Omnibus - anno II - n.25 - 18 giugno 1938

IL SOFM DELLE musE Utt~©~~lg@ DBZY PAUB& \t RACCONTI calabresi di Corrado ll. Alvaro, spesso così restii dall'aneddoto e dal colore locale e sempre agresti, rustici, quasi favole d'una rozza e leggiadra Arcadia, narravano la storia dei pastori, degli agricoltori meridionali attraverso la pittura dei loro gesti e la rappresentazione, in simboli, dei loro nascosti sentimenti. L'amata alla finestra, Gente in Aspromonte, volumi dov'è il meglio di Alvaro agreste, dipingono gente semplice e d'antico aspetto, ma d'ànimo complicatissimo. Non che gli animi siano frugati con la tecnica moderna dell'aoalisi, della confessione. Raramente si leggono le sfumature d'un carattere; ché, anzi, l'autore, quasi pudicamente, si fe_rma davanti ai sentimenti particolari mentre si diffonde nella descrizione di quelli d'un paese, d'una razza, diremmo. Pastori e contadini venivano còlti nei loro terrori davanti a indefiniti misteri. E il mi~tero si avvertiva dovunque : negli sguardi e nelle parole umane, come nei cieli, negli aspetti della natura : da derivarne, nei racconti di Alvaro, uh parlare per allusioni, un descrivere forse" simbolico. I presentimenti quasi segnavano la sorte dei piccoli personaggi di quelle frwolc calabresi; come un sovrastante senso di mistero che arrivava a diventare diffuso terrore. Ora Alvaro, lasciando da parte la sua nativa inclinazione a pitture rustiche, ha scritto un romanzo dove è evidente quant'egli ormai sia consapevole dei segni sotto cui corre la sua fantasia. A uno scrittore consapevole delle proprie inclinazioni fantastiche, la strada sempre si fa difficile. C'è l'in~idia del cadere nella maniera, •e il Lworo giornalistico quasi interviene spesso a vincere ogni istintiva riservatezza. Se non che da quell'essere consapevoli si potrà sempre cavare un utile, quando se ne cavino i termini per un dramma. Corrado Alvaro forse tenta di prendere questa via da anni ; e già mentre uscivano i suoi racconti di Calabria, pubblicava altre composizioni narrative, dove pareva castigarsi di certo suo gusto se non per il colore per i sensi materni della regione. Lo aiutava la tecnica degli scrittori della scuola letteratissima più che fantastica di cui l'autore maggiormente ingegnoso è ~•Iassimo Bontempelli. E si leggevano così storie di personaggi senza passato o avvenire, moventisi in paesi senza storia, senza preciso carattere. Se poi accadeva di riconoscerci ora Berlino, ora qualche altra città della più generica Europa, era perché in fondo anche gli scrittori della riv~ .a '900 firrivano sempre inavvertitamente per scegliere i loro paesi non fuori del mondo. L'uomo è forte (Bompiani, ~[ilano) è romanzo tuttavia senza. paese. Alcuni riferimenti che potrebbero metterci sulla strada di facili scoperte restano esterni del tutto al romanzo: dove i presentimenti di mistero e di strani terrori che già lievitarono la fantasia dei pastori calabresi diventano addirittura paura, fino a giungere al dramma. Dale torna ih patria e vi trova che tutto è terrore. Vi ritrova Barbara, che della paura ha fatto una ragione della sua vita. Certi particolari allusivi a circostanze politiche proprie di alcuni paesi europei del dopoguerra forse vogliono giustificare il sentimento che occupa l'animo di questi per- ..sonaggi. Date è un esule che torna : Barbara una figlia di nemici vinti, di quei nemici che, solo con la loro ombra sempre più vaga e lontana., paiono generare una min.iccia e relativamente tutto un costume, una moralità. Dalc e Barbara diventano amanti e la loro storia è quella dei loro terrori, fino al tradimento della donna, quando crede che nella delazione sia possibile trovare un riscatto per sé, fino alla strana avventura che