.-.•-·-·-······· ··· -. ··--··-.. ·•.•.····-~· --··~-·r!rtrr-: ·??W( •• ... ;.ff. «-·-:t ' 11 ... Audau ua.owdo • &DDupudo "•l'l<I U Iaoco do,.. immaglona eh ella foue ad upt\taN, .." (OOlfTDfU.U. DAI MUJORI PUCEDBNTI) I l NUOVO si misero a suonare i violini del film, ma in un'aria dolce e vasta come il canto in un bosco o su una superficie sonora. Suonavano sul mare, e una tromba soffocata vibrava senza riuscire a spiegare del tutto la voce; il suono usciva provocando una fuga di bollicine dì acqua come se qualcuno soffocasse : era la scia di qualcuno che nuotava sott'acqua. Il giorno era spuntato, e Teresa lo vide penetrare dalla finestra, col colore dei giorni estivi che si presentano invariabili, uguali, col ricordo fisso di altri g'iorni lontani e di tutte le estati passate. M:i era ancora deserto. Ella ripensava alla spiaggia mattutina, al mare ancora calmo, e verde là dove si piega l'onda. Non si era ancora levato il maestrale che fa tremare lontanamente le vele. Poi il sole sali nel ciclo e si mise a covare il mondo come una gallina; scaldava le vigne e il grano, scaldava gli uomini, un cavallo sulla spiaggia, un asino in un orto presso l'immobilità delle zucche gialle, un cane sulla soglia d'ombra d'una casa, in quello stupore. A quell'ora il mare cominciava a di.scorrere con la sua cadenza monotona. A quell'ora, forse, Tommasi nuotava sot• t'acqua cercando lei per acchiapparle le gambe. L'acqua doveva essere limpida e fresca, e là dentro Tommasi doveva avere l'aspetto d'una foglia: ella ne immaginava i capelli rappresi e lucidati dall'acqua che gli facevano la testa di un mostro marino. Andava nuotando e annaspando verso il luogo dove immaginava che ella fosse ad aspettare con le sue gambe bianche e molli nel riflesso dell'acqua, come veli. Lo vedeva rizzarsi improvvisamente sul fondo, e da largo che era, piatto e pallido, diventava breve come un piccolo mostro in una bottiglia verde. Quanto tempo poteva resistere? Ella immaginava che a un tratto emergesse soffocando, tra gli ~trilli spauriti delle donne che pcrcotcvano l'acqua. Sentì che davvero a un tratto uno strepito arrivava ai suoi orecchi. Da quella voce immaginaria che pcrcoteva l'acqua rimbalzando, si levò un vocio, di quelli che sciamano sulla terra nelle giornate di sole. Si affacciò e vide sulla strada un corteo che veniva avanti, e in mezzo si vedeva un uomo chiuso in un lenzuolo, ste.50su una tavola. L'acqua macchiava la su-ada polvcro~, e la gente parlava frettolosamente dicendo ognuno cose in~nsatc e diverse. Nella sua fantasia ,-Ila credette di capire che quel gio"~ne era rimasto sopra!Tatto nel suo ,forzo, e che era af. fogato. Non sentiva che questo vocio, e non più il suono dei violini o le trombe, ma il parlare disperso e vario sulla strada. Tutto taceva all'infuori di quelle voci umane che suonavano con lo stupore infinito di quando parlano sui morti. « t. lui >, ella si disse, e si mise a invocare attraverso la porta: « Leoni, Leoni, aprll11i, un momento. Povero ragazzo>, ella diceva, e povero, povero ... >. Leoni stava seduto al tavolo della stanza vicina. Quando sentì quel tonfo di animale caduto, andò verso la porta dove aveva chiuso Teresa. La chiamò e non sentì nessuna risposta. Pochi giorni dopo, Leoni era in casa dello Squinci. Leoni sapeva vagamente che costui era tornato da una grande città dove aveva soggiornato per una diecina d'anni. La causa di questo ritorno, che