Omnibus - anno II - n.16 - 16 aprile 1938

IL SOFM DELLE MUSE lli®(]i(]i~ nor.•A..r,wA. il .\NTE, come Jii $a, non era pun- }QJ. to tenero dei dialetti. P:l.rlava. intendiamoci, fiorentino pretto, <1uando viaggiava con Virgilio nell'oltremondo: tanto è vero che Farinata degli Ubcrti, dalla sua arca arroventata, lo ,;aiutò a botta sicura concittadino. Ma ~lt10 è pratica, n.ltro è teoria. E la teoria di D,rntc è quella del volgar< itlu,tre, cardin~lc, aulico e curiale, « qu.od in qualibet redolel civitale ,iec wbat rn 11lla >, cioè, come traduce il Tri,sino 1 « che in c-i:v,cuna città appare t· eh(' in niuna ripo,;a >. Di qui il ,uo dì<;prcuo per le parlate regionali. Ma ,e di tutti i dialetti di'isc male, a conunciarc dal suo, contro ncllsuno w•Ò parole pili :-.prc:aanti di qu('stc con cui volle bollare il romanesco: < Sl come adunqut (ricorro anche qui olla l,aducione dae ìl TriJsino fece dd "De vul1ari eloquenlia ") i Rom:rni si stimano di dovc-r c-sserc a tutti preposti, cosi in questa cradicazì011e, ovvero estirpazione (dei dialew), non immcritamcnte agli altri li preporremo... Diccmo adunquc il volgare dc' Romani, o per dir meglio il loro tristo parlare, essere il più brutto di tutti i volgari italiani ; e non è man.viglia, scndo nei costumi e nelle deformità degli abiti loro sopra tutti puzzolenti>. Qui non c'è ~olt,rnto l'avversione al dialetto in omaggio alla lingua aulica. Qui c'è il dente avvelenato del nemico di Bonifozio Vlll. Rivedeva nella memoria i prelati, i cortigiani, i legali, con cui aveva trattato quando era venuto in corte di Roma ambasciatore al prcpotcntt• pontrficc, gli risonri.vano all'orecchio le parole furbe o brutali che gli avt.:van detto per tenerlo a bada o per intimidirlo, e ora lo sdegno gli ribolliva. dentro e dava alla sua penna d'oca quei fremiti e quei sussulti. ~fa il fotto è che il romanesco dei tempi di Dante era diver~issimo da <1udlo che la no~tra plebe- e la nostra piccola borghesia parlano da circa tre \CCOlie che ha avuto la su:1 gloriosa comacrazionc nei :,0netti del Belli. Era, tanto per intenderci, un dialetto molto vicino all'odierno ciociaresco; e una impre~ione di parlata ciociara dànno infatti le parole che Dante reca ad e- "'empio: e klea,.ure, quinto dici? > (e Mc~'icre. come dic-i? >). Oltre il lcs- ,ico e la pronunzia, qurl e tu > ciociarcsco, co'iì rudemente confidenziale, dava fastidio al gentiluomo Dante, che con le pe~onc di riguardo non mancò rnai di usare il nobile e voi ». Anche ,l proposito del suo colloquio in Paradi'iO col suo trisavolo Cacciaguida, egli trova modo di alludere con una sfumatura di biasimo al e tu > dei Romani: un e tu »...c..he a lui doveva apparire non già eredità classica, ma rozzezza di gente rimbarbarita: Dal e voi > che prima Roma sofferic, in che la sua famiglia men pcncvra, r-i<:ominciaron le parole mie ... Eppure egli dà sempre del tu, romanamente, al poeta di Enea e di Augusto: Or se' tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sl largo fiume? E nei momenti di commossa solennità dà del tu perfino a Beatrice: O donna in cuj la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lascia:- le tue vestigc ... JI vecchio romanesco dei tempi di Dante si era andato lentamente spegnendo nel corso del ~colo XVI : sia per l'efficacia del toscano divenuto lingua letteraria, sia per l'afflu~so a Roma dei toscani chiamativi dai papi di ca- ~ Medici, e~so aveva dato luogo a poco a poco a un nuovo romanesco di ~tampo toscano, il quale, scaduto a sua volta a vernacolo, è più o meno il romanesco d'oggi. Sembra un paradosso, ma è la verità: la lingua del liclli è molto più vicina alla lingua dì Dante che non al