ANNO Il • N. 20 • ROMA 14 MAGGIO 1938-X.VI J "INTERPRETAZIONE più e,atta dei & brindisi di palazzo Venezia, che concludevano un momento saliente dell'intesa italo-germanica, è quella che risulta dai loro testi, è quella che si riassume nelle proposizioni fondamentali di dominio pubblico e che possono anche apparire dei luoghi comuni. Anzi, la forza, la grandissima forza di una posizione politica o diplomatica è proprio nella sua capacità di trasformarsi in un luogo comune, universalmente accettato e condiviso. l caratteri dell'intesa italo-germanica, a parte la tradizione e la storia e la complementarità delle culture, perché la moderna civiltà nasce dalla fusione di elementi latini e germanici, sono da ricercare, per chi non voglia risalire troppo lontano, nella comunanza ideale che lega le due nazioni e nei loro interessi permanenti. È quanto ha dichiarato il Duce nel brindisi di palazzo Venezia. Si dice, con questo, che l'intesa fra i due paesi costituisca un • blocco ideologico• secondo la frase corrente? Affatto. Si dice soltanto e unicamente che Italia e Germania hanno, a differenza degli altri Stati, una comune linea ideale, una regola d'azione, un principio di orientamento in tutti i casi possibili, che va oltre le contingenze immediate della politica propriamente detta. È per questo che l'asse RomaBerlino n6n è una posizione diplomatica, ma una posizione storica. Uno dei caratteri dei regimi totalitari è appunto quello di muoversi sul piano della storia: nella politica interna come nella politica estera. Ed anche questo si comprende perfettamente, solo che si consideri che i regimi totalitari si richiamano ad una verità assoluta, che è un dato irrevocabile della tradizione nazionale e della coscienza individuale, anziché all'esperienza momentanea, che fa la medesima parte al bene e al male, alla verità e all'errore. Si deve a questa decisa volontà di attuare dei principi di ordine morale, all'inestinguibile idealismo che è comune alle due rivoluzioni, se sono cadute quelle ideologie dissolvitrici cui si riferiva il Duce, se dovunque la vita resiste all'insidia anarchica Mussolini e Hitler sono idealmente assunti come i condottieri della nuova storia. Basta questo a mostrare l'assurdità e l'intempestività di quelle interpretazioni dei colloqui di Roma, che trovano così largo crr .1to in una parte della stampa francese. Ci si domanda, fra l'altro, se l'asse RomaBerlino, di cui nessuno osa mettere in dubbio la saldezza, non potrà essere atte• nuato, o, quanto meno, modificato, dall'accordo italo-inglese e da quello francoitaliano in elaborazione. La stampa italiana meglio qualificata ha vigorosamente reagito contro queste insinuazioni, che sono, più ancora che il risultato della malafede, la conseguenza di una congenita incomprensione. Qualsiasi accordo con altre potenze non pub che raffor::are l'asu, qualsiasi intesa con l'Inghilterra o con la Francia non pub che ribadire i principi e i metodi dell'asse, perché si deve precisamente all'asse, alla sua capacità di azione e di reazione, se sono state possibili quelle chiarificazion.i che hanno portato ad una bene• fica distem1ione nelle relazioni internazionali. Il nuovo equilibrio europeo, quello che si va delineando e faticosamente attuando, è una conseguenza dell'asse. Il crollo dell'ideologia ginevrina, la disarricolazione della Piccola Intesa, ritornata alle sue legittime posizioni originarie, la sconfitta delte correnti comuniste nei paesi dcll'Eu.r-~")a danubiana, l'isolamento della Russia, che non riesce, né riuscirà alle co~- 11azìonimilitari con la Francia nono te siano contemplate nel patto francv so; la disfatta del bolscevismo in Ispagna, la revisione, da parte della Società delle Nazioni, delle antiche posizioni sanzioniste di fronte all'Impero, per ini• z1ativa della stessa Inghilterra, sono conseguenze dell'asse. Immaginare una qualsiasi eccezione all'asse Roma-Berlino è dar prova di una totale incomprensione di quelli che sono gli infallibili strumenti della nuova Europa. Esso ha dato all'Italia_ e alla Germania l'iniziativa, la forza d1 operare un nuovo equilibrio fondato sulla giustizia. Non ci può essere sicurezza, non si può parlare di pace quando non sia~o leal~ mente riconosciuu gh • elementari dmm di ciascun popolo a vivere, a lavorare, a djfendersi •; non si può parlare ~i s~lidarietà e di collaborazione se l'eqUJlibrio pohtico non corrisponde alla realtà delle forze storiche che lo costituiscono e lo determinano•· Questa volontà di giustizia ha creato un wmpatto blocco d1 cento e venti milioni di uomini, dal Baltico all'Oceano Indiano, • decisi a sal\'aguardare i loro eterni vitali diritti ed a resistere a tutte le forze che tentassero di opporsi al loro naturale sviluppo•. Quando ci si .muove su q~esto piano non sono possibili né gli equivoci né le riserve mentali, perché la diplomazia cede il passo alla storia, la politica alla legge morale. ,;-~") AOLO III FARNESE fu un iJ:r.' profondo intenditore di vini; lunghe conversazioni e assaggi avevano luogo negli appartamenti privati del Vaticano, in compagnia del bottigliere, personaggio dei più importanti fra quelli addetti alla sua ocrser na. Si racconta che durante un viaggio da Roma ad Avignone, essendosi Sua Santità fermata per circa due mesi in un convento in prossimità di Nizza, rifiutasse per tutto q~e.sto tempo di bere i vini della regione, ch'Es.sa reputava addirittura esecrabili. Ed è un vero peccato che non conoscesse il marsala, inventato ben due secoli più tardi, perché certamente avrebbe trovato posto tra J vini d'Italia giudicati da Paolo Jl I e dal suo bottigliere Sante Lancerio, manoscritto della biblioteca di Ferrara. Conosceva però i vini siciliani, e in quella operetta dovuta a tanto insigne collaborazione così se ne parla : « ... li bianchi hanno un colore bel• lissimo et odore grandissimo, ma come se li mo.stra l'acqua, subito perde il .suo prof umo et odore et ogni poca acqua l'ammazza. t, buono bere il ro.sso nell'Autunno, et il bianco alli caldi grandissimi. ?\{a hanno un difetto che alli caldi sobbollono et alli freddi imbalordiscono e mutano di colore, ma non già che si facciano forti, che alli tempi freschi ritornano nel loro pristi• no stato. Di tale vino Sua Santità non beveva se già non fosse stato del rosso scarico di colore, ancorché nel suo pontificato pochini venivano alla Ripa. ~folto meglio sono quelli di Palermo che di altri luoghi di quest'isola, sicché .sono vini da famiglia >. Bi~ogna aver letto il manoscritto per intero, per rendersi conto del valore di~pregiativo affidato alla qualifica di « ,ini da famiglia >. Eppure è da quc- .sti e non da altri vini che doveva na• sccrc quello noto da ormai più di un secolo, col suo colore cd odore particolare. Le dc~rizioni che se ne hanno, sono troppo tecniche, ahimé, per poterle paragorarc a quelle di Sante Lancerio il quale portava la materia a una interpreta-;,ione raffinata cd artistica; uno dicc:-difatti: « Il marsala è un vino che ha l'onore di ~irare per tutto -il mondo (."di c;urr~are il vino di Spagna alle mense di lm~. Ec;I\Oè ricco di ,;pccialc aroma ed ha l'alcoolirità media del 21 ,-:._ Però quc>lloprc>- parato per esserc:-c:-sportato in InghiltC'rra ha fino al 2~(', >. Ed Enrico Vi. 1.ctclly, altro competente ~cnza dubbio, _....,.,- .... .: ... il n .. SPEDIZIONE IN ABB. POSTAlE OUEBKA DI SPAGNA. FANTERIE NAZIONALI NEL SETTORE DI TBElilP I ma a.ssolutamentc privo di c.stro : « Il sapore, simile a quello dello Xères, l'aroma dei vini di Marsala - che richieèlono da due a tre anni per giungere alla loro perfetta maturità, nella quale divengono morbidi e raffinati di gusto - provengono, non ha dubbio, dalla somiglianza del terreno che li produce con quello dei vigneti di Xères, essendo ambedue un composto di carbonato di calce e di argilla, misto