Omnibus - anno II - n.13 - 26 marzo 1938

IL SOFm' DELLE musE &1@IB®UJ~~rn~w~m :A50 A1'J1'J• DOPO .,,. 1 ,?_;\ \LLA n,1scita di Arturo Scho- ~ pcnhaucr (22 febbraio 1788, ·n Danzica) ad oggi, sono tr.1- -.c·or,j <cntocinquant'anni (la data è ,uta celebrata ufficialmente in Germania), e centoventi dalla pubblicazione dc-I ,uo capolavoro: Il mondo come • ,•olm1tà r rappuunta~1011e. In questi nntovcnt'anni, la faccia del mondo ,;j è- mutata più che in tutti i ,;ccoli tra- ,cof'i dalla edificazione delle piramidi alla caduta di Napoleone. Come ha ,upcrato Scho~nhauer l'c~.imc di quc- ,10 tt'mpo? La ri,posta è data quando ,1 dica che il tempo no'ìtro riconm.cc, <· a ragione, Schopcnhaucr come uno dei suoi padri spirituali. e dei magg-iori. E, fatti bene i conti, a me non par dubbio che l'apporto di Schopcnhaucr al no,tro tempo ri,;ulti a\sai più con,;idl·rcv0\c ~i quello dd ,;uo gr;rndc 1u..·micoe rontcmporaneo Hegel. Schopenhaucr e Hegcl sono entrambi idealisti. Ma l'idealismo di Schopcnhaucr ha ,i.i:tnifirato ben differente-. Si potrebbe dire opposto a quello che a,~1.1mcin Hegcl. Schopcnhaucr è ideali~ta nel ,cnso1 strettamente kantiano, che per lui il mondo, come oggetto di conoscenza con tutta l'infinita varietà <lei suoi fenomeni e dei ,;uoi cambiamenti, non è che rappresenta.{,ÌCme, cioè \ i"ionc dc-Ilo spirito il quale si di,;solvc nel nulla, come nel nulla si dissolve il ,ogno, tolto il '\O~nante che lo '\Ogna. Hegcl è. invece, idealista nel senso che vcr lui il mondo, ch'egli conccpi~ce come realmente, oggettivamente esi,;tente nello spazio e nel tempo, l'ineamationc di una Ragione, o Spirito impcrsonale, il quale attraverw di esso giunge .11la piena coKienza di sé. A confronto di Schopenhaucr, Hcgel fa figura di realio;ta. Ma l'idealismo del nostro tcmpo 1 che è l'atmosfera gcncr.1lc della filosofia mondiale, ,i ,ente infinitamente pi\1 vicino alla forma che ,,,sunse in Schopenhauer che a qucl1.t che prese in Hcgel. Si può anzi dire che la storia dell'idealismo, nell'ultimo secolo, è la ~toria del ritorno dal1' ìdealismo tipo Hegcl ali' idealismo ti po Kant-Fichtc-Schopcnhauer. Su questo terreno è Schopenhauer, e non Hegcl, che ha \'into la battaglia. A fondo delle cose Schopcnhaucr mette una potenza cicca e irrazionale, una brama infinita di uìta condannata ,di' infelicità. e la chiama Volontà di vivere. Era la prima volta che nell'età moderna un filosofo poneva a fondo della realtà un principio d'irrazionalità e d'infelicità, non statico, ma dinamico1 non cosa, ma energia. A fondo delle cose, invece, Hegel (che questa volta è più vicino a Kant, Fichtc e Schclling) pone un principio d'intelli- (Cn{a, una Ragione che, attraverso la di~seminazionc ,paziotemporalc dei fenomeni e superandola di momento in momento. marcia verso la piena preo;a di possesso e affennazione di ,;e ,te~~~1, rioè verso il Vero e il Bene. Al vece hio Dio personale e perfetto, che crea il mondo e lo guida verso il bene, He~ ~d ~ostituisce una Ragione impersonale; ma chi non vede che questa potenza impersonale e logica, pro,·vidc-nzialc anch'essa a modo suo, non è che il vecchio Dio detronizzato e vestito in horghe~? Per Schopcnhauer, invece, il mondo non marcia verw nes.'una meta, è condannato al dolore, è frutto di una potenza malvagia piuttosto che buona. La rottura con la teologia, qui, i: totale. :\'on c'è bisogno di dire quale dei due pcn.~atori abbia più permeato di -.