conclude il romanzo. Dale è ferito gravemente da un soldato incaricato di ucciderlo come traditore j poi, salvato da altri militari della medesima parte, viene creduto la vittìma di certi ribelli e creduto un eroe. Conclusione lievemente ironica di questa commedia e tragedia della paura. Certo Alvaro non poco ha pensato alla .Russia, e soprnttutto crediamo al romanzo rus~. L'inquisitore che segue alla lontana i colpevoli e che dice di avere bi!l<>gnodi colpevoli per un fine d'umana rigenerazione, rammenta naturalmente l'altro inquisitore di Delitto e ca1tigo. Ma Barbara e Dalc nori sono personaggi da Delitto e ca1tigo. Non caratteri veramente; ma M>ltanto allusioni d'un sentimento di cui sono intese le possibilità tragiche. Si vive come in sogno; ogni atto, ogni gesto, ogni parola di Barbara e di Dale valgono perc~é :1lludono agli_sv~- luppi d'una osse:i,<i:1one 1 restando mdipendenti l'uno dall'altro, qua'>i discordanti fra loro. Barbara e Dale stanno imicmc in una Stan7.a; poi la donna 11 --.. \\" ,--:-:.. ✓-~,~/ ,. '! I > I L1AlfMIRATR10E DI PROVINOIA1 11 , .. E DIRE OHE SIETE VOI OHE SOKIVETE DEI VERSI 008! DELIOATI" Cdli, di !artoll) entra nella cameretta da bagno e nuda s'immerge nella tinozza. L'uomo la raggiunge e la lava, cd è un impulso rivelatore: come un richiamo a una purezza primordiale: il corpo trova e un altro elemento innocente, l'acqua :.. E Alvaro predilige procedere con un linguaggio più allusivo che rappresentativo, più profetico che narrativo. Quando Dale, vinto dalla sua ossessione, uccide il direttore della fabbrica dove lavora, è un giorno di tempesta. Piov~. Poi alla pioggia segue un estatico schiarimento e sempre in questi trapassi è chiaro il fine di congegnare il racconto 1 pili che attraverso il legame dei fatti e dei sentimenti, con elementi simbolici. Si veda del resto le tante parole che Alvaro predilige e che quasi paiono, oltre essere il segno, diventare lo stimolo, dcll:i sua f~ntasia. « Elementare>, «creatura> ncorrono spesso quasi a definire quel senso di continua antichità e novità che Alvaro vede sempre nelle cose del mondo. Eppoi quel verbo e inventare > eh~· unge spesso ad effetti sorprendenti uando non sconcertanti. Si descri Barbara in certi trapassi della su strana psicologia indefinibile : « Ha inventato ora di mettersi un poco di profumo dietro le orecchie ». E così spcsso1 con una insistenza che non sempre conduce a felici effetti. L'llomo è forte vorrebbe essere il romanzo più d'una umanità che di alcuni uomini. Ed è un assunto che corri!iponde in modo particolare all'indole di Alvaro, che fra gli scrittori contemporanei è dei più singolari, dei più sconcertanti. Mai una pagina dove la prosa intenda definire per sempre un fatto, una persona, una cosa. Quasi Alvaro non scrive con parole, ma a frasi di cui vale il suono, il senso occulto e incerto. La sua è una sintassi d'immagini, di cadenze, che di per sé, se trascritte, possono sempre essere equivocate. In quest'ultimo romanzo, si ha da dire al più che talvolta interviene una certa !>mania di esprimere concet• ti, oltre che sentimenti, sul mondo. E ciò fu, come si sa, l'estrema ambizione d'un altro autore meridionale: di Pirandello. Ma Pirandeilo svelò fin troppo il suo gioco poiché il suo linguaggio era quello cronistico e tradizionale dei veristi meridionali, così logico, co,ì definito anche sotto il variare del colore regionale; mentre Alvaro si giova molto di più delle reticenze e della discrezione d'una prosa meno tradizionale e anzi fra le più libere, fra le più licenziose talvolta della letteratura di oggi. D'altra parte, il suo istinto lo salva sempre, e ogni discussione fra i suoi Dale, Barbara, Inquisitore, Direttore e così via di rado è logica, dialettica. I