all'ossido di ferro. La credenza che il terreno .sia vulcanico ~ erronea poiché non esiste zolfo a cento mi~lia da dove na.sce il marsala». Ma tutte qm·- stc parole non pos.sono soddisfarci. e l'avvicinare il marsala al vino di Spagna crea in noi mille diffidenze. Che rapporto esiste infatti fra questo nostro vino, dolce e amaro a un tempo, limpido e ambrato, e quello che il bottigliere d; Sua Santità ripudiava, per essere .scuro, grasso e matroso (torbi• do), nocivo al fegato per il fatto che volendolo schiarire gli spagnoli lo addi1ionavano con polvere di gesso? Ma lasciamo andare, il paragone soffre del resto di qualche secolo di distanza. La nascita del marsa.la fu, come tutte le grandi invenzioni, dovuta al caso, e se anche quest'ultimo si servì di un inglese, gli clementi che lo compongono fanno talmente parte del nostro paesaggio, e i luo~hi che videro sorgere l'industria relativa sono tanto legati agli avvenimenti della nostra storia nazionale e alla nostra tradizione, che veramente c;i può considerarlo il pili italiano dei vini. La città di Mar.ala aveva avuto una vita ao;sai avvcnturo-:a, :ittravcrso i se• coli. Fondata dai pcla.sgi, col nome di Lilibco, fu as~ai celebre nell'antichità, com'cbbero ad insegnarci a scuola. E ~appiamo altresì che Scipione l'Africano vi si imbarcò per la seconda guerra punica, Giulio Cesare per il Giuba, e che Cicerone vi risiedette come quc• storc. Poi nel medioevo i ~ara.ceni se ne imposses<1.aronoe la chiamarono Man-cl-Allah, c~c vuol dire Porto di Dio. Questo Porto di Dio, nel I r;,q circa, fu colmato, per volere di Car• lo V. al fine di proteggere la citt.\ d, altre inruNioni. Ceno vi furono assai più avvenimenti di quanti abbiamo citati, ma noi non vogliamo fart dclla storia, ~e non per quanto conce-me il mar~ala. Vcr-:o il 1770, c>ccoc;barcarc a Marsala il signor John Woodhouse, figlio di un negoziante di Liverpool, il quale aveva soltanto l'intenzione di sviluppare il commercio di esportazione ver• so I' Inghilterra dei prodotti siciliani, con un particolare interesse per le ceneri di '§OCl.aM. a provvisto di uno spe• ciale fiuto commerciale, dopo c.sscr ri• masto sorpreso della elevata alcoolicità dei viui della regione, e della loro rassomiglianza con i famosi vini del Portogallo e della Spagna, questo speculatore intuì la pos.sìbilità di fabbricare un tipo ad imitazione del madera, assai apprezzato ,,1 Inghilterra, specialmente dai numerosi.ssìmi inglesi che si recavano a Funchal a ripristinare la loro salute. Inoltre, le condizioni economiche e politiche fra ·sicili:1 e In• ghilterra erano già molto strette, per quanto Gladstone non fosse nato ancora, e dovevano esserlo per molto tempo ancora. Tutto questo considerava John Woodhousc, il quale era un uomo piccolo e asciutto nella persona, con lineamenti a.ssai regolari cd im• passibili e una vivacità che solo a tratti si lasciava tradire dallo sguardo. Egli fece queste considerazioni, ma neppure doveva essergli sconosciuto :1 sistema di preparazione di quei famosi vini dc-I Portogallo, della Spagna e delle isole Canarie. né il fatto che sotto la medesima latitudine è po.ssibile produrre vini identici al punto da inf'"annare sulla loro origine anche i nil1 esperti conoscitori. Ora Marsala, Cadice e Madera, oltre che trovarsi quasi alla stc,.sa latitudine, hanno la ste,;sa temperatura e le condizioni del terreno, e la natura delle vigne che si coltivano nei loro territori hanno la caratteristica comune di produrre vini fortemente alcoolici, quasi naturalmente liquorosi. Così la prima .spcdi7ione si crede sia avvenuta nel 1 771, e consisteva in un carico di settanta pipe, cioè duemila ottocc>nto ettolitri di mar-:ala, a mezzo del bastimento Elisabttta appartenente a fohn Woodhouse. Questi aveva ag-. giunto al vino una certa quantità di alcool, poco più di due litri per etto• litro, prr maggior gara.mia drlla ~ua con"frv,11.:ionc durante il viag:gio che allora era assai lungo. li ,;ucCC''i'if0u completo, e allora John Woodhouse si mi~c c;criamcnte a.I lavoro. Al momento del suo arrivo a Marsala, la roltivazione dc-Ila vite era ancora poco este~a, poi, hé h popola- -;,ionc conc;idrrava assai più redditi1ia e semplice quclb dell'ulivo e del sommacco, e la classe dei contadini era molto povera, così Woodhouse dovette operare una vera e propria trasformazione nell'economia agraria del territorio. Cominciò con l'anticipare capitali allo scopo di sviluppa.re l'impianto dei vigneti, mentre nello stes.so tempo i contadini s'impegnavano di vendere a lui soltanto l'uva o il vino, beninteso al prczro ch'egli stesso avreb~ be fissato volta per volta all'epoca del raccolto. Prese in affitto molti magazzini, soprattutto nelle campagne, per il deposito dei vini, e nel 1796 comprò la vecchia tonnara. nei pressi dell'antico porto del Cannizzo, di proprietà di Giovanni Lombardi da Tra• pani, la quale era stata costruita nel 1770 ed abbandonata da diversi anni « poiché soggetta alle traversie dello sirocco », secondo quanto afferma un vecchio cronista marsalese. La tonnara fu dunque trasformata in stabilimento per la produzione del vino marsala. ln sc~uito Woodhousc acquistò altri magazzini dai Pad1; Minimi che avevano il convento lì vicino, poi in città, nei pre~i della piazza del Carmine, dove veniva depositato il vino già. pronto per la vendita. La prosperità continua della nuova industria indicava chiaramente come il marsal.i avesse incontrato il gusto degli inglesi, i quali lo avevano decretato il vino alla moda, e veramente fu tale la sua rinomanza. che il governo britannico ordinò che la flotta del Mediterraneo, sotto il comando del contrammiraglio Nelson, ne venie;~ provvi~ta. Si conservano ancora i contratti, uno dei quali è « ... una convenzione fra l'onorevole C. A. Horatio Lord Nelson 1-B. duca di Brontc in Sicilia, ecc. ccc., con fohn e Guglielmo \Voodhousc, negozianti di vino marsala, in Palermo il 19 giorno dì marzo 1800, per fornire le navi di S. M. nella rada di Malta di 500 pipe del migliore vino marsala, cd essere consegnato libC'rodi nolo e di ogni altra spc-sa o;cnza perdita di tempo, ad uno scellino e cinque pence di c;tcrlina, per ogni gallone, mi\ura <li vino, cd essere pagate in cambiali sui Commis.sionari per il vettovagliamento dclla flotta di S. 1'{. alla consueta data e firma dei pagatori dei ba~timenti di S. M. ai quali il vino sarà stato consegnato, e nel ca~o che i fusti siano trattenuti con il vino, sarà aomentata una spe.sa addizionale <li una sterlina per ciascuna pipa :t. Nelson vi aggiungeva una clausola di suo pugno : « Il vino dovrà essere consegnato quanto più speditamente si può e tutto essere consegnato nello spazio di cinque settimane da quella data. Una scorta verrà concc.ssa. per il bastii;ncnto da Marsala, ma ogni rischio a carico dei signori Woodhousc >. In una lettera diretta al vice-ammiraglio lord Keit, dopo averlo informato dell'acqui.sto fatto, l'eroe dc? Nilo e di Abukir scriveva: • Non credo sia un cattivo affare. Il vino è co.si .buono che può figurare alla mensa di qualunque signore». Sette anni prima egli era giunto a Napoli, comandante dell'A,tamemnon, e subito era stato preso dalla fatale passione per Emma Lyon divenuta lady Hamilton per aver sposato l'ambasciatore inglese presso la cort'! borbonica. Ora tutto lo inclinava a gu• stare in particolar modo le bellezze naturali del nostro paesaggio e del nostro clima, scoprendo in ogni angolo il ricordo del suo grande amore. Nel frattempo, \-Voodhouse ritraeva grandi guadagni, come ognuno può immaginare, dal successo della nuova jndustria, e questi guadagni non mancavano di adombrare il municipio di Marsala, le cui finanze vC'r.savano in condizioni piuttosto tristi, a tal punto che questo decise di far richiesta al governo centrale di Napoli, di Ferdinando JV, affinché ad ORni ettolitro di vino esportato per via di mare fosse applicato un dazio di uscita di qua• ranta centesimi. e cioè di quattro tari per ogni botte di 412 litri. Ma la pre~ ghiera non venne ascoltata, poithé mentre da una parte il governo dei Borboni doveva molto al commer• ciantc inglese, dall'altra il re era pur sempre quel Ferdinando IV, l'uomo in malafede che molti anni dopo Gladstone così definiva in un Camo.so discorso alla camera dei Lords: « Non è necessario rifar.si tanto indietro, riportarsi ai ~forni di Ferdinando IV, per vedere che la violcn1..a e la frode (due cose cattive ciascuna per sé, ma orribili quando si uniscono} erano gli strumenti del crovcrno napoletano. Co• minciamo dai tempi del defunto monarca. Non è forse noto che, se mai vi fu un uomo spergiuro al cospetto del Ciclo e della terra, questi fu appunto il defunto re di Napoli?». Ma certamente il grande uomo politico non pronunciava quçste roventi parole a proposito del protezioni,;mo del governo napoletano in f avorC' dd commerciante ingle'se di marsala; egE