dialetto che Dante senti parlare a Roma. Sarebbe Dante stato meno scortese verso il romanesco se lo avesse còlto sur una bella bocca di donna? Se Gcntucca, mettiamo, fosse stata romana invece che lucchese? Certo più trattabile fu il suo concittadino Agnolo FircnzuoJa, grazie a una giovane signora nata in Roma di genitori fiorentini ch'egli rese celebre sotto il nome di madonna Costanza Amaretta. Era belli\sima, colta, elegante, e quando andò da Roma a Firenze sollevò un'ondata d'ammirazione tra i parenti suoi e del Firenzuola: e de' quali la maggior parte (attesta il fiorito serittore n,' suoi "Rotionamenli ") e quelli massimamente che erano d'ingegno più elevato, ammirati non tanto per la sua eccessiva bcllc-z:z.a, quanto per le accorte e 1aggc parole, la ascoltavano volentieri; e oltre a che piaceva loro quella novitl del parlare romano, che ella mCICOlato col fiorentino us.ava con una naturale cleganria e con una certa viva prontcna; nondimeno, per avere ,pe10 i suoi gioveRlOOSTBOZIONI ARCHEOLOOIOHE • Il d1rut<1re dtl 111ueo:"E ~euo non rena cbe 1llieman1 la ,pada 11 Cdla.di Buu,li) nili anni più volentieri dietro alle vergate carte dc' valorosi scrittori ch'a' trapuntì dello ago, tanta ammirazione dava con la ma dottrina, che tutti erano divenuti vaghi di udirla ragionare >. Quellél cord:i gro~ di violoncello romano che di tanto in tanto faceva sentire il suo piz.-.i.cato tra la gentilezza dei modi fiorentini, do,cva essere veramente una delizi.i. Se un di.:.eocc ne aves- ~ conservato gli accenti! Che gioia per i linguisti ! Perché, a quel che mi scm~ bra, qui s'intravede adombrato il passaggio, per inflmsi culturali, dal vecchio al nuovo tipo di romanesco : da quello che ha una ccrt'aria di famiglia col c;iociarcsco a quello che si modella sul toscano. Non dimentichiamo che il Firenzuola conobbe Costanza Amarena nel 1522 o 1523, cioè quando la tra- ~fonnazione era in avanzatissimo sviluppo. Comunque, questo del Firenzuola è il primo omaggio, ch'io sappia, reso da un buongustaio alla grazia della lingua toscana in bocca romana. Risogna arrivare a Goethe e al suo Viaggio it, /ttrlia per trovarne uno altrettanto schietto. Castel Gandolfo; un ottobre d'oro; un incontro in vista del lago con una bella borghese dagli occhi e dai capelli neri morati, già guardata con ammirazione a Roma per il Cono. Anche senza l'euforia che caratterizza il soggiorno di Goethe in Italia, la lodr sarebbe venuta da sé : e Non c'è nulla di più piacevolt di una romana, facile a conversare nel modo più naturale e più gaio, e ad esprimere il suo intcrcuc e la sua simpatia alla pu.ra realtà, con vivacità ma con un'amabile riscrvatcna personale ; aggiungete l'armonia della parlata romanesca, un po' veloce, ma chiara, che eleva anche il ceto medio al di sopra di sé, dando una certa nobiltà a cib che è il più naturale di questo mondo, e perfino a cià che è comune. Queste qualità e quc,tc sue doti speciali m'erano già note, ma io non le avevo ancora osservate tutte in una volta in modo cosl insinuante>. Passiamo dalla Roma neoclassica di Pio VJ alla Roma romantica di Pio JX: dal pagano Goethe al cristiano Vcuillot. Ecco come questi, nel suo Parfum de Rome, annunzia la monacazione di una signorina di famiglia francese romanizzata: e Una giovinetta di Roma ha fatto pro• fcssionc presso le suore del Bambin Gesù, che hanno cura dcll'infanz.ia. La cerimonia è commovente. La nuova religiosa, modesta e sicura, era incantevole sotto la corona di fiori. La 1ua voce soave parlava il pià grazioso italiano che io abbia sentito: bocca ,omana. Presiedeva alla festa il cardinale sottodccano del Sacro Collegio; altri due cardinali vi assistevano. Vi era un grande nobile uditorio di France.ti e di Romani, perché la giovane religiosa appartiene a tutte e due le nazioni. Si crederà che ! per lo meno principessa. SI, ora è una gran. dissima principcua, ,posa d'un grandiuimo Re. Ma 1tamani era .cmplicementc la signorina Sauvc, figlia dd proprietario dell'albergo della Min,rva >. Valgano questi bei testi, così lu.singhieri per le nostre donne se non per noi, 3. indolcirci l'agrume delle parole di Dante. PIETRO PAOLO TROMPEO .