Omnibus - anno II - n.6 - 5 febbraio 1938

( ILSORCNIOELVIOLINO) ill C> ill~ìmillill® DENI IBELUNGHI ~ I QUESTI giorni sì svolse sulle scc.ne ,Il del Teatro Reale dell'Opera l'csecullonc integrale dell'Anello del N1bel1u1go. lt ciclo, in tre giorn,uc e un prologo, si va ripetendo tre volte in tre set• timanc, col teatro sempre pieno, cucndo st:t.to venduto 6n dalla prima recita ogni posto a venire. Figurusi l'accorrere della gente alla pri. ma: L'o,o dd Ruio. Da ogni parte dell'abitato, a pie-di, in carrozza, sui tram, o in automobile, sfidando tutto e poi tutto, duemila frac dissimulati abilmente sotto i soprabiti, e mille dJcoll,tJs protetti e difui da pellicce fortunate, filavano in gran fretta veno il teatro ddla capitale. Molta di questa gente male informata veniva a cuor leggero a couituini, fidando di poter superare facilmente i pericoli e le (atichc di una giornata wagnt'riana. Quattro ore di musica a temi S\'olti, per cui non era proprio nulla ; l'ipnosi, o la catalessi, non li spaventava; cui si esponevano e si esibivano con una spensieratezza inaudita, desiderosi di misurarsi coOt, que collt• coi più pesanti e astrusi spartiti del famo:1iuimo genio riformatore, e a offrir loro una sedia d'occasione, foue pur I.a sedia elettrica, si sarebbero Kdut1 con bel garbo e in gran toilette. L'o,o del Reno comincia al livello dti palombari. Siamo sotto le acque del fiume. Un accordo costante gorgoglia b,uso, si spande a misura, e sale dall'orchestra sempre più ampio, penetrato di luce, vien su maestosamente man mano durante pagine c pagine, come un gran piedistallo sul quale dovrà sorgere edificata tutta la partitura della Tetralogia del Nibelungo. Frattan:o si scosta liquido, a'aprc, lentamente scorrt'ndo, il velario, e l'ombra di un'ondina scivola (uori nel buio da una grotta subacquea, e ne chiama un'.dtra che accorre nuotando; si dan la voc.e; due, e poi tre, le ondine, e cantano appese all'amo, come l'esca per i pesci. Bionde le chiome, verdi e rosa le cinturc, si rincorrono allegramen • Ma han troppi vC""liaddosso, son gonfie di stoffe, e sospinte dalla corrente fan pallone, pesanti come baiadere egiziane, o come tre monache immerse in un acquario. La tradizione vorrebbe che qucst<' figlie del Reno fossero quasi nude, cosi come le ho viste io molti anni f,, graziosamente accomodate su una specie di sellino, cavalcare a Monaco di Baviera, in lungo e in largo, nel magnifico bocca.scena del Prinzregentcntheatcr, e lo spettacolo ci guadagnava, attraverso gli occhi, e attraverso i Knsi, l'illusione d'cucrc nelle trasparcnzc scmioscure del fondo del Reno. Son cruturc felici e lcggiadrc queste figlie del Reno; non sono le irsute sirene di cui parlano i navigatori, dalla faccia di •con.a gialla e tumida, dal fascino siomachcvolc, che col sole vengono a galla come le zucrhe. Sono ondine, cantano bene e l'acqua non entra loro in bocca: e non fan le bolle d"aria i loro accenti .argentini. li nano Alberigo, quatto quatto fra le roc:cc, le guata, innamorato e deriso; la sua voce diventa più rauca, e s'arrampica, e starnutisce tra IC'rupi del fondo, all'arrembaggio, incurante dei raffreddori in quell'umidità, verso uno scoglio dove l'acqua sommuove quei veli d'oro. Coll'aurora, il primo raggio di sole trafigge le acque del Reno, e accende il mc• tallo prcUoso che 1embra germogliare come un broccolo da un picco di rocce a piramide. Il secondo quadro lo raggiungiamo in sa• lita, passando fra i Cumi e gli umori meu.