é l'anima del no~tro tempo. L'hcgeli- ,mo ha ampiamente trionfato nel sc- ("Olo XIX, perché all'anima europea t he ~i distacca,.1 dal Cri,tiancsimo ha fornito una teologia laica che ha fatto le veci del Cri,tiane~imo tramontante-. .via, nel dopoguerra. il mito della Ra- ~ione, che di tappa in tappa a,;cende con ritmo infallibile verso la co~cicnza <· l'affermazione di ~, è caduto in bric iQIC. L'anima contemporanea ~ntc la realtà come energia condannata, in un n~odo o in un altro. a dilaceraNi il ,<'no. Anche quando divinizza il mondo e la forza che lo permea e sostic1ic· (come nel Neopaganesimo tedc~o), (·,s .. 1 concepisce questa forza co~mica H>me un Dio che, attraverso il mondo, ,i attua non come Ragione o Pcrfrzionc, ma come Potenza cd Energia. Non r><·rniente dovunque oggi :-iaffiorano le· vecchie intuizioni che ripongono l'r1..~nza della vera religione nel rifiuto del mondo: proprio come Schopcnhauer voleva. Anche 'iU questo punto è Schopcnhauer che oggi è attuale. Hegel è il gran filo~fo della Storia. La Storia per lui è storia ~aera, è Dio '<·ioè la Ragione) che 1..ifa Dio attra- \"(•rso il tempo. La Storia è una Teofonia e una Teogonia. Perciò la Storia ;. progresso e il Progresso dell'uomo è il fa,..,i di Dio. Hegel è il gran filosofo rlrll'ctà del Progrec.so. Positivismo, Evoluzionilimo non sono che trascri1'.ioni ,;cmpre più laiche e popolari dell'hcgclismo. Ma Schopcnhauer non ha mai creduto al Progresso. Se nella r<"altà c'è progre~so, c'è per lui 'Olo nel ,en\o che attravcr1,0 una serie intcm1>0rdlc di gradi di Volontà, che è al fondo dellr co~c, arriva a prendrr C'O• ~c-ienza della ,ua idrntità in tutti gli (',st•ri e della \Ua irrimediabile infelicità. e a negarsi. La Storia J>Crlui non conduce a niente, è il segno del Caso, e chi ha letto Erodoto la conosce tutta. f:. ~randio'-a in Schopenhauer la sicurezza con la quale, dal ~uo primo filoo;oforc fino agli ultimi giorni della ,ua vit~t, egli rifiuta il rnito della Storia in marcia verso il meglio, il mito dr\ Progresso. Egli fu in urto con tutw il ,uo secolo che del Progre~so aveva fatto il ,uo mito rentralc. Crollato il mito dc-I Progrc~so, sfumato il mito èdla Storia, 1otta~i la Storia in tante Storie C'orrcnti, parallele o ìntcrsccantio;i,1..cnz:tubbidire a nessun piano unitario e provvidenziale, il nostro tempo ,u queo;to punto è ,chopcnhaueriano e non hcgeliano. E su quanti altri punti ~i 1>0trt·bbe continuare il paragone. dappertutto .trrivando sempre allo stesso risultato! In estetica? Ma è l'estetica di Schopcnhauer che ha vinto! Egli ha conrrpito l'arte come 'una vi,;ionc che '>i produce quando la cono~cnza, wincolata~i dalla volontà di vivere a cui di --olito o;;crve 1 affisa disinteressatamente il reale. t 'isione disinteressata del reale: questo è l'arte per Schoocnhauer. E anche qui questi è assai 111. moderno di HeJ{el, che in sostanza finiva per fare dell'arte una filosofia per imma~ini. Ancora. Più moderno di Hegel è Schopenhauer nella concezione della religione. Quest.t per Hegcl è mito, cioè filmofia per hambini. Ciò che nella religione è per lui essenziale è la mitologia e la teoloi;tia. Con senso infinitamente più moderno. Schopenhauer vede wtto la religione i profondi impulsi vitali che la creano e la tengono su: impulsi di affermazione o di negazione della vita, ma impuhi, moti profondi di un essere "ivcnte, non filosofumi puerili di mitologo o di tcolo~o. E la \Ua comprensione dcll'Ebrai'imo, dr! Buddismo, del Cristianesimo si è ri\'clata infinitamente più esatta di quella di Hegcl, infinitamente più vicina alla visione che ne abbiamo doJ)() un 'iCcolo d' ininterrotta esplorazione ,torica. Quanto al Buddismo, è a tutti noto che lo ha scoperto lui con una '-<:-Osibilitàda rabdomante, e immesso ampiamente nell'anima della cultura occidentale. l'\é basta: mentre combatteva contro l'etica kantiana