Omnibus - anno II - n.22 - 28 maggio 1938

m ~ U TA SERATA d'autunno del '21, ; in pieno comunismo di guerra, nu1:~ me!o~i rnppreser~tanti, della c~lon_i~ t,'\,..~ an1st1ca moscovtta s ernno numt1 nello studio d'uno di loro. Fuori il mondo s'era già ri,•cstito d'un prematuro mantello invernale, e i fischi del vento annunziavano un'imminente tormenta. Ignari o dimentichi del sangue che arrossava la neve sui cento fronti della guerra civile, i nomi più brillanti dell'avanguardia letteraria di ì\·'losca si saziavano d'acquavite e di fumo, di tè e di bons mots. La padrona di casa versava instancabile nei bicchieri l'acqua bollente del snmot 1or, e dictribuiva generosamente il classico tè russo a un giovane pittore e ad una bnina musicista ebrea, a un vecchio cantante e ad una matura attrice, a un pingue professore d'archeologia e ad una gracile ballerina, a un critico calvo e ad una bionda poetessa, celebre per i suoi tre divorzi. La delicata ~perazione fu ad un tratto interrotta da un grido ~enerale d'entusiasmo e di simpatia. Giovane e bello come un arcan(telo, eleganre come un moscardino di Parigi o di Londra, attraversava muto e leggero la folla per venire a baciarle la mano il più grande fra i nuovi poeti russi, Sergio Jcssenin. Appena ventiseienne, Sergio Jessenin era allora all'apice della gloria e della fortuna. Figlio di contadini, era stato scoperto qualche anno prima da Gorode1skij, che se l'era visto arrivare con un fascio di liriche ravvolto in un fazzoletto campagnolo. a colori sgargianti. Gorodetskij l'aveva presentato come una bestia rara in tutti i salotti letterari di Pietrogrado, pieni ancora degli echi fastosi della poesia dccat' nte e della scuola simbolista, La scrittrice Zen:1idc Hippius, consorte di Merejkovskij, , .. ·--onta che Jessenin comparve per la prima volta in casa sua in costume da contadino, camicia russa e stivaloni, coi capelli biondissimi al vento. Il primo succci;;so lo dovè soprattutto alla sorpresa suscitata da una tale apparizione, e infatti fu dapprima creduto l'allievo d'un poeta mitico della campagna russa, l'anziano Kcjnev. Il suo talento di no,·atore s'e!ra affermato pienamente soltanto ·con la ri,·oluzione, ch'egli aveva cantato come se fosse un'aurora spuntata per lui, l'annunzio d'una Buona Novt:11a georgica e pastorale, specie d'Arcadia della steppa. Negli ultimi tempi era asceso a grado di caposcuola, ed aveva fondato con i poeti Scerscenevic e Maricnhnf due strani tipi di pagliacci pervertiti •· nuovo mo~ vimento pOl'IU •, figlio sp111 10 del simbolismo e del futurismo: l'imaginismo. 11 movimento s'era conquistato i suoi primi trionfi sui tavolini dei caffè e median1c lo scandalo: ed un bel giorno Jessenin e i st: ,1 compagni erano andati a finire in guardina perché s'eran fatti sorprendere dalla polizia mentre sostituivano le targhe indicative delle vie principali di Ylosca con lastre su cui erano scritti, a lettere cubitali, i loro nomi. I biografi dei nos1ri eroi e i testimoni dì quella famosa serata raccontano dunque che a ora tarda, quando le conversazioni incominciavano a languire, e le teste a vacillare sono il peso so,·erchio delle chiacchiere e dell'acquavtte, apparve, ospite tardi"a cd attesa, la grande ballerina americana lsadora Duncan. Inseguendo dovunque un suo miraggio artista, hadora era "enuta, e s'era fermata, in Russia, perché pareva che quella contrada boreale fosse l'unico paese capace di risuscitare ai nostri giorni il culto d'una bellezza mimica e coreografica, l'esaltazione della nuda e dinamica plasticità del corpo umano, quale a,·eva trionfato sotto il cielo azzurro ed antico dell'Ellade. La visitatrice f..i accolta con entusiasmo e rispose a tutti con un muto cenno di saluto. Ma quando la padrona le presentò Sergio Jessenin, che la