{fil IA' CON Tropici e Via degli Spa- @ gnoli, Vittorio G. Rossi era dei pochi scrittori italiani accinti.si a raccontare i propri viaggi non per uno stretto impegno di giornalista. Scrittori italiani che viaggiano per fare articoli di giornale ve ne sono molti, e il mondo pare diventato piccolo per le loro esplorazioni. Hanno la mano facile all'articolo; tanto che di Sciangai o di Messico vedono soltanto quel che basta. a cava.me brillanti impressioni. E non è male soltanto d'« inviati speciali >. Anche i romanzieri e i poeti italiani, appena partono per un paese lontano, sembrano rivelare animo di pubblicista. Vedranno solo quanto basta alla corrispondenza : al resto, si direbbe, volgono le sp.dle. Vittorio G. Rossi, che ha viaggiato non per giornalismo, e nemmeno per divertimento, ordinò i suoi ricordi africani e spagnoli secondo le consuetudini dell'articolo da giornale. Da ve• nime fuori due libri che hanno intc• resse non limitatamente letterario. Il libro sulla Spagna, infatti, può essere sempre indicato a. chi voglia avere un notizia.rio e una guida del paese. Ocea,io, al contrario, non è volume che possa fare da guida. Si direbbe che Rossi abbia saputo finalmente obbr-dire all'urgenza dei ricordi, senza costringerli ad as.sumere l'andamento comune d'un articolo. Si sa, del resto, come uno scrittore sempre si serve delle sue esperieni.e : ne cava, per lo più, un racconto con personaggi ~ situazioni che sono quelle reali da lui vissute, ma che la memoria ha rese più vere lasciandovi giocare liberamente la fantasia. Così si giunge al romanzesco e :ill'intreccio che talvolta fanno da sostegno al ricvoc.·ue. Oceano, tUttavia1 non ha apparentemente la linea d'un romanzo, come non lo possiamo chiamar diario o comunque giornale di bordo. ~ un libro di mare; ma poiché dove si descrive con poesia un costume e una società vi è arte, se dovessimo arrenderci all'attrattiva dei generi letterari, diremmo che Oceano romanzo lo è veramente. C. la vita d'una nave nordica: a bordo non accade mai nulla; la vita è sempre uguale, presa da piccole cose, sicché la mente si esaspera in tanta noia, per poi trovare qualche compenso in sottili fantasie e in un tetro considerare. Quasi diremmo che in questo romanzo cosmopolita, pur se si parla dei grandi mari e dei grandi porti del mondo, ci sia una dimessa aria provinciale. La stessa terribile calma delle piccole cittl provinciali; la stessa ansia, nei personaggi, di poter godere pre5to una sorte divcna da quella cui si vedono costretti. I marinai sono taciturni e austeri, e anche Rossi ce li dipinge così ; rappresentazione forse retorica, come tante volte ci è capitato di leggere nei racconti dove si parla di gente di mare. t strano, d'altra parte, come certe situazioni e certi personaggi appaiono generici appena descritti. Sarà forse che la letteratura da anni ci ha raffigurato fin troppo il volto ,;evcro dei lupi di mare. Ma I marinai di Rossi rassomigliano ai tanti che già abbiamo conosciuto nella letteratura solo in apparenza. Le pagine di Oceano si limitano alla pittura di tipi e macchiette in quei momenti di rilascio e di povera invenzione che non mancano mai nelle opere