( PALCHETTI ROMAHI ) I t/ L FRANCESE < lingua fuggitiva. ! Di anno in anno rimuta locuzioni, come il serpente la pelle. Se fissiamo un vocabolo .1 lungo, lo vediamo tra,fonnani sotto i nostri qcchi, e piangere quando prima rideva. Garce. che oggi ~ignifica « :.gualdrina », ieri significava « verginella >. Quando i pittori della ..cuob di Barbiz.on chiamavano pochades i loro rapidi studi dal vero, non prevedevano che pochi .mni dopo quc,to termine avrebbe i.ignificato una rar!!-adi infimo ordine, inferiore a quelle \lei.se <'Ommcdic ,ncllane che facevano ridere i gladi;nori e ~li :.chiavi. li ri,;o che l.t M!ra del ventun corrente ci è ,t,tto violentemente i.trappato di bocc,1 dall' « avventura fa~i.ca > in tn· t1tti di Picrrc Vcbcr, La signora è co11 me, rappresentata per la prima volt,t a Roma dalla compagnia FalconiBesozzi, :-.iè immc:-diat.imcnu· convertito in amarezza. Quale veleno era in quel ri:,.0? Pc:-r un minuto ci siamo :-.entiti in rnndizionc, non dirc-1110di gladiatori, perché tanto non presumiamo della nostra fascia mu:'!colarc, ma di c;chiavi. E dal teatro. benché non si po:-.satrarre ogni vOlt<l un arricchimento ,piritu.1lc, è bene d'altra p.trtc non riportarl· rl ra!kl un rimorso. In un., ntate torine:..e, ..,J teatro del P,1rco ~lichclotti. fummo presi da un riw irrcfrcnabi)(." perché, ,u un pcrson.tggio chiamato Natale Capodanno, ,1 accumularono per dicci minuti gli t•quivoci più vertiginosi. Quel ril>Onon t:i inondò l'animo di luce :'!Oprannaturale. ma nemmeno il M>rdido avvilimento ci diede, che ci dànno lt- pochadtt1 di Pierre Vebcr. Era innocente, come l,t farsa che lo .tveva provocato. La farsa genuina, l.1 far~i « di ,orgente », è la rappresentazione di una -.itua1:ione paradossale, di un groviglio di fatti illogici che, per virtù appunto , della loro illogicità, ci rapiscono, su- :'!Citano il nostro riso - che nemmeno riso è, ma un trillo nervoso, un cam- ( par..:llo isterico - e, M! non :\rte, fannu per lo meno artificio. Nulla ci distrae così completamente, e diremo meglio: nulla ci astrae, quanto una farsa riuscita bene. Nulla ci > port::a tanto lontano dal mondo. Momento di follìa. Svenimento. Sonno a occhi aperti. Dal qualt.:, finita la farsa, rientriamo immediatamente nella realtà, senza tracce gravi, se non un leg- ~crÌS:'!imotramortimento, comt• nel pas- ~ag~io dal buio alla luce. Ma la farsa è temuta. hpira paura, ,. soprattutto diffidenza. Solo gli uomini di animo puro reggono la fana. L'illogicità. che ripugna agli uomini t·omuni come lo c;pccchio al cane, i puri la desiderano come un ~nno brevt'. E n<"lla farsa ritrovano l'immagine !ipccchiata della vita. Vita 1omnium breve. E non per nulla ai matti, cioè r .t dire ai « senza logica », era connessa l quella idea di santità, che in Oriente ,i protrae ancora. Mai abbiamo visto cosi violenta reazione di pubblico, così compatta difesa rontro il pericolo della illogicità far- 'ot.'SCa,come alla rappresentazione di Les u1fa1it1 au pouvoir, bellissima far- :,.a di Roger Vitrac, rappresentata alla Commedia dei Campi Elisi nel 1928 ; ,'e a quella di L'amore fa fare questo e altro, di Achille Campanile, rappre- :'!Cntata .ti Manzoni di MiJano, nel 1930. In :..cno alla borghesia di oggi, l'autore di farse fa la parte dell'eretico, in \eno alla borghesia del medio evo. Ls llilu..izionc della pochade è diver- ,a. La pochade rientra nella legge canonica dell'arte - e dei sogni - che i di attuare sulla scena i desideri dello -,pcuatorc, dargli quelle soddisfazioni che in ca"a, in ufficio, in istrada, non avrà mai. Con questo, pcrò1 che mentre la liberazione di Brunilde da parte di Sigfrido attua quel tanto di desiderio eroico e cavalleresco che può avere uno spettatore d'oggi; mentre Coriotano attua i suoi desideri di giustizia, la pochade attua sentimenti ben più modesti, come quello della cosiddetta e avventur.1 di viaggio>, o di andare ., letto con la ,erva. .e. per questo che la sera del 21 corrente, alla prima di La signora è con me, e malgrado il pericolo di annegare nei torrenti di riso