aveva delle mire ben più vaste, e .se amava il nostro paese al punto di sostenere le più vivaci discussioni con Disraeli o lord Bowycr, non era soltanto per un ricordo ~entìmcntalc. Ma prima che venissero i grossi guadagni, l'inizio dell'industria del marsala era stato assai duro per Woodhousc, e gli era costato non pochi sacrifici. In una lettera dell'epoca leggiamo: e ...per tutti i mezzi di trasporto, dovtva pensare personalmente l'interessato. con una flottiglia di velieri, i quali per la guerra peninsulare venivano tante volte bloccati dalle navi francc~i cd anche algerine, non solo, ma soggetti a quarantena durante il periodo della peste del 1813, così che tante volte un veliero in arrivo doveva sostare due mesi fuori di Trapani, e l'equipaggio doveva essere fornito di viveri dai contrabbandieri. I velieri dovevano essere muniti di mezzi di difesa e cioè di cannoni. La posta stava alla mercè dei velieri, oppure doveva essere mandata a Palermo da qualche corridore». Woodhouse si adoperò sempre moltissimo per assicurare la vita dell'industria. da lui creata, e a tale scopo aveva impiantato nell'isola di Malta una grandiosa succursale, e acquistato a Mazara del Vallo altri magazzini e terreni che faceva coltivare a vite per suo conto. Bisogna anche riconoscere a suo onore che sempre manifestò con opere di pubblica utilità la sua riconoscenza verso la città che gli aveva procurato un lavoro così imponante: diede inizio alla costruzione di un molo nel porto, che doveva costargli circa quarantamila scudi, e della strada che dalla città conduce al porto; poi, in un periodo di carestia, provvide la popolazione del grano necessario. John Woodhousc aveva avuto come collaboratori i· fratelli Guglielmo e Samuele - il primo dei quali eseguiva i carichi del vino esportati all'estero - e due maestri bottai, soli stranieri di tutto il personale. Ma pare che questi due incontrassero poca fortuna sul nostro suolo, se vogJiamo credere ad una cronaca dcll'epoca 1 poiché uno, Giacomo, mori dopo poco tempo e « fu seoolto in una grotta vicino al convento dei Padri Minimi, non essendogli permessa sepoltura ccclc:-iastica, come di crrdcnza da noi separata >, mentre l'altro. di nome Tomaso, veniva derubato, il I g gennaio del 1800, di onzc centoquaranta, pari a lire 1 7851 somma invero « tcnuissima, incalcolabile avanti le dovizie del padrone>. L'inventore del marsala morì nel 1826, A Palermo, intanto 1 sul principio del secolo, si era costituita un'imprc,;a commerciale a nome di Beniamino Jngham, nativo della contea di York, con l'intento di introdurre in Sicili:l le manifatture inglesi. Capitato per caso a Marsala, in un momento in cui tutta l'Europa era chiusa al commercio inglese a cau~a del blocco continentale, e già al corrente dell'attività commerciale del suo connazionale, Ingham compr<'sc che il campo non era ancora completamente sfruttato. Di temperamento meno empirico e più speculativo di fohn \Voodhouse, si accinre subito a dare un carattere più razionale all'industria del marsala. Incominciò col mandare in Spagoa e nel Portogallo un tecnico a studiare a fondo i processi di fabbricazione di quei vin!, per poter così rendere ancor:t più perfetta la somiglianza del vino siciliano con quello di Madera, ma soprattutto per conoscere meglio i sistemi di .. vendita, di réclame, ccc., usati nelle bodegas di Xércs. Indi verso il 1812 fondò a Marsala un suo stabilimc-nto, in concorrenza a quello del suo predece~'iOre. OMNIBUS IL 0AMT0 DELLA 0BEIS0U La sua preoccupazione fu di far partecipare al nuovo indirizzo tecnico anche i piccoli produttori della campagna marsalese e, allo scopo, compilò e diffuse alcune Bu:vi islrudoui per la vtndemmia all'oggetto di migliorare le qualità dei vini. Si trattava di precauzioni fino allora trascuratc 1 come per esempio di tenere le viti sollevate dai suolo per evitare il gusto di terriccio comune ai vini siciliani, di fare il raccolto in due volte anziché in una di modo che non si trovasse mescolata uva matura con altra ancora acerba, poi istruzioni particolari per la fermentazione dei mosti. Fondò una succursale a Vittoria, visto che i raccolti della regione erano oramai insufficienti ai bisogni di materia prima, e vi sistemò un enorme alambicco per la distillazione dei vini scadenti. La moglie di Alberto Mario1 la coraggiosa Jessie White che aveva seguito l'intrepido giornalista liberale in tutte le peripezie delle battaglie politiche, della prigione e dell'esilio, in un suo scritto sui prodotti del suolo in Sicilia dice che se a Woodhouse spetta il merito dell'invenzione, a Beniamino Ingham sono dovuti gli studi che portarono l'industria del marsala alla perfezione attuale, e sono ancora o~gi g:uida opportuna alla fabbricazione razionale del famoso vino, « che non è propriamente un vino e non è neppur<' un liquore>. Era un uomo sicuro del fatto suo, di fattezze re~olari cd austere incorniciate da una barba curiosa che si svolgeva da una tempia all'altra passando sotto il mento. L'incremento più vali• do egli lo diede soprattutto alla esportazionç, impiegando i propri bastimenti, fra cui si ricorda il Sumatra, e facendo penetrare il marsala nel Nord e Sud America, in Australia, dovunque insomma. Lo aiutarono in un sì poderoso lavoro i nipoti Giuseppe Whitakcr, Beniamino e Giosuè: lngham. Giosuè fu l'ultimo superstite, e dopo di lui la dit- !a Ingham-\.Vhitakcr passò ai suoi fiRli, Giosuè, Giuseppe e Roberto, nel 1884. Ma prima di terminare la serie di questi inglesi accampati nella nostra isola a far fortuna, bisogna ancora fare alcuni nomi strettamente uniti alla storia del marsala. Prima di fngham, quasi nello stcs5o tempo di Woodhome, nei pressi di Marsala era venuto a installarsi un certo Pcink o Payne, venditore di prodotti del suo paese ...._cominciavano tutti così - ed esportatore di merci locali. Anche questi volle iniziarc;i all'industria del vino, insieme a un suo collaboratore, Jamec; 1-lopps, ma per brevissimo tempo, poiché finì per cedere l'impresa al suo connazionale Mattia Clarkson e si trasferì a Marsala senza lasciare altre tracce di sé. Dal canto suo, James Hoppc; doveva fare fortuna. Giunto a J\.farsala al principio del secolo, nel 1837 era già in grado di costruire per proprio conto uno stabilimento avente per insegna un grappolo d'uva. Poi gli credi mutarono spesso l'antica ragione sociale dell'impresa. Nato a Bagnara, in Calabria, Vincenzo Florio fu condotto a Palenno lo stesso anno della sua nascita, cioè nel 1 799, poiché suo padre per ra~ioni di commercio vi si trasferiva. Rimasto orfano ancora ragazzo, fu allevato da uno zio1 che a partire dal 1818 lo assunse come socio chiamando la ditta Ignazio e Vincenzo Florio. Quest'ultimo, na10 evidentemente con la besse degli affari, volle subito appagare la sua sete di conoscere