del dovere pcl do\•Nf' una buona battaglia, ri~opriva l'etica dell'asceti,mo e-della santità (che e~li identificava, mentre, a parer mio, debbono es.sere concepite come due etiche distinte, come due distinti stili dì vita). E chi ben guardi, troverà che in Schopcnhauer c'è tutto l'essenziale di una delle più grandiose e rivoluzionarie teorie del nostro tempo: la P~icanalisi. Sopra un sol punto egli è stato battuto in pieno da Hcgel: sul terreno della filosofia della politica. Qui è Hegel che ha 11 ionfato. Per Schopenhauer lo Stato non è che un ente poliziesco-amministrativo. Per Hcgcl esso è la w,tanza etica di un popolo incarlMta: è la celebre teoria dello Stato etico, che è creazione hegeliana. Qui Hcgel comprese meglio di lui il segreto del suo tempo, che voleva, sì, staccarsi dalla Chiesa cristiana. ma voleva ancora qualcosa quaggiù in terra da adçrare, e ~li disse: lo Stato è es- ~ il Sacro i lo Stato è esso Chiesa; lo Stato è cs..,o Oio; l'Assoluto non è in cielo, è in terra, cd è lo Stato. Hegel divinizzò lo Stato perché per lui il Yiondo è l'Idea, cioè Dio in cammino, e lo Stato è la tappa suprema del procesw di autocreazione di Dio. Ma Schopc-nhaucr diviniz1.are lo Stato non poteva: per lui la vita è dolore e male, e lo Stato non è tutt'al più « che un mezzo-male, in quanto trattiene gli uomini dal mangiarsi tra loro>. Si considererà vinto Schopenhauer perché l'età nostra afferma, con bramo- ,ia mai vi~ta prima, la vita ch'egli ha rnalrdetta? Ma e~li non si è mai illuso che la rinunzia alla vita potesse essere atto più che di pochissimi: ha sempre detto che l'affermazione della vit.:i. è l'atteggiamento dell'enorme maggioranza della umanità. Ciò che importa è che la vita, cui oggi più che mai l'umanità si attacca, e~sa la senta più ~hopenhauerianamente, come primi- ,zcnia, inesplicabile. indomabile volontà di vivere e di godere recante in ~é la condanna a non poter raggiungere la meta di felicità cui aspira, che come Ragione in potenza che cerca di divenire Ragione in atto. Per tutte queste ragioni il tempo no- \tro sente Schopenhaucr come suo, e ,e lo celebra non è per semplice scadenza di una data, ma perché lo sente vicino e presente nel ,uo sangue e nella sua carne, che è, non c'è dubbio, una bella rivincit,t pel piccolo rentier -.olitario e lunatico di Francoforte, una rivincita da far restare a bocca aperta, ~ potessero alzare il capo dalla tomba i profes~ri universitari di filosofia del suo tempo che guardavano dall'alto in bas~o quel e dilettante » auto:-e di libri che nessuno leggeva, il quale era '-Oitanto libero docente e, per uditorio, aveva i clienti dell'H6ul d'Europe di Francoforte in C'Ompagnia dei quali prrndcva i ,uoi paui. ADRIANO TILGHER ETIOPIA • AUTISTA E SIGNORA IN UN DIPINTO ABISSINO ~ ,·1plQ SLATAPER, nato nel 1888, ti2) ora non avrebbe che cinquant'anni, e invece l'immagine di questo scrittore, morto sul Podgora, in guerra, il J dicembre del '15, è legata al ricordo d'una letteratura passata, forse lontana. Gli scrittori suoi contemporanei, che iniziarono la loro carriera letteraria sulle riviste fiorentine di prima della guerra, Soffici, Papini, Palaneschi, hanno, con l'andar del tempo, fatto dimenticare le idee, i sentimenti che dettero il lievito alla loro prosa giovanile, sia col prendere, di volta in volta, nuove, e non sempre ben giustificate, posizioni; sia con l'aggiun· gere alle prime pagine altre pagine più maturate. Tanto che la figura dello scrittore •vociano• resta legata a nomi di morti in guerra, come Carlo Stuparich, Renato Serra, Scipio Slataper, o, in pace, come Giovanni Boine, oppure ad altri che si sono appartati