IL SOFM DELLE musE DEL I m, EGLI ANNI che immedi11tamente X! precedono la guerra mondiale la situazione religi.Psa dei popoli compresi nel ci,cuito della civiltà occidentale si può definire così. Morte o in agonia (se non nel gran pubblico, nelle tlites icitellcttuali) la R,ligior,e dtlla Scini::a, la Religiot1e dell'Umanità, la Religione del Progresso, la Religio"t dello Spirìto imma11t11te e quant'altre religioni" laiche• (tutte più o meno affini tra loro) con le quali la civiltà occidentale si era sforzata di colmare il \'\JOto lasciato negli animi dal tramontante Cristianesimo. ;\,torte o in 11goma, nel senso che nell'animo di quelli stessi che asserivano di professarle non destavano più un'emozione sinceramente religiosa e si erano ridotte a una pura rettorica. Non perciò si portavano meglio le religioni trndn:ionali, le religioni •religiose• tra le quali il Cristianesimo, in tutte le sue confessioni. Tra religioni laiche e religioni tradizionali la lotta era presso che cessata, s'era mstaurato un mod11s vi- ,:~ndi sulla base di una delimitazione delle sfere d'influenza. Le religioni tradizionali avevano rinunciato di fauo, se non a parole, a governare runa la vita e si erano acconciate a contentarsi della pura intimitb. dell'individuo e a reggere la sua vita esteriore solo in certi momenti speciali: feste, matrimoni, nascite, morti. Le religioni laiche consenti\·ano a lasciar loro quel piccolo campo d'azione calcolando che col tempo avrebbero perduto anche quello e si sarebbero estinte di morte naturale. Allora, caduta la •superstizione"• la fede nel soprannaturale•, le religioni laiche avrebbero regnate da sole. Lo svolgersi degli eventi ha dato torto a entrambi gli aw~rsari. Le religioni tçadiz1onali sono andate perdendo sempre più terreno, ma le religioni laiche sopra enumerate non sono ormai più che cadaveri nel cimitero della Storia . .V11ot:t religioni sono sorte sul vecchio suolo di Europa, di cui gli dèi non sono né quelli delle vecchie religioni laiche né quelli delle vecchie religioni tradizionali: sono nu.m:i dèi la Patria, lo Stato, la !\'azione, la Razza, la Classe. E questi dèi han tutta la forza, la veemenza, l'intnnsigenza, la gelosia dei vecchi dèi messi a riposo quando questi erano nel bel tempo dei loro giovani anni. Come si è arri\'ati a ciò'? Per aiutarci a capirlo, apriamo il gran libro di Rudotf Otto Das Heili'ge (Il Sacro) che, pubblicato la prima volta in Germania nel 1917, ha a~to in patria una trentina di edizioni, è stato tradotto in tutte le lingue, compresa la nostra, e ha indirizzato su nuove vio lo studio del fenomeno religioso. Nel suo primo sorgere e palpitare, nella s1 ....specificitb. peculiare, nella sua essenza primigenia il fenomeno religioso - ci dice Otto - non è né mito né azione, né conoscenza né pratica, ma set1time,rto: un sentimento di natura specialissima, non riconducibile a nessun altro. ~ il sentimento spontaneo immediato profondo di una realtà che è oltre e sopra il piano della nostra vita normale e quotidiana, senza comune misura con questa, e che in questa irrompe bruscamente violandone le forme e le leggi. Questo sentimento presenta una stranissima bipolarità di aspetti: è sentimento d1 attrazione e repulsione, di affascinamento e repugnanza, di amore e orrore insieme. L'oggetto che ne è il termine e che esso colora delle sue luci è un oggetto che affascina e inorridisce, chiama e respinge, beatifica e terrorizza. Esso ispira paura, ma una paura di un genere ben diverso da quella che ispirano gli oggetti terrifici del nostro mondo sensibile, una paura che non esclude, anzi comprende ger:ninalmente in sé la reverenza e l'amore. '.':ella sua forma primigenia l'oggetto di questo sentimento è avvertito come una forza piuttosto che come