i maggiori centri indthtriali dell'epoca, e nel gìro di pochi anni viaggiò fra Genova, ~farsi• _gliae Londra, creando relazioni di affari con la propria impresa. Di ritorno in Italia, o per meglio dire in Sicili:1. non essendosi ancora effettuata l'unità sospirata, si mic;cd'impegno ad attuare i piani di cui aveva _gettate le bac;i durante la dimora all'estero. Attivò un vasto commercio di esportazione e diede un indirizzo razionale :1lla pcsc,1 e al commercio del tonno, comperando e prendendo in affitto le principali tonnare della costa. Infine nel 18~2 diede inizio in Marsala alla costruzione di un enopolio per l'indu,tria del marsala. « Ci voleva il genio commerciale e l'ostinato coraggio di Vincenzo Florio>, commenta ancora Jessic White Mario, « per piantare in mezzo ai due colossi uno stabilimento; e fu vera pertinacia la sua, poiché per venti anni il capitale investito non gli fruttò un '101do e, per molti anni appresso, solo il 2%. Egli non se ne ritrasse e alb fine riuscì in questa come in molte altre imprese>. Doveva finire per stringere amicizia con Beniamino Ingham, e insieme a lui fondare una società anonima di vapori siciliani, fra i quali il Palumo, e con questa alleanza diedero ancora un maggiore impulso alla esportazione del vino. Michele Lcssona, nel 186g, scriveva a proposito dell'attività di Florio alcune parole riferentisi all'industria del marsala : « ... t ricercatissimo quel vine in ogni parte del mondo, e con ragione tenuto caro sopra tutti, nei lunghi via.~~i, siccome quello che in quantità minore ha più forza. Ad agevolare lo spaccio. Florio aperse depositi dei suoi vini a Castellammare, Vittoria, Alcamo, Campobello, Castelvetrano, e tanto ampliò questo suo commercio, che ormai si ragguaglia ad un cinque milioni di capitale>. Vincenzo Florio divenne anche un grande armatore, e per le sue benemerenze fu nominato senatore di Palermo anteriormente alla rivoluzione dd 1848, poi nel 1 86.i. senatore del rc~no. Suo figlio Ignazio gli successe nella direzione degli affari, portando la flottiglia a un centinaio di unità, fondendola nel 1881 con quella del genovese Rubattino, e dando origine alb Navii?azione Generale Italiana. Sviluppò ancor più l'industria del tonno, una fonderia ad Orotea, e infine lo stabilimento vinicolo. Oopo di che fu fatto anche lui senatore nel 1881. Quando l' 1 , maggio del 186o Garibaldi sbarcò a Marsala coi «mille>, sotto la minaccia delle fregate borboni• che comand,uc da Caracciolo e Acton, due navi mercantili inglesi ba~navano nel porto rendendo assai difficile la mira. ,Per finire qualche colpo partì, ma frriva soltanto alcune botti di marsala nello stabilimento di \Voodhousc 1 confermando ancora, e que~ta volta per la storia, il buon augurio port:no dal vino sparso. In realtà il marsala è un vino felice, può piacere o meno, questo dipende d:i.i gusti, ma è un fatto che fin dalla sua invenzione csw portò sempre fortuna a tutti quelli che se ne interess.uo• no da vicino. Woodhouw, Jn~ham, gli devono grandi ricchrz7c1 il primo per averlo creato, il secondo per averlo mi- ~lior:1to e fatto conoscere in tutto il mondo, e per quanto riguarda i Florio, i quali ebbero il merito di restituire all'Italia l'industria di quc~to suo pro• dotto, anche a prescindere dall'affermazione del Lcssona1 vecchia oramai di una settantina d'anni, di una cifra distanziata oramai di gran lunga, noi abbiamo abbastanza sentito parlare dei gioielli di donna Franca pn potrr avere ancora qualche dubbio al riguardo. L'ADDETTO ALLE SCHEDE Sette massime Nella rivista americana Liberty dello '<"orw marzo si leggono le selle massirne che, .secondo una studentessa americana, dovrebbero costituire il codice delle nuove gene• razioni. 1) Fai sempre ciò che ti piace. 2) Desidera sempre ciò che non potrai ot• 3) Segui i tuoi istinti: Klno tuoi e nessuno può biasimarli. 4) Se ti càpita di dover fare un:\ cosa che non vale la pena. di fare, non la fare. ~) Non preoccuparti di domani, tanto arriva sempre. 6) Non puoi fidarti nemmeno di te steuo, quindi perché fidarti degli altri? 7) C'è tempo e luogo per tutto, Questa sorta di scetticismo, la conosciamo da tempo: il più delle volte nasconde una timidezza e una ingenuità da ragani. Se andate in provincia, non mancherete di incontrare lo scettico local1: che vuol < vivere >, che vuol < seguire gli istinti > e sai• tare ogni convenzione sociale. Lo scoprirete al caffè di piazu: la sua s1oria è breve e finisce con una Balilla di cui non sa. comepagare la .seconda rata. Costumi Il costume americano di linciare i negri colpevoli di ohraggi con1ro donne bianche è stata una vera manna per migliaia di persone che, altrimenti, sarebbero panate nella vita .senza mai provare un autc-ntico brivido. Dal 1882 (anno in cui si cominciò a serbarne una qualche traccia) si sono avuti negli Stati Unili più di 5000 linciaggi, quasi tutti organizzati come grandi spettacoli, con treni speciali e col concono di folle enormi. I < rirordini > dei linciaggi sono stali sem. prc molto ricercati. Prima di tulio la corda, che viene tagliata in pencttini, o"a di qualunque specie e ciocche di capelli sono tra i ricordi più apprezzati. Fra le impiccagioni recenti, la più e interessante > è stata senza dubbio quella dell'in\'crno 1935 a Smithland, Kentucky, William Dc Boe, un vagabondo ventiduenne, assalì. e derubò su una pubblica strada la signora Marjorie John•on. Uomini, donne e bambini arriva• rono da un raggio di molte miglia all'intorno per vedere l'impiccagione. Lo sceriffo, che aveva preso l'assassino in simpatia, gli permise, com'era. suo desiderio, di a1ringare la folla, Ira cui si trovava la ,,i11ima, la signor.a Johnson. Trascinato dall'eloquenza, Dc Boe arrivò a un certo punto a dichiarare che 500 doJ. lari sarebbero ba.1tati a compensare < qua. lunquc perdita soffer1a dalla signora>. Que- .1t'ultima s'infcr~ì: <No! > gridò, perduto ogni ritegno, < nemmeno nulle! >. Assistl",a ali'csccuzion(' di De Boe uno strano e affascinante personaggio, un certo Phil I lanna che nel reparto impiccagioni rapprrsen1a ciò che Toscanini è per la musica. llanna è un coltiva1orc-gen1iluomo del. l'Illinois rhc è stato t('Slimonio, .1e non esecutore diretto, di circ..a 65 esecuzioni. Aven. do "isto qualche anno fa strangolare in modo indecente un condanna10 per via di un capestro direttoso, offrì i suoi servizi (fu la prima occ:uionc che gli sì presentò) allo sceriffo di White County, Illinois. Da allora Phil llanna non ha mai accettato denaro, nemmeno per le spese, e i suoi capestri sono s('mprc risultati perfotti. Chiede una sola ricompensa: lo .urumcn10 dcll'esccuz.ione ; ha potuto così mellcrc insieme nella sua ca.1a uno splendido musco che mostra con orgoglio ai frequenti visitatori. L'ultima impiccagione nell'Illinois (dove ora funziona la sedia elettrica} fu quella di Charlcs Birger nel 19~8. Phil Hanna, chie- •to e ricevuto dal condannato il perdono per ciò .che faceva, gli annodò il capestro al rollo, Birgcr strinse volentieri la mano a Hanna, ma rifiutò quella dello sceriffo, inearic:ato di aiprire la botola. A. G. fi' 'ITALIA ha per il Giappone senti• ~ men1i di viva e cordiale amicizia. E più v:t~ s~~s~~~c c~ltn~:•ni~~~i:;;o ,:v~: stra ammirazione per la nobile nazione nipponica, per la grandiosità della sua politica, per l'eroismo del suo e.1crcito, per il senso religioso che essa ha della sua missione storica. Ma dobbiamo, ora, obiettivamente consta.