narrative. La novità del racconto è, invece, tutta al di là delle pittoresche apparenze della vita marinara. I personaggi silenziosi e austeri, dal volto consumato dal mare, ad un tratto ragionano di sé, della propria vita e del mondo. li capitano Hagcn è silenzioso, appare e scompare velocemente. Di lui, Brand, che è il secondo di bordo, e anche il filosofo dell'equipaggio, dice che e regna». Brand parla, a tratti, come obbedendo, dopo i lunghi silenzi, ad un impeto interno. Parla delle cose del mondo, della vita, della morte ... !::. uno di quei caratteri riAessivi che prendono terribilmente sul se: rio le cose cl.t accadono, e anche quelle che non accadono. Un personaggio come questo1 se invece d'essere còlto nci rari istanti della sua confidcm.a, fosse stato messo in azione, e rapprc• scntato drammaticamente, avrebbe a.- vuto un risalto diverso. E, a seconda dell'indole dell'autore, ne sarebbe saltato fuori un personaggio cornìco o un personaggio drammatico e tragico. lnvccc nelle pagine di Oceano è semplicemente il personaggio cui è stato affidato di commentare il quadro. Appare di tanto in tanto: di lui Rossi si limita a osservare: e Brand mi disse... >. E Brand parla, parla. Dopo pagine, spesso descrittive, e magari troppo brillanti, questo personaggio par che voglia ammonire sulla serietà della vita di mare. Brand è il filosofo di bordo1 Olsen è un povero diavolo che vede il mondo ridotto a più piccole proporzioni. • Ragiona dei propri casi umilmente; Juj è: veramente il nemico delle idee generali. Questi, i due personaggi che quasi reggono il racconto : gli altri stanno sullo sfondo come figure adatte a completare il pittoresco del quadro, e in quanto a colui che narra (che è un personaggio indefinito) altro non vuole essere che uno qualunque che ascolta. Capitato a bordo d'un naviglio norvegese, un certo italiano osserva la vita dei marinai. Se, poi, ogni tanto, anch'egli ardisce buttare avanti considerazioni generali, pare quasi che ciò avvenga per sbaglio. Strano que.,;to scrittore : ora rappresenta scene e figura personaggi con concisione i ora, invece, il racconto non è più affidato ai fatti e ai caratteri; ché, anzi, fatti e caratteri vengono a essere ragione d'un piacevole discorso. E Rossi, quando si fa discorsivo, indulge a effetti capricciosi e ingegnosi. Non sdegna l'aforismo, e non quegli afori- ~mi che paiono un sunto di sa.ggeu.a e moralità popolare, ma piuttosto quegli altri che hanno fortuna nei salotti. t:. vero che Ros~i, quand'è più discor,;ivo, non è lo scrittore popolare che parrebbe, secondo il suo racconto marinaresco. Le sue pagine dànno le più discontinue impressioni. Dopo paragrafi che brevemente, e con un'aria di cronaca antica, ritraggono un ma.rinaio, càpitano ragionamenti brillanti e mondani. Si parla di balene, e dell'indifferenza della femmina per il marito ucciso, cd ecco il commento : « Ciò accade forse perché il maschio candidato a diventar barili d'olio ha finito di rappresentare qualcosa per lei, e morto un papa se ne fa un altro? Ma la psicologia amorosa di Paul Bourget applicata alle balene non mi sembra molto convincente >. E quel e candidato>, e quel richiamo a Bourget ,;tonano in un racconto di mare, La letteratura di mare fu sempre piena d'impressioni vivaci, di frasi alle volte fin troppo espressive. Così anche i marinai di Rossi hanno spesso la « faccia di sughero avariata e riarsa >, le e spalle ad armadio>. L'immagine spesso si fa corposa: una ventata diventa : « una. sberla del vento >. Questi i modi, che non sappiamo se veramente possano dirsi legati e necessari ai fatti del racconto. E: pur vero, però, che quando in Oceano si giunge a momenti