e hanno smesso di pubblicare, come Piero Jahier. Jahier e Slataper stanno spesso vicini nella memona di chi lesse, sia pure una sola volta, le loro operette, e veramente si possono avvicinare questi due prosatori per avere dato a1bozzetti e alle impressioni che scrissero secondo l'uso letterario dei loro tempi, un'inquietudine somle, diremmo nuova, nella nostra letteratura. Valdese, Jahier; slavo, Slataper; stanno entrambi a mostrare come molta letteratura italiana moderna sia nuova sopratrutto per l'ingresso nella nostra tradizione di autori naturalmente lontani dal semplice e sano realismo, dal buon senso, che furono virtù e debolezza dei "minori• italiani contemporanei di Carducci, d'Annunzio, Verga. Slataper ci lascia l'immagine dello scrittore che la morte ha concluso troppo presto. Scrisse sulla Vou lettere d'un irredento sulla cultura, i giornali, la politica di Trieste, saggi su f-lebbel e altri scnuori nordici, ma intanto il corrispondente della rivista fiorentina si andava mostrando, via via, più che giornalista, scrittore; e più che polemista, lirico. Gli accadde ciò che doveva accadere contemporaneamente ad altri collal!oratori della Vou; la vocazione verso l'arte diveniva più forte di quella verso 1 problemi, la polemica politica e sociale. Soltanto pt:r un volumetto autobiografico, Il mio Carso, e non per gli scritti di polemista irredento, Slataper oggi, a cinquant'anni dalla sua nascita, può venire ricordato. I I saggio su lbsen, gli Scn.tti polìtici, ormai interessano poco, o, al più, servono a delinearci meglio il ritratto d'uno slavo che voleva essere italiano, che scendeva a Firenze con commozione, andando incontro magari ad amici, non solo meno :udenti di lui, ma schivi dai suoi turbamenti, e quasi diremmo sentimentalmente più navigatt fi. no a mostrarsi giovanilmente cinici. Il mio Carla è un libro di memorie e di confessioni, un diario scritto con un piglio vivace e , ibelle, quasi che la vivacità e la nbcllione, p1U che essere intimi sentimenti, fossero necessari a Slataper per p1egars1a scrivere, a far qualcosa. Le memorie di Slataper non hanno un corso logico, non trovano il loro limite fra due date, sono piuttosto un lungo discorso, fatto di impressioni e di considerazioni dove, a frasi venete e a cadenze familiari, succedono periodi e esclamalioni di\'ersamentc intonate, e quasi auliche e retoriche: • Cari tempi enmo quelli, amo.osi t: glonosi •. Da rammentare, anche qui, un altro morto al fronte, Serra, lui pure come Slataper continuamente sospeso fra l'appartato amore per le cose letterane e i richiami dei civìci doveri. Slataper rievoca la sua infanzia, rievoca i suoi nonni che scesero dal nord:• Penso alle mie ongini sconosciute, ai m1e1 avi aranti l'mtenninabile campo con lo spaccatcrra tirato da quattro cavalli pezzati ... al mio aivolo mtraprendente che cala a Tncste all'epoca del portofranco; alla grande casa verdognola dove sono nato, dove vive, mdurita dal dolore, la nostra nonna•· I ncordi di Slataper mai ~rrivano a diventare racconto o cronaca; la punteggiatura stessa quasi pare seguire l'andamento nascosto della memoria, più che mirare a fermarla e a ordinarla. E cosi 11discorso ora vuole essere rapido e breve, mentre poi improvvisamente quasi si allarga, e al rievocare segue il narrare. Il racconto infine non ha che un personaggio: l'autore; 11resto è fermato e sullo sfondo; e quando la rappresentazione comincia ad ampliarsi, non è che per un attimo, e ci si domanda se certa attitudme al racconto, alla novella, con personaggi e situazioni definite, non sia stata contraddetta m Slataper dalle consuetudini letterarie dei tempi 1n