una pusona, come un'mugia piut~ tosto che come un individ110, come una potenza piuttosto che come un euert, e per dir tutto in una parola, come una p,,um:a (nel senso in cui gli spiritisti parlano di preseu::a, alludendo a quel fenomeno per cui, nulla udendo e ndendo, pure sentiamo, invisibilmente sentiamo. che qualcuno o qualcosa che non è del nostro mondo, ci sta vicino). Con termine così bene scelto che è subito diventato popolare, al- • meno presso le persone colte, Otto ha chiamato ,mminoso (dal latino ,rumm) l'oggerto di questo M:ntimento cosi speciale. B il ,entimento del numinoso la cellula prima del fenomeno religioso: razionaIizzat<i, purificato dal sentimento morale, esso -., sublima nel sentimento del • Santo•. Ora, a parer mio, la teoria di Otto sarebbe anche più convincente se distinguesse il numinoso in senso stretto, dal religioso propriamente detto. Si suole spiegare il nascere della religione (come ha fatto ultimamente anche Bergson nelle Deux sourus) eon la personificazione involontaria spontanea invincibile delle for. ze della natura operata dalla facoltà fab11- /atrice dello spirito umano. A parer mio ciò non basta, perché non spieg:a affatto perché quelle forze, in quanto religi_osa~ mente sentite, ci appaiano come d1 un altro mondo, di un altro piano di vita incommensurabile col nostro: ·questo lo spiega solo il sentimento del numinoso che è appunto il sentimento di qualcosa che è senza comune misura col nostro mondo. La pura personificazione delle fon.e naturali può spiegare la Mugia, non spiega la Religione, che è adorazione di qualcosa o qualcuno che è separato da noi da tutto l'abisso che separa il sacro dal profano. A sua volta, da solo nemmeno il sentimento del numinoso spiega la Religione, perché questa esige un oggetto sentito bensì come sacro, ma concepito come tale che sia capace di conoscerci, di interessarsi a noi, di ascoltare le nostre preghiere e di sovvenire ~i nostri bisogni. Insomma, a parer mio, la Religione propriamente detta nasce· da una feconda~ zione reciproca della facoltà fabulatrice con il sentimento del numinoso. L'og• getto numinoso diventa religioso quando la fantasia miticizzante, la facoltà fabulatrice, dà un volto, un nome, una forma all'oggetto, alla prtunza cui si appunta il sentimento de) numinoso, e per ciò stesso lo umanizza, lo rende suscettibile di interessarsi a noi, di ascoltare la nostra voce, di prender conoscenza dei nostri bisogni, di diventare termine dcli,.. nostra adorazione e della nostra preghiera. A sua volta, l'oggetto mitico creato dalla facoltà fabulatrice diventa oggeno religioso, è sentito religiosamente quando il sentimento del numinoso lo bagna delle sue onde, lo investe delle sue radiazioni, lo impregna dei suoi effluvi, e ne fa un oggetto sacro, tab,l. Il sentimento del numinoso ci dà l'avvertenza di presenze e forze sacre, attraenti-inorridenti, incommensurabilmente trascendenti il nostro mondo; la facoltà fabu,latrice personifica queste forze e presenze, fomisce al sentimento del numinoso le figure concrete su cui esso può scaricare le sue radiazioni, e così ne fa degli dèi capaci d'influire sui destini dell'uomo, fa\•orendone o contrariandone i disegni. Insomma, è la facoltà fabulatrice che personificando crea l'oggetto religioso, ma è il sentimento del numinoso che, scaricandocisi sopra, fa di questo oggetto un oggetto r~ligi010. Non mi sono affatto allontanato dall'argomento del mio articolo. In quella che può sembrare una digressione ho posto le premesse necessarie alla soluzione del problema che ci occupa. E che ora appare di facile soluzione. Svelando nella Natura un fascio di forze anonime e impersonali, il cui comportamento si svolge con assoluta indipendenza e indifferenza ,·erso i bisogni e le