guardava coi suoi grandi occhi di bambino, lsadora sorrise e ~lzò le m:mi per carezzargli i capelli, mentre monnorava due delle pochissime parole russe che sapeva: • Zoloraja go- /ovai• (Testa d'oro). La ballerina, stanca e felice, si distese sul divano, e il poeta, come un gatto obbediente, si sedè per terra ai suoi piedi. Quando lsadora usd, Sergio l'accompagnò, e da quel giorno vissero msieme. J primi giorni furono magnifici e folli. In ca,;1 della Duncan, che abitava m un vecchio palazzo, ospite del go\·emo sov1eta.o. Jessenin cantava canzoni popolari e suonava la fisannonica, e la donna ballava danze esotiche e classiche, stravaganti e simboliche. La musica e la danza erano il loro idioma comune, perché nessuno dei due parlava la lingua dell'altro. Ma presto trovarono un altro linguaggio, quello dell'alcool. Il vino, lo sciampagna e i liquori scorre,·ano a torrenti in quelle stanze fastose e di cattivo gusto, do,·e erano ignoti la legge del bisogno e il valore del denaro. Jessenin, piccolo Ulisside campagnolo, giaceva nelle braccia della bionda Circe anglosassone che, malgrado il suo fascino, ingrassava e piegna sotto il peso dei auarant'anni. Ormai la ~fusa non bu~- uva quag più alla porta della sua pngione. Una volta raccolse la sua roba e parti, ma lsadora venne a cercarlo, s'inginocchiò, gli baciò le mani: e Sergio ritornò da lei. Nel maggio del ':2.2, Sergio e lsadora si sposarono. La vita d'orge e di scandali condotta fino allora aveva da10 fondo alle sostanze d'Isadora, che decise di fare una tournée in tutto il mondo. Sergio fu felice d'accompagnarla: gli piaceva l'idea di andare a far vedere in Occidente com'era fatto un poeta russo. Ormai era giunto al culmine della fama, e desiderava la sanzione della gloria anche al di là delle frontiere del proprio paese. Pochi giorni dopo lo sposalizio, Sergio e lsadora partirono in aeroplano per Berlino. Tutto gli apparve nuovo e straordinario: il genere del viaggio, il lusso dell'albergo, i caffè e le strade della metropoli straniera.• 1 letterati russi dell'emigrazione s'incuriosirono di lui, e restarono meravigliati quando videro che il poeta contadino aveva l'aria d'un gentiluomo blasl, ed era vestito come un dandy. Gorkij fece visita ai due e raccontò più tardi d'aver trovato Jessenin torbido e triste, abbattuto dalle droghe e dall'alcool. I coniugi si parlavano a gesti, a contatti di ginocchio e a colpi di gomito: e quanao sua moglie danzava, Jessenin la contemplava con gli occhi socchiusi ed assorti. Da Berlino il poeta e la ballerina si recarono in altre città tedesche, poi in Belgio e a Parigi, dove si fermarono più a lungo, col breve intervallo d'una s.cappata a Venezia. ~la ormai l'Europa stava diventando una terribile delusione, e quasi un incubo, per lui: gli sembrava un paese senz'anima, dove gli uomini non facevano altro che mangiare e bere, amare e ballare il fox-trot. Il povero Jessenin giudicava l'Occidente secondo l'unica prospettica dei grandi alberghi e dei cabarets, dove passava le sue notti e le sue giornate. :--:on si scomodb neppure una volta per , isitare un monumento o un museo, per una gita in provincia e in campagna. Quando ,·edeva qualche • aristocratico • e qualche • borghese , le due uniche specie a cui egli riduceva tutta la fauna umana dell'Occidente, il poeta prorompt,·'\ in msulti e si metteva a c.1ntare I' fntt-'T!azionale . E forse si avvicinò alla vit.1 ,era solo le rare volte che abbandonò I locali di lusso per ubriacarsi nelle bettole più ba!IIC!cfo' n gente di malaffare. Finalmente, nel settemnre del 122, i due s'imbarcao•NIBUS PAGJNA in lui altro che e il giovane poeta russo, consorte della nostra celebre ballerina•. Era l'epoca tragica e prospcros:1 del proibizionismo, che doveva trasformare l'alcool in un nuovo