-orologici della genesi wagneriana. Intanto, in orchestra, si schierano per la prima volta l'un presso l'altro i temi conduttori. Lo schermo denso di nubi va su rimboccato fino al settimo ciclo come un grembiule, cd ecco un paesaggio Kopcno di rupi ad anfiteatro sopra un oriuonte asciutto e acrcnissirno, dove, col levarsi del sole, annun<'iata dagli ottoni, si delinea e campeggi.a sul fondo, come un iceber1, la mole del Walhalla. E qui, su questo altopiano deserto, ha luogo tra Wo1an e Fricka una di quelle convers.azioni wagncrianc, senza urgcnu. né magnanimità., in cui il governo del mondo d'allora mostra di non aver basi solide né argomenti intereuanti per noi. St!nonché vcngon su lenti i due giganti, muniti a mo' di randello di grossi alberi. Non ostante le barbe spinoSI.'e! lc suoli.'!alte una spanna, le loro false fronti cnonni e capellute che cascan loro susli occhi come cimi malfermi, la statura di questi giganti rimane modesta. Tuttavia i loro p:usi in orchestra, il loro aspetto e la loro voce fan frt-merc. Gli Dei aumentano man mano, soprag- ~iunti da ogni parte a popolar la 5Ccna. Sopravviene e subito s'accende, in nuesto Olimpo in ciabatte, una disputa da auaccabrighr durante la quale i cantanti non possono piazzare una nota Ci si domanda talvolta come Wagncr pO· tt'~K pretendere che l'umanità si fermasse completamente dinanii a lui, la vita e il respiro sospesi, ad ascoltarlo durante le 1ue lunghe e ingombranti t'lucubraiioni, che non sono di questo mondo e non hanno mai fiM. P1·r far,.: vak,,·, Wawner ha buttato rnlla bilancia ddk rn1· prt-tesr- incompetenze la 1imidtu .. dell'uomo medio, come Brenno la sua ~pad.t Infatti !"uomo mrdio, piutto ..to che ribclb1\1, è c.1pacc di mandar ~iù m.1.ttoni comC"" \t' fo.s\cro cioccolatini. D.-1 r<'~to, 1i può dir m.1lc di Wagnn. la sii.. grandrn.a non corrC' pcri!"'olo. E, tuttavia, l'opera di Wagncr finisce ancora per imporsi a noi stessi come all'uomo m<'dio. Dopo la partenza dei giganti che trascinan seco Frcia, s'oscura il ciclo dove Wo1an e gli altri Dei son rimasti accasciati e immobili, e l'opera diventa grande al modo cosmico, vale a dire torbida, immcnsa, con ~randi buchi che •i empiono di poesia, e noi ci sentiamo improvvisamente piccoli, minacciati e trascinati in una colossale suggestione. L'ossatura geologica della musica di Wagncr, la sua corporalitl mastodontica, quella sua vena turgida di polifonia che spinge nanti tutta una genealogia di temi e di simboli, schiaccia le nostre spalle e ci sommerge. Man mano che ,i procede nella tetralogia, 11creatore si ritrae, ma il wagncrismo continua a svolgersi per fon.a d'inerzia, con l'automatismo implacabile di un'alluvione, e ,i estende irto e nero su tutto Il 1cmpo, rimorchiato f' sospinto da un a,,elito primordiale, proc.cdc in un'atmos(era mitologica e abbuiata. Se c'inoltriamo nel meuo di tutto questo gigantismo, proprio h dovt' le epoche e le dominazioni 1ravoltf' crollano lcntamf'11te, udiamo il duro e fra- :i;tuonantc passo degli Dei precipitosi, accorrenti dai confini del mondo, accompagnati da fulmini che piombano, lacerand('! all'intorno tronchi e metalli. E qui sarà opportuno tener