necessità umane, la Scienza moderna aveva vibrato un colpo mortale alle finzioni della facoltà fabulatrice, che popolava la Natura di enti intelligenti e personali, atti a inflettere il corso degli eventi naturali secondo i bisogni e i desideri dell'uomo. Mostrando col fatto che basta saper prendere quelle forze per il loro verso per ottenerne il soddisfacimento dei più complessi bisogni e la realizzazione dei sogni più folli, la Tecnica aveva vibrato un altro colpo a quel sentimento di dipendenza e d'impotenza da cui sgorga l'invocazione del miracolo religioso. Implorare è i,iutilt perché dietro la ~atura non c'è nessuno che senta l'implorazione; è ridicolo perché tutto si può ottenere dalla Natura sol che si sappia prenderla per il suo verso: questo l'insegnamento della Scienza e della Tecnica. Tutto ciò che è mitologia nelle rcli~oni tradizionali appariva cosi superato e svalutato. Ma la Scienza errava profondamente credendo così di avere colpito al cuore l'essenza stessa del fenomeno religioso. Essa aveva semplicemente staccato il sentimento del numinoso dagfi oggetti mitologici su cui esso si era fino allora fissato e lo aveva restituito a se stesso. E quel sentimento divenuto onnai senu oggetto errava allo stato libero e puro, cercandosi nuovi oggetti e termini sui quali scaricarsi, così come una carica elettrica temporalesca erra cercando la punta su cui scaricarsi. E nel dopoguerra (per circostanze che sarebbe troppo lungo qui enumerare) esso si è scaricato su oggetti 11uooi: lo Stato, la Patria, la Nazione, la Razza, la Classe. Il dopoguerra ha assistito cosi a una delle più prodigiose eruzioni di numinosità allo stato puro che la storia del mondo ricordi. Coi nostri occhi mortali abbiamo assistito al nascere di nuovi numi. Bisogna infatti essere ciechi e sordi a ogni percezione della realtb. attuale per non avvertire che per molti, moltissimi dei nostri contemporanei Stato, Patria, Nazione, • Razza, Classe sono oggetto non già di pura e semplice esaltazione entusiastica, ma di adorazione mistica, sono termini di un sentimento del numinoso perché sono sentiti come presenze incommensurabilmente trascendenti il piano della vita quotidiana, e come tali suscitano nel singolo tutti i sentimenti bipolari e ambivalenti che sono compresi nel senso del nu~ minoso: amore e terrore, fascino e paura, e creano impeti di mistica adorazione e dedizione. Poiché questi nuovi Numi sono di natura essenzialmente immanente e ttrrtslrt, essi sfuggono alle critiche dirette della Scienza contro il Soprannaturale. Sono )Jatura, Vita, ma Natura e Vita che non t ~ .. *°X ,,:-:. , ' / \;~'!}, >'··''· \ I , ' 110H, SILVIO, DOVE SONO I TEKPI IN 001 NON PENSAVI ALL'ACOADEMU E MI OEROAVI LE FORlUCHE BOLLA SOHIENA.1" (dl1.dlB1rtoll) sono quelle di tutti i giorni, e ciò basta perché il sentimento del numinoso le investa delle sue radiazioni. E quel che è più, queste nuove mistiche non hanno nulla d'incompatibile con la Scienza e la Tecnica, di cui anzi si servono magnificamente per i loro scopi e bisogni. E perciò sfuggonQ del tutto alle obiezioni che la Scienza move\'a contro le religioni tradizionali. Si ha un bel dire e fare: ma non c'è dubbio che un'anima religiosa all'antica maniera sentirà come una stonatura l'uso della radio e del cinema in una cerimonia religiosa. E r.idio e cinema invece appaiono come i mezzi naturali attraverso cui le nuove religioni celebrano le loro •orge• e i loro • sacri misteri• nelle grandi adunate popolari delle piazze. E tanto più foro sono queste nuove mistich~ (come si dice, e si dice esattamente) in quanto i.n esse il sentimento del numinoso si realizza allo stato puro (o pre&S'a poco) poiché esse non sono entrate ancora nella fase della personificazione mistica, della trasformazione