personaggi pare che parlino fra sé e sé i che si confessino; che dicano sentimenti generali sulle cose di questo mondo; che svelino un senso poetico della vita pur senza mai volerlo precisare. L'uomo è forte è romanzo dove dalle sue inclinazioni fantastiche Alvaro cava dei simboli con contrasti ora drammatici, ora addirittura tragici: ma infine è come se uno dei pastori di Aspromonte viaggiando per il mondo continu~se ad avere l'animo contrastato da terrori vaghi, imprecisabili. Ma dove prima erano presentimenti d'un umano e elementare destino, ora vi si trovano i termini d'una condizio~ ne umana soltanto moderna. Che è come dire che i guadagni i.tanno soltanto nella ingegnosità con cui Alvaro si è rivolto a rappresentarsi, in un saggio di moralista, più che in un romanzo, la penosa vita dell'uomo moderno in certe particolari circostanze suggerite dalla va.ria cronaca. ARRIGO BENEDETTI Moralità ~ ELLA sua a\rvertenza a queste !l'I ,Woralità (Libreria di Scienze e Lettere, Roma) Adriano Tilghcr parla di certa povertà di letteratura morale e psicologica nel nostro paese. E veramente libri che con piacevolezza contengano piccoli studi psicologici e morali ne escono pochi in Italia. 11 genere ebbe grandi esempi in Leopar~ di: le Operette e certi paragrafi dello ,{iba/do,ie quasi iniziano nella nostra letteratura contemporanea gli studi di caratteri e di pensiero senza fini dichiaratamente scientifici. Quando, anni fa, gli scrittori della Ronda cercarono l'insegnamento leopardiano, molti scritti presero una intonazione fra moralistica e psicologica; ma il gioco della fantasia e dell'ironia era continuo: gli effetti furono perciò soprattutto letterari. Ne veniva fuori una s.'\ggczza tradizionale e paesana, che si giovava specialmente del buon senso; ed essendo i risultati dello stile a contare, i lettori non chiesero mai a moralisti come Bacchelli, Baldini, Cardarelli e Cecchi, ragguagli su quello che era il pensiero contemporaneo . Tilgher a ragione parla di un difetto di letteratura divulgativa in Italia. E le ca use possono essere mo!te; fra l'altro, la limitatezza d'un pubblico che s'interessa a tali questioni. Una simile letteratura non• vuole effetti di stile, ma esattezza d'informazione e concisione fino a ridurre problemi grossi in brevi capitoli. Adriano Tilghcr è abile in questo ridurre problemi e contrasti del pensiero moderno in saggi di scorrevole lettura; tanto abile che, leggendo i suoi brevi saggi, è come assistere a una cordiale conversazione in Carni• glia, sebbene, sia nell'esposizione d'arduc questioni, sia nel dibattito e nel chiarimento d'idee e problemi in contrasto, egli sempre proceda con l'aiuto d'una lieve ironia. Ha l'aria di chi prima di accingersi al ragionamento• vuole terreno sgombro da quelle difficoltà che potrebbero fuorviare l'attenzione di chi legge, conducendo, d'altra parte, lo scrittore a tante par-Liali divagazioni. Tilgher, se ha una dote di scrittore, o a dire meglio di espositore, è tutta in quel suo sapere definire le lince essenziali d'un discorso che potrebbe essere prolisso e confuso, si da giungere a una chiarezza che non è mai un impoverimento. In altri capitoli meno informativi si pensa al Croce delle postille e delle riflessioni per certo moralismo che esce dall'esporre casi della vita e del pensiero contemporanei. ?vfa in Croce la moralità esce Soprattutto dalla sostenutezza tradizionale della prosa, più che da esplicite proposizioni; mentre in Tilgher la polemica è pil1 lieve, da risentire alla lontana del mestiere di giornalista. Queste moralità, queste considerazioni di Tilghcr riguardano, più che fatti, sentimenti, umori. Vi si parla della felicità come la intendono ~li uomini e come le donne, della pau.ia, della