( ILSORCNIOELVIOLINO) Wll.lillillll lE MAil!.I P'tE R,,O Firenze, maggio, 1t A RAPPRESENTAZIONE del '1 Simon Bocca,ugra al Mag-~60Musicale fiorentino fu un successo grave, profondo e quasi incredulo. La rcciu fece colpo. Nessuno se l'aspettava così sana1 valida e dolce questa opera scomparsa d:.'lllcscene qu::tsi sul nascere, ignorata, fino a icri1 da tre generazioni. Si diceva dunque in teatro: « r. una riesumazione>; ma lo spartito non recava traccia di sepoltura. E il pubblico non ~•accorse, o non si capacitò, di tanta onorata vecchiain: ottant'anni, gli affanni c l'esilio non l'avrvano sfigurata, fatale perpetuità degli accenti verdiani. Parlar giusto e sobrio di una epoca colma e matura. Quante pamc, quanti silenzi, addirittura storici. Che vìta enorme e veneranda. Che trasparenza profonda. Fluida ombra dell'anima. Quanta mic,ura, Che ,cnno. Quanta esperienza um:tna. onda delle memorie. E che ma• no lcg_~cra. Così tutto il « prologo>, succc~ionc di pagine d'oro che lampeggiano nel buio. E larghi accostamenti a Beethoven e a Mussor~ki, che Verdi non poteva conoscere. L'origine popolare, il senso della terra e l'intuizione storica accomunano questi tre grandi uomini e li fanno wmigliare l'uno all'altro, mentre proprio ad essi, ri-.pcttivamentc, viene accordato di diritto il titolo di rapsodo nazionale. Non c'è tempo di dire di più. L'opera, benché sia stata elaborata in molte sue parti, corre spontanea e unita finq alla fine, piena di ispirazione1 di ampiezza serafica e triste, e di sincerità provinciale. Qui Verdi è grande senza essere barocco, drammatico senza essere truculento. Le lince. i ritmi cadono a piombo sen,1,,'\fracasso. Qui regna sovrano il mistero. La pa~ione s'incurva piena, senza uscir mai dall'alveo. C'è un cuore generoso che la sapicn• za tiene a freno. Il calore, il piglio o tono particolar- "" :nte umano, vigoroso e civile di que- ~t'opcra. risorta dalle sue ceneri, piacque immensamente, in grazia anche dell'attenta esecuzione. Firenze l'ha riconsacrata. Fui-troppo, che ingiustizia non poter parlare a nostro agio, e ~condo verità, del gesto, della voce e dello slancio che gli interpreti illustri sfoggiarono e raggiun5ero nell'opera verdiana. Insomma fu una serata piena di commozione, di eroismi e di vittorie lumi11ose,e un'esecuzione attenta e virile. Accenneremo anche agli scenari d'un effetto largo e solenne, dipinti da Efisio Oppo, che il pubblico festeggiò con impetuosa ammirazione. . . Con l'as~cgnazione delle messe in sce. na a dei pittori di grido, ad artisti d'ingegno, la riforma teatrale è instaurata ormai per merito del primo Maggio fiorentino nel campo infruttifero e chiu~ dell'opera lirica. L'arte dà addosso alla routine che ci era venuta a noia. D'ora in poi ci sarà lotta in teatro: una lotta senza quartiere, fino al raggiungimento di un equilibrio attivo e superiore, fra tradizione e gusto moderno. In quanto all'opera Antonio e Cleopatra, che costituiva la novità assoluta, e l'avvenimento pili importante del- r ia stagione fiorentina, vorremmo sbrigarcela presto. senza conseguenze spia• cevoli, e poi tirare un fiatone e non ,ensarci più. Queu'opera è una omelette soufflée, cioè piena di aria calda. Tutti sanno ~i fa una omclelle s~ufflée: u~ uovo sbattuto per mezza giornata, po1 messo al forno, diventa una montagna di budino e vien servito sul piatto. Vi fa lo stomaco come un pallone. Vi gon~ fia, vi gonfia, vi fa diventare un bue. Un vero bue con le corna e la coda. E la terr,l vi manca -,otto i piedi. Così gonfio e leggero vi staccate dalla poltrona, vi inal?,ate a poco a poco. Siete un bue volante. Non son ali che vi portano su, ma un gas inoffemivo e souilr. \'oltc·_g-giatc pigramcntf', in preda a VIA GIULIA - PARTIOOLARE DEL PALAZZO DELL'AOOADEKIA DI UNGHERIA quella palpitazione