( ILSORCKIOELVIOLIKO) ~1t<!l~~~li'a~ A. 1'-II•__.A.l'lwO Milano, marzo. f1"l OMINCIAMO dall'alto, a parlare gQ di Prourpina ... daWalto della <,,ta- ,ionc di Milano. f: un punto di vi\ta critico come un <dtro. O~nuno può avere il suo. A Mii.mo io ho quc~to, e chi arriva fin qui '.'11.'r,1\sii;;;t<•n·ad una pruna a-.soluta dd Teatro della Scala non ,;i mera- \. iglicrà della ,;,osta in quc'it0 cE-ntro ,·kttrificato. Conmcctc- la nuova \tazionc intcmaz1onalc di ~ìlano? I:. una frrmata obbligatoria. la più obblig-,Horia del mondo; una fermata rhr ,i iuponc specialmente a un cri1ico te,urale, col suo aspetto pietrific.110 un po' babilonese. Sì; un po' babilonese: ma che imJ>Orta, ne parliamo ugualmente volentini, anzi con entusiasmo... Intanto P,ourpina può aspettare. Gli ,caloni e gli ascensori che ci ~ono per raggiunger(' il piano delle p.tricnzl', insuperbiscono questo edifirio di prospettive favolose. f:. una rupe di marmo questa sta- .rione, domina tutta Milano. È il punto fermo più grande di tutte ll' vie del crcatoj veramente la San Pietro delle stazioni è proprio questa. E: il ,-antuario del culto ferroviario dove con un minimo di fervore e di dt"vozione 'ìinccra ~i ottengono dei mir.icoli. C'(' da esitare a uscirne: ti trat1icn1;,·,ti rassicura, ti si confà 1 come un'altura dimatica, fortificata. ) Quando ci si è wpra, bisogna ripo- ,lf"i e i,tirarci dentro. e distrarsi nella ,u,t gran varietà di servizi. e come una nttà chiu,,1 . l.t gran ,ittà di Cobianchi. Oh, ,;;ì, qul''>t,\ ,;;tazionc è un punto d'arr<',;;to granitico, un profondo albcrco diurno; e c'è finalmente tutto quello c.-hr ,i può de,;;iderare. Ci ~i può rimanere, e viverci 'ìenz'ombra di disa- ~io. a,;pt~ttare anche tre giorni e ma- ~.1ri dimenticarsi di partire. Tanto è lo .-..pazio, l'equilibrio, la profusione e la quiete di questo luogo monumentale al quale non manca che b voce_ d'un organo lassù, magari in fondo alla navata principale; e il diluvio canoro di Bach. Tutte le altre stazioni sono luoghi di p ,,;.a~gi. d'incrocio, d'imcguimenti, di -.('Ontri di persone. .\fa arrivare o partire non vuol dire vedere la stazione, specialmente quando si tratta di una «mole>, dì una anopoli come que~ta di Milano. Qui non vedi più la fretta, l'a,l,'{itazione, i bi- \·;1rchi. non senti le correnti d'aria, non .ts~i.tti alle COf"\eaffannose di valute che han due gambe, non t'arr,1bhi più fra un tumulto di strilli, di fi,rhi e di pianti disperati, come sucu•de nelle ~lite stazioni. Non odi più l<· invocazioni affannate di gente che non h~1 tempo, davanti al buffet, menm• volano i panini imbottiti, fra schiz- .-i di v,lporc e ,purneggiar di gasose, non odi più rantolare i viaggiatori rhc pestano i piedi qua e là, e si ,tran~olano con un caffè bollente, né lt· fuglw nei wttopa~aggi, nè le arane,· cht• rotolano più per scalin.1te, né 1 (!'ridi di gente impazzita. Qui regna invece la calma sovrana, e il Jm,;.o civile e l'ordine cronomelrato. Quella di ~ilano è una stazione ver,unentc ferma, immersa in un'atmo- ,(era da Eldorado. Aspetta i treni e i viaggi.uori: ne vengano quanti ne \·ogliono. Questo enorme piedcstallo della stra. da ferrata non si muove 1 non ten1t·nna, non su\Sulta, non c'è ca,;o che venga pn.',;;a e travolta dal tt:rremoto 1un ..t.1co domenicale, né che cada in pn•d,\ al di~rdine e al pànico come il film dc'tli ultimi ~iorni di Pompei. Qui si fermano l'un dopo l'altro i mille trf'ni d'Europa, vuotandosi dei pa,,c-~~rri ..1. Jen7io,;.imcnte, come si tra. \.t,;rno i pc,;ci vivi di va-.ca in vasca, e ,11 piedi di questo colosso di stazione-, tomo torno, si fermano innumerevoli i ta\"ì, le vetture, i tram, in file continue-, in turni a'ìpettanti, di minuto m minuto. .