- tare che 13. guerra in Cina, per aie.une settimane, ha proce-du10 in senso non favorevole alle armi nipponiche. Premesso chc il valore dell'esercito imperiale è fuori di discussione e che ll soldato giapponc-.sc si batte oggi in Cina come si è battuto sempre, e cioè eroicamente, sembra che il mutamento d.i fortuna fouc da imputare alle seguenti ragioni. Prima di tutto, più l'esercito giapponese avanza e più le sue linee di comunicazione si allungano; e più le lince si allungano, più diventano vulnerabili. [n secondo luogo le truppe cinesi hanno ricevuto notevo 1i rifornimellti d"anni e di munizioni dalla Russia e for.sc anche da altre potenze In teno luogo sembra che cnt" siano, ora, auai meglio comandate e dirette d, qud che fos. .scr◊ al principio delle os1ilità, e anzi è corsa la \-OCC che il comando cinese fosse assistito da ufficiali tedeschi e che il Giappone aves5e fatto delle protes1e a Berlino. Ma la ragione principale e di gran lunga più importante è che il Giappone ha souovalutato l'av,•crsario e ha mandato in Cina un esercito troppo piccolo per un compito immane. Prima di andare avanti nei commenti, cen::hiamo di renderci conto di quel che è avvenuto nelle uhime .1e1timanc. NELLOSCIANTUNG fi' I\RTERIA vitale della Cina è la lil!J nea ferroviaria che va da est a ovest, detto Lung-hai, perché parte da Haiciau sul mare e penetra nell'interno attrav1:rso le montagne Lung nel Kansu. Essa è, attualmente, l'unica via attraverso la quale i cine.1i possono ricevere armi o munizioni dalla Russia. A Hsuciau, o Suciou, questa linea si incrocia con !"altra che va da nord a sud e propriamcnle da Pechino a Sciangai. S'intende, quindi, l'importanza vitale di questo nodo ferroviario. Dalla fine di marzo ad oggi cine.1i e giapponesi hanno combattuto quasi senza tregua per il posSC$SO della ferrovia Lung-hai e spccia\m('ntc del nodo ferroviario di Suciou. Non è facile rendersi conto di come .1iano e$3llamente andate le cose, perché i comunicati ufficiali sono estremamente contradittori, perché la ballagli:.. si è fraz_ionata in più battaglie e, infine, perché la sor1e è mutata più volte, sicché a volte, mentre !"una pane si proclamava vincitrice, l'altra già a\'eva riconquistato il 1crreno perduto. Alla fine di marzo i giapponesi annunziarono di aver preso Taierciuang. Esatta• mente la avevano attaccata il 'l5 marzo e vi eranc entrati due giorni dopo, in seguito a aaanitissimi e sanguinosi combattimenti; più di centomila cinesi er:mo in fuga verso sud, inseguiti dagli imperiali. Taicrciuang dista appena ,en1i mìglia dalla ferrovia Lung.hai e 45 da Suciou. E poiché i giapponesi avevano pass.ato il Grande Canale a occidente, nel Kiang.1u, la città di Suciou veniva a trovani in una situazione estremamente precaria, se non disperata, in quan10 i giapponesi la minaccia, ano da ovest, da nord e da sud. Ma era stato appena annunziato questo successo giapponese, e già l'iniziativa era passata ai cinesi. Anche il loro sfono si concentrò su Taicrciuang e, dopo una dic. cina di giorni di lolla .asprissima, con un a.ssalto notturno, riuscirono a riprenderla. Ulteriori informazioni di fonte cinese, ri• portate dal Tim1:s, annunziarono che i giapponesi avevano subito gravi perdite, che ora si ritiravano in gr.an disordine verso Yihsien, a 50 miglia a nord nord-est di Suciou, abbandonando molti carri umati c mitragliatrici. I cinesi proclamarono che l'offensiva giapponese contro Suciou era definiti\ amente fallita, che la loro vittoria era <decisiva >. Mentre questi fatti a,,venivano sul fronte propriamcntt: detto, bande di irregolari CÌ· nesi conducevano una guerriglia accanita alle spalle dell'esercito nipponico: u.1alivano i 1r,~por1i, int('rrompcvano le strade, a.1porta,. 110 i binari delle ferrovie. I piccoli posii giapponesi erano assali1i o assediati; .1pcsso bisognò rifornirli per mezzo di aerei. Varie cillà o "illaggi furono più volte perduti e ripresi dalle due parti. Al fronte gli avv("nimcnti precipitavano. I cinesi in~eguirono il nemico fino a Yihsicn e il 1 2 aprile iniziarono il bombardamento e !"attacco. Mcn1re la città bruciava, i cinesi venivano all'assalto a ondate, una dopo l'altra, I· giapponesi li accol.scro a raffiche di mitragliatrici ; ma alla fine cominciarono a direttare di muni1ioni. Furono riforniti da aeroplani. La situazione diventò tragica: per un momcnlo sembrò che tutto l'esercito giapponese ddlo Sciantung do• vc.uc cadere nelle mani dell'avvcrs."lrio. Finalmentl" giunsero rinfor1i ai giapponesi e i cinesi dovettero desistcrl" d3l proposito di impadronirsi di Yihsicn. LA GUERRIGLIA ~ \NCORA una volta., nel giro di po• l!) chi giorni, l'iniziativa delle opcrazio. ni passò dall'una parte all'ahra. li 19 aprile, ollantamila giapponesi, divisi in più colonne, muovevano all'offensiva. L'ala siniura, dopo 24 ore di lotta accanita. si impadronl di Linyi e a.1salì Tauceng. Quindi questa colonna si ricongiunse con le fon.e provcnicnt~ da Yihsien e, insieme, assalirono di nuovo le posi7:ioni cinesi di 1 air-rciuang. I cinesi si batterono disperatamente, contendendo il 1c1rcno al nemico passo passo. La battaglia si prolungb pc1 più giorni, accanita e sanguino.1iuima. Alla fine il Timu pubblicava una si'('nifica1ivl'I corrispondf"nza del suo im iato speciale presso il comando generale cinrsc di Taicrciuar,g: e L'offensiva giapponese nel settore di TaiC'rciuang ha perduto la sua fona di impulso. Sembra che l':1lt0 comando giapponese abbia ripetuto l'errore di sottostimare le proporzioni del compito, che incombeva alle sue forte >. Subito dopo, il 5 maggio, il corrispondente d('I Doily Teleiraph da Hong-Kong, 11ulla base di notizit' che dl"finiva < indubbiamt"nte allendibili ,. e cht' aveva ricevu1c dal fronte, anuunziò una nuova grande \'illoria eìne\e $('condo quel eorrispondl"nte, quando l'offcnsiva giapponese era giunta a un punto mono, Ciang Kai Scek aveva ordinato di allaccare irnmediatamcn1c e aveva lanciato ottocentomila uomini alla controffensh•a. Il fronte giapponese era stato rotto a Taierciuang, a Tauccng e poi in più punti; alla fìnc tutto l'esercito 1mpcrialc era stato CO· stretto alla ri1irata. I cinesi a\•e\·ano avanzato per una profondità di 15 miglia e su una larghcu.a di 100 miglia. Queste notizie, poi, non $0nO state confermate. Quel che, invece, .1cmbra certo è che la guerriglia è diventata ancora pìù intensa cd audace. Il generale Ciu-Teh, detto il < Napoleone rosso>, ha raggiunto po\izioni a cinque miglia da Pechino. Altre fori.e irregolari cinesi $000 apparse a Rttc miglia da Nanchino. Infine, al momento in cui scriviamo, i quotidiani annunziano che i giapponesi, avendo ricevuto grandi rinforzi, hanno ripreso l'offensiva nello Sciantung, hanno tra.- volto la prima linc-a cinese e sono giunti in pros~in,i1à della linea ferroviaria Lunghai. Se così fosse, la crisi dell'offensiva nipponica sarebbe superata. IL GIAPPONE VINOERÀ fl • \NNO SCORSO, in settembre, seri- ~ vcmmo su queste colonne un articolo sul conflitto cino-giapponcse, che potremmo riprodurre oggi a comrnt-nto degli uhimi avvenimenti. Rilevammo, in qu('U'articolo, che in Estremo Oriente sta,•a accadendo \m fatto nu<r vo e importanf:ssimo: il popolo cine.1e, SOito la prcuionc dl"ll'aualto nipponico, andava riacquis1ando amor di patria, attitudine alle am1i, coraggio; in una pa• rola ritrovava in .e ues$0 virtù, che sembravano fouero in esso spente per sempre. Finora la Cina non si batteva. Era forse il paese più pacifico del .mondo: pacifiche le sue religioni, pacifica la .1ua civlhà, pa• cifica la sua storia. I suoi saggi avevano deplorato e maledetto la guerra con parole veementi. li popolo voleva ad ogni costo vivere in pace e spregiava il mestiere delle armi. Tutto ciò è mutato. I cinesi \i battono con valore e difendono il suolo della loro patria a palmo a palmo. Questa profonda trasforma,.ionc, scrive. vamo in settembre, è solo in p<1rlt' opera di Cians Kai Scrk. PC'r una parte "u:ii più qrande è 0l)f'ra elci Giappone. t. il Giappone che ha co,trctto la Cina a diventare guitrrit"ra. Il t'a.SO non è nuovo nf"lla stt' ,a. Furono le guerre di conquista di i\'apolconc che destarono in Gr-nnania, in lspagna e altrove, quei sentimenti naz.ionali, che dovevano, poi, abbattere Napoleone . Quali conseguenze poua avere nel lontano avvenire questo risvrglio di un popolo di milioni di anime non è possibile prevedere. Ma le conseguenze sul conflitto in corso sono già in parte manifeste. 