che ci passavano sopra mugghiando e scrosciando, noi, anziché lasciarci travolgere da quella ilarità indecente, che solo una volta, e brevissimamente, riuscì a infiltrarsi in noi, e provocò un singhiozzo, uno starnuto, un pianto dispettoso, sentivamo la vergogna fiorirci in faccia, fertile e hulbosa come rosolia improvvisa. Altre volte, nel suo tempo e nel suo clima, la pochade, col diavolo nella famiglia della Damt de chet Maxim, con l'arresto sessuale di Niente di dado, con l'erotismo ingigantito delle Pillole d'Ercole, aveva una sua mole, un suo peso, una sua tronfiezza rabclaisiana, cui una speciale fauna d'attori era devotamtnte fedele: Siche! con la sua malinconia di corvo itterico, Ciarli con la sua testina da pugno chiuso, Bracci con la sua faccia di pianta di piede con occhi e bocca, da in~gna di pedicure. Ma ora ... I fr:mcesi vivono di ricordi, i soli ormai che vivano di ricordi. Chi ha tolto il vecchio Pierre Veber al suo calendarictto settimanale di CarAide? Una pochade tirata fuori oggi, è come la carcassa di una cicala in autunno, un vecchio ma-zzo di fiorì nelle ,pa7.zature, una scena di Carnet de bal. ALBERTO SAVINIO &OWJ. . 0&111pcol.I Fiori I lndoua\On di raiH DEGLI ~,~ ·~~Td~t~~t:,E 1/iru:::q~~ ;~::~ ~ è una cosa complicata. Si compie m un cortjlc spazioso di Via dell'Umiltà, da un balcone al primo piano, davanti a una cinquantina di persone. Sono tutti ap• pasrionati del gioco: per le loro cabale, trascrivono i numeri sulla carta e sanno a memoria da quante settimane non esc.e quel tal terno che hanno giocato. Si conoscono fra loro, almeno di vista, e si scambiano volentieri piccoli favori. Alle quattro in punto alzano il nuo verso la loggetta del primo piano, ove compariranno i misteriosi personaggi a sorvegliare la cerimonia e il bambino che dovrà scegliere i numeri, sorridente e allegro, inconscio del valore che auumc, per tre minu• ti, agli occhi di migliaia d'inveterati od occasionali giocatori. li ragaz.w è giunto cinque minuti pri• 1na che l'estrazione ave»c inizio, accoro• pagnato da un pretino. t un trovatello di un istituto religio10 della campagna vicino a Roma: è stato obbediente per tut• ta una settimana e il padre superiore lo ha sc:elto, fra cento ahri, ad essere la mano destra della sorte. Non sembri una ricompensa da' poco, questa, ché l'essere sta• to arbitro sconosciuto della riccheua e della mlleria, in un cortile di Roma, alle quattro di un qualunque sabato, iarà storia da raccontare ai nipoti. Ma, molto semplice111cnte, più che alla rappresentazione della Fortuna, il raguw, cosl bendato, rassomif(lia a uno scolaro che giochi a moscacieca. L'aspetto, serissimo, dei sei signori che \o circond .. no, diuuade presto dall'idea di un giochetto; è una cou ben più ,eria: 1i tratta della ricchezza, niente di meno. Ma. non sembra che ad cua tendano quelle cinquanta persone qui radunate; nessuno ha la faccia del probabile vineitore. Sono giocatori puri, che non desiderano assolutamente di vincere, ma che ,i contentano di rilevare qualche uranezu fra i numeri estratti o qualche sbaglio nell'interpreta-iione dell'ultimo ,ogno, causa della mancata vittoria. Neuuno, dopo comparso l'ultimo numero inutile, straccia e getta al suolo la .sua cartella perdente giurando sulla. te.sta della vecchia madre di rinunciare al gioco: tutti se ne vanno w-nz.aamarena, come le già aveuero saputo fin dall'inizio che non c'era speranza di vincite, ma scegliendo già, nel cuore, i numeri per la prossima .settimana. L'unico che brontoli è un .signore che, per cinque minuti di ritardo, ha peno il suo treno. 