frutto proibi10, ed elevare l'ubriachezza al li,·cllo d'uno sport pericoloso ed eccitante: e Jessenin fu intossicato dalle tremende miscele dei liquori di contrabbando. Suscitò più d'un grosso scandalo: e il pili grosso di tuni fu quello di farsi vedere in giro per tutta New York con u.n giovane compagno d'orge che avevn il difetto d'essere non un ya,ikl'l', ma un negro. Il puritanismo americano coniinciò a fare il viso dell'armi anche alla sua connazionale, in modo che le esibizioni di lsadora si conclusero in un fiasco, provocato dal falso sospetto che tali esibizioni mascherassero un ano di propaganda politica. Dopo qualche mese di questa vita, Isadora decise di lasciare l'ingrata patrìa e di tornare a Parigi. Qui i veleni ingeriti in America provocarono una terribile crisi sul fisico di Jessenin. Il poeta fu invaso da accessi di follìa: un giorno fu sorpreso nudo nei corridoi dell'albergo, un altro ba1tè furiosamente la donna nella sua stanza, • alla contadina•, • alla russa•. Allora fu rinchiuso per qualche tempo in una casa di salute, donde uscì un po' riassestato, e deciso a rimettere il piede sul suolo della patria. Sergio rientrò in Russia con l'anima e il corpo consunti, ma con un baule di scarpe, di vestiti e di cravatte alla moda. Sembra che da allora in poi nascondesse il pallore e le rnghe del suo volto devastato sotto il denso Strato d'una cipria speciale. Jessenin era ansioso di risalire sul trono abbandonato, ma s'accorse subito con rammarico che i tempi erano mutati. Con la liquidazione della guerra civile e con l'imminente tramonto della .f\'ep, cominciava in Russia la vita di fabbrica e di caserma, che per uno spirito come Jessenin equivaleva alla galera. In ogni modo il poeta cercò di costruirsi una nuova vita. Anzitutto volle mettere una pietra sul suo passato, e ruppe definitivamente con Jsadora, essendo ormai consapevole che l'unione con la Ouncan era stata nefasta per l'arte sua. Poi cercò di dare nuovo lustro alla sua fama, oscuratasi negli ultimi tempi, e si sforzò anche di riacquistare il terreno perduto nella sua assenza, tentando di comprendere il nuo,·o stato d'animo che si stava maruper un breve periodo di tempo, ritornò a Kostantinovo, il minuscolo villaggio della provincia di Rjazan dove i suoi occhi avevano visto per la prima volta la luce. Ma anche il • ritorno a Itaca• non gli servì a nulla, e, al contrario d'Ulisse, non lo riconobbe neppure il vecchio cane fedele con cui da adolescente aveva spartito il suo tozzo di pane. Fu allora che egli scrisse una delle sue liriche più significative e più belle, La R11ssia sovit>tìca: Son morii quasi tuni. L'urA~ano 'è passato.· Oh qi1:inti non rispondono al richiamo! lo torno al mio paese abbandon:"lto: ott 'anni son stato lontano. Con chi salutarmi? con quale fra1ello pot1b rallegrarmi che siamo scampati? Perfino il mulino qui sembra uu uccello dnll':ila speuau., con gli occhi serrati. A nessuno qui !IOnconosciu10, e chi mi ricordava m'ha scordato: l'abituro patc-rno è ormai diruto e vi giace la pokere e il fango del ~elciato... Che paese! Ì't"i versi fu follia dirsi amico del popolo ch'è mio: qui ormai non serve più la mia poesia, e forS<-più non servo ncmmcn io... Ahri gio\'ani canrnno altri canti e tu di 'tià cominci a disliorirc ... O gio\'ani, fiori1e, siate- sempre più sani I I.a "Ostra \'ita è un'altra, son Altrii vostri can1i: io solo mc n·andrb s11tramm lontani, e il mio cuore ribelle non avrà pitl rimpianti ... Sergio rientrò a Mosca più triste e amaro di prima, con la voglia di fare ancora del chiasso intorno al suo nome, e d'affogare tUIIO il dolore e il rancore accumulato dentro di sé nel Lete dell'acquavi1e. Una sera, ubriaco, schiaffeggiò in un caffè notturno un artista ebreo, insultandolo a sangue per la sua