del mm1en in dio, che ne permette l'invocazione e la preghiera, sono ancora mistiche e non ancora rtligiot1i nel senso stretto della parola. Ma appunto perciò sfuggono alle obiezioni dello spirito critico sempre in agguato. E cosi si spiega come la Scienza e la Tecnica più progredite possano coesistere pacificamente con una esplosione numinosa delle più violente che la storia ricordi. Ma se queste nuove creazioni numinose non sono ancora entrate nella fase della personificazione mitica, cioè nella fase della religione propriamente detta, è per altro visibile in esse un processo di sempre crescente organizzazione interiore. Tutta una serie di n'ti e lilllrgie è nata, ogni giorno più si complica e arricchisce e con l'esempio e la consuetudine si va solidificando, e già i giovani delle nuove generazioni la trovano cosa normale e naturale. E qui tocchiamo con mano un'altra legge dell'evohuione religiosa: che, cioè, il rito nasce prima del mito, la liturgia precede il dogma. Prima si sente numinos.i.mente; poi si agisce in conformità di tal sentimento; infine si inventa una spiegazione più o meno plausibile del perch~ di una talC azione. A mano a mano che questo nuovo modo di sentire si diffonde tra le masse la cui fantasia è corpulenta e ha bisogno di appoggiare su oggetti ben definiti i suoi sentimenti, il numinoso diventa religioso, la mistica precipita in mitologia. Processo di cui oggi assistiamo alle prime f,si. Andrà avanti questo processo sl che queste nuove mistiche mettano capo a religioni vere e proprie destinate a durare? E: il segreto della storia in divenire. E le vecchie religioni religiose? Le religioni tradizionali? •Esse non si sono riavute ancora dallo sbalordimento di vedersi sorgere improvvisamente davanti e di contro queste nuove ri\'ali, esse che si erano ormai cosi bene acconciate al modus vivendi concluso con le antiche. Pure, nelle zone più sensibili e reattive già un processo di difesa si delinea. E per chi sa guardare in profondità, è evidente che il potenziale numinoso del Cristianesimo va montando rapidamente, benché in zone ancora assai ristrette. Il secolo ventesimo promette di aggiungere più di un capitolo interessante alla storia (che il se4,0lo XIX credeva chiusa) delle guerre di religione: ecco una profezia che rischia forte di verificarsi. ADRIANO TlLGHER Su Otto, cfr. il cap. Vl del mio libro Fi~ losofi t mora/riti del NM·tunto (Rom..1, Bardi, 193:2), La traduzione italiana del Sacro (Zanichelli) è di Ernesto Duonaiu1i. I E CRONACHE familiari sempre hanno .J, il merito di farci intravedere, accanto a pie.coli fatti domestici, grandi avve• nimenti. In eue le proportioni si fanno umane: gli eroi trovano una loro cordialità divcnundo il signor Tale e il signor Talaltro. Ed è in qucua modestia che un tale genere di racconti giunge a non consueta persuasione. Molte le cronache di guerra che pur oggi sanno evocarci quei tempi lontani scn-za farci sorridere proprio per l'apparente povertà delle pagine. E i libri di guerra di alcuni anni fa veramente parvero ravviv.'"lrcun genere lettuario che pa.rcva. proprio d'una generazione di scrit• tori italiani fra Manzoni e d'Annunzio. 11 gusto per il racconto familiare è restato ormai in alcuni novellieri, e sempre con variabile soccorso della fantasia. Bilenchi, che ora pubblica una raccolta di novelle (Anna e Bruno, Firenze, Parenti), sta decisamente in qucna tradizione. La vita di Pisto, La storia dei sodali,li, le sue due prime Opc· rette, erano cronache di paese ; ma già i racconti del Capoj<Jbbrica furono un tcn• tativo per pauarc dalla cronaca a narrazioni più vaste, al romanzo forse, danna. zionc e voca.1,.ioned'ogni scriuore italiano che apra le ali. I racconti del C<Jpo/<Jbbtit<J erano la sto· ria d'un ragazzo