conto di una regola, che Wagnf'r soprattutto raccomandava tanto agli artisti che agli istrumenti,ti: cantare, c.1.ntarc. Ma non scnu. quegli sforzati e quei contrasti che arriv:ieno al colmo, quegli stridori ai quali Wagncr op• poneva dolcezze imprOV\'iSCe pause terribili. I=: non ci vengano a parl.1, Ji normi' mctronomiche, in Wagncr non c'è una battuta uguale all'allra, e le loro differenze si compensano a vicenda per formare quel ritmo denso e oc.canico che è proprio del dramma wagneriano. Bisogna mutare il tono, cambiar di~- Lione, modificare il movimento per ingannare l'inerzia elementare di questo spartito, che si presenta alla fine d'ogni pagina col pero- di tutte le sue passività. e il groviglio di tutti i suoi temi. L'opera, con tutto il genio che c'è den• tro, è più costruita che creata; allora biwgna costruire e distruggere St"nza tregua, spezzare e passar oltr~, la,sciar che i buchi e le frane, dietro di sé, si riempiano di ~iniurc a1monic, tirare innanii mirando s,•mprc all'azior-c, c cercar di salvare dal mistero tutto quel che è vivo, intero e umano, .tnchc a scapito della grandiosa e magniloqucntc monotonia del lavoro. Ai grossi impeti delle eroine opporrc quel che c'è di pii) secco, quel che c'è di più duro, squassando con colpi strepitosi tutto il suono dell'orchestra nel silenzio d'una p4uJa. Gli accordi cadano a picco dal ciclo sulla bilancia istrumentalc, con un fragore mitologico. Ecco questi Dei del Walhalla, queuc Valchirie arrivare dal ciclo, Komparirt" fr:i. le rupi, riapparire su tutte le cime della terra, su tutte le tcrraue di un mondo deserto. Per questo, diciamo, il teatro wagneriano ci sembra destinato a inC41pparl' in una crisi chC' non potrà superare. e, infatti, pieno di rovinose prolissità, ottremmo dire che ci si sente una pcPn• ceua che lo fa affondare irreparabilmente. Ci vuol<", dunque, un dirctlorc d'orchenra che v.1.da più in Il del segno, un temperamento capace di spezzare questa quantità che fa maua sull'uditore e lo opprime Ci vuolc altrettanto coraggio quanto talento pt•r tcntare un'imprcJa di questa sorta Il coraggio solo non basterebbe Pa fortuna, di talento il maestro Tullio Serafin ne ha da , endere, e lui solo .sa meglio di tutti di quali mezzi dispone il nomo tcatro, e sa misurarne le possibilità. sino al millesimo; cosicché i tratti felici, gli cpisodi magnifici e le fortunate soluzioni non mancarono durante questa ~ttimana di Wagner, dall'O,o del Reno al Crepuscolo deth Dei, e il pubblico volle manifestare con lunghis5imi applausi la sua ammiraz.ionc al direttore e agli intcrpreti, tutti di grandi1simo nome e merito, che prestarono la loro opcra devota e preziosa in quc'1a oce41sionc. Non possiamo ncmmcno fare i loro nomi che, del resto, sono su tutti i cartelloni e i programmi del Teatro Reale dell'Opera BRUNO BARILLI ~~.§:\, DEL VANTAGGIO NON CONOSCEVAMO Nemi , ui siamo slati do.