\.L.t per venire a Proserpma eseguita m première alla Scala, ecco quel che di<e innanzi tutto Sem Benelli che ha \C ritto il libretto. ranto in questa Proserpina quanto n<"ll'Orfeo e Proserpina ho tentato ridurre ad espressione unica tutto un gruppo di antichissimi miti; e cioè in '-Ostanza1 ridurlì, come è manifesto, all'unico contrasto esterno primordiale e imperituro che è il contrasto fra il Bene e 1/ Male, i quali si fuggono e si cercano 1 si feriscono e si baciano, si odiano e si bramano : e del quale sono espressioni massime Orfeo che è l'Ago. gnato Bene, la Luce, l'Ansia di Verità; e Proserpina che è il Male, l'Ombra, la Deformazione voluttuosa e pe"'.ersa del Vero ... ». Così dichiara il poeta. E nel libretto d saranno certamente dei veni belli e buoni, ma non riesci a coglierli (non ostante le maiuscole) sulla bocca dei cantanti. Siamo naturalmente ncll'[sola Fiorita, dove vivono le sirene incarnazioni dell'Ingannevole Piacere, c'è in . ballo Proserpina Dea dell'Ombra e . Agave la stupenda danzatrice 1 c'è Polifemo Re drlla Bc-.tialità, Orfeo. e ancora Euridice fonte d'ogni dolce illusione ... e quel che succede succede ... Basta. A non capire, ci si guadagna. A Parigi nel secolo scorso, con dei « soggetti » di questo genere mitologico han fatto dri vaude11illef irrc-.i,;1ibil1. delle operette da tenersi la pancia per non crepare. Ci si sentiva ancora l'influenza di Ro..,..,ini. Ma poiché il nostro teatro d'opera è diventato il refugium peccatorum dei musicisti che ~fiatano e rifiatano in lamenti come la posta pneumatica 1 que5t'opcra doveva avere il tono lugubre e 5acrosanto della Messa cantata. La musica di Proserpina voluttuO'ia e perversa e sfasciata non ha più senso di quel che non ne abbia il mal di mare. Molle, gros'ìa, corpulenta, tutta buchi e cedevole come il pan francese. E l'opera tira avanti per tre atti terribili fra l'indifferenza e l'incredulità generale. Può darsi che ci sia qualche pezzo discretamente pulito e txne impostato: per c~mpio, nella p~rte vocale, qua e là il declamato d'Orfeo; ma tutto il resto1 danze comprese, è musica fatta con casseruole, uova rotte, pesto di lardo e prezzemolo, per fare una f rit• tata istrumentale indigeribile. Tuttavia, a dir la verità, mi son divertito a sentirla. Non ho fatto che ridere e perdere il contegno tutta la sera. E la notte a letto ricominciavo a ridere, dopo essermi addormentato, ma sì forte che mi svegliavo di nuovo ... Oh Dio ... ohimè ... auff ... aiuto! ... (mi perdoni il maestro Bianchi) non cc la faccio più a frenarmi. proprio più ... neanche ade~so. BRUNO BARlLLI BOM:A • IL SOGNO DELLA FAXIOLIA DISTINTA ij &,ij~~~ij !DELIAIPABOIA D° O COMJ~CIATO piuttosto pre~to I& a trovarmi a contatto con oratori e conferen7.c: a diciott'anni, lasciando la mia città, andai ad abitare con un mio zio, professore d1 belle lettere e presidente di un'associazione culturale, gli • Amici dell'Arte»; un circolo che fini poi assorbito dall'lstituto di Cultura Fascista, ma che, in quei g1omi, disponeva di una sede sociale molto distinta, V'era una sala di lettura con le poltrone ricoperte con fodere chiare e