Omnibus - anno II - n.25 - 18 giugno 1938

Q VESTO FANCIULLO battez. zato alle Tuileries, que~to scolaro tedesco, questo cospiratore italiano, questo capitano sviz.- zcro, questo emigrante americanoi profcssorc di lingue, questo prigioniero di Ham, questo avventuriero di Londra e questo impcratorc 1 fanno tutt'uno. Si direbbe una farsa un po' grossolana a cui nessuno può credere. Come, infatti, ammettere che questa collezione di esseri così differenti formino una persOna sola? >. L'individuo, di cui si annqvcrano qui con tanto stupore le incarnazioni successive, è Napoleone lii. E l'enumerazione è fatta da F. Bac nel suo Napoléon III inconnu; è fatta, (lioè, da persona che ha conosciuto davvicino « il fosco figlio d'Ortensia », lo ha visto, com'cgli dice, coi suoi occhi camminare davanti a lui i e tuttavia. 1 ripensandoci, non riesce a vederlo se non attraverso un velo, appunto pc~ché la sua immagine è successiva, come di una serie di esseri che ne fanno uno solo, ma sembrano estranei l'uno all'altro. Con l'autorità della conoscenza personale sua propria, e, più ancora, di quella del padre (cugino illegittimo di Napoleone II r, come figlio naturale di Gerolamo re di Vestfalia), viene a ribadire la fama di enjgma, di mistero, che effettivamente accompagnò ~·n larga misu1a Napoleone IJI durant tutta la sua vita. A Pio IX, che dal a sua epilessia giovanile ereditò sul troQO papale gli scatti violenti di collera, più di una volta egli dovette far l't.ffetto di un ipocrita. La furibonda sot"prciia di Cavour dopo Villafranca è nota a· tutti. Fu detto ch'egli aveva tal~ente la cospiraz..ionenel sangue, che cospirò anche sul trono; e la cosa è vera almeno in questo senso, ch'egli rrceva una politica personale dietro le r,palle dei suoi stessi ministri. Non è dvficile riportare questo carattere di m,istero dal politico all'uomo, dai tempi del governo alla prima gioventù. E, ri<talendo proprio al principio, inCQminciare col mistero della nascita. . . . Di chi era ver_amente figlio l'im~era: tore dei frances1? Su questo punfo gh storici più recenti non hanno mol~o da dire di nuovo ed è difficile dire di più di quanto narrano le cronache orali del tempo. E perfettamente esattò che quando Napoleone II I fu concepito, Luigi, il re d'Olanda, e Ortensia ~rano già in rapporti molto cattivi. Ed ~ anche vero che, in que11ostesso periodo, si t•ovò presso di lei un Ver Huelt che .;embra bene essere la stessa persona dell'ammiraglio olandese Ver Huell, che fu assai devoto ad Ortensia e finì pari di Francia. Ma anche il marito si trovò presso la moglie in quel tempo; e non son cose da potersi calcolare esattamente a giorni. Mentre Ortpnsia era incinta di Napoleone III, Ver Huell cadde in disgrazia di re .\,uigi (si disse per aver lasciato che su una fortezza del regno sventolasse la ban• diera. francese invece di quella olandese); ma questi tuttavia dovette ra~- segnarsi a inviarlo ambasciatore ,:l'Olanda proprio a Parigi, ove Orten~a si trovava. Alta nascita del futuro Napoleone III (20 aprile 18o8) re Luigi era assente; assente anche quando al ~lCO· nato, secondo la volontà di Napoleone, vengono imposti i nomi di Càrlo, Luigi, Napoleone : all'atto relativo as• siste proprio l'ammiraglio amb~- tore Ver Huell. Dice il Bac che quanti hanno vislo il ritratto di Ver Huell sono stati colpiti dalla sua rassomiglianza con Napoleone III, e quanti hanno avvicinato quest'ultimo sono stati colpiti da.Ila lentezza « un po' batava > dei suoi movimenti, dalla sua « bonomia nordica», dagli innumerevoli germanismi della