dove l'immaginazione di Rossi è più ]ibera, anche il descrivere immaginifico cessa. Uno scrittore non può, d'altra parte, mostrare la sua vera natura che nei momenti in cui l'invenzione è più fervida. Ocea,io ha molti di questi momenti. Libro fatto di luoghi descrittivi e di piccoli episodi, s~- so vi si incontrano narrate brevi vite di marinai che non sono consueti bozzetti. I marinai dicono la propria vita in poche righe, in due battute-, e pare quasi che parlino fra sé e sé. li vecchio Klock che parla del suo corpo consunto; Olsen che ha una passione soltan• to: ìl traforo del legno per cavarne piccoli mobili, che vorrebbe nelle grandi gallerie accanto ai quadri di Raffaello, mentre r:iccontano i casi della loro vita paiono mormorare una canzoncina cadenzata. Ed è veramente in questi brevi racconti di marinai, dove pare sovra.stare l'ombra delle suocrstizioni o della morte (la fine dell'irlandese che aveva ucciso un albatros, il nome dcli' e Olandese volante >, che spaurisce i marinai appena l'odono mentovare), che c'è il rncR"liodi Vittorio G. Rossi. Si direbbe che, in queste sue pagine, vi sia il ricordo della vit'l del nord : d'una vita costretta sempre a lottare col clima, col vento, con le acque. Brand, che dei personaggi è quello cui forse sono affidate le idee dell'autore, tuttavia finisce con una considera1.ione di lbscn: e Che bella emozione dev'essere quella di trovarsi in mezzo all'oceano in tempesta, soora una tavola, che sola ci separa dall'abisso!>. Ed è come se Rossi all'ultima riga volesse avvertire i lettori che, in fondo, anche la vita del mare non è soltanto piena di raccapricci. Proprio come nei piccoli romanzi provinci~li: tutto è buio e noioso; i pensieri s'abituano a essere tetri ; ma poi ognuno per andare avanti troverà pure qualche risorsa. ARRIGO BENEDETTI ( VARIELTEÀTTERAR ) DE I il&!r&'Jl:P~@r&!r l7ìURANTE il suo viaggio in hpagua, JJ come del resto durante la sua vita quotidiana, tre furono, in apparenta, gli oggetti indispensabili a Edmondo de Amicis: la penna per scrivere, la matita per disegnare, il fazzoletto per soffiarsi il naso. . Oc Amicis in Spagna infatti scrisse, disegnò e pianJC quui continuamente, per tutto il tempo: a Torino il distacco dalla :1at~:•"i~li~c~i°v~is~~c~!sta;~~ :i:::a~:,ic~ Pcrpignano il distacco dalla· Francia, .:i Cirona la commozione di arrivare a Barcellona, e cosl avanti, avanti, importantissime lacrime seguitano a scorrere sempre sulle pagine degli appunti o degli schizzi: pietà per il toro, entusiasmo per i Velasqucz, ammirarionc per le belle andaluse, 1tuporc davanli all'Alhambr.a, riconoscenu al buon rude contadino, Ano alle Anali, strazianti1simc emozioni, struio di abbandonare la Spagna, felicità di rivede-re, a Torino, la mamma. Ci si domanda perché dc Amìcis, ch'era in fondo giornalista grandissimo, pieno di talento vivo e guin:antc, provasse il bisogno di mascherare ogni cosa con un e pathos travolgente > cod umido e 1crribìlmcnte stanchcvolc. Leggere dc Amicis è infinitamente più emozionante che non leggere un libro giallo, pcrch~ l'orario delle strade ferrate o l'elenco di un musco prendono un tono drammatico cd oucssionantc che le opere di Edgar Wallae~ non ebbero mai. Oc Amicis si av,•icina a Madrid tremando, 1pcn• colandosi fuori dal finestrino, interrogando febbrilmente i compagni di viaggio; se va alla corrida passa dall'orrore all'estui, dalla nausea alla gioia; il combattimento dei galli lo affascina e lo atterrisce; l'Escorial To sconvolge; il musco del Prado gli fa dire: e Che co~ ho fatto, nella mia vita, per mcri1ar d'entrare.lì dentro? Nulla! Ebbene, il giorno che mi colpisea una disgrazia, chinerò la