le lampade con paralumi verdi, e un salone ove si tenevano, di tanto in tanto, conccni, e, molto più spesso, conferenze. Mi trovavo piuttosto solo, cosi fuori di casa, e finii per partecipare a tutte le manifestazioni della vita sociale di mio zio, tanto da essere, in breve, abituato al sistema. In genere, gli oratori giungevano nella nostra città nelle prime ore del pomeriggio: ìl mio parente, se era libero, li accompagnava a veder le bellezze artistiche, poi, dopo cena, ci trovavamo tutti nella sede del circolo. V'era un momento di imbarazzo nella saletta della presidenza, mentre mio zio, o il segretario, presentava il conferenziere agli altri consiglieri, o a quei soci anziani che capitavano Il per • sentirsi più intimi•. Poi, dopo un attimo di indecisione, quando ci s'era accertati dell'arrivo dei personaggi pii) autorevoli, mio 1,io suggeriva: e Allora, se lei crede, possiamo andare ... •. L'oratore usciva sicuro e montava sulla pedana, mentre noi manovravamo come riserva per riempire quel settore della sala dov'erano rimaste troppe seggiole vuote. Il pubblico, di solito, era numeroso: per fortuna del circolo, l'intervenire a quelle riunioni era di moda, e la classe media si sentiva moralmente obbligata a non mancare. Anche le autorità accettavano volentieri gli inviti, e la prima fila di posti, ove le poltrone erano più belle delle altre, era loro riservata. Quelle perso• ne illustri mi davano pena: sia perché mi sembrava che non sapessero mai dove mettere i piedi, troppo esposti agli sguardi, sia per quel continuo interesse ch'erano costrette a prestare, a causa della loro posizione, agli argomenti più disparati. In particolar modo compiangevo i generali che, con le mani sulla spada, il capo reclinato e lo sguardo fermo, facevano di tutto per prestare unz coscienziosa disattenzione a dei discorsi tanto lontani dalla loro sensibilità di vecchi soldati. Finita la conferenza, e spentosi l'eco degli applausi, mentre qualche spettatore anziano indugiava per infilarsi il soprabito, noi toma-.ramo attorno all'oratore: a causa della mia giovine età, avevo il vantaggio di poter star zitto, mentre gli altri dovevano cercare delle frasi per congratularsi. Poi, ridotta Ja compagnia ad un gruppetto di poche persone, accompagnavamo il nostro ospite o a cena (molti mangiavano dopo) o al caffè. Qui, in ({Cnere, l'oratore, smesso il tono solenne ed alato della sua declamazione, ridiventava più umano, e, con il tovagliolo sulle ginocchia e una zuppa alla pavese davanti, imbast1\·a qualche altro discorsetto supplementare per noi che, raccolti attomo alla tovaglia, lo stavamo a sentire. Poiché, quasi sempre, si finiva nelle storielline e nella maldicenza, io mi divertivo moltissimo, e, ancor oggi, se ricordo qualcosa di quei signori, è più per merito dei loro aneddoti che delle loro orazioni. Spesso gli oratori erano addirittura degli sconosc1ut1: tra questi, alcuni si erano fatti precedere, offrendo i loro servigi alla direzione degli • Amici dell'Arte•, da certi opuscoli, somiglianti molto a quelli delle specialità medicinali, ov'crano raccolti i giudizi della stampa sulle loro fatiche, e da certi cataloghi con l'elenco degli argomenti trattati, e i prezzi relatìvi. Delle oneste persone, insomma, che avevano trovato modo di vivere percorrendo la Penisola con un campionario di elementi culturali. Dopo queste cene, molto spesso, si accendevano discussioni, un