ribelle, bizzoso, inquieto. La famiglia pesava dispettosa.mente nelle pagine di quel libretlo. I nonni, i geni• tori, le zie, i cugini s'accanjvano in litigi, in contrasti che il giovane ~crittor<' pareva vokrci mo5trare con l'aria di chiedere ai lettori un compianto; come dire: e Ec.codove mi càpita d; vivere! E certo s'era di fronte a 5foghi giov;.nili, e certo l'auto· biografia spesso da velata d'avvcnimenti si faceva scoperta e rozza. Tanto di guad:l· gnato, (or.se, se Bilenchi ci avesse narrato i suoi ca~i direttamente, come ricordi della sua famiglia. Maggiore l'impeto, maggiore il divertimento nel vedere rappresentata una piccola commedia. Chi narra casi suoi, in• fatti, ha bisogno di meno letteratura per giungere a porre av\"enimcnti e persone in un'aria modesta e non pretenziosamente drammatica. Bilenchi anni fa pareva tcn• dcre al contrario a pagine accese di violcn1.c, a drammi tetri, che restavano _sempre più grandi dei ptrsonaggi descritti. .,t nna: e Bruno ci mostra invece uno scrit• tore che meglio sa giovarsi delle sue in• clinazioni. L'invenzione è meno fervida, più dimessa, ma più vera. Lo sfondo dei racconti resta familiare; tuttavia meno autobiografico. Il ragazzo dispettoso se appare ancora qua e ~. è con più discrezione, e talvolta, anzi, nei suoi atti si sente che il narrl\tore riActte un poco d'ironia. Ancora si ha che fare con gente litigiosa e dispct• tosa; ma sono ormai non risentimenti che turbano l'animo dell'au1ore, ma colore e carattere .d'una piccola società provinciale. Il pericolo in queste pitture borghesi. è certamente quello del descrivere la p1ovin• eia con parole, con gusto, diremmo, pro• vinciali. Una pr0sa troppo vicina alle persone descritte diventa come un velo, e come una remora alla discrela fantasia che sempre dovrà servire a ravvivare un racconto. E l'immagina:r.ione non di rado S('ffi· bra lontana da simili pagine ; l'immagina• zione che serve più allo scrittore che al narratore, visto che '010 attraverso ad es.sa si guadagoano i benefici di uno stile. Spesw i racconti di Bilenchi rischiano di es.sere pitture soltanto fedeli del vero. In alcuni re.sta il gusto per personaggi i cui sen1imcnti subito ci sembrano spropon.ionati ai loro g<'sti. Eppure questo predilige• re ;ituazioni intricate da piccole e povere panioni forse è. soltanto il segno sc-c:ondo cui si potrà svolgere domani la storia del· lo scrittore. Bilenchi s'è fatto molto più abile. e Una cena > vuole essere una pittura d'ambien• 1e, con personaggi slrani, in una casa straniuima: un ex carcere. Altrove, il gusto per l'efferato continua: in e Terzetto>, per esempio, in e Capitano >, e anche in e La casa>. Ma gli avvenimcnli forse sono meno spavaldi, i caraueri più vari. Il f.glio che in < La ca~> batte la madre, e la madre che soltanto glj rammenta: < Guarda che ho avuto la pleurite >, hanno una toro piccola umana verità. t certo che Bilenchi va intanto educandosi a racconti dove l'intreccio dei sentimenti e il contrasto dei caratteri siano condotti con una pacatezza maggiore. e Anna ,. Bruno>, il racconto che forse, secondo le in1enz.ioni del• l'autore, accenna al cono e alle ambit.ioni attuali della sua fantasisa, è la., storia di un contrasto fra una vedova e suo figlio. La vedova è desiderata dagli uomini ; ha domande di malrimonio; e il figlio oucrva, ne soffre. Egli ama tremendamente la madre. Non è storia di grandi fatti: è uno studio di personaggi volontariamente preciso fino ad euerc qua e là proliuo. M:a fra i racconti di Bilenchi wrprende, e qua• si spiega il senso di tant'ahre pagine sue. In e :\nna e Bruno>, per la prima volta, lo scrittore ha l'occhio per il paesaggio, mtn• tre prima le sue novelle parevano volere essere soltan10 un sommario di fatti, nu• do e \Cn"Ul impacci