vergogna, del pudore, della fortuna e così via. Ora l'argomento del saggio è tratto da un libro di cui ci si propone la recensione, mentre poi ci si avvia piuttosto ad accennare a problemi generali, a scienze moderne di viva attualità, come la psicoanali~i. Quando non ci si addentra irr chiarimenti circa questioni più grosse. L'antideterminismo, ch'è fenomeno della cultura contemporanea, trova in Tilgher un polemista pronto e piacevole. C'è un capitolo che s'intitola e La Vita come separazione dall'Infinito>: titolo che farebbe pensarc a un trattato mentre poi non è che una divagazione. Lo spunto viene da il volume di Paolo Nobile: Duali1mo filosofico, e la recensione contiene massime che possono essere prese ad insegnamento di chi fa mestiere di letteratura o di giornalismo. e La caratteristica delle grandi creazioni spirituali è sempre lo stile; e lo stile è sempre ottenuto soffocando, assassinando infinite possibilità, circoscrivendo, delimitando, astraendo. Non v'è grande creazione spirituale ché non sia frutto di un'astrazione, cioè di una viva e veemente rinuncia, figlfa di una preferenza esclusiva e di un intransigente amore>. Verità semplice, detta con le parole pittoresche che Tilgher forse predilige eccessivamente. A volere giungere, riguardo a questo volume, a una conclusione letteraria, si potrebbe osservare come gli studi morali e psicologici d'intonazione divulgativa vogliono veramente un linguaggio e sapiente>, «colorito> djremmo. Che. per il pubblico è come la miglior garanzia. Politica letteraria Renato Poggioli, dopo molte traduzioni da letterature slave, dopo una antologia di poesia sovietica, dopo vari saggi e articoli dedicati a scrittori russi, polacchi, cèchi, ha pubblicato presso l'lstituto Fascista di Cultura uno studio sulla Politica letteraria 1ovietica, che vuole essere il « bilancio d'un ventennio>. Lo studio è essenzialmente letterario, anche se alcuni capitoli del volume trattano del teatro, del cinematografo, e delle altre arti russe, cd è soprattutto un saggio su una società letteraria fra le più interessanti e le più travagliate del dopoguerra. I rapporti fra lo Stato sovietico e la letteratura sono pieni di C\. ntraddizioni. li futurismo e ogni arte d'avanguardia paiono in un primo tempo il riflesso della rivoluzione d'ottobre e il suo equivalente artistico; poi ceco invece la sua condanna sotto l'accusa di individualismo decadente con la rivalutazione di scrittori tradizionali. Secondo l'attitudine dc~li slavi ai problemi, ai contrasti spirituali, tanti furono in Russia i movimenti del dopoguerra e tante le ingenue infatuazioni di scrittori e 1>0eti sempre chiusesi tragicamente. Le varie fasi di questa e letteratura manovrata » corrispondono, a dirla con Poggioli, con e un tragico episodio individuale> : il periodo r 9 r 7-1920 e corris•ponde alla prima fiammata d'entusiasmo rivoluzionario, e il suo tramonto coincide con la scomparsa d'un corpo consunto e di uno spirito deluso, vale a dire del più grande poeta della vecchia generazione, Alessandro Blok... >. Il periodo ,921-1925, fra la guerra civile e la Nep, si chiude col suicidio di Jcsscnin1 e così via, fino al suicidio di Maiakovski e ai casi Zamiatin e Pilniak, gli « esiliati interni > della moderna letteratura rus- ,;a. Ed è veramente strana la sorte di questi ,-scrittori che si trovano ad essere vittime d'uno Stato che quasi ha rivendicato a sé la gloria d'una storia letteraria in cui i poeti da Pusckin a Dostoievski scontarono col martirio la loro serietà morale. e accaduto questo: il rispetto dell'arte vuole oggi in Russia le sue vittime. Ieri lo scrittore russo andava in Siberia, per non aver saputo essere un artista puro; oggi rischia il plotone d'esecuzione