cui egh commcib ad essere scnttore. La storia d'un amore con Vila fa intravedere un racconto, uno di quei racconti d1 scrittore giuliano, che forse Slataper avrebbe potuto benissimo scrivere, venendo a essere quindi accanto ad altri narraton della sua regione, come Svevo, Giani Stuparich, Cantoni, Quarantotti Gambini. Invece no; fra i giuliani, Slataper è un solitario, uno che pare abbia disperato della letteratura. La sua prosa, in certo ritornare di frasi e di parole, può rammentare Péguy, ma m Péguy il calcolo era tutto retorico e letterario; in Slatapcr, invrce, il prendere un ricordo o un'immagine, il ripetersela in ogni tono, è un tentativo disperato di uno che vuol cavarci tutti gli effetti possibili. Come molti altri prosatori dell'anteguerra, Slatapcr quasi dispera delle parole e di cavare dalle cose comuni la poesia. C'è in lui una confessata andità, che forse è soprattutto l'attrattiva maggiore del suo libretto:• Dunque facciamo l'articolo. Da molto tempo sto zitto: è tempo di risbucare. Lapis rosso: r, 2, J, 4, 5 ... ; le cartelle sono numerate e pronte. Accendiamo la sigaretta. Inchiniamoci sul tavolino per venerare il pensiero che gorgoglia, commisto all'inchiostro, giù dalla penna. - L-0 sviluppo d'un'anìma n Trù.'- ste. Comincio a scrivere; lacero; di nuovo, e altro strappo. Sigaretta. La stanza si empie di fumo, e i pensieri si serrano come corolle al vespro. Inutile illudersi; non ho da dire niente. Sono vuoto come una canna•. Guardarsi allo specchio, sentirsi vuoti come una canna era l'ambizione di quegli scritton. La letteratura per essi di~ vcntava come uno sfogo a una inquietudine morale mai definita, e molto spesso una pos:-tgiovanile e ingenua. Guardavano le cose comuni, volevano trovare in esse la poesia, riducevano la letteratura a un diario d1 impressioni, amavano lo scrivere sciatto, e improvvisamente, come a dare una ragione alle loro pagme, si abbandonavano a esclamazioni, quando non ,i illudevano d1 avere trovato il canto in un improvviso trapasso dalla prosa ai versi. Poche le prose degli scrittori della Voa che 1mprovv1samentc non vogliano diventare ntmate e in versi, e non per un impeto interno, che conduca a inventare nuovi modi espressivi (un impeto che for- ~e mai si è verificato in alcun scrittore), ma per una smania di tentare ancora, di cavare qualcosa dalle proprie impressioni, dalle proprie inquietudini che paiono confuse e povere. Slataper vole\'a essere tante cose: partire per l'Onentc e farsi uomo dt affari, andarsene sul Carso a \'ivere in pace; poi venne la guerra, e, giovane irredento, vi :mdò per monrc sul Podgora. ARRIGO BENED€TTI @HRIEFREANC tallCSl!Wa~~~t &r&l!i&' fiOUEMU. C N, I HANNO mandato ,u per una ~ ,caletta a chiocciola 1..trctti~si• ma, in alcuni punti buia come un pozzo d1 miniera; siamo arrivati in una specie di lunetta ricavata nel soffitto della cupola, dove1 mezz'ora prima dell'inizio della cerimonia 1 già si pigiava una trentina di persone. Altre lunette, intorno alla cupola, erano grcmit<' In una pì\1 piccola ~tava un di- 'i"tinto c.ignorc tutto ~loj era il pre• ,idcnte della Repubblica, arrivato anC'he lui mezz'ora prima. Sorrideva. ma ne,;;suno pareva C!)ser~i accorto della ,;ua pre~nza. In quelle lunette il pubblico ci faceva l'effetto di gruppi di angeli in horghcsc e con le barbe finte, venuti ad assistere a qualche strano spettacolo che doveva avvenire in platea, dove pure si stipava la folla. Quaranta 1>0\trone venivano intanto lentamente occupate da vecchi ,ijrnori in marsina ricamata di verde; .1i loro lati '-td('vano altri vecchi signori vestiti di nero; e davanti si pigiavano molte vecchie