-nenica scorsa col tram dei Ca-stelli, eh, i uno 1plendido tram a due piani sul quale par di uolare. Seduti al ucondo piano, come su un tran1atlan1ico, abbiamo nauitato nell'aperta pianura del La{io; poi, risalendo le cotl1ne, abbiamo 1,auersato Albano che i una sple,idida città ,1ntica e ordinata. Siauamo cons,derando lo bdle44a della via che l'att,aversa, quando ci J apparso quello che speravamo di non u,dere: stavo di f,onle a noi il solito 1iordinetlo con iradinata di monna fianchegtiato da 1lad1i di lravertino con la punta vòlta al eit1lo. Questi ilo.dii aprono 1t uiale Mo{l.1ni, t! dònno subilo l'impressione di 1,oua,CI davanti t'1n1usso d'un ci• milero. In/alti, nitnlt! i /HÙ squallido e fu• riebre dei 1iard1netti fatti d1 ununto e er• bette ump,e appassite, ehi! si trouano di tanto in tanto ntlle 11ostre ci1tà. Vorr,bbero eJJerl dedicati al culto ientilt! della natura; i11vecenientt! c'è di più melenJO e a,tificiaso. Le aiuole 1n meao alte ei1tà mellono 1t1mpre addo110 lristt!ua; quando poi le incontriamo in cittadini! t! in paesi, l'effetto si pu~ dire che Ha ancht! pt111iort1 Ci si uede il s,1no d'una intuanbile mt!• diocrità piccolo bor1heJt Ma lo ,iost,a passe111ota n,lle campa1ne ,omone è Jtota vuamenle /1utti1oso Scen dal tram a Gt1n(ano, ci siamo spinli o piedi fino o Nemi. Lo spl,ndido lato colo, mu· schio appariva illuminato per metd tltil sole ili, llffll'O do imo riub, di piombo. A (•1arIL OIROO EQUESTRE A ROMA: STRANO lKTERLODlO dar quel cielo non si poteuo che tt!mtre un acquoaone; e cosi andammo avanti 1uardin1lti. Ma presto arrivammo in palli!, il cit!lo smise di preoceupo,ci, e del resto per tutto qud 1ior110non piovve. Nemi è una piccola eittd di prouincio, sullo cima d'un colle, chiu.10 in JI, t,an• qui(la come il chiostro d'1111conu,nto. Entrati in una piccola trattoria, ci fumammo per nposorei un momt1nto, e, come occod• du,ante le 1itt1 in campa,ntJ, finimmo col metlerei a ,01ionore con l'osle dtllo bd· teu.a del luo10, dell'anticltìtd delta citta• dina. L'oste era una persona tranquillo: con certa semplicità ci disu che lo 1110era un'antica 1rattorio, aperta fin dal 1813; che tutti i ,omoni e 1ti altri for11tieri che ueniuano a Nemi ui si fermavano a ma111ia,e o a bert!; fino a che vedemmo il noJtro interlocutore perdere la suo semplicitd. < Nt!• mi ha un ,,onde avvenire >, ci disse, e ci comunicò quello che sta per capitare 4 quella piccola ciltà del Lor.io. Co,10 Vittorio Emanuele, che i la strada principale del paeu, mutuà aspelto: il loto dalla parte dtl lato 1ard abbattuto, e ciò naturalment• per conadtre a1li obitanli della cillà un oputo panorama. Quella del pono,ama 1tmbrau4 al nostro oste non tonto uno m,,auitlia turistico, quanto una belleua che quelli di Nemi avrebbero potuto presto 1odersi dalla matltna olla sera. Non avevamo mai p,nsato che un pono,oma posso essere un elt1mento indispensabile alla felicità d'uno popolai,one. E ,nfatll COJÌ non i; e veramenle nusuno al mondo desidera per la suo città panorami da 1odersi dalla mattina olla sera. Il mondo foru i p,ù pou,ro di quanto 11 creda di .umili esteti conumplotori. Mo purtroppo in Italia, do qualche tempo, ci si va occupando di ciò eh, per 1ecoli è stato tra.scurato. Nt111unacittà italiana, 11,mmeno quelli! che 1velono i11 lutto un senso architettonico particolare, n è prt1occupat, del proprio panorama. La bellei.t.a dt1lla nolura i per 1li italiani un fatto sen40 importonia, come umpre accade per i beni a portata di mono. e rt!Ct!fltl la moda dei pano,ami 111 /10lia, ed è 1nse1uendo una sciocca idea d'uno ltalfo lutto sfondi e aperlure le111adre e 1nconui,ol1 che si sta trasformando porle d,i noslro paese ,n qualco.10che rassomitlio une star.ione tumale di cura Trascriviamo 1nto,i10 