per rifiutarsi, secondo i suoi principi d'artista, di diventare s.Jltanto un cron~ta di avvenimenti che non lo riguardano, e il celebratore d'eventi di cui il suo animo nega la grandezza. CARLO DADOI ::,,/ ~ ''Il' I '.J :@fkl 'il>'li ISS ENID STARKIE, sorella W del pro.fessorWalter Starkie noto ~-- ..... tra not soprattutto per un suo volume su Pirandellb, ha avuto la singolare fortuna di ottenere dal signor Haim Matarasso, appassionato bibliofilo ebreo originario di Salonicco, il privilegio di consultare il copioso epistolario relativo a Rimbaud contenuto in una vecchia sdru• cita valigia che aveva accompagnato in Africa il poeta negriero: valigia e documenti ceduti al bibliofilo dalla vedova di Paterne Berrichon, la cui prima moglie era stata lsabelle Rimbaud, la sorella mi~ nore di Arthur. • t difficile•, scrive miss Starkie, .-narrare l'emozione che ho provato nell'aprire la valigia piena di carte di mezzo secolo fa•; Paterne Derrichon forse provò a suo tempo una emozione simile, ma pietà familiare gl'impedl di usare molte di quelle carte che avrebbero compromesso la manierata immagine di poeta cristiano che si era prefisso di presentare ai posteri. ="1issStarkie è invece una studiosa precisa e scrupolosa, che può parlare, con eguale competem.a, dell'estasi mistica e dell'aritmm amon·,, e di Rimbaud ci ha detto rutto il dicibile e l'indicibile in un grosso volume (Arthur Rimbaud, Londra, Faber & Faber, maggio 1938) che resterà probabilmente la biografia definitiva del poeta. Cerchiamo i lineamenti del poeta nella sua famiglia: col padre, un borgognone di origine provenzale, buon soldato e buon amministratore (combattè in Italia nel '59), non riusciamo a trovare somiglian~ za alcuna; Arthur, in realtà, avrebbe dovuto chiamarsi col nome della famiglia materna, Cuif, ché della madre egli aveva l'ostinazione e la dura parsimonia contadina, e soprattutto degli zii materni gl'impulsi al vagabondaggio e alla ribotta. Questa coppia di zii è come un grottesco adombramento della carriera di Rimbaud: uno, fuggito di casa a diciasset~ t'anni per evitare d'essere imprigionato per furto, si guadagnò il nome d'Africano per le sue poco encomiabili prodezze in Algeria, tornò in patria malato e morì ancor giovane; l'altro, invece, infingardo, ubriacone, violento, datosi al vagabondaggio e alla questua, visse, a scorno e tormento della signora Rimbaud, novantaquattr'anni, e sul letto di morte, in un . ospizio religioso, chiese un litro di vin rosso invece dei sacramenti, e, ottenutolo dalle pietose monache, lo tracannò e dal• cemente si spense. Ma quando si spense, i suoi nipoti Rimbaud, pei quali la madre aveva tanto temuto lo scandalo del suo esempio, eran già morti da un pezzo. Di questi, Frédéric crebbe un buono a nulla, con un'irresistibile tendenza a discèndere nel rango sociale, e con nessun'altra ambizione che quella d'essere un carrettiere; Vitalie, che morl giovane, rivelò precoci tendenze letterarie, Arthur fu il prodigio, e lsabelle la persona normale, probabilmente la sola che davvero tenesse del padre. Cosl, sovrapponendo i ritratti della famiglia, possiamo ottenere un'immagine somigliante a quella dell'uomo Rimbaud, pure rimanendo inesplicato il genio poetico che fiorì in quest'uomo per una breve stagione. Ci aiutano di più ad avvicinarci al nucleo della sua anima i suoi amori? Mettiamole in fila, le persone amate da Arthur Rimbaud: una figura di satiro molle e sentimentale, cogli occhi mongolici e la barbetta rossigna, una donna di Harrar, un'indigena del Tigrè, dall'aspetto molto primitivo, un giovane arabo ... Si dice che in tutte le persone amate da un uomo si possa scorgere qualche tratto comune; ma solo un surrealista potrebbe metter d'accordo la figura del