sua natura. Ma fino a che punto tutto questo può essere l'effetto della sua fanciullezza e gioventù passate nella Svizzera tedesca? Dopo il secondo colpo di mano tentato, e falJito, da Luigi Napoleone a Boulogne (1840), il pari di Francia Ver Huell avrebbe indirizzato al presidente della Camera dei pari una supplica confidenziale, in cui avrebbe detto : « Salvate la sua testa. E. un padre che ve ne scongiura :,. Ecco, veramente, qualcosa di molto forte. Troppo forte, anzi. Senonché si tratta di rifc• rimenti sprovvisti di qualsiasi positiva documentazione. La questione resta insoluta. Più che in qualsiasi altro campo, nelle storie dinastiche "'.'aieil « pater est is quem iu.rtae nuptiae demonstratJt >. Comunque sia, nessuno ripete più, oggi, fa diceria che Luigi Napoleone fosse figlio dell'imperiale zio. Anche se fosse vera la lettera, di cui parla il Sencourt nel suo libro: L'imperatrice Eugenia con la quale Napoleone I avrebbe domandato al fratello di riconoscere il figlio non suo, ciò non sa• rebbe un argomento in favore di questa diceria, ma, anzi, decisamente contro. Risulterebbe, se mai, un argomento - di molto peso, veramente - in favore della paternità di Ver Huell. Con Napoleone I, invece, Luigi Napoleone non aveva la minima somiglianza e quando le Lettres de Lon• dres, opuscolo in favore della candi• datura napoleonica dovuto al Persigny, parlavano di tipo napoleonico riprodotto con fedeltà stupefacente e di profilo romano, mentivano scioccamente, giacché, per fare la sua parte, il pretendente doveva pure mostrarsi alla Francia e all'Europa, dove il vero tipo napoleonico era molto bene conosciuto. Non v'era somiglianza fisica, e non v'era somiglianza morale. L'intelligenza e l'indole di Napoleone II I differivano profondamente da quelle dello zio. La tendenza alla fantasticheria, alla rimuginazione lenta delle idee, la calma imperturbabile, la « dolce ostinazione:, (doux entété, lo chiamava la madre Ortensia), la bontà d'animo preoccupata di non far dispiacere a nessuno, la passione sensuale per le donne, sono tanti tratti che differenziano profondamente il teno dal primo Napoleone. . , Che egli non fosse un uomo qualunque ce lo testimonia Mazz.ini, che lo conobbe a Londra durante l'esilio. Nel 1838, in una rivista inglese, Mazzini parlava di lui come di un uomo coraggioso e intelligente, che univa, per quanto era possibile, le idee moderne di libertà con l'ambizione del potere ereditario. Gli attribuiva, infine, intelletto vigoroso e nobile carattere. Chi voglia approfondire la psicologia di Napoleone III deve fare gran conto dell'influenza che su di lui esercitò il suo precettore. Precettore del principe, dal 1820 al 1827, fu Filippo Lebas, figlio del giacobino Lebas, nato qualche settimana prima che il padre si bruciasse le cervella a Termidoro, a lato di Robespierre. E Lcbas figlio era ancora tutto impregnato di idealità rcpubblìcane e giacobine, di deismo e di filosofismo settecentesco. Niente di più curioso di questa scelta di precettore da parte di Ortensia, donna del gran mondo, di sentimenti rcligi0si e monarchici. Da Lebas provengono nel principe la passione per i principi dcli' 189, la tendenza alla democrazia sia pure autoritaria (non era stata estremamente autoritaria anche la democrazia di Robespierre?), l'incredulità rimasta anche quando la politica lo condusse all'alleanza con la Chiesa. Lebas, il figlio del robcspierrista suicida, fece carriera. Divenne addirittura prc.