po' generiche e confuse, su cose d'arte e di pensiero: ne eravamo tutti molto contenti, e si finiva per andare a letto tardi. Atrultimo momento, il s..gretario faceva m modo di restare indietro con l'oratore e gli dava, in una busta, il compenso che quello, mostrando di non accorgersene, inta• scava con aria indifferente. Non sempre tutto si svolgeva così: vi erano delle serate d'eccezione. Una sera, ad esempio, parlò una nobildonna della nostra città, e mio zio mi disse che, dopo la conferenza saremmo andati ad un ricevimento nella casa patrizia. Appena uscito dall'ufficio, corsi a cam.bianni, misi un abito scuro con la camicia bianca, e, dopo un po' d'esitazione, anche le scarpe d1 vernice: una serata intellettuale, in un ambiente simile, mi sembrava cosa bellissima. Fu invece una delusione: la nobildonna (era piuttosto anziana, e con una fisionomia che ricordava quella di una gallma) parlb a lungo, con accenti filodrammatici, chiusa in un tetro abito da sera, delle donne della storia, senza intert:ssarc nessuno. Andammo poi tutti a p1ed1, lei compresa, rino al suo palazzo; il salotto era polveroso, vecchio, piu"osto buio, e c'era da scommettere che non serviva da anni. La signora cercò di fare circolo, ma gli argomenti cadevano, non si sapeva che dire: il marito si preoccupava che rutti avessero avuto il marsala e 1 biscotti. Alla fine, anche la padrona di casa ci sembrò scontenta: forse si attendeva da noi dei discorsi fuori dall'ordinario, delle discussioni furiose, un contegno da • artisti•. Quando uscimmo, ci sembrb di respirare meglio, eppure con gli oratori ci trovammo a parlare di quel ricevimento come una prova dell'amore che la città portava alle nostre competiz1on1 mtellettuali. MASSIMO ALBERJNI ~~.§>a DEL VANTAGGIO LA FOR<,A dei 1randi matauini sta nella convin;:ioned'o1ni provinciale che 1rande ma10.uino e 1rande città $10noq1o1a• ti tulio una coJO,e eh.: non vi Jia mai tn1a ,,onde città senta un grande magaiàno. 1 uuchi ,omoni, quella minorania di brdVe paJone che nacqvcro a Roma da padri, da nonni mai uuiti dalla città, non si arren• d,:r.:innomai alle udu{ioni detli abili, dei capptlli, delle sto11i1lie,dei dolciumi, deUa corta da letttre a serie. Come 01nuno al proprio paese ha il sarto, il cappellaio di (,.d11ciac, osi 01ni vecchio romano ha il suo piccolo fornitore. La città per 1111 non è che un paese più v.:uto; e le abitudini non poJsono esur111·che come altroue; abitu· di11i caJahnghe e mediocri. IJ pur certo che se una grande città non avesse immigrati, genie che ha ,otto i ponti col proprio paeu, venuta dalfo Sicilia, dal Piemonte o dal Veneto oltre che per avere un 1mpu. go anche pu vivete modernamente; se Roma, se Milano, se Pariti fossero del tutto abit0te da ,omoni, do milanesi, da pari• 1in1 1 ,,and1 maiouini non a11rebberofortuna. Il ma1auino è l'ideale dello 1ente J/)aeJata: il forestiero che uiene ad abitare a Roma, appena passeggia per la città cede swbitoalle aurattive d'una vetrina o d'un cartellone. Tutto, dOI manichini atteggiati nella maniera più inumana, ai portieri che stanno ritidi da imporre un reverenle rispetto, alle commesu dai JOrrui tutl1 uguali Julle labbra dipinte, coJì carin,, cosi fragili, cosi lonlt1ne dalla comune imma11ne della don• na laJ&iataa casa: tutto (,.niJcecol sedurlo. Comprare una cravatta doue l'acquisto procrde non secondo le uuchie re1ole mercantili e bottegaie, ma quasi secondo 1.1n