satiresco poeta Verlaine con quella d'un'indigena del Tigrè. Infatti, i surrealisti han posto Rimbaud tra i loro santi padri. Ora, appunto gli amori di Rimbaud ci aiutano ad avvicinarci al nucleo della sua anima: ché scio chi abbia una dose cospicua di bestialità, o una eccezionale capacità di idealizzazione, potrebbe siffattamente amare. Rimbaud, con tuno quel suo corpo dinoccolato e sproporzionato nelle mani e nei piedi, aveva occhi puri e chiari di sera.fino. li Claudcl lo definì e un mistico allo stato selvaggio•· Scrisse una volta il Rimbaud che si aveva torto a dire je pemt; che si dovrebbe dire invece 011 mt peme; il poeta~ solo uno strumento d'un occulto potere; egli non ha volontà propria. A un certo punto della sua adolescenza, il Rimbaud si sentì .-chiamato•• fu ano dall'esaltazione dei profeti e dei martiri; credette di poter provocare artificialmente la seconda vista per mezzo d'un lo11g, immense tt raisomré dlrtgltmtnt de tou.sles sens, fu il 111ppliciéd11tJice, s'imbestiò per trasumanare. Si senti dio, dice con qualche esagerazione miss Starkic, che in questa ipotesi vede l'unica chiave della composita carriera del Rimbaud. Poi, passata l'infatuazione, il Rimb3ud considerò l'amico Verlaine, e disse: • Ainsi j'ai aimé 1m porc •; disse anche: • La déba11cht tst bltt, lt vice ut bitti•, concluse: .-JJ /aut jtte-r lts po11rritures à l'icart/1>, e di tutto fece getto, del suo amore, della sua vocazione, della sua arte. l\.la, reso alla terra, gli rimaneva l'ostinata ambizione di acquistar potenza, non più per mezzo dcli' Alchimia del Verbo, ma per la via battuta dalla comune degli uomini. Qui, le virtù contadine dei Cuif avrebbero" dovuto assisterlo. Gli nocquero, piuttosto. Parsimonia, onestà: a che potevano servire queste vittù nella selvaggia competizione di avventurieri senza scrupoli che trafficavano in Etiopia? Astuzia e senso d'affari, ,ci volevano; e il senso pratico che Arthur Rimbaud credeva di possedere era quella caricatura di esso che si ritrova presso i sognatori. Come quando, a Londra nel 1872, Rimbaud, per ispirar confidenza nelle rispettabili famiglie presso cui sperava di trovar lezioni di francese, s'era comprato un cappello a cilindro, e quello solcva teneramente carezzare col gomito, per fame splendere la seta; e intanto, vestito di stracci, peregrinava con Verlaine di taverna in taverna, quelle tristi taverne in• glesi dove si beveva in piedi, senza parlare, pei quartieri poveri e presso i docks che l'affascinavano, e sui docks risognava quei sogni di viaggi lontani che gli erano dapprima entrati in capo quando, fanciullo, soleva giocare nella barca dei conciatori di pelli sulla Mosa, ed ora forse avrebbe trovato un compiacente ge11t/ema11 artist che l'avrebbe assunto come compagno per un giro del mondo. Ma le lezioni non eran venute, e Rimbaud s'era dovuto adattare a far l'operaio in una fabbrica di scatole di cartone, e a riservar la tuba per recarsi a leggere al British Museum (miss Starkie ha scoperto due domande del Rimbaud per ottenere la tessera d'ammissione alta Rtading room), e in quella schiera di diclassls che ogni m:mina sfilano dinanzi alle impassibili colonne ioniche del Museo Britannico, la .figura del vagabondo dalle lunghe gambe, con gl'ingenui occhi ceruli all'ombra dell'imponente tuba, non sarà stata la men pittoresca. Il suo senso pratico! Un certo momento, era sicuro di far fortuna in Russia; aveva imparato la lingua, s'era recato a Vienna, e lì aveva fatto a::niciziacon un vetturale, e gli aveva pagato da bere, e il vetturale era scomparso col 11uodenaro e il suo bagaglio. Ma Rimbaud aveva buone gambe, e se queste fossero bastate, sarebbe arri• vato in capo al mondo. Traversò le Alpi in una tormenta di neve; a