~Jdente dell'Istituto di Francia. I suoi ~apporti con l'antico allievo1 però, s'erano guastati. Il figlio del giacobino era rimasto, come si dice, dall'altra parte del fosso. Il colpo di Stato gli aveva suggerito una protesta violenta, che fece scalpore. Ed ecco che, nella sua qualità di presidente dell'Istituto, si trovò, il primo di gennaio 1859, a dover presentare i complimenti di capodanno all'imperatore alla testa delle delegazioni delle cinque AccadeNapoleone Luigi, era già già morto nel marzo 1831, a Forlì, ove si era recato, insieme col minore, a combattere a fianco degli insorti contro il governo del Papa. Così Luigi Napoleone, da terzo crede presuntivo, diveniva primo. V'erano ancora, innanzi a lui, due Napoleoni della generazione antececedcnte, lo zio Giuseppe e il padre Luigi; ma qui la ragione d'età pro• metteva la via sgombra (morirono rispettivamente nel 1844 e nel 1846) ; e poi nessuno dei due ebbe mai velleità di restaurazioni imperiali. Così la fissazione provvidenziale di colui che Victor Hugo ci ha. abituato a chiamare « Napoleone il piccolo » potè avere libero corso. La manifestava scrivendo alla suddetta madame Cornu : « Credo che di tempo in tempo sorgano uomini, che chiamo provvidenzia.li1 nelle mani dei quali riposano i destini del loro paese. Io mi con~idero uno di questi uomini ... Vivo o morto salverò la Francia! ». Dopo il 1870, sono stati in parecchi a pensare che solo nella seconda ipotesi l'avrebbe salvata davvero. Ma lui, ancora nel 1866, solo quattro anni prima di Sedan, era ancora completamente persuaso del suo genio : nella prefazione alla Storia di Giulio Cesare, pubblicata quell'anno, egli esaltava i diritti dell'uomo geniale e s'intende che sotto questa rubrica poneva, con Cesare, se medesimo, sebbene si limitasse a nominare Carlo Magno e Napoleone l. « Allorch~ la Provvidenza crea uomini BOODIEltl B OOJ.BDIAOiOOU, DELLA OOBTB IKPEBIALE A POR'TUNEBLEJ.U mie. Camminava come se andasse al supplizio. Ma Napoleone III, che non aveva più rivisto il suo precettore dalla loro separazione di più che trent'anni addietro, si mostrò di una cortesia perfetta. Ebbe poi a dire: e Nel veder• lo, io ho visto passare tutta la mia giovinezza, con la mia povera madre >. Questa diversità di atteggiamenti, sia nelle relazioni personali, sia in quelle politiche - all'interno come a!restero - hanno dato luogo ad una infi• nità di ritratti e di apprezzamenti,, che riescono davvero sconcertanti per chiunque voglia farsi un'idea anche approssimativa dell'indole del sovrano che per un momento parve essere l'arbitro dei destini dell'Europa. Chi lo frequentava aveva di lui un'impressione del tutto diversa da quella che si formavano sul conto suo quanti ne giudicavano le azioni a distanza. Nei mesi scorsi sono state pubblicate le lettere di madame Corntl, una modesta e sincera amica dell'ex-regina Ortensia, che aveva conosciuto Luigi Napoleone fi. no dai primi anni. Si legge in una di queste lettere, sotto vari aspetti interessantissime: « Un solo giorno ha trasformato il suo carattere. Fino alla morte di suo fratello maggiore era dolcc, senza ambizione, impressionabile, affettuoso... Mi diceva spesso : " Son contento d'aver dinanzi a me due eredi, il duca di Rcichstadt e mio fratello!... Posso es.ser felice a modo mio, invece di considerarmi, come capo della no~tra casa, schiavo di una missione! ". Dal giorno della morte di suo fratello è un altr'uomo. Io non posso paragonare i suoi sentimenti, per quanto riguarda la sua missione, che a quelli che animarono i primi apostoli cd i martiri>. Parlando di apostoli e di martiri, la ottima madame Cornu evidentemente