per i no1t11 lettori questi uersi che abbiamo l•tto 111 una Jtam• po appesa o una partite dt!l/'osteria e Ecco Ncmi ! Celato entro una conu Di poggetti selvosi, egli non teme [\ furiart' dei nembi, e mentre il vento S"l'JIC le qucrcie dalle ime radici Qua e Il s'increspa mormoundo appena Lo specchio Iva.le del suo vitrell lago >. t Byron: e Pcllf'grinaggio d'Aroldo>). Versi trodotli in maniero 10.ia, ma pur belli. che B1ron scriJJe non ispira11dosi 01 r,slouri urbanistirr. MASSIMINO ~~W@lt~ DI BALLO 1l 'l" FIN dei conti, non è che una stanza ]1 col pavimento a mattonelle bianche e gnge, dieci seggiole scompagnate lungo le pareti e un radiogrammofono poco sonoro. Tutta la sua nobiltà risiede nella targa di smalto bianco che, sul portone di strada, annuncia l'• Accademia di danze•. li dito ammonitore di una manina mozza indica le scale strette e la via del ballo: r Ballare be.ne equivale ad avere una laurea•, dice il cavalier Virgilio M., capo della scuola, • le strade della buona società si aprono soltanto a chi si muove, con disinvoltura ed eleganza, sui ritmi della musica da ballo•· 11 cavalier Virgilio M. è un giovanotto molto magro e molto giallo, come un cameriere di una sala di lusso. Ha i capelli neri, lisci e pieni di brillantina; veste !lempre di blu, con cravatta bianca, e calza certi stivaletti lunghi e sfilati, chiusi al collo del piede da una fila d1 bottoncini neri. Caratteristiche tali, certamente, da non invogliare nessuno ad arruolarsi, magari soltanto come umile gregario, nel grande esercito dei ballerini italiani. E, tanto meno, avrebbero invogliato mc. Ma il professor Virgilio, dopo avermi cldssi.ficato come un , malvolenteroso •, mi prospettò il ballo come un dovere sociale, e allora, capirete, in coscienza, non potetti esimermi dal compierlo. Il suo discorso, o ragionamento, anzi, fu prcss'a poco questo: l'uomo è sintesi d1 spirito e di carne, dobbiamo sviluppare cd educare lo spirito con lo studio e con • i poeti•, secondo le sue parole, e il corpo con la ginnastica e la danza. Filosofia e sport, poesia \. danza. Mi arresi_ ~l'evidenza dell'equazione e mi 1scriss1 all'Accademia. Peccato, però, che io sia così timido e che preferisca starmene per tre ore seduto su d1 una sedia scomoda a guardare le facce ispirate delle coppie che mi ripassano davanti, piuttosto che far mostra delle mie poco esperte e1tremità davanti a rutti i componenti, pedagoghi e discepoli, della scuola. Preferisco, quasi quasi, guardar fuori dalla finestra, su questo triste viale alberato dove non passa mai nessuno e dove sembra che piova, anche quando in alto c'è 11sole. Ogni tanto, poi, viene a tenermi compagnia una ragazza grassa e sudata, quasi sempre vestita di rosso, un'allieva che si stanca presto e che fa il fiato grosso a ogni ripresa del grammofo• no sordo. L'età di costei, veramente, non la so stabilire; ma, comunque, è una ragazza •evoluta•. Che sia• cosciente•. non lo posso proprio dire, però. Fuma, è palesemente innamorata del maestro di cui forse non vede il naso da gufo, viene sola alle lezioni e disprezza i due scolari ma• schi; due ragazzini ben pettinati e vestiti di blu; anche loro, certamente, entrcran• no a far parte della buona società. Una volta, quasi litigammo perché non le faceva nessun effetto che le orribili scarpe del cavalier