descrittivi. Che era un eccesso di contenuto, proprio d'uo narra. tore che accintosi a narrare crede di potersi impadronire di tutti gli avvenimrnti del mondo. Eppure, se « Anna e Bruno > è il rac• conio più uudiato di Bilcnchi, in cui egli ha voluto cas1igan-i, « Un delitto> è forse quello che più svela le sue attitudini di narratore. C'è un e fattaccio >, ma l'ironia interviene abilmente a ridurne le proporzio'ni. Un ragazzo, dopo un insuccesso agi\ esami, torna al paese. In treno, si ptHla di un grande delitto accaduto nei dintorni. t\nchc il ragano pensa allora a gesti tre• mendi, per Hndicarsi dei professori; e, giunto a casa, dove madre, fratelli, zii, tutlÌ parlano del fatto dferato, c~li dichiara 110n solo di non sentirsene. atterrito, ma di euerc pro1Ho a fare lo stesso contro chi h:a rovinato i suoi c~ami. La famiglia Irema; la madre si raccomanda. Solo il fra• tcllo piccolo esclama, di tanto in tanto, con sarcasmo: e Il sapientone ha fatto la schiacciata >. Che è come il segno dell'ironia di Bilcnchi, nel cons_idcrare il gusto per i fattacci, i personaggi troppo cattivi, i 5cntimenti implacabili ; quel gusto che talvolta aveva portato nella sua prosa, sem• m:ii ancora troppo legata ai modi rami~ li:,rì, espressioni piuttosto da cronaca nera. Si ll"g«eva di e a"anzi della vita>, Gi ,r drammi umani >,.. Ma era come se Bilenchi fingesse con se stesso. I giovanot1i provinciali che egli ci deKrive alla stazio• ne di F. mentre si dànno atteggiamenti che vorrebbero fare credere al forcstirro la esistenza d'una vita intensa per godimenti e prccati, sono povera gente perché per nulla sospettano la loro vanità; mentre baster<:bbe la più lieve ironia perché potessero spiegare a se stessi la noia e 1:t miseria della vita provinfialc. Di ques1a ironia ora Bilenchi pare che si -sappia giovare. Le inclinazioni della sua fantasia, varianti an• cora fra l'efferato e il patetico, troveranno solo in tal modo una loro verità. ARRIGO BENEDETTI ROMANZI E RACCONTI ELISA CIBRARIO DI SAN SECONDO, Il dono mu1diano (La Prora, Milano, 1938. L. 9). Capri è l'isola delle- sirene, Napoli il golfo degli inc:t1 ti; nessun scenario può sembrare migliore a una dqnna che vuole seri• vcrt: un romanzo. Daria e Ilio e vivono il loro romanzo > d'amore e di morie in un paese che permette alla loro autrice gr.'"lndi effusioni scn1imcn1ali. Daria è. la moglie che, durante la villeggiatura, confida le proprie pene ai bei giovani della spiaggia. Tutte le sofferenze e le amarcz-ie ddla vita \'engono confidate, e il giovane con i baffetti e lo sguardo negri quanto la notte, il giovane che sogna la e millecinque>, che manda le fotografie al giornale cinematografico più in voga, aKoha e finiste anch'egli per aprire 1\ petto. Ma la passione ecco che insidia un'amicizia pura e fraterna. A questo punto sulle nostre spiagge solitamente i protagonisti del roman-z.etto balneare s'avvedono di essere finalmente giunti al traguardo, abbandonando con franchezza ogni finzione. Nel romanzo di Elisa di San Secondo, no: un figlioletto di Daria viene travolto dalle onde, l'innamoralo di lei si getta per salvarlo e muo• re; e la morale della favola è pronta: come si vede è tutta nf'lla. bellezza di essere madre. Ep?ure sarebbe banato un nonnulla, perché gli sviluppi fossero diversi. Le noStre care scrittricì però non mancano di finezza: amano il golfo delle sirene, l'isola dell'incanto, gli amori clandestini mc-nlre il marito è in dttà per affari, e lutto sublimano con gli .accorgimenti più inattesi e bizzarri. AUGUSTO TREXLER: Preli,dio a: un omort (Vallccchi, Firenze, 1938. L. 10). t un romanzo d'amore. Giuliano, nella noia di Viareggio, mentre attende il ritor• no della moglie, s'innamora di Claudia che auendc ;1 ri1orno dd marito. Giuliano