11 luogo sacro agli ambi e alle quaterne secche, dunque, è un cortile rustico e piuttosto n1al tenuto, come ce ne sono tanti nella. città, dietro le case dalla facciata in ombra sulle urade strette. Questo, però, per metà è adibito ad orto, con qualche ricordo di un vecchio giardino: due palme e tre nespoli del Giappone. Al primo piano si apre una loggetta elegante, foderala di legno rosso, con l'urna scintilla.nte, rapida nei giri della manovella cigolante come la ruota della dea, e il bambino in grembiule bianco che attende pazientemente il suo momento. Sette pcraone sono necessarie per l'im• bu.ssolamento dei novanta numeri. Il pubblico s-cgue attentamente il viaggio, da mano a mano, del cartellino ben visibile, con l'aria di voler vedere ben chiaro in tutti i momenti della cerimonia. Ogni die<:i sfere lucenti imbuuolate, l'useierc con berretto a galloni d'oro dà. una mescolata all'urna; il presidente lo interrompe a tempO giusto con tre trilli di campanello. Ncs- \uno parla, tranne un tale con l'accento napoletano che via via legge i numeri ad ILSORCHIOELVIOLIHO J1i'l RE LETTERE, una ,illaba sola. ! Presto detto, presto scritto, presto letto: Gui. Nome corto. Gran vantaggio per diventar celebri. Con un µo' di stoffa e un nome come questo, a uncino, la fortuna è acchiappata. Difatti Gui non ha perso tempo: era già celebre venticinque anni fa, più celebre che adesso. L, prima spinta gliela dà Gabriele d'Annunzio, chiamandolo a dirigere i cori della Naue composti da Ildebrando Pizzetti. Intorno a Gui non mancò allora la ...ollecitudine insieme congiurata dc.gli accademici di Santa Cecilia, che non scherzavano in fatto di protezionismo. E quella degli antiquati e austeri salotti del bric-à-brac romano. - A.1'.:HI alta voce; tutto è regolato dal campanello a mano del presidente: uno di quelli che si vedono sui tavoli dei personaggi di certe commedie, a chiamare preuo il padrone servitore o dattilografe. Poi, quando i novanta numeri sono tutti al sicuro fra le pareti di vetro dell'urna, comincia l'estra• zione vera e propria. 11 ragazz.ino si tira 1u una manica, come un prestigiatore che compia le sue funzioni in teatro, e viene bendato di bianco. Il pruno numero estrat• to passa ancora da mano a mano e, final• mente, il signore con l'accento napoletano lo mostra al popolo e lo grida forte. Le giocate gin.Ile e bianche stanno nascoste nelle tasche degli .spettatori: tutti pensano a dominani e alla neceuità di fingere indifferenza se, per caso, uscissero i numeri della loro speranza. Fra coloro che avevano gioca10, naturalmente, ero anche io. 11 libro dei sogni, in cau mia, non è mai arrivato alle uan:r.c. di 10pra: ~ stato sempre relegato in cucina, insieme con la .storia dolorosa di Genoveffa dalle lunghe trecce e col S11r1torio tolont&. Una tendenza radicata in tutta la fa.miglia ci spinge piu1101to a tentarne la spiegazione con i metodi del signor Freud che con quelli tradizionali dell'onesto libro dei SO· gni. Ma, alla fine, oggi ho scoperto la sua necessità cd è certo che più non lo abban• donerò. Penso che, anche se oggi non mi ha fatto vincere, sarà per un'altra volta. Incanto, tutte le sere vado a letto pensando fortemente di voler sognare poiché, è ovvio, senza sogni non si pouono neppure estrarre cabale o numeri. Poi, il ubato, w riuscirò a sognare, andrò all'estrazione per godermi la sua aria di tombola paesana a fine carnevale. M.a, vincitori, non .spero di vederne. Come non ne ho visti oggi, a meno che cui fossero diabolicamente astuti e abiliuimi nel nascondere le emozioni con facce da giocatori di poker. Nel qual caso, avrebbero giocato a poker e non al Lotto. Il Lotto, infatti, è gioco chiassoso e pubblico, che richiede nei suoi cultori sincerità cd immediatezza d'atti pal~si. Per vincere al Lotto, bi10gna essere per lo meno capaci di offrire un pranzo di cinque ore a tutti gli amici e parenti, dopo l'incasso, senza nasc.ondere la gioia più chiassosa. Bisogna avere il coraggio di pensare che si dilapideranno le fortune vinte in poco tempo, fra fontane di vino rosso e porchette intere arrostite: solo cosl c'è qualche probabilità di ottenerle. Il gusto dei quat• trini spesi male è bellissimo e divertente, qualunque cosa si dica contro i dìuipatori: biwgna conoscerlo per 1perare di guadagnare un temo. Altrimenti, niente. 