somigliava molto a una fuga, era ignota a tutti. Lo Squinci conduceva una vita singolare, molto appartata, senza amici e senza che gli si conoscesse nessun rapporto. Pallido, d'un pallore che gli allargava enormemente il viso tondo, coi grandi occhi neri, egli era un'appari7.ione strana dovunque lo si incontrasse, cosa che del resto capitava di rado. Il Leoni se lo vide davanti in quella casa fuori ma• no, una specie di vecchio fortilizio, con un vecchio servo che parve molto stupito della visita mattutina che riceveva il suo padrone. Dicevano alcuni che lo Squinci avesse interrotta una bril• ]ante carriera nella grande città in seguito a un misterioso avvenimento, un fatto di cuore che lo aveva risospinto solitario nella sua città di provincia. Molti se lo ricordavano pieno di baldanza, ricco, spensierato e fortunato in tutto, tutt'altro insomma da quell'uomo travagliato e pallido di un pallore esangue che faceva del suo viso un:1 macchia nebulosa. « lo non tornerei in città per nessuna ragione>, diceva lo Squinci al suo interlocutore.« Ci vuole tutt'altra gente, e fatta in tutt'altro modo. Noi non siamo nati per questo. Io ci sono vissuto una diecina d'anni, e l'ho dovuta lasciare. Se vi fossi rimasto, non so come sarebbe andata a finire>. e E se vi dovesse tornare? > chiese il Leoni. Vestito di nero, gli stava seduto di fronte. Per quanto lo Squinci non sapesse a che tendessero le domande del visitatore, gli rispondeva tuttavia docilmente, come se fosse lieto, alla fine, di aver qualcuno con. cui parlare. e Nessuno mi può obbligare a tor• narvi. Ne ho abbastanza dei dicci anni che vi ho trascorsi >. Abbassò gli occhi e fece un gesto con le braccia aperte. Mentre chiudeva gli occhi, le palpebre abbassate, grosse sul pallore del viso, mettevano in maggior rilievo le sue labbra gonfie, il suo naso gonfio, qualcosa_ di gonfio che era in tutto il suo aspetto, gonfio e pallido. Ripetè: « Nessuno mi può obbligare a tornarvi. Dopo quello che mi è a aduto lassù... ». Si interruppe e guardò coi suoi occhi profondi e neri il visitatore; il quale non fece nessun cenno, mentre lo Squinci proseguiva: e Forse soltanto noi che veniamo dalla piccola provincia e dalla terra possiamo farci una idea esatta di come è mutato il mondo». Si fcrmòJ si passò una mano sulla fronte larga e alta su cui si adagiavano soffici e quasi smorti i capelli neri. Riprese: < Ne ho fatte di tutti i colori>. Leoni si mise a ridere. Lo Squinci lo guardò stupito: egli non aveva voluto dire nulla di ridicolo. < Mi ci ammabi », seguitò lo Squinl.i sottovoce. « Mi ci ammalai; mi si ammalò questo, qui >, disse toccandosi la fronte. Proseguì: e-~i sembrava di es• sere capitato in un mondo che facesse sempre vacanza. O meglio, che andasse sempre in m.ischera. Nessuno mi conosceva, nessuno sapeva niente di me. E io non sapevo nulla degli altri. E allora mi pareva che tutto fosse lecito. Molta gente vive lassù come se fosse in maschera. Chi li conosce? Chi !