e a quel tumulto alle tempia che vi dà l'anemia cerebr:1.le, volteggiate con le zampe all'aria, a rilento, capovolgendovi e vedete passare il wffitto lì sotto dove c'era il pavimento. Il Teatro Comunale (cx Politeama Fiorentino, rimesso a nuovo e attrezzato qualche anno fa con la spesa di qualche milione) ha la cupola Fortuny che ti dà il ciclo egiziano, proprio il ciclo che ci vuole per l'opera di Fran• cesco Malipiero. E: un po' lontano dal centro, il Tea• tro Comunale. Ci si va da piazza Strozzi, con l'autcbus, percorrendo per il lungo la vecchia e illustre città di Firenze, stretti tra la lineare e asciutta fermezza dei rnoi monumenti, e )'economi;, signorile dei suoi palazzi, dai quali traspira un senso di distinzione, di ordine e di giustizia qua.si medievale. C'è anche una buona orchestra in questo immenso teatro, e un'acustica così zelante, che per uno sternuto la 5ala ribocca di sonorità a non finirne più. Non è a dire di quanta attesa fosse ~rica tutta Firenze alla vigilia della e prima > di Antonio e Cleopatra. E la ser.1 della recita, la sala da cima a fondo riboccava d'intelligenza. Tutti i posti erano stati venduti. Intanto fuori del teatro un centinaio di bighelloni in smocking 1 che non avevano trovato un modo qualunque di eludere la sorveglianza, ~i rosicchiavano le unghie, mirando con bramosa insistenza gli altissimi muri dell'edificio e le porte ohiusc, in cerca di una fessura che permettesse di udire qualche suono e qualche voce dell'opera strombazzata . Ma la recita dentro languiva tra le interruzioni bru--chc e il parlottare del declamato malìpicriano. Un che di bas• so e incoerente avvolgeva la recita sperimentale. Ogni tanto un impeto sonoro, sollevato dall'orchestra, ricadeva adagio adagio sulle file delle poltrone come un lenzuolo glaciale. ' JI vero musicista ha un orecchio del tutto speciale, un istrumento sensibilis• simo, che lo guida come una bussola sul mare delle armonie. Si direbbe che Malipicro non possegga un organo simile. Dal suo orecchio come dal 11t.UnOaso vengono fuori uuf. fi di peli, e numerosi nèi col riccio gli spuntano qua e là sulla faccia. Qualcosa ci induce a credere che all'interno quest'uomo sia come un ar• ruffato materasso di crine, che i rapporti annonici e ritmici, la circolazione, il respiro, in lui. siano soffocati da tutto un groviglio di vegetazioni e barbe parassitarie. E la musica di Malipicro è fatta a sua somiglianza. Non respira, non cir• cola, non ha base, non ha continuità. t soffocata1 non funziona, c'è un imbroglio di organi morti che l'intoppa. L'ultimo atto dell'opera conviene considerarlo come il migliore, e di questa opinione anche il pubblico mi sembrò essere, applaudendo l'autore finalmente con un po' di unanimità. jl PPROFITTO sempre delle gite a l,A Roma per fanni lavare i capelli, un lavoro noioso e complicato, perché ho i capelli lunghi, e così ci vuole quasi un'ora, tra shampoi,ig e asciugatura; ma in fondo questo non si chiama esattamente perdere tempo, perché nei negozi dei parrucchieri si incontrano sempre donne eleganti, si imparano le ultime novità intorno alla moda, si sente quella specie di dialetto delle signore romane, per metà fatto di parole romanesche e per metà di parole forestiere : ci si istruisce, insomma. L'altro giorno, dunque, andammo da « Luciana >, che ha un negozio piccolo piccolo, a due passi da piazza San Silvestro : ci piaceva il nome, immagina• vamo un e decoro > molto femminile, come si usa dire, caldo cd intimo. Difatti faceva molto caldo, i quattro stanzini separati erano zeppi, e nel corridoio, largo un metro, si ammassavano la madre di Luciana, cassiera, con tappetino di. volpe sulle spalle, la manicure grassa, il ragazzino Mariuccio e quattro o cinque clienti, che assicuravano di avere fretta. Ci sentivamo