11 Lotto, grande vendetta dei tassati, si abban• dona soltanto fra le bra<:cia degli spendaccioni cordiali. Intanto I' estraz..ione continua di gran fretta, e all'ultimo dei cinque numeri tutti commentano ad alta voce. Si chiudonl) le finestre degli inquilini che si erano affacciati a guardare b. bella fe1ta. Ci .s.arà anche qui un posto, come si dice esi1la a Montecarlo, dove i giocatori del Lotto rovinati vanno a ùrani un colpo di rivoltella? Quando tutti hanno sfollato, rimangono sol.i i cinque numeri ad occhieggiare fortune e disfatte dal cartellone a svolau.i. Furtivamente entra nel cortile un signore an~iano, che si vergognava fot1e a Cani vedere prima, e si abbandona a certi suoi complicatissimi calcoli, inseguendo con gli occhi azzurri Jinratti gli otto piccioni del cortile, mentre scrive i suoi logaritmi sull'orlo bianco di un giornale, con il lapis copiati~·o. M.C. Era considerato un fiore della laica bigotteria. Anche il vecchio e gongolante Sgambati con due occhi che brillavano come 'due ciliege nel cognac, si diede gran cura di Il.li. Così la sua carriera correva puntuale al cronometro. Studioso, zelante, cocciuto: non si può dire chr non se lo sia meritato. To!ocanini, che lo teneva volentieri con sé alla Scala, rispondeva a tutte le obiezioni: «Almeno è ben educato>. Le interpretazioni di Gui avevano un -.alo senso: il senso del dovere. E. romano. come Battistini, quel Battistini baritono famoso, che si fote\'a accompagnare nei suoi viaggi in Rus- ,ia dal suo confessore privato, natu• ralmente vestito da prete, e passava negli ultimi anni per la Piazza ili Spagna, chiuso in un vecchio cou pé padronale, imbottito e oscuro come un confessionale. Anche Gui andava a dirigere il suo concerto tutto solo, in un coupé particolare, nero, giù di moda, misterioso. fnsomma, aveva dello stile. E ora veniamo al Gui dei n~tri giorni che diresse ali' Adriano un concerto. Trattandosi dcll'Ouuuture tragica di Brahms, Gui dirige a due braccia, per-- ché non ne ha più di due. Dritto sul podio, la fronte alta, non fa che girarsi alacremente sui piedi, ora verso i violini primi, ora verso i secondi. Cam- , pione di energia volitiva. e, riuscito a raggiungere e a supe- • rare i suoi cinquant'anni senza far pancia. Soitanto il suo volto è obeso, come d'un alto dignitario ecclesiastico o d'un alto impiegato di banca. Ecco un uomo arrivato, e abbottonato al cento per cento; le guance ormai a cotolette del vero romano de Roma egli muove intorno a rilento lo SRu,ardo pontificale. come per dire « Oremu.s >. Scrupolo:-.o l' loevero nel governo dell'orchestra, Gui dirige a memoria ; ma la partitura ~ta aperta davanti a lui come il librone del « dare e avere >. E l'inizio del concerto è buono; tutto procede con 1o::randefranche,zza e bravura. Senonché i divcr:'!iperiodi della composizione brahmsiana si succedono l'un dopo l'altro come tanti compartimenti stagni, vale a dire non intercomunicanti. Gui mette in pratic.lt. il motto e: Divide et impera•· L"l grammatica e la prammatica sono il suo forte, però qualche volta gli manca, se si può dire, l'accento che fa l'anista: l'accento acuto, quello grave, l'accento tonico; e anche la puntep:~iatura e gli stacchi, e gli accapo che dànno senso, libertà e unità, aria e forma al discorso. Per esemoio la Sinfonia conctrtata di Mozart fu tutta una cincischiatura scolastica dalla quale emersero, salvi, i pregi di due valorosi solisti: Remy Principe violino, e Matteucci la viola. Gui diresse con molta attenzione anche una preg-evole Suite di Vincenzo Tommasini, opera nuova per Roma., che ottenne un caloroso successo. E chiuse il garbato programma con il Venerdì Santo di \Vagner e l'ou.uuture del Freischiitt. A questo punto, l'orchestra del1' Adriano rientrò nel suo letto come un fiume e scese a meraviglia verso la fine del concerto. Possiamo prendere qui la buona occasione per far l'elogio tranquillo, ma ~incero, di Gui che ne fu il direttore. BRUNO BARILLI LEO LONGANESI • Dlsettore responnbilt i'roptit:ll ■ni•tiu e ltlltrari■ rit-er\·a1111. RIZ7.Otl & t: .. An JWr l'ArW- dtll• Sl■lllflA • Mil■no RIPROOUZIOSI ES6C..Ul1'E CON MAl F.RJ..\l.t-: J,"OTOGRAt-~iro ,. FRRRANIA •·
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