Giava, traversò la giungla disertando dal servizio militare olandese in cui s'era arruolato. In Etiopia intraprese una pericolosa spedizione ad f.ncober e a Entoto per trafficare armi con Menelik; e l'ostinazione e la resistenza del contadino ebbero ragione delle tremende difficoltà del viaggio. Ma quando si venne alla contrattazione con Menelik, il Rimbaud si lasciò aggirare come un fanciullo. Il socio di Rimbaud, Labatut, era morto, e Menelilc pretese di ripagarsi di crediti che vantava verso costui detraendone l'importo dal prezzo del carico d'armi di Rimbaud; non solo, ma creditori di Labarut spuntarono da tutte le parti, e chi ricorrendo ai giudici, chi, ancor più astuto, facendo appello alla pietà dell'ingenuo bianco, riuscirono a spogliarlo di ogni guadagno. Un po' per orgoglio, un po' per compassione degl'in• digeni, che gli parevano ignoranti e indi• fesi, il Rimbaud sdegnò di sfruttarli; d'altra parte (cosl pieno di contraddizioni era il suo carattere), il suo .-senso pra• tico • non poteva lasciare intentato un n• mo assai lucrativo di commercio, il traffico degli schiavi, e schiavi chiedeva al factotum di Menelik, l'ingegnere svizzero Ilg, in cambio delle 11uemerci di problematico esito (credeva merci desiderabili rosari e medagliette religiose, nonché cartelle per scrivere, in un tempo in cui Menelik ostacolava l'opera dei missionari, e di tutto si preoccupava fuorché di togliere i suoi sudditi dall'analfabetismo). E Ilg: • Quan• to agli schiavi, non posso davvero procurarveli. lo non ne ho mai comprati, né desidero comprarli. Non lo farei neanche per me stesso•. Quel sozzo traffico ripugnava al galantuomo Ilg, che, d'altra parte, non si faceva scrupolo di prender percentuali da. strozzino sulle vendite che • per suo mezzo Rimbaud faceva a Menelilc. J1 senso pratico di Rimbaud I L'Etiopia era terra ancor \"ergine; c'era da impiantarvi tutte le industrie e tutte le arti; e Rimbaud si fece spedire dalla madre una serie di volumetti popolari (non si poteva imparar rutto sui libri?) che avrebbero fatto di lui un fabbricante di candele, di mattoni, di vetri, di ferramenta ... Si privava del proprio mantello per proteggere i neri ignudi contro le piogge, ·e poi lesinava le provviste alle proprie carovcne, che arrivavano a destinazione esauste e malate. Egli che aveva praticato tutti i vizi per diventar dio, ora conduceva una rigida vita d'asceta per diventar ricco. V'è qualcosa di folle nella discrepanza tra mezzi e fini in runa la sua vita. Finché un • giomo quegli che Verlaine aveva chiamato l'hommt aux semtlln de v~nt fu inchiodato su un letto di spasimo: fosse carcinoma, o manifestazione terziaria d'una mal curata sifilide, la malattia lo mutilò, lo divorò. Tornato al paese natale, nella sua stanza d'infermo che aveva decorata di tappeti e oggetti abissini, il Rimbaud, sotto l'influsso del tè di papaveri preparatogli dalla sorella, alla luce delle candele, raccontava i suoi sogni del passato e i suoi progetti per l'avvenire con voce di nenia, accompagnandosi al suono d'un organetto di Barberia, e la gente del villaggio si fermava sottQ la finestra, e faceva i suoi commenti sul figlio di madame Rimbaud, su colui che aveva detto che sarebbe tornato ricco e forte dall'Africa. Anche questo secondo Africano, come lo zio, era tornato soltanto per morire. Ma Arthur Rimbaud era morto da un pezzo. Molti anni prima, quando non era stato ancora in mare, in Bateau iwt aveva già scritto il suo epitaffio: .A1ai,,vrai, j'aì trop pleuri. Les aubt1 10nna- [vr,mt,,, To1de lu.nt est atroce ti tout 1oleil amrr, L 'ocre amourm'a gon/Udt torpeursenitJrantn. Oh! que ma qui/le itlate! Oh! que j'aille d [la mtrl MARIO PRAZ

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