esagerava. Non si conosce nessun apostolo, che abbia fatto colpi di Stato - se mai, rivoluzioni spirituali - e i martiri, che venivano mandati in deportazione o messi a morte, non rendevano questi servigi agli altri per farli cristiani. Ma il renomeno psicologico è còlto giustamc.nte : Luigi Napoleone credeva alla sua missione e questa fede dovette effettivamente sbocciare in lui (su un temperamento psi. cologicamente, o, se a taluno piace, psicopaticamente predisposto) dalla sua ascesa, contro ogni ragionevole previsione, ad erede dei Napoleonidi. Il duca di Reichstadt, « Napoleone II >, moriva a ventun anno nel 1832. Il fratello maggiore di Luigi Napoleone, come Cesare, Carlo Magno, Napoleone, è per tracciare ai popoli la via che essi devono seguire. Felici i popoli che li comprendono e li seguono! Guai a coloro che li misconoscono o li com• battono! :.. Non era semplice recitazione di una parte : piuttosto sarà il caso di parlare dl autosuggestione. Il nome fatidico, il cui rascino, fra il 1830 e il 1840, eh• be in Francia una ripresa (e Victor Hugo, il futuro autore degli ChOtimenls, ne fu uno degli autori); le suggestioni di Ortensia; l'improvvisa sparizione del fratello e del cugino; il temperamento romantico; l'incolumi• tà nei falliti tentativi di Strasburgo e di Boulognc i la fortunata fuga dalla mite, ma rigorosamente sorvegliata, prigionia di Ham; l'improvviso successo, sen.ia nessuna preparazione, alle elezioni per la Costituente francese del 1848, lo strepitoso trionfo, alla fine di quello stesso anno, nell'elezione presidenziale, spiegano la fede dell'uomo nei suoi destini. La rede non avrebbe servito a n1 11,, né la volontà tenace e insieme flem l• tica da essa derivante, e neppure la innegabile scaltrezza politica, di cui fra il 1848 e il 1851 il e principe> Luigi Napoleone dette prova, senza il concorso delle circostanze. Luigi Napoleone si presentò, nei suoi programmi prima, nella sua azione poi, come un Giano bifronte. Sopra una faccia era scritto: autoritàJ ordinr. religione, forza. Sull'altra: princiµ Jel1' '89, democrazia, politica sociale, libertà delle nazioni. Da che parte ~tava l'anima di Napoleone III? Crediamo che gli si debba rendere giustizia: da ambedue. Fin da giovane, egli aveva escogitato tutta una teoria in ~ropo,itb : 13 sovranità popolare, espruncntesi col suffragio universale, nomina il capo dello Stato, il quale, investito della fiducia e della rappresentanza nazio• nalc, ha in mano tutta la somma del governo, ma lo esercita i11 nome del popolo, a pro del popolo, applicando i principi dcli' '89. Impcro repubblicano o repubblica imperiale. Nelle idee primitivamente esposte da Luigi Napoleone, l'eredità dell'impero doveva esserci, ma aura• verso succe~sivi plebisciti. Di questi 1 tuttavia 1 non sappiamo se si sarebbe più parlato quando il figlio di Ortensia fosse giunto al momento di regnare. Come non era una semplice finzione opportunistica, così questa costruzione teorica di Luigi Napoleone non na neppure una qualsiasi fanta.sia per,onalc. Essa voleva es~re il distillato costituzionale dell'esperienza napoleonica. E anche al di là della recente c.!!pericnza storica, essa aspirava ad un va• )ore generale di principio, alla conciliazione fra il principio della sovranità nazionale del popolo e l'esigenza della forza e della co'ntinuità governative. La situazione della Francia, dopo la rivoluzione del febbraio '48, si prestò singolarmente alla propaganda delle idee di Luigi Napoleone e alla fortuna della sua persona. Poiché la rivoluzione era avvenuta contro una monarchia parlamentare, si poteva ~fruttarla contro il ))arlamentarismo. E vero che lo sconfitto era stato il parlamento a suffragio ristretto, il parlamento di funzionari; ma il ,;urfragio universale, entrato in campo, creò il dualismo dell'assemblea e del presidente (ambedue eletti direttamente), e per giunta l'assemblea legislativa, succedut:i. alla Costituente, risultò divi~'\ in tre gruppi: legittimisti, orlcanisti, repubblicani, e -quindi impotente. 