testa, e terrò per saldata la partita! > ; ad Aranjucz àOgna l'amore di una regina; a Siviglia le sigaraie prima, cd i Murillo poi, gli fanno perdere la testa; a Saragozza, commosso dal pensiero degli eroici insorti spagnoli, abbraccia piangendo il custode della torre ; a C6rdova arriva stravolto dalle rievocaz.ioni, dall'ansia, le ragane di Cadicc lo fan sospirare e cosl forte da poter mandare avanti una bare.a > ; I'Albaicin lo fa pensare a Victor Hugo, alla Corte dei ~iiracoli, a Esmeralda; una .serata a teatro gli ispira il dc-sidcrio di Ragcllanì a sangue, per piacere alle belle dame dei palchetti ; infine il ballo in maschtra, e la vista di due innamorati e rossi come viole>, lo ,profonda in deliziosi abissi di sofferenza e di invidia. Del resto la gente da lui incontrata gli somigliava, gruppi di giovani spagnoli erano sempre pronti a percorrere con lui le vie notturne della città., declamando versi del Prati, dcli' Alcardi, e gli archeologi, gli studiosi, fino gli umili ciceroni dei musei si 2.bbandonavano a liricissimi impeti di pianto. Ci domandiamo se davvero il mondo era cosl, in quel tempo. Forse si; i baffoni, le cravatte svolazzanti e le eloquente parlamcntui che cc ne sono rimuti a ricordo facilmente testimoniano di un'csubcranu oggi perduta, di un'emotività facile e grassa, dove le buone mangiate, le buone bevute le buone chiacchierate avevano par-ti ugu~li. Si usava ugualmente ingrandire, fino all'iperbole, piccole cose, sul reboante esempio di Hugo, e impiccolire fino alla mcschincri~. cose grandi, aull'cscmpio, appunto, di dc Amicis, che adorava i diminutivi, gli aggettivi poveri, i e carino >, e vcuoso >, e piccino>: poi le due divcn.e mode sfociavano ugualmente in una commot.ionc generale. Ma quc,,,to signor Edmondo, posatore specialissimo, era pur bravo, e lo vediamo benissimo, oggi, incaricato di un mirabolante e servizio> dal fronte spagnolo: ne farebbe cosa perfetta, se .altanto si trovasse per combinai.ione privo di fauolctti, cd obbligato a JCrivcrc senza e cuore>. M. GIARDINETTO POESIA NINO CAPONE: LA chitarra del marinato (Solli, Palermo, 1937. L. 5). Poesie di un marinaio. L'A. nella prcfaz.ione si dichiara tale, ma le sue composizioni in versi potrebbero essere quelle di un farmacista, d'un meccanico, d'un fornaio, d'un motorista, di un figlio di papà, sebbene spesso trattino di mare, di uzurro, di lontananze. ALFREDO TRIM.ARCO: Giornate te,- ren4 (Di Giacomo, editori, Salerno, 1937. L. 1 o). La copertina è verde canarino con corsivi fantasia in rosso e in nero, sl da ,picca.re vistosamente. Liriche descrittive: •peno ogni parola è un verso. Si legge: e Godere • tutta la notte ad anima spiegata t<ul davanulc - platinato di luna - la gioielliera del Armamento >. Oppure: e Malìa - delle notti - con un quarto di luna>, e Diventare - una volta soltan\o - efebico pie,rot semiromantico >. Trimarco è cviden1ementc un poeta impressionista; ma come spesso accade ai poeti che si compiacciono di essere estremamente visivi, cure. ma.mente sensibili, da riccvcrt con1inuamcn1c gli strali della bcllcua del mondo, le sue non sono impressioni. Sono scmpliccmcnlc parole e poetiche > come e infinito >, e azzurro >, e wgno >, e luna >, e stelle>, e tramonto>, e alba>, e maHa >, e ani. ma >... Parole che servono a un poeta quando usate con parsimonia e diremmo con avarizia. Quello è il vocabolario di Leo• pardi, di Pascoli, di d'Annunzio, può obiet- ~arci qualcu?o. Ma quello è anche, invero, 11 vocabolano u1ualc delle sartine romantiche, delle collegiali inesperte, dei cantanti del varietà, dei lettori dcll'Amor4 illustrato. SISTO

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