signore con grandi pellicce e variopinti cappelli. In mezzo a loro qualC'hc uomo ?.ncora giovane faceva l'effetto di un ragazzino portato lì ,everamemc ad istruirsi. Sullo !)tucco e l'intonaco della cupola 1>0:,.avauna polvere gloriosa, solidificata, intangibile. Mi dissero dopo che, per l'occasione, gli inservienti avevano fatto una gran pulizia e tolto le ragnatele. Anzi, quc~to fatto di aver tolto le r:lgnatele parve tanto interes- \antc e originale, che molti giornali ne parlarono. Stavo in piedi, pigiato nel gruppo paziente della mia lunetta, e vedevo -.critto -davanti a me, in grandi caratteri che avevan preso un colore tenero di acqua di lago : Descart~s. J?er tre ore quel nome mi !'liparò davanti agli occhi, per le tre ore che durarono i due discorsi dell'accademico «ricevuto> e dell'accademico « ricevente •· Sicché quella scritta la rividi di n.Jtte, la sognai, mi perseguitò a lungo con la sua o,tinazione di simbolo abusato. Quando tutto il parterre di venerabili fu completo, gli accademici parvero come fresche siepi verdissime oltre le quali spuntavano a gi.ardarc volti pallidi, glabri o barbuti, di vecchi. C'era in tutti una dokc indifferenz.a, una lontananza cortese e distratta che faceva pensare all'insen1..ibilità della ~toria. L'accademico e ricevuto • cominciò a parlare. Aveva fama di grande oratore, ma non aveva mai pubblicato una riga. Parlava come molti parlano qui, con voce vivace ma nitida e sempre di tono uguale, con pause sempre mi~urate, senza nessuna inflessione diversa nei frequenti momenti in cui il discorso diventava spiritoso. Il motto di ,;pirito, l'aneddoto, si vedeva che facevano parte di una retorica d'obbligo, non erano il condimento, ma la wstanza stcs,;a dell'eloquio. Parlò per più di un'ora, di,;sc i rner.itì del 5UO prcdcces~re con garbo e protocollare gentilciza. • Il presidente drll'assemble<:t e;li rispose pc-r un'ora e mezzo, enumerandogli ì suoi meriti come se glieli rinfaccia,!1-C:voi avete fatto questo e quc- 'i"t'altro, voi ,iete stato mini!"ttro dell'l,;;truzionc, t.' siete ~lato proprio voi a riformarr l'insegnamento .. Sembravano tanti capi d'accu,a, ma è il si~ qema che u,ano generalmente qui ìn ,imili occasioni. Parlava e parlava, il presidente, ma nes.mno si spazientiva. Una benevola wpportazionc era in tutti, dal Capo dello Stato fino agli uscieri che stavano .,Ile porte, anch'essi in atto di ascoltare; ~orridevano spesso l vecchie signore, mani gracili di altri accademici accarezzavano venerabili barbe; e i rari giovani stavano più attenti di tutti. Di tanto in tanto, al momento giusto, veni"ano a galla gli applausi come bolle d'aria di palombari; poi l'oratore riprendeva calmo a parlare. Che era mai successo della « furia francese>? Finita la cerimonia, gli accademici uscirono confusi tra la gente, salutarono i C':ollcghiin fretta e andarono alla ricerca di un tassì. Altra gente. fuori, ,i raccoglieva a ~uardarli soddisfatta, senza manifestare nessuna ironia. Non si può fare dell'ironia per secoli sullo ste~so argomento 1 e fra il popolo non ci sono candidati bocciati e invidiosi. Un tale, con le ghette di cuoio giallo e un berretto da fantino in capo, tipo di pescatore dilettante della Senna, si fermò a domandarmi laconico: « Réception d l'Acadérniel ». Gli risposi di ~ì e parve molto ~disfatto anche lui. L'Accademia è cara anche al cuore dei pe,;catori alla lenza. Una buona vecchia i,tituz.ione, una solenne cupola dove la gloria ,;i è accumulata come la polvere, e resta intatta an<·he quando, per caso, si tolgono le ' tt<' ragnatele- della vanità. SILVIO PARINI

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