>a che cosa siano? Vengono dalla provincia dove ognuno può controllare quello che fa il suo vìcino, e si trovano in un mondo in cui è difficile incontrarsi due volte. E allora, tutto si può fare. Chi ci conosce? Chi ci vede? Sembra che sia finito il male e il bene. Ecco che cosa ha cambiato il mondo. E tutto contribuisce a darvi questa impressione, gli spettacoli, e la moda e tutto. Non c'è dubbio; tutto è molto bello perché tutto invita alla gioia. Ieri abbiamo lasciato i nostri vecchi che dicevano: e li dovere, il dovere> e la città dice: e La gioia, niente altro che la gioia ». La gioia a ogni costo. Alla fine, lei scopre che la vita è fondata tutta su quello che non si deve fare. Se tutti facessero quello che devono fare, non ci sarebbe più lusso, non ci sarebbe più movimento, non ci sarebbe più gioia. fotcre famiglie, se vivessero su quello che devono fare, andrebbero in rovina. Ila mai pensato a questo? Quaggiù 1 negli angoli della terra noi dobbiamo fare quello che è nostro dovere, e noi reggiamo il mondo. Da noi, se accade qualche cosa di male, si paga ... >. Lo Squinci si interruppe. Una smorfia del suo interlocutore lo fece rimanere sovrappensiero. e Certo, che si paga>, disse Leoni. « E lassù, invece, non si paga un bel nulla. O almeno, sembra cosl >, seguitò lo Squinci. « Sembra. Io vidi nella grande città donne che venivano dalla provincia, e che agivano come se fos• scro in maschera, sa, quando tutto sembra lecito. Osservai un:i di queste donne che in una pensione era stata con tutti gli uomini della pensione. Tutto sembrava che andasse bene, che nessuno se ne accorgesse e che lei potesse seguitare all'infinito questo gioco. E invece finì male. Non si sa come accadn, ma a un certo punto quello che è giu'JtO prende il soprawento, e l'uomo lli trova punito. La vita moderna ci dà questa illusione, di non doverci mai punire, e che veramente bene e ma.le non si possano più distinguere. e non esistano più. E invece ... >. Un nuovo sorriso ironico del Leoni fermò lo Squinci in questo discorso che prendeva la piega di una onfessionc. e Invece>, proseguì lo Squinci, e- tutto si paga lo !lte~so. Non si sa come avvenga, n1a a un certo punto la società \"l mette fuori. Siete fuori, come un lebbroso. Siete decac.\110. Non vi potete più risollevare. t accaduto qualche colla entro di voi che vi condanna e non vi dà più il modo di accostare i vostri simili, e la gente se ne accorge che voi siete ormai meno di un uomo». Lo Squinci ~i fermò. Esitò. Poi, come se qualco~a parlasse entro di lui contro la sua volontà, disse levandosi e pa,;,,;,eggiando ucrvosamente per la stanza: « Così accadde a mc. Vi sono ore in cui le città consigliano pensieri in.sani, perché si ha l'impressione che si svolga qualcosa di insano e che questa sia la felicità. Perché le donne camminano mostrando tu:to, ma tutto? Perché, dico? E come si può pretendere che si "lia saggi quando tutto intorno suggeri~<' pensieri malvagi? ». Lo S,luinci abbassò la voce e si fermò: « lmormna, ero malato. Non è facile per gente come noi abituarsi a queste cose. For~e ci arriveranno quelli che sono nati nelle città, davanti a questi spcttacoh. Pensai dunque di tornare qui, dove fossi sotto il controllo di tutti, e doVI."non avrei potuto macchiarmi di un d1..·liuo>. Lo Squinci si fermò e ~i mise a sedere. I pensieri che lo dominavano da qualche tempo trovavano ora un'uscita improvvi,;,a e violenta. « Perché noi crediamo ancora al bene e al male, ecco tutto. Lo abbiamo nel sangue. S:amo vecchia gente. In qualche modo, siamo ridicoli. Eppure non sono vecchio. Mi guardi. Ho quarant'anni >. e Lei deve immaginare », disse Leoni, e-un uomo come me che non ha altro e non ha avuto altro che l'amore per la sua donna. Come deve difenderla, se tutto questo mondo che lei dice arriva fino in casa sua, e gliela insidia? Questa donna amata non è più sua, ma delle fantasie che la invadono