11 Giappone vincerà: n1a a costo di una lotta durissima ... La Cina è ricca di molte materie prime ; ma di nessuna è cosi ricra come di uomini. Questo materiale umano, ieri, .1ul mercato internazionale val('va uro: perché il wldato cinese non si b,u. te\'a. Oggi, invece, esso è e ri,•alutato >- ln una parola, questo popolo di centinaia di milioni di anime può essere uno .11nimento formidabile nelle mani di un'abile politica antinipponica: per esempio, russa o, anche, inglese. La forza di rc.1istcnza cinese, se convenientemente alimen1ata con rifornimenti stranieri di armi e di munizioni, può divcntarr- praticamenre inesauribile. l ·occasione è troppo buona perché i Soviet non ne profi1tino. E forse non solo i Soviet. E questo è il pericolo. L'ESPERIENZA 'i"J\\ OPO OTTO mesi di guerra, hon abl!!,/ biamo da modificare una parola. Noi stimammo fin da allora al giusto valore le proporz.ioni e le difficoltà dell'impresa alla quale il Giappone si era accinto; stimammo al suo giusto valore la foria cinese e soprattutto lo spirito nuovo della Cina. I dirigenti giappone.1i, invece, sottovalularono e forse ancora oggi sottovalutano l'avvcr~ario. E per la tena volta hl'lnno commesro il medesimo errore: di spedire in Cina un esercito troppo piccolo per un compito troppo grande. La prima voha fu a Sciangai nel 193 1 ; la .seconda ancora a Scianga.i, l'anno scorso; la terza adesso e su una scala a.1sai più grande. Se sono esaue lf' cifre che abbiamo riportate, l'esercito giapponese che da Yihsicn mosse all"offcnsiva il 19 del mese scorso con.stava di quattro divisioni: ottantamila uomini. Con1ro quello che resta di ques10 esercito, dopo quindici giorni di accaniti comb;Htimen1i Cian~ Kai Scek avrebbe lanciato, qualche settimana fa, ottocentomila uomini ~'.-~~e~~~~a~~= :i'!~:-' 1.t~~::ibt~ t:;t~i~ vincere in uno contro dieci. Alla fin~ secondo le ultime noti2.ic, .1i sarebbe ~1a.10 dell'errore e a,•rcbbe mandato fo~ .1ufficicnti. • -- RICCIAROI-.. n·o SETTIMANALEDIATTUALITA POLIT!OAE LETTERARIA ESCE IL SABATO IN 12-18 PAOJNE ABBONAMENTI hallu lmpc,rou· no L. 421 &emenr. L. 22 Elter,:,: Hll0 L, 70, lf.lllUtr. L, 36 OGNI NUIIIERO IJNA LIRA Muosorinl, diaeg:11Ie fotogn5e, 11nche se 11011 p11bblicui, 11011 ! restit11ilto110. Dlrerloa.•: Ro,u • Piana della Piletta, 3 Telefono N, 66,4.70 A.mmhhtrulo.1: Milano• Piana Carlo Erba, 6 TelefonoN. 24..808 hbbUcltà: Per millimetro di aheua, bue o.na 00!0111111 L. 3. Rh•olg:eni 1ll'Ag:e11ll1 O, Bruebl M\11110, Via 81hi11.!t l01 Telefono20-907 Parigi,66, Rued11 l'A11boargSai11t-Honor.
Jl~R un secolo e me1.zo circa, e cioè per il periodo compreso fra la conrlu,;;ionc del tr.ttt.1to di l,;trccht del 17131 che riconobbe all'Jn~hiltcrra il J)OS5CSW di Gibilterra e di Minorc:1, e la fonna ..ione dello Stato unitario itali.mo, che venne a costituire una nuova forza compatta nd ~!cdittrranro, la politica britannica ri~uardo l'Italia si basò ,;ul prc~uppo,to del frazionamento della pcniwla in vati Stati e dc-Ila conl.c- ~ut:'.nte facilità di penetrazione che nella pcrfr1ol.1 poteva avere la Francia, rivale mediterranea dcll'Inghilt<·rra. Data ,iffatta '>ituazionc, l'attività della politic-.1 inglese in Italia si volse a favorire lo ,;;viluppoe il consolid.1mcnto di quc..-Jlc for7,e che potevano CO<iìtituire o~t.1colo e barric-ra alla penetrazione france,;e oltre le Alpi; in prima linea lo Stato ~abaudo e il dominio .1uc;triaco i!'. Lombardia. N.uuralmcntc, t.1.lcpoliuca aveva come- pn.:suppo~to che i S;woia e gli Ab~burgo fos11eiod'accordo fra loro, e si trovas-.ero in po~i:tione di contrasto con la Francia. Ciò ,;j vcrificò nella guerra di <;uccessionc di Spa'{na (1701-1713); nclb guerra di ~uccessionc d'Austria (17401 748); nelle guerre del periodo rivolu1ionario c- napok·onico. In ri<;pondcnza a tutte code.,,e ,;ituazioni l'azione britannica -.j e-.plicò a fianco e a sostegno dei Savoia l' degli Ab'iburgo, ,;boccando logicamente nell'appoggio t.""\plicito dato al congresso di \'ienna all'ingra.ndimcnto del dominio amtriaco con la riunione dC'IVem·to alla Lombardia. Invece 1..1. 1>0liticabritannica in Italia si trovò impacciata o addirittura entrò in cri'ii quando i Savoia e ~li Ab.-.burgo -,i combattevano fra loro; oppure quando i Savoia o gli Absburgo si mettevano d'accordo con la Francia. Ec;empi tipici dell'un cac;o e ckl1'.1. ltro si hanno al momc.'nto della guerra del 1848, e :li momento dclb gutrra del 1859. Quando, nel 1848, il Piemonte :1ttaccò l'Auc;tria, mentre le ripcrcuc;,.ioni della rivoht7ione franccc;e di febbraio tcndev:rno a diffonder-i al dl qua delle Alpi, errando la p<.-,5'ibilità di un aumento dell'influenza. francese nella JX'ni~la, l'ln~hiltcrra esplicò un intenso ,;for,o politico-diplomatico. Tentava co11ìdi distogliere Carlo Alberto d,11la guerra, e insieme di circo(cri- \·crla e farla CC(<;are, premendo ,u Ferdinando di Xapoli per trattenerlo dall'intt'rvento, e nello stesso tempo propom·ndo fra Torino e Vienna b propria mcdì:izionc. Lo scopo era di M' bilire, al più prc,;;to, b pace con un accordo, che rico\tituis,;c nella pianura padana \·crso le Alpi una linea di c;harramento contro l'influenza rivoluzionaria francc-.c. Dicci anni dopo, la situa;,ione itaJi,1na si pr<-,;rntò alla politica inglese anche- pila pr<'OC'Cupantc,in c;tguito all'allcann fran('o-picmonte,;,c, che tendeva a rcalizzan.: con le am1i contro l'Austri,t il piano ordito fra Napoleone J II e Cavour a Plombière-.. Talepiano mira\"a a cr<"are nella ocni ..ola, accanto ~11rC'gno ~baudo d,,llc Alpi all'Aclri,Hico, un regno dell'Italia C't'ntrale con Girolamo Bonaparte, e un regno dcli' Italia meridionale con Luciano Murat, mentre la Francia c;an·bbc ,;tata cornpcmata con l'acquist0 della Savoia e dclla cont('a di ~izza. Tutto ciò avrebbe si~nifìca.to un grnnde aumento drlla potenza francc<.c nel Mediterraneo, non ,;olo per effetto dell'aumc-nto del territorio, ma anche perché i tre. costituC'ndi Stati della p<-niwla. uno dei quali sorto con l'..tppoggio frann•-.e e ~li altri due governati da/'pt ìncipi francc .. i avrebbero co<;titu,.'.'l.,.\e-Cri e propri va\-.allagg:i della F,~,u ia. Ecco allora l'Inghilterra im- ~n~trsi a fondo nel tentativo di far naufra~are i piani di Plombièn•s, e di ,ah-arC' le po,izioni dcll'Amtria nella pcni..o!.1 attravt·~ l.l convocazione di una conferenza, p<>r rhoh-ere il problema italiano scn1..a la i;-uerra. tentati\'O provvidamente stroncato dalla dcci,;,ionc-auqriaca di mandare al Piemonte l'ultimatum che determinò lo ~coppia drlle O'itilità. Comr è noto, ~li wiluppi de~li avvenimenti italiani durante la guerra e dopo J'armi,;ti1io di Villafranca, determinarono il crollo romplCto di Plombière~. Infatti J)C'r effetto dei movimenti anne,;,,;ioni'iti dc·ll'Italia centrale e poi pcr rffetto della Spc'dizionc dei .