molto imbarazzati, estranei : difatti, la signorina Luciana, grassottella e spettinata, non ci degnava di uno sguardo e sua madre neppure ci vedeva. Le clienti erano tutte amicone, si scambiavano scherzuoli, sguardi d'intesa, risatine. Tante donne in così poco spazio facevano uno strano odore, denso, di cipria, sudore, cuoio umido, profumi dolciastri, saliva, mentine, caffè e latte: già, perché tutte succhiavano qualcosa, o facevano telcfonare al bar più vicino per avere una bevanda qualsiasi: «Cappuccino>, diceva la grassa manicure, « cappuccino con una brioscetta ! ::t. Arrivava un cameriere, ciondolone, e posava la tazza di grossa porcellana accanto alle vaschette dell'acqua calda; la manicure prendeva la brioscctta con le dita chiazzate di lacca e l'offriva alla cliente. Così l'odore diventava ancora più con1plicato, unto, inzuccherato. e facc• va sempre più caldo. Luciana, col pct• tine in mano, svolazzava da una testa all'altra; sua madre si estasiava sulla bellezza di quei ricciolin\ e prediceva che, con una testa simile, ci sarebbero state, la sera, fior di conquiste, aggiungendo. se si trattava di una signora, che il marito doveva aprire tanto d'occhi, e, se si trattava di un;_, signorina, che il marito lo avrebbe e pescato subito>. Ci avvedemmo subito che questo del marito, o quanto meno della conquista amorosa, era l'argomento principale, e tutti i di~corsi, gira gira, finivano lì. Non si nominava una ragazza senza subito parlare delle sue possibilità ma• trimoniali e si tentava di stabilire una scienza, ben sicura, sull'arte di sposar• si, esattamente come i giocatori, a Montecarlo 1 studiano tenacemente una martingala. Intanto era venuto il nostro turno. Un garzone giallognolo, con il sorriso leggermente falso e pauroso che assu• mono gli uomini vivendo in regime di matriarcato, ci lavava i capelli e i discorsi ci arriv"':ano attraverso nuvole di acqua schiumosa. Ora si parlava di due sorelle, Laila e Matilde, una delle qu:,,li era fidanzata, l'altra no. Matilde aveva fissato un appuntamento per le sei, spiegava Luciana. Difatti, poco dopo arrivò un:,, pacioccona quarantCn· ne, e tutte gridarono : « Cocca, cocca bella! Come sta bene, pare un fiore >, e qua e là. La manicure le prendeva le mani, quasi teneramente, per darle la lacca, Luciana le prometteva i riccioli ; la madre di Luciana, si capisce, mariti. Capitò poi un3 ragazza molto giova.ne, con lunghi riccioli all'angelo, ca• nino al guinzaglio, bocca a cuore, e pclliccetta spelata: si era fatta un tipo zingaresco secondo tradizioni filmistiche: orecchini d'oro, cipria scura, movimenti bruschi: « Che scocciatura >, disse entrando, « che scocciatura >, e spiegò di avere incontrato la Santel· mo, « ma sì, la Santelmo è diventata grassa grassa, lavora all'Hungaria, ma chi~à, forse si sposa, era con un tale, bel ragazzo, un po' gagarello, ma tiice boy, proprio una scocciatura! >. Pareva depressa; la madre di Luciana le consigliò di e berci su un vennutti• no> e telefonò al bar. Faceva sempre più caldo, tutte parlavano insieme, non si capiva pili bene quel che dicessero. Venne un frate cap• puccino a chiedere l'elemosina, la ma• nicurc gli diede una lira e gli baciò devotamente il cordone. Dagli altri stan• zini si videro sbucare mani tese e setto i caschi delle permanenti ci si agitava per raggiungere con la bocca il cordone 1>0rtafortuna. Arrìvò il « vemmttino >, la ragazza lo bevve di un fiato, poi domandò se sapevtlno la novità : Gaby si era sposata, due giorni prima, con un giovanotto di Bari, senza dirlo a ne1;suno, e mi• ca pe' niente, ma diceva così che quando le altre volte annunciava il fidanzamento se sciupava poi tutto, glie pgrtava jella. Mica je do torto, ha fatto bene, più che bene, arcibenissimo >. Ora c'era nell'aria l'odore secco del F0n. « E