origine. La cosa finì in tribunale, e il processo si chiuse con u11 110n luogo a procedere, ma anche con una severa ammonizione. Perfino le serate in cui si presentava in pubblico per leggere i suoi versi non si svolgevano mai senza incidenti e senza contrasti: e per vincere la resistenz.a degli ascoltatori, Jessenin doveva rinunziare a dire le sue cose nuove, e recitare i poemi di qualche anno prima, specialmente quelli del celebre ciclo Le bttrole di Mpsca. Nell'autunno del '24, egli fece una tournée nel Caucaso, che gl'ispirò alcune liriche dolci e melodiose, piene dell'aroma delle Mille e una notte. Recitò' i suoi versi . I8ADORA DONOAN DORANTE IL 800 ULTIMO SOOOIORNO A NIZZA rono su un transatlantico francese per l'America. Ma lo sbarco si mutò in una disavventura: le autorità americane li scambiat0no per due agitatori, e li misero in quarantena a Ellis Island, do\'e furono liberati grazie all'1ntervento di alcuni influenti amici della Duncan. La fragorosa e sensazionale grancassa della pubblicità americana per un momento conquistò e stordl Sergio, ma fu pre,to deluso cd offeso quando vide che i giornalisti d'oltre Atlantico non vedevano rando in seno alla gioventù e al popolo russo. Ma se a Parigi e a New York non aveva fatto che languire di nostalgia per la sua vecchia Mosca, ora, dopo l'esperienza occidentale cd americana, l'antica città degli zar gli pareva grigia e meschina, quasi una brutta copia delle grandi me• tropoli straniere, una specie di mostruoso accampamento di fango e di legno. Allora Jesscnin decise, piccolo Anteo moderno, di riprender vigore rimettendo il piede sulla terra materna. E cosi, vecchi e nuovi a Tiflis e a Baku, centro allora della propaganda comunista fra i popoli orientali: e fu qui che un vecchio cantore turco, che non conosceva altra lingua della propria, l'ascoltò ammirato e commosso, e gli disse che gli era bac;tato vederlo e senurlo, per capire d'esser dinanzi a un poeta. Nella primavera del '25, ritornò a Mosca, nella casa delle sorelle, dove fece conoscenza d'una ragazza dolce e bella, Sofia 1\ndrcjc,·na, nipote del grande Tolstoj. Sofia Andrejevna, giovane ed ingenua, s'inn:imorò del poeta: e Sergio Jesscnin, o che fosse toccato dalla grazia di lei, o che ,·olesse rientrare nella via della serenità e dell'ordine, decise immediatamente di sposarla. li matrimonio ebbe luogo a giugno, pochi mesi dopo che i due s'erano conosciuti. Ma la felici1à di Sofia Andrejevna fu di breve durata, perché Sergio fu completamente ripreso dalla sua vita folle e stravagante di prima: e quella volta il vizio e gli abusi incisero senza rimedio il suo fisico già duramente provato da tanto vano sperpero d'energia. L'unico raggio di luce fu il periodo di tem11\Jin cui dovè dedicare tutto se stesso al l~voro di revisione dei suoi scritti, che stavano per uscire in forma d'Opera om11ia in una bella edizione di Stato, che doveva apparire solo dopo la sua fine. Ripreso da accessi di follìa, ncll'invern,> del '25, Sergio Jessenin fu rinchiuc;o di nuovo in una casa di salute. Appena riusci a convincere i medici a congedarlo, decise di non tornare a casa da sua moglie, di cui temeva l'eccesso di amorosa sorveglianza e di tenere cure, e partì per LA:ningrado, con l'idea di chiedere ospitalità ad una famiglia amica che viveva in albergo, gli Ustinov. Le persone che lo videro subito dopo l'arrivo, lo trovarono quasi allegro, certo molto più sereno del solito. La mattina dopo manifestò il desiderio di visitare il suo vecchio maestro e rivale in poesia, Nicola Kljuev. Kljuev l'accolse con simpatia, e ascoltò con benevolenza gli ultiini versi del giovane amico. Quando Jessenin ebbe finito, l(ljuev lo guardò sorridendo e gli disse, con un'ombra d'ironia: tt Mio caro Sergio, se ne farai un volumetto, questi