\1ìlle, ,;j tendeva ormai non già alla creaz1om· di va,._allag-gi france~i. come \'aghc-ggiava Xapolconc, ma alla crcalionc di un gritnde Stato unitario. dc-- stinato fatalmrntC' ad a,;sumrre nel ~lcditerranro una po~i'lione e •ma politica propria. Ed allora, o;trcttamcnte IC'gato al declinarsi della nuova situa1ionr- italiana, ecco drlincar.i e affcrma~i il nuo- \'O attr_g~iamento della politica in~lr~e, a11e~giamtnto nettamC'nte fa\·Orf'volc ;_ticon,;olidaml'nto e .allo wiluppo del nuovo Stato italiano; tanto che il governo britannico appoggiò risolutamente il movimento delle annes,;ioni, la spedizione dei :\1ille, e fu il primo a ricono\cerc il nuovo regno. Le ragioni di codesto nuovo atteggiamento ~i trovano esposte nel colloquio che ebbe a Londra con lord PalrncNton il rappre~ntantc ,;ardo Emanuele d'Azeglio, all'indomani di Villaf ranca, proprio quando era sul tappeto il problema delle annessioni dell'Emilia e della Toscana. li Palmcr,ton disse al d'Azeglio che l'lnterra, e che dominò tutto il periodo dei rapporti fra ltalia e Inghilterra nel :\fcditerraneo d:d 1860 al 1935, e cioé dalla formazione del regno all'impresa d'Etiopia. La politica italiana doveva, nel concetto della clas,e dirigente e dell'opinione pubblica inglesi, adeguarsi agli interessi e allr direttive della politica mediterranea britannica. Co~ì, nel 1881, l'Inghilterra favori la Francia anziché l'Italb. nell'insediamento a Tunisi, perché alla situazione britannica nel Mediterraneo corweniva che le due soondc del canale di Sicilia non nuovi possibili sviluppi di potenza italiana nel ~fediten·aneo: favorì nel 1919 l'insediamento della Grecia a Smirne, come ostacolo a una eventuale espansione italiana; ,;i associò nel 1922 al tcntati\'O di escludere l'Italia dalla conferenza indetta per l'elaborazione dello statuto di Tangeri; esercitò nel 1923 una. forte pressione per determinare la fine sollecita dell'occupazione provvisoria che l'Italia aveva fatto a Corfù, per ottenere soddisfazione dell'eccidio della missione Tellini in Albania. Tali atteggiamenti cd episodi costidi pressione e di compressioneJ con b politica ddle ,;anzioni, e poi con quella dei patti di a..-sistenza conclu11i dall'f n~hilterra nel dicembre 1935 con gli altri paesi mediterranei, e diretti a isolare e a paralizz..ue l'Italia nel suo mare. A tutto ciò rispose l'cc;ito trionfale della guerra d'Etiopia, conc;eguito attravcr;o il superamento di tanti ostacoli, che ebbe un valore non solo coloniale, ma internazionale e mediterraneo. Nella nuova situazione si levò alta e serena la voce di ~lussolini, a dichìarare il proposito dcll'ltalia di una ripre,;a di collaborazione, basata sulla parità e sul riconoscimento e sul rispetto degli interessi di vita leganti la sorte dell'Italia alla sorte del Mediterraneo. Furono le dichiarazioni fatte il 27 maggio 1936, subito dopo la crca7ione dell'[mpcro, nell'intervista concessa al Daily Telegraph e che ebbe risonanza mondiale; e ripetute e ribadite nel discorso di Milano del 1° novembre successivo. La sana tradizione di realismo che CULTURA POPOLARE A BARCELLONA: BORIVANI PUBBLICI IN UNA VIA DELLA CITTÀ ghiltcrra era favorevole alle annc.;sioni, e anche agli ulteriori aumenti del regno di Vittorio Emanuele II, perché « quanto maggiore fosse stato il numero dei porti del costituendo Stato italiano, tanto maggiore sa.rcbbc stat.1 la sua vulnerabilità per opera dell'Inghilterra». Un'argomentazione siffatta dimo-,tra\·a come nella mente del nobile lord, Primo ministro del Reg-no Unito, dominava la \'i"ione di un'Italia da controllare e da guidare col sic;tC'ma delle dimonrazioni navali, come, ad c..,empio. era accaduto nei riguardi del regno di );apoli nel 1742. quando la flotta britannira, pre(entando~i minacciosa davanti a Napoli. :weva costretto il r(' Carlo f 11 a dc,;i\tcre dall'avanzata contro le for,e austriache alleate dcli' Inghiltcrra. :\la non molto diver,;i da quelli addotti da lord Palmcrston furono gli argomenti coi quali qualche mc-,;edopo, durante la ,;pcdi1iont dei ~tille, il mini,;;tro brit.rnnico a Torino, ..,jr Jamr,; llud.;on, pur così amico dell'Italia e della cau~a italiana, consigliava al proprio governo di appoggiare la spedizione e di favorire il pas,;aj?t;:iodi (;,\- ribaldi dalla Sicilia alla Calabria\ Lo J ludc;on wsteneva rhe la formaztone drllo Stato unitMio italiano nel ~kditcrranco avrebbe giovato all'ln~hiltcrra prrché l'Inghilterra avrebbe avuto nel nuovo Stato un elemento favorevole <1lla propria politica mediterranea in contrapposizione alla Francia. "",\'on c;ono le mie simpatie per l'Italia», a!Ter• mava l'Hud11on nel suo dispaccio dd 31 luglio 1860, « ma le mie ~impatic inglesi che, in prec;enta delle circostanze attuali, mi inducono a o;ostc-ncrc la c;oluzione mc-no noci\'a di tutte: l'unità d'Italia ». Tale la mentalità con cui i diri~t·nti della politica brit.1nnica considerarono la formazione dello Stato unitario italiano, e a cui ,;i infonnò la coc;iddetta tradizion.:ilc amicizia britannica del buon trrnpo antico. )..frntalità che vcdt'va l'Italia qua<;i ,;;atellitc nell'orbita dl'lla politica mcditc-rranea drll'fnghilfossero in po..scsso di una sola potenza; mentre quattro anni dopo, nel 1885, spingeva l'Italia a Mas,;aua, per sbarrare con l'ostacolo italiano la via a una po~sibilc avanzata francese da Gibuti su per il mar RO'i'iO. Bisogna ricono'iCere che l'Italia di allora si adeguò volonterosa e docile a siffatta concezione. Nel 1882, quando venne concJu,;a la Triol:cc, il governo italiano volle ag:giunta al trattato la dichiarazione che il trattato stes!-onon poteva esser rivolto contro l'ln~hilterra. >Jel 1887, al momento del primo rinnovamento drlla Triplice, l'Italia fiancheggiò la Triplice con un patto di col!.~borazione mediterranea con l'Inghilterra; all'inizio del secolo, quando ,;;tava attuandoc;i il ravvicinamento fra lnghiltcra e Franci<1,ini7iato,;,i nel 1899, l'Italia conclu.;e subito anch'c..,,.a patti e acrordi con la Francia C' con l'Inghilterra. La tradizionale amici;r:ia ebbe >ul proprio orivontc un'ombra nel 1912-1913. quando l'ltnlia, pc-r effetto dell'impresa libica, non ~lo i;i in'iediò sulla coc;ta mediterranea africana, ma volle anche occup.'.lrr po'1i7ioni rH'IDodecane'ìo. Siffatto rafTorzamento mrditerraneo del1'Italia c;uc;citòdiffidcnzr e o,;tilità. oltre che a Parigi, a Londra; e il governo hritanniro ,oqcnnc e tentò di far trionfare la te,i che lr ic;oJedel Dodecaneso do\'e~'il'ro e~,ere al più pre~to ,gombratc-clall'Itali:i, e cedute alla fr,1nci:i, rhc nni\':l rlrvata dalla politica inglese ali;, p<)'-i✓ionr e alti funzione- di O'-t.'.lrolo :\ troppo forti wiluppi della potc-n;,a it;diana nd Mediterraneo. ~fa <;opran·ennc lo scoppio della guerra mondialr, ehc- rec;e pre1io..a prr J' lnJ:;hilH·rra la colbhorazione drll'Italia; e a\101a, nf'llc stipulazioni dC'I palio d, Lond,-..., l'Inghilterra -.i piegò a rironoc;crrc all'Italia come dc-fìniti\·o l'acqui'itO dc-I Dodccan<·~ in,;iemc con l'in •diamc•nto evrntuall· ad Adalia in A"ia :\1inore. A ~u<·1-rafinit,l però, la politica brit,rnnira ritornò ad attC'1?giam<·ntidi d1flidt·n7,l (' di '1harr.m1ento contro tuivano tanti sintomi eloquenti della persistenza di una mentalità britannica, veramente dura a morire, che considerava l'Italia, e la sua politica nel :Mediterraneo, sempre nella posizione e nella funzione in cui l'a\'evano considerata lord Palmerston e sir James Hud'ion nel 1859-186o: la posizione e la funzione del satellite nell'orbita dell'astro; e che < ~ pronta ad intervenire e ad 11gireper comprimere e far fallire ogni tentativo italiano cli sviluppo di forLa mediterranea e di azione autonoma. ~la l'episodio di Corfù si verificò quando già il regime fasci,;ta. era all'opera per il ri'iollcvamento r per il potenziamento dcli' Italia, e per la conquista della vera indipendenza. Tale opera, per quanto riguarda il ~frditcrraneo, ebbe la sua più alta e provvida e,;prc,;c;ioncnel rinnovamento della potcnn marinara e nella creazione della potC'nza aerta, che vennero portate al grado di efficienza. vcramcntc .tdeguata alla fun1iQJ1e mediterranea dell'ltalia. Ciò anche attra\·cr,o l'apprestamento di quelle b.cc;inavali ed aeree a cui si prC'~ta\'ano mirabilmente lo S\'iluppo e la posizione delle cmtc e delle i.;oJc italiane. E co,;ì fu preparata e resa possibile la nuova fase dei r;,pporti italo-britannici nrl >fcditcrranro, il cui inizio può e~ser c;rqnato col fallimento del forrnidahile tentativo di prt--,;~ionre di compre\,;ionc compiutli dall'Inghilterra ver- \O l'Italia nel 'iC'ttcmbre 1935 col concentr,tmento di qua~i tutta la notta nel ~frditerranco. Fu la ripetizione ,;u più \'asta