l'I. gido e gelido cerimoniale, Jeduce e proc11• ra una strt1nissima soddisfaiione. Non si tratta che d'una crauatta da poche lire, di quelle che i cinui vendono sugli angoli delle strade con ammicchi , parole tronche, oppure d'un paio di cal{ini, ma la comprt1 e la vendita ha improuvisamente una diver• sd importanza. La uisita steua al gronde magaWno non è quella fatta a un comune negoiio. Si procede auenti, si osserva senia tocca", J1 leme ogni momenlo di andare conlro a un misterioso retolamento. Le venditrici impasJibili sotto la m.:uchera di ciprit1 , bellelto finiscono col persuadere il compratore più d'un mercante che 111da e si sbraccia. Sul p,euo sarebbe di pes11• mo 1usto discutere. Piace a lutti porleci• pare un po' alla meccanica d'un grande organismo. e T11tta Roma si veste da... !•· I Jorestieri che arrivano a Roma, specialmente coloro che vengono ad abitarci, vedono s1o1i po11i e l1t balu della campagna romana 1randi cartelli t1 vivaci colori. Sono inviti a conJt1mar1t un liquore, a preferire un apparecchio radio; ma l'invito più convincente è quello d'un magatòno che veste tutta la città. Il provinciale quasi ci si recherebbe nudo, per pote,Jj rinnovare del tutto, da capo a piedi. L'abito del mi:1ga;:- iino finisce con l'essere come un bitlietto d'ingreuo a una nuova vila. L'imma,ine d'un grande ma1ouino dove un milione di cittadini si reca o v•stirsi ha grand'efjetto sopra la fantasia. L'impie(atuccio e tua motlie clu vi si recano eni di rispetto non si avvedranno mai della toffaggin• d•gli abiti fatli in serie; non dubi1eranno mai che la motlie del capodivisione rifu11e da t1o1tto ci3 che sa di magaztino; o loro baJta poler dire ai pa,enti lontani, quando si recano 1n uille11iatu,a: e Quest'abito l'ho comperato in un magauino dove uno entra nudo •d esce vestito >. MASSJMINO ( PALCHETRTOIMAK) I 00®~~~ SIRO UOMO il '1 GIORNO, dalle colonne di .un quo• U tidiano, un nostro uomo d1 lettere esclamò: • Vorrei essere il Becque dell'Italia!•; al che dalle pagine di una ri\'iSta letteraria (era il tempo in cui c'erano ancora delle riviste letterarie) noi rispondemmo: e )folla di pii) facile: ne parli a sua moglie•· L'invocazione di quel temerario potrebbe diventare il mono del femminismo, in quanto il femminismo pure non aspira ad altro, se non a • doppiare• qualcosa che ctiste già, cd è garantito dal successo. L'aspirazione allora soltanto è valida, cioè a dire contiene destino, quando mira a qualcosa che non esiste ancora. Il destino è solitario. La donna invece, riprendiamo una vecchia immagine usata dalla Sfinge proponitrice di sciarade a proposito del pargoletto, la donna cammina a quattro umpc; e quando arriva in capo alle proprie aspirazioni, non trova, come l'uomo, il monologo e la solitudine, ma il duetto, quando non sia 11terzetto lo addirittura il conccnato concoro. La solitudine per la donna è un errore; e quando la donna sciaguratamente incappa in questo errore, ne risulta un caso isterico, come la vita di Elisabetta d'Inghilterra. La commedia di Jossct m questo solo caso avrebbe trovato una giustificazione seria, se si fosse ripromessa la dimostrazione per contrasto dei benefici della legge salica. Ma Jossct non cerca il buono e il giusto: è un semplice cacciatore di effetti; di effetti facili: di cffcttacci. E però la sua Elisabetta, che la Compagnia Drammatica Nazionale ha presentato sulla scena dcli'• Argentina•, con uno sfarzo