tuoi versi. diventeranno il libro da capezzale di tutte le ragazze cd i giovanotti sensibili che sono ancora rimasti in Russia I•. Jessenin si congedò un po' offeso da quel giudizio, confessò all'amico che l'accompagnava, lo scrittore Ehrlich, .che anch'egli cominciava a nutrire dei dubbi sulla sua vocazione di poc1a, e sopra tutto sull'ispirazione delle ultime opere. La none successiva fu quella della suprema decisione, Solo nella sua camera, Jessenin maturò lentamente nel cuore e nel cervello il pensiero del suicidio, Invaso da un estro improvviso, volle scrivere i suoi ultimi yersi, il viatico estremo della sua vita e della sua poesia. Nella stanza mancava l'inchiostro, e per non svegliare nessuno, Sergio s'incise leggermente il braccio con un coltello, e scrisse col proprio sangue una breve e penetrante poesia. Sorpreso dal mattino, Sergio rimandò l'esecuzione del suo progetto alla notte successiva. Quando Ehrlich venne a visitarlo, il poeta gli consegnò i versi scritti poche ore prima su un foglio di taccuino; ma Ehrlich aveva fretta, li;;nise in tasca e scappò via. La sera Jcssenin restò in conversazione con gli Ustinov ed altri amici, fino a poco prima di mezzanotte, poi rie~trb in camera sua. L'unico testimone di quanto avvenne in quella stanza nella notte dal 26 al 27 dicembre 1925 non fu che un povero specchio d'albergo, testimone indifferente di tante tragiche e meschine vicende umane. La mattina dopo, còlta da un presentimento, la moglie dì Ustinov bussò verso le dieci e mezzo alla porta di Jessenin. ~essuna risposta. Il tremulo richiamo della sua voce non suscitò altra replica che quella dell'eco vìbrante nel silenzio. Allora fu deciso d'abbattere la porta. li poeta fu trovato impiccato a una cinghia di valigia sospesa al tubo del calorifero. TI suo corpo, convulso e contorto, era già freddo. I polsi portavano le tracce d'un vano tentativo~di svenamento ... Jes!cnin aveva messo la parola fine al suo cammino vitale, dopo poco più di trent'anni di soggiorno sopra la terra. Sbrigata la formalità dell'autopsia, che ri\'elò che la morte risaliva alle cinque della mattina, il funerale fu fissato per tre giorni dopo. La bara fu trasportata in treno fino a Mosca, e il corteo funebre giunse alla stazione alle tre del pomeriggio. li feretro fu portato a braccia da una schiera d'artisti e di scrittori, fra cui Dabel e lvanov, Mayerhold e Pilnjak. La camera ardente fu preparata nella sede della e Casa della Stau~pa •, e il pubblico sfilò dinanzi alla salma fino a tarda notte. La cerimonia dell'inumazione ebbe luogo il giorno seguente. Prima che la bara scendesse nella tomba, qualcuno lesse dei versi del poeia defunto. La consegna era di non fare discorsi, ma un ignaro scrittore francese, che assiste\·a al triste spettacolo, pronunziò una breve orazione, che non fu ascoltata né intesa da quasi nes- -.uno dei presenti. Solo quando ebbe saputo della morte di Sergio, il povero E.hrlich si ricordò del foglietto rimas10 nel fondo delle sue tasche: esso recava una breve poesia scritta coll'inchiostro rosso del sangue, il cui senso in ,·ersì italiani suonerebbe presso a poco così: O caro amico, ci vedremo ancora, eh~ ~mpre nel mio cuore tu rimani. Ormai di separarsi è giunt:t l'ora, ma promette un incontro per domani. O caro amico, addio, scnz,1 parole, i;;enza\en;are laciime o sor1idcre. Mo11re non è nuo\'O sollo il <iole, ma più nuovo non è nemmeno , j,•erc. Q~1alche anno più tardi anche lsadora doveva morire. Percorreva in automobile la costa francese lasciando il suo lungo velo al vento; e fu quel "elo, andato a impigliarsi nei rnggi di una ruota, che la strangolò: morte non meno strana e capricciosa di quella che era stata la sua vita. RENATO POGGIOLI

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