scala del gesto compiuto all'epoca di Corfù: ma conò e 'i1inframC' contro forze materiali e morali che all'epoca cli Corfù ;rncora non e-;i,;tevano, e che rivrl.1vano come ommi l'Italia fosse mc;ta di tutela :i.nche ,;ul mare, e andw di fronte alla ma~giore tala~socrazia dd mondo. Al concentramento navale, rivelatosi vano, (('~uirono, per riv<'lar,;;ianch'e..si vani contro lo 'iviluppo dcll.t volontà e d<'ll'azione italian:i., gli altri tcnt<\ti\-i caratterizza la politica britannica, e che le permette di adcguan.i prontamente ,1lla realtà delle ,ituazioni che s.i formano e si comolidano, fece sì che le dichiarazioni mu~liniane trovassero a Londra orecchi pronti ad a11coltarc e menti capaci di comprenderne la portata. Ciò tanto pili che le complic,wioni e le nubi addcmantisi in Estremo Oriente, rendevano anche maggiore e più urgente per la politica britannica l'importanza di una distensione nella situazione meditcrra,wa, che potesse permettere all'Inghilterra di ri- \·olgcre verso il Pacifico maggiori attenzioni e maggiori foi-te. Si formò in tal modo l'atmosfera che rc<.epossibile il gentlcmcn's agrumenl del 2 gennaio 1937, ba,;;esulla quale fu poi s,iluppato il c;ic;temadegli accordi del 16 aprile 1938. La portata cd il valore di tali accordi ri,;,ultano in pieno dalla semplice lettura dei documenti firmati e dalle lettere '\cambiate fra i negoziatori. Tutti i problemi e:-(cnziali delle posizioni e dei rapporti italo-inglesi nel Mediterraneo e ne-I mar Rosso vengono d:1gli accordi del 16 aprile affrontati e ri\Olti con formule precise cd esaurienti. ~la non esitiamo dire che se anche i documenti dc·l 16 aprile si fossero limitati, conw il gcntleml'n's ag,cenunt del 2 gennaio 19371 a sempiici formule generiche di amici;,ia e di collabora- ""tione,e,;;,;;aj\'rfbbero avuto ugualmente un'im1>0rtama c;torica e di valore deci(i\·o per gli ulteriori sviluppi dcli?. politica italiana e della situazione mediterranea: l'importanza derivante dal fatto che l'[talia ha discus"o e trattato con l'Inghilterra in condizioni di parità, e che - comr h:1 scritto lo storico inglc,;e Trevclyan ~faraulay in un grande giornale di Londm - il vecchio J mpero britannico ~i è reso conto delle realtà del giovine Impero italiano, e drlla ,;;ua potenza. Pcr valutare la portata di tale rii;ultato b,t,;ta confrontare quc\tO linguaggio col lingua(!gio tenuto da lord Palmcrston con Emanuele' d' A1,ec;:lionel lugl;o del 1859. PIETRO SILVA J1 ~-il"i1 !) JJ.?!.H ~ DEt, GEREMIE t,I ~tl~ I! i, {i!,), li\ tfll' ;\fil ixJ ft@ 11 !{li tlA½i iJJ {tlJ e; EPPI per caso che in una villa di Ab6J) bazia finiva i suoi giorni, in una poltrona a rotelle, un vecchio ufficiale austriaco. • t invalido nelle gambe, ma s'è goduto la vita•, mi disse con convinzione un conoscente. Chiesi se potevo parlargli.• Gli farà piacere•, mi fu risposto, • s'annoia l:l star solo; quando trova ascoltatori racconta storie interessanti •. , Fissato l'appuntamento, andai alla villa nel pomeri~gio d'un sabato. • Dorme, ma deve svegliarsi tra poco•, disse la cameriera che mi venne ad aprire. '.\1'introdusse in un salottino modestamente arredato. Alcuni acquerelli, paesaggi tirolesi, riempivano di verde e di monotonia tutta una parete. Nell'aria. fluttuava un vago odore di naftalina. Le p::>ltrone erano rivestite di tela bianc11.. La cameriera apri le finestre. M'alzai d'improvviso per osservare, tra le due finestre, un ingrandimento fotografie.:, di un generale austriaco, che arretrava d'un passo, mentre un grosso gatto nero gli attraversava la strada. Ritratto singolare. Lo sfondo era una cancellata di villa o di giardino. Tenuto conto della poca fortuna dei generali austriaci durante la gnmde guerra, pensai ad uno scherzo simbolico, opera di qualche umorista di allora. L'espressione del generale, che fissava il gatto, sembrava però sincera. Mi proposi di chiedere spiegazioni all'ufficiale, non appena si fosse svegliato. Forse aveva molte fotografie da farmi vedere. Gettai un'occhiata attenta nella speranza di scoprire sui mobili uno di quegli album di famiglia, pieni di ritratti, che cosi spesso s'incontrano nelle c4se un po' all'antica. Ma non vidi nulla. La cameriera entrò con una tazzina di caffè. La rimproverai di essersi disturbata. Sorrise, s'apprestava a dirmi qualcosa, ma fu chiamata dal \'Ccchio, Poco dopo egli entrava, sulla poltrona a rotelle, spinto da lei. Era un tipo un po' grasso, rosso in volto, calvo. Indossava una giacca di stoffa bruna, da cacciatore. Le sue gambe, nascoste da una coperta di lana, posavano Sulla predella della poltrona. Mi ringraziò della ·,•isita. Parlava tedesco; ogni tanto, credendo non lo capissi, intercalava qualche parola d'italiano. Nel tono conservava ancora molto del mìlitare. Ma non era lui quello del ritratto. Disse di avere raggiunto il grado di maggiore. Ton era staro ferito durante tutta la guerra. Ma nell'ottobre del t918, nella repressione d'un ammutinamento di dragom sul ponte del Danubio, presso Belgrado, ebbe le ginocchia crivellate di palle. Era di cavalleria. Sempre nei Balcani; dapprima in Serbia, poi in Rumenia. Dopo la pace con la Rumenia era ritor• nato a Belgrado. Raccontò diversi episodi di quelle campagne; in pinte li conoSCC\·o per averli intesi da altri o letti sui ·libri. Ogni tanto intercalava qualche storiella scollacciata, non senza chiedere licenza per raccontarla. Storie ::lacorpo di guardia. Quelle, meglio delle altre, parevano ricordargli la felicità del passato. Eppure dava ugualmente un'impressione di sol• dato coraggioso. 11 tono confidenziale col quale mi trattava, m'incomggiò a chiedergli fotografie di quei tempi a,·venturosi. • Mc ne restano poche, le ho quasi tutte regalate•• disse, 11 ma se vuol vederle ... •. Mi pregò dì aprire l'armadio e di prendere la scatola che le conteneva. Erano poche infatti, ma abbastanza interessanti. Un passaggio di truppe sul ponte di barche della Orina, un gruppo d1 ufficiali con le mogli (o le amiche) foto~ grafati accanto ad un pezzo d'artiglieria, la fucilazione di alcuni comitagi, tra cui una donna, m'interessarono più delle altre. Non mi sentivo però di chiedergliele. Osservando il suo \'Olto accaldato supposi che amasse il ,•ino, Forse avevo fatto male a venire a mani vuote. Indicai Pingrandimento fotografico tra le finestre. Egli sorrise. • Quella fotografia m'è più preziosa di tutte-, disse. • L'ho fatta il 27 giugno del 1914. Quel povero Potiorek! Gli do\·etti giurare di non aver fatto scattare l'obictt1vo, mentre ero tutto contento d'averlo sorpreso in quel momento di superstizione•. •t dunque il go\·cmatore di Serajevo, quello che organiuò così male il ser\'izio di polizia per l'arrivo dell'arciduca?• chiesi. Il maggiore non dette peso alle mie parole. M'assicurò che il generale non a,•eva dormito la notte precedente la visita degli augusti ospiti; e ave\-a preso molto accorti provvedimenti. Ma era così ceno della propria sfortuna! Del resto, anche dopo. si dimostrò disgraziato nel comando dell'esercito che iniziò le operazioni contro la Serbia. Persone malevole fecero giungere al suo orecchio che Francesco Giuseppe, se glielo nominavano, lo chiamava l'uccello di malaugurio. li mag~iore raccontò ancora altre cose. S'era fatto serio. Mi congedai sull'imbrunire. Andandomene pensavo che forse era bene raccomandare alla cameriera l'ingrandimento di Potiorek. Ma l'aspetto rosso, accaldato del maggiore mi ritornava sempre nella memoria; finii per rassomigliarlo al generale 1volghin, personag~io caratteristico d'un romanzo di Dostoievski. Quello era così bravo per inventare delle storie. Gli bastava un nonnulla, un accenno, per inquadrarlo subito nelfa cornice d'un avvenimento storico importante. Forse anche l'ex-ufficiale austriaco possedeva le stes1sedoti. ENRICO JI.IOROVICH
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