degno dei mobilifici di Cantù, è una delle più gni.vi offese all'erica e all'estetica di chiunque sia appena appena educato secondo il galate6 dei buoni costumi dell'arte. L'arte ha una sua morale, un suo coc::l.ice, un suo galateo. Disgraziatamente pochi li conoscono, anche fra i sedicenti artisti. Un giomo, se tempo avanurà, noi compileremo, a edificazione di coloro che credono l'artista un mattacchione-, uno spregiudicato e un fuorilegge. un prontuario di • ciò che si può fare • e • ciò che non si può fare», • ciò che si può dire• e e ciò che non si può dire•; dal quale risulterà che la morale dell'artista è molto più severa, molto più rigorosa, molto più chiusa della morale comune. E: per l'ignoranza quasi generale di questa • legislazione delle cose intellettuali• cht" tanti nostri giudizi, i quali da questa morale traggono, m nome di questo codice si esprimono e questo galateo somn• tendono, sembrano gratuiti, ingiusti, eccessivi. e l'accordo coi nostri contemporallci d1Vcnra sempre più difficile. Che impressione fat"cbbcro gli articoli del codice penale, a uno che venisse da un paese nel qunlc la concussione e l'omicidio premeditato sono considerati atti meritevoli di premio? Per passare dalla teoria alla pratica, diremo che la scena m cui la /emme sans homme (che mania è questa di mettere tutto in bella calligrafia, anche i sottotitoli delle commedie d1 Josset: • L'amante negata all'amore•?) cerca di assaporare attraverso la confessione di Mary Howard le voluttà dell'amplesso del duca di Esscx, è una di quelle che, secondo 11•nostro• codice, meriterebbe all'autore una grave cd esemplare punizione. ~ necessario aggiungere che la punizione da noi invocata non muove da una morale comune: da quella, per esempio, che determinava la messa all'md1cc dei roman1.i d1 d'Annunzio? Com'era da prevedere, l'attrice cui era affidata la parte di Mary Howard sentì rifiorire in sé i tempi in cui Gabriele d'Annunzio esaltava la carne, e ne risultò una scenetta degna del Libro delle vergini. Sia detto una volta per sempre, e sempre in obbedienza al nostro codice, noi, in fatto di camc, non esaltiamo che la costata di bue. Altro esempio dell'ignoranza del • codice dell'arte•, la castità cui Elisabetta si costnngc per non darsi un padrone: idea che Josset trac di peso dalla leggenda storica, la prende sul scrio e la pone al centro del suo dramma; mentre si sa che, secondo il nostro codice, idee di questo genere vanno voltate come guanti ~ date in ludibrio a una platea di spettatori impassibili nelle poltrone come I senatori romani davanti at Galli, e che nei punti culminanti, quale lo schiaffo che Elisabetta tira a Essex, scoppiano tutti assieme in una clamorosa risata. Quando la Scala allcstl 11 Nerone di Boito, un 1ale fu mandato a Roma a misurare la larghezza dcliii' via Appta. Lo stesso principio governa la regìa di Elisabetta. Tra un quadro e l'altro, si ode persino uno sfriccicare di strumenti a corda, che s'arnbattano con delle musiche e antiche•. Sforzo patetico, che non riesce a superare la pianitudinc. La nostra nota di poche settimane fa illustrava le qualità del • pompicrismo •· A che ripetere il già detto? ALBERTO SAVINIO L.€O LONGANESJ - Direttore responsabtle k:11.7.01.1 A t· , .. u,, I .\rt, d,11• S11111•pa \lilan.~ RJPRODU7.10'1 1-".~~;(,l"ll E CO, \I\ I hRI \l.h l-"010.,M: \1:1co • ►'I RR-\'òl.\,.
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