poi ho visto Jack>, continuò I;\ zingara, « e mi ha detto chi' la Giusy è andata a stare in Africa, non so più se all'A5mara o ad Addic,: quella se sposa sicuro, vogliamo vedere. Laggiù 11ts.epo,.ano tutte, roba da pa?.zi>. Luciana dichiarò di aver fatto un ca. polavoro: diede l'ultimo colpo alla te• sta ros.sa della sua cliente. Quella si .i;uardò allo specchio raggiando e dis• se : « Sto proprio bene, mi sento in forma>. La manicure aveva mal di stomaco, non sapeva se era fame, oppure se quella brioscetta le era rimasta indigesta. Una signora in abito nero voleva la lacc..1.rosa pallido: « Fa più femminile >, spiegava. Poi cominciarono tutte a scambiarsi ricette di bellezza : chi adoprava latte di cetrioli, chi una crema americana, • e chi gli ormoni. Anche le m:'l.schere di zolfo, latte, burro, crusca, carne sanguinante, chiara d'uovo sono utilis• ~ime : ma certo bisogna tenerle tutta la notte, e i mariti ... Ma la zingara., amara, e tirando il guinzaglio di Buck, disse: « Va bene, va bene, ma intanto dove pesco sto marito?>. • Sembrava molto perplessa, certo si chiedeva ancora quali pettinature e quali vezzi fossc-roquelli giusti, e medi• tava di partir per l'Africa. Anche Matilde rifletteva; e Luciana, con il pct~ tìne in mano, e la madre di Luciana, dando il resto alla cliente rossa, conclusero poi che « gli uomini sono tutti scemi >, non capiscono niente, e solo le ragazze leggere hanno fortuna con loro. 11 garzone, unico uomo presente, si sentì duramente colpito, e con un ghi. gno crudele mi appuntò le trecce, poi accese una sigaretta e soffiò dalle narici una nuvoletta di fumo, volubile, malvagio: il ragaz7,etto Mariuccio ti• rò fuori dalla tasca una cicca, e lo imitò. IRENE BRIN BRUNO DARILLI BTILC 900 · "DOVE TROVI OliA OANCELL!TA PIÙ OOKODA Dt QUESTA?" {dli. di A. Bartoll) ( PALCHETTI ROMANI ) iì ,\ QUESTA colonna noi giudichiamo J!8 generalmente le opere teatrali e i loro interpreti; ma il \'ero dramma, la vera commedia, ia vera farsa stanno sul palcoscenico o in platea? Mischiati noi steui tra gli spettatori, gli occhi fissi sulla scena, troppo spesso di• mentichiamo che il vero protagonista a teatro è il pubblico; e quando stacchia• mo talvolta la nostra atteni.ione dal palcoscenico e la giriamo intorno a noi, ci accorgiamo con stupore che se quanto avviene sulla scena è poco confortante, meno confortante ancora è: quanto avviene in platea. Pcrchi tar.ta severità per quei p0veracci che sudano souo il trucco e la parrucca, e tanta indulgenza per quegli sfaticati che digeriscono in pohrona, e nemmeno in possesso sono di quel « diritto di fischiare > che, a testimonianza di Boileau, si acquista al botteghino assieme col b1glietto1 perché il biglietto loro non usano pagarlo? Cli errori del pubblico sono anche piò gra\i di quelli degli altri. e SI' le condizioni della drammaturgia sono qucllr- che noi tutti conosciamo, la colpa è meno di chi scrive e di chi recita che di chi ascolta, dei suoi gusti banali, della sua insistenza a-imporli e a farli trionfare, della sua pigrizia mentale, della ma incapacità di superare gl'istinti più bassi, della sua osti• nazione a incoraggiare il peggio. Durante i cosiddetti « ludi neroniani>, ossia le lunghe declamai.ioni poetiche che Lucio Domizio Enobarbo dava nel suo tea• tro flore-aie sul Tevere, miUti in armi collocati a tutte le porte impedivano al pubblico di abb:i.ndonare il teatro prima della fine dello speuaco\o. Non diciamo dì tornare ai sistemi di Nerone, ma per un migliore avvenire del tea• tro proponiamo di costringere gli spettatori che manifestano il desiderio di assistere a una rivista come questo Swing baby WJint che il negro Harry Flcmming presenta sulla scena del Quirino, ad ascoltare prima e tre volte di seguito la Muope del Maffei e altret1ante volte