con tutti i mezzi j basta aprire un figurino di mode, basta andare al cinema, per avere l'impressione di un paradiso perduto. La società pretende che quest'uomo conservi intatta la vita familiare, salvi Ja famiglia, pensi ai figli. Ma intanto, questo è imidiato a ogni passo. Se qualcuno insidia la vostra donna sapete come difendervi. Ma se è tutto che vuole portarvela via, se non è più lei e il suo pensiero è altrove, e il suo cuore altrove, e si sente esclusa da una gioia che pare tutti abbiano nel mondo, come vi potete difendere? Con che diritto volete proibirle la gioia di cui le parla ogm cosa? >. e-E: giusto», rispose lo Squinci. I suoi occhi si posarono sull'abito da lut. to che indossavu il Leoni e rimase pensieroso un istante. e E giusto, è vero anche questo>, mormorò. « Soltanto che noi parliamo bene, e quando si presenta quell'occasione, di carpire la gioia, allora non guardiamo in viso ne~suno, non è vero? > disse il Leoni fissando lo Squinci. « Eh, già. L'uomo è fatto così», disse lo Squinci. « Sicuro. Ma gli uomini che agiscono in cotesta maniera non capiscono che cosa sia una donna e che cosa sia il matrimonio nella vita di certi uomi• ni. Il matrimonio è una cosa enorme, senza soluzione, senza possibilità di diventare modernò né di mutarsi. t quello che è da migliaia d'anni. Tutto cambia, e il matrimonio è là, immobile. Non iii può sciogliere. E: come essere divenuti tutt'uno, e a un tratto una parte di voi si ribdla. Voi abbandonate quest'uno, cd è come essersi amputato un membro. Non si può fare al• tro,- ma ÌJltanto si vive tutta la vita con l'arto amputato. Il matrimonio vi tiene chiusi in una regola, in un ordine, e non ne potete più uscire. Voi avete una responsabilità. Ci si ama? Ci ~i odia? Non lo sa nessuno, non lo sapete neppure voi. Siete chiusi in questo ordine. E un bel giorno questo patto è rotto. Voi siete offeso. E perché offeso? Si potrebbe, per amore, arrivare a qualsiasi sacrificio. Vostra moglie trova che ha bisogno di travestirsi la notte da uomo, e tornare a casa dopo la mezzanotte, dopo c,;,serestata con un altro individuo. Ebbene>, proseguì Leoni cogliendo in un baleno che lo Squinci aveva sussultato e :ibbassava gli occhi, e ebbene, l'amore, la comprensione, l'abnegazione dovrebbero suggerirvi questa rinuncia. E pcrcht: non siete capace di rinunziare, e di dire : " Poverina, è giusto che si svaghi un poco "? Perché invece la inducete a uccidersi? Nessuno lo sa. Eppure voi vorreste la sua felicità. Quando era triste voi sentivate che avreste fatto qualunque sacrificio per vederla sorridere, una I pover .1 donna. E invece? Se questa è la sua felicità? Nessuno ci capisce nulla. Se la lasciate fare, ditemi un po' che cosa diventa la vostra vita. Mi spieghi questo, e mi dica se non è l'inferno. Questo è il vero inferno. Perché, in fondo, voi riconoscete che ella ha ragione, ha ragione, può non. amarvi più. E intanto ... >. «Dunque>, disse lo Squinci abbassando gli occhi, e-è lei che è morta? Era lei? ». « Ler », mormorò Leoni. 4 • (continua) CORRADO ALVARO SE VI RADETEGIA SENZA PENNELLO DOVETE USARE LA CREMA D..n'ITI: IH-DIS-CU-TI-BIL-MEH-TE superiore e più economica di qualsiasi altra. Elimina il bruciore causato dal rasoio e tulle le irritazioni cutanee, dando alla ~~ _, ~~ pelle la morbidezz~ e la fr~- .: . ;,~~ schezza della g1oventu. RAAzY1T fAIIIMACIA H. R08HTS & Co. 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