l'intenzione di Jta andare a dormire ~i delinea presto nella mente dei siciliani: pochi minuti dopo il tramonto del sole, i nottambuli smettono di pensare a problemi dì rconomia, di rcli~ione, di estetica, di politica, e dicono piano al-l·orologio da polw che, dopo aver poi:c((iatosull'orccehio, avvicinano alle labbra: e Questa sera, alle nove, sarò nel leuo ! •· E, dic-cndo ciò, sono sinceri, perché, in q\lel momento, il ciclo, nel quale il sole non si vcM più e le stelle non si vedono ancora, manda la luce di una candela riparata da un vaso di porcellana; 1cndine di scirocco si abbauano da ogni parte ; le finestre e i balconi sono tutti al buio; i;li uccelli, rientrati poco prima nei nidi in forma di rondini urcpitosc, escono in forma di pipistrelli. ~1a i guai cominciano quando la sera ,•era e propria succede al crepuscolo. Un vento fresco rompe da ogni l:uo le cortine dello scirocco; ti cielo si pulisce; stelle rosse, verdi e bianche spuntano dai vasi delle terraue e dai comignoli dei letti. M'è aceaduto spesso di uio'n poter dormire pc-rché la candela da notte aveva lo stoppino più lungo dt'I solito, o prrché la lampada della strada, mossa e capovolta dal vento, ge11ava i suoi r:l'ggi sulle imposte chiuse del bakon:. Un fatto simile accade ai giovani siciliani. t notte! Scnz:t.dubbio, questa è la notte! E Dio, senza dubbio, ha ratto la notte per il sonno! E, senza dubbio, cui avevano sonno e ogni buona intenzione di andare a dormiri-! Ma è anche vero che adess;, il cielo ha un grado in più di luce di quanto non sia consentito a un G-ielonotturno. La n:t.tura è tornata vivacissima e contagia la sua irrequietezza, la quale, unendosi alla stanche7.za di chi ha 1roppo vegliato, rumato, parlato, genera un modo particolue di appiccicarsi alle sedie, di conversare, di comportarsi: gl'istinti fanciulleschi, non trovando più un freno, spingono l'amico a strappare per giuoco l'abito dell'amico o a rie111pirglidi neve il collo della camicia; il desiderio di• \•Ìaggiare, diventato irragionevole, spinge minuti ragau.i dai capelli inanellati a lanciare le loro basse e lunghe macchine a veloc:ità inaudite, percorrendo venti volte, con tremendi ululati, con le gomme rasente al marciapiede, voltando unicamente con la frenata, lo nesso chilometrQ di via principale. Nt·,Ù.i. Incollate ai muri, alle monre dei negozi, alle ve1rine spente, ai tronchi degli alberi, stanno in quello steuo momento centinaia di persone a cui l'idea di aprire la porta e rincasare dà lo ste~somalessere che aprire la porta e uscire, in una sera di gennaio. Costoro por.ano scarpe nere col laccio girato due volte intorno alla caviglia, conscn .no nel poi-tafogli una minuta fo1ografia del figlio a cavallo del gatto. Sono tut•,; distribuiti a coppie, e conversano. Non hanno nulla da dirsi, ma conveuano lo stesso. E:. cosi che mettono a tacere la voce della coscienza domestica .. Quando questa borbotta: < E:. tardi! Che fai? •• essi rispondono: e Come, che faccio? Ma converso col mio amico! >. Di che conversino, Dio solo sa. Di tutto, si può dire. Il loro passato, la loro vita si esala in parole: prime notti di matrimoe.io, segreti di parenti, retro~cena di processi si spargono ~~ll'aria con un suono smorto di sbadiglio. Nessuno dei due ascolta: vicini e solitari come due alberi, emettono confessioni, pensie1i, rivela:1.ioni.La brezza notturna si carica di nomi e cognomi, di date, d'indiriz~i, e li sbatte alle finestre chiuse; e se in un primo piano o al pian1crreno c'è qualcuno che non dorme, li sbatte alle orecchie di costui che, fra le due e le tre del mattino, ha la fortuna di apprendere tulta la vita di un rispettabile signore della sua città. Tutta la \•ita ! T due conversatori devono ammettere che hanno detto troppo, n;;rando tutta la loro , ita, ma devono anche ammettere che h.:anno dc110poco, se è bastai:\ un·or.:aper narrarla. Esaurito l'argomento della propria vita, che cosa racconteranno? Si pro, ano a raccontare la vita di un amico. Essa dà materia di discorso per venti minuti. Si provano a raccont:t.re la vita di un conoscente: questa dà materia di discorso per quindici minuti. Si provano a raccontare, la ,•ita di uno sconosciuto· quest'ultimo racconto non dura che dicci minuti. La coscienza domestica torna a ripetere: < Andi:t.mo a casa! •· e: Un mornrnto ! • rispondono. i due amici, voli:cendo in giro glì occhi smarriti. < Devo dire qualche cosa! •· Latr.:i ,1n cane, cd e~si parlano dei cani in generale. Cade una foglia, e parlano dell'autunno. Pana < un tipo •• e parlano di « certi tipi >, Infine parlano bene di alcune persone; poi parlano male di ahre persone4 Quindi parlano m:t.le delle prime, e bene delle seconde... D'un tratto, le stelle rimpicciolisc0no, e una luce da lampada da notte piove dal cielo. Torna la sonnolen1a del crepuscolo. I due sbadigliano con dolccna e si dànno la mano. ~el salutarsi, sì guardano bene in viso e si dicono impacciati: e Buona n1o1ttec, aro... •· li più delle volte l'impaccio è dovuto al fatto che nessuno dei due cono~cc ,1 nome dell'altro. 'Cordialmente VITALIANO BRANCATI
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