6, guardar la composizione di que:.ta seconda assemblea, il principe Napokvne non rappresentava nessuno, o prcss'a poco; a guardar il voto che lo aveva eletto presidente, egli solo rappresentava il popolo francese contro i par• titi divisi. I cattolici speravano in lui. i campagnoli confidavano in lui i e vi erano anche i repubblicani bonapartisti e gli operai fiduciosi negli spunti sociali~toidi (di un socialismo paternalistico, si capisce) dei suoi programmi. Da questa confusione emerse il Sccon• do Impero; ma fu necessaria la forza militare del colpo di Stato e delle sus- • seguenti repressioni. A guardarlo oggi, il Secondo Impero, anche sulla scorta deì recentissimi volumi del Neumann, fa l'effetto di una grande parentesi fra il z 848 e il 1 870. Nel 1871 la Francia si trovò divisa, come nel 1848, fra legittimisti, orleanisti e repubblicani e dovette affrontare quei problemi che, nel 1848-'511 non aveva saputo risolvere operando il taglio del nodo gordiano con la spada del 2 dicembre. Da quanto era avvenute, però, la Francia concluse che il nodo bisognava veramente scioglierlo e non tagliarlo. Lo sciolse la repubblica parla.mentare di Thiers e di Gambctta1 di Ferry e di Waldcck-Rousscau. Essa dura da° quasi settant'anni: tre o quattro volte tanto la durata di ogni altro regime francese dalla Rivoluzione in poi. Sc1 dal punto di vista della politica interna, il valore del Secondo Impero, o di Napoleone III, che fa tua'uno, appare transitorio e negativo1 la sua importanza è assai maggiore in politica estera. Che Napoleone III abbia contribuito potentemente a distruggere l'Europa della Santa Alleanza1 a realizzare gli Stati nazionali italiano e tedesco (specialmente il primo), non si può negare. E sarebbe erré\tO attribuire l'opera sua a semplice machiavellismo ~bagliato. Alla politica delle nazionalità egli credeva veramente, e amò davvero l'indipendenza italiana. l\ia proprio questa parte della sua politica gli ha attirato maggior concordia di biasimi nelle sfere dirigenti del suo paese. La critica, però, è sbagliata radicalmente. Non Adolfo Thiers, che, dopo le giornate di luglio e fino al 1871, non ne indovinò una, aveva ragione, né la invadente presunzione di Eugenia di Montijo; ma il principe Gerolamo. Il torto di Napoleone III ru di essere rimasto a me:u.a strada. La politica delle nazionalità doveva svilupparsi conseguentemente all'estero e trovare la base relativa all'interno. Occorreva intendersela con la parte progressista del paese, rinunziando ai clericali e non contando prevalentemente sulle campagne; e anticipare il governo del 2 gennaio 1870 di dieci anni. Una volta promossa la ricostituzione politica dell'Italia e della Germania, una volta riconosciuto che erano benefiche necessità, non bisognava far sparare gli chassepots contro gli italiani, né attaccar briga con i tedeschi. E contro possibili velleità aggressive di questi1 stringersi definitivamente co1l'ltalia, pronunciando, invece del « giammai :. del 1867, il « fate presto• del 1860. GIULIO VENTURI '

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