l';.fristodemo del Monti. Il manifesto che prometteva uno spettaco~ di varietà, sortì in noi un effetto felice, e benché meui in sospetto dal titolo inglese, che come tanti modi stranieri usati in Italia poteva non essere se; non il nascondiglio di un trucco, movemmo veno il Quirjlo pieni di liete speranze. Nel varietà, ossia in una forma che •associa la fanta$ia più libera e i più sorprendenti contrasti, noi "ediamo il solo avvenire del teatro, con altrettanta sicurezza quanta peraltro d fa negare alla commedia borghr~ ogni possibilitl di sviluppo. Il teatri) era gremito benché i prezzi fos• scro quasi raddoppiati, e i pii\ celebri c. por• toghesi > questa volta si umiliavano in fila davanti alla lunetta del botteghino. Quale fucino attirava quel pubblico? Quale fon.a lo determinava a pagare? La « ragione > del teatro per molta parte sta in questo, che lo spettatore vede at• tuati sulla scena i suoi desideri più se• greti, le sue ambizioni più riposte, i suoi più misteriosi sogni: amore, conquiste, grandi gesta, morti glodosc. Quale « sogno dello spetlatore > attua Swint bab1 swin1? ... H più grande sogno dei nostri gagà, che è di tingere di cantare in inglese con la voce nasale degli americani, dimenando le anche con ritmo sincopato e facendo crepitare le claq,uttu sotto i pantaloni a zampe d'elefante. Abbiamo detto più sopra che per un ne• cessario allenamento del nostro pubblico e l'irrobustimento delle sue facoltà., bisognerebbe costringerlo, prima di permettergli di assistere a uno spettacolo come Swint baby swing, ad ascoltare tré volte di seguito una tragedia di Scipione Maffei e una di Vinc"en20 Monti;, ma siamo stati troppo generosi: a spettacoli come Su:int bab1 swint, il nostro pubblico non drve assistere in nessuna condizione. Sotto la tenebrosa pelle del nt'gro, dietro il suo occhio bianco e tondo di stupore, c'è: un'anima musicale e sentimcntalissima, che con strazio intinito e tutto il pat'ios dell'asino che rag•tia, la bocca enorme, ro1s~ e oscena esprime. Nel negro c'è pure l'istinto ancora vergine del ritmo, ouia della creatura che non ha ancora separato il camminare dalla danza, la prosa rlalla poesia. L'anima nt':gra, Europa l'ha scoperta tra il 1 920 e il 1930, e in talune compagnie di riviste ncgl'<', come quella di Florcnce Mills, noi a11emmo la rivelazione del fa. bulismo dei negri d'America, del loro in• rant;\ismo. del loro pargoleggiare, delle voc.i d'usignolo delle loro donne, della mitena canina dc-gli uomini accoccolati a sera come tanti barbagìanni intorno alla marmitta vuota e al fuoco spento, e del loro canto sopra(tutto: canto nostalgico ddlo schiavo, pieno di un dolore disteso e rassegnato. Ma non queste nostalgie da notturni nella sav;ma, non questo pathos da fanciulli color cioccolata noi ritroviamo nei tre negri del• la compagnia Flemming, lui comprt"SO; ma il nes-ro petulante che ride come un.a tastiera di pianoforte, approfitta di una s1.:a breve superiorità sul bianco, prende confi. denta con le donne bionde mollemente sedute in poltrona, dimena sotto il frac il suo corpo di pantera e fa crepitare le claqueues davanti a una platea di d. nitografi ambiziosi, che sognano di poter fare altrettanto con quelle loro povere gambe costrette tutto il giorno sotto un tavolino. Al giardino zoologico, i visitatori• hanno una strana tc-ndenza a fermarsi davanti alla gabbia delle scimmie. La comicità ehe li seduce, è piena di tremendi sottintesi. Certi sguardi troppo curiosi al passato, è ~nt': evitarli con severità. E, ~e necessario, pul\irli. ALBERTO SAVINIO l, t-::0 J.ONCANESJ - Direttore responsabile KIZZOl.1 Il. C . ""· ~r 1·11,,., do,11• ',111 .. ,p,. • ,muv, Rll'KOUL;ZIO:-.1 FSM,UI l"E COS \IAl FKlr\U•, FOTOGR\FICO • Hì.RRA'-IA •·
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