e Cla'udia son fatti per amarsi. Personaggi come questi presi. da conflitti d'anima chi non ne ha visti sulle scene del teatro intimista di Amici? Quando le loro mani si incontrano, fremono; durante le gite in compagnie rumorose d'amici nei luoghi mondani drlla riviera vcrsiliese, soffrono pene infernali perché talvolta càpita loro d'imbarcarsi in automobili diverse. Trc,clcr racconta con bravura questi piC:eoli avvc.. nimenti; ma il suo romanzo ha un difetto. Sembra un giornale romantico scritto durante la noia della villeggiatura, senza &\'ere di questo genere letterario gli impeti e la verità. Il racconto è pieno di annotuio-- ni vere, nella loro piccola verità gi-atuite. Lette le prime pagine si comprende qu.-li saranno i teneri accenti del romanzetto fra Giuliano e Claudia. Solo la conclusione del racconto sorprende: Giuliano torna dal sa.• natorio, corre in macchina sull'Appennino: e Il motore che si distende gli f;t bene ai nervi. Un'altra schiarita più lunga in discesa, la macchina prende velocità. Ma, di colpo, il velario di nebbia si richiude, la inghiottisce. La frenata violenta arriva troppo tardi, una delle ruote anteriori mor~ dc già il vuoto ... >. Che è la fine del prvtagonista, tragica fine inattesa, incapare di dare, sia pure all'ultimo momcn10, qualche rilievo al racconto. ~AGDA DE GRADA: Terra di Siena (Augustea, Roma, 1938. L. 6). Bozzetti e ricordi. Un gener" di letteratura che spesso ci conserva la tradizione dello scrivere con proprietà, mentre talaltre ~ il facile traguardo di chi scrive per piccoli diletti e non per maggiori ambizioni. Libretti come questi, fanno pensare a piccole tipografie provinciali, a sm ces!ti familiari e paesani. Chi non udì una vecchia zia parlare con ammirazione d'un libro scriuo dalla nipote d'una qualche sua amica d'infanzia? Andati a leggere, ci si 1rovava poi di fronte a un candore che :,,e. comuna, in una pagina, ricordi <li d' Annun1.io, di Fucini, di Fogazz.1ro, e in più d'altri meno precisabili autori che quasi non appartengono alla letteratura. Anche T tirr<l di Sien<J avrà certamente il suo piccolo succesw nel cerchio delle amicizie e della famiglia; sebbene in esso certe malizie farebbero pensare a una ambizione diversa. Sono ricordi Jell'infanzia, di villeggiature ; ritratti e bozzetti che faranno la gioia di chi potrà riscontrarne nel reale la verità. Per quel che ci riguarda, occorre osseniare come in questo genere dì scritti, fra intimi e familiari, gioverebbe fonc, pcrrhé potCssero ottenere un piccolo posto nel• la letteratura, maggiore puJi7ja di lingua. '.\1eno frivolità, forse. Invece leggendo i bozzetti che si diceva, si trovano parole co-- mc ,r decentrato>, e villinelto >, e ventolino >... che fanno pensare al gergo delle spiagge borghesi, delle novelle di e varietà>, delle lettere fra fidanzati. A una città toscana s'intitola la raccolta di questi bozzetti: Terra di Siena; e, sulla copertina, è. una fascia color terra senese a evitare equivoci. Perché oggi, per facile retorica giornalistica, si fa grande spreco di queste e terre •· Chi dirà più che Alessandro Manzoni nacque in Lombardia? Piace di più, suona. meglio, e più sonoramente, agli orecchi, e terra di Lombardia>, Che può essere un efficace modo oratorio; ma in !et• tcratura invece siamo fra coloro che rifuggono dall'usare tre parole quando se ne può spendere soltanto una. POESIA P. TAMBORINO: Ore liete e ore tristi (Clet, Napoli, 1938. f., 9). t la seconda edizione di liriche scritte per album, per matrimoni, nascite e altri eventi. Ci sono anche i versi di \'iaggio, e non mancano quelli patriottici. L'A. nell'introduzione confessa. di scrivere « per te• nere alto il morale e dar sfogo al ,entimcnto >. SISTO
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