Virgilio 11 chiamassero polacchini. . L'altra allieva, invece, non è grassa. Ha soltanto le gambe un po' troppo tormte. Viene sempre accompagnata da una vecchia bazzuta che siede davanti a mc sorridendo beatamente sotto i baffetti neri e che, qualche volta, ho sorpreso a seguire fischiettando le belle fascinose canzoni al ritmo delle quali si foggiano i nuovi ballerini. La strana caratteristica di questa vec• chia è data dal fatto che non può fumare se non biascicando, contemporaneamente, una caramella di menta, e che non può godcr!'i a fondo la menta senza fumare. Ora, poiché tanto il fumare che il succhiare la menta le piace moltissimo, spende circa quindici lire al giorno, cosl mi ha detto, per i suoi vizi. Cosl, seduta a gambe larghe, fuma, mastica e sospira. L'odore di menta, dopo un'ora, ha riempito la sala. Della sua pupilla non si dà molto pensiero, finchl può appagare le sue cattive abitudini; poi, diventa nervosa e incomincia ad annoiare tutti con le sue lamentele riguardo a quelle quindici lire giornaliere. Adriana, che è la fanciulla da lei accompagnata, invece è molto silenzio• sa e, quando balla, chiude gli occhi. li professor M. dice che in lei è • l'anima della danzatrice•, ma quei due spirlungoni degli scolari maschi, due cugini, ballano più volentieri con la ragazza grassa e sudata che, a quanto pare, si lascia stringere di più. Uno di essi, anzi, mi è venuto a dire, lasciando indietro un• giro,, che ha un appuntamento con lei. fn quanto a me, come ho detto, guardo fuori dalla finestra o il naso di Adriana. Lei guarda il mio. Indicibili rossori mi assalgono quando devo produrmi nella scien• za appresa e provo molta stizza nel vedere i progressi degli altri. Spesso, poi, piove veramente sugli alberi stecchiti del viale e a me vien voglia dì rubare alla vecchia il suo sacchetto di mentini. Per fortuna, il naso di Adriana è molto grazioso. Quanào parla con me per salu• tarmi, alle sette dt sera, lei lo arriccia un pochino e se ne va Sf'gulta dall'accompagnatrice.che, come al solito, si precipiterà dal pr!Jl1o tabaccaio della strada. lo, a casa, prirna di andare a letto, provo davanti allo specchio dell'armadio gli ultimi passi insegnatimi, tutto solo, in pigiama e pantofole. M. C. ( PALCHETRTOIMA)NI IAIAIHII 'iì)ABLO PICASSO è il • parafrasista • I" più sorprendente che noveri la storia della pittura. Sulla sua fronte devastata dai ripetuti passaggi della fantasia, questo motto è tracciato in diagonale, segreto svelato della sua vita d'artista: • Da cosa nasce cosa •. Anche Picasso, come le galline, ha lo sguardo di profilo. Dentro l'ovale bianco, la pupilla enonne e nera è un bersaglio a rotazione. Le cose colme di segreti, e davanti alle quali altri passano innocenti e non s'accorgono di niente, la pupillà di Picasso le registra in un fiat, poi, nel silenzio dello studio, la mano le ncopia in maniera ambigua: quelle medesime e assieme diverse. Via via, quest'occhio straordinario e profondamente• spagnolo• ha registrato Oaum1er, Steinlen, i grafici gentili delle moschee che rifuggono la faccia dell'uomo come la peste, la pittura greca del museo di Napoli, e ultimamente, forse per simpatia fisica, perché fedelissima è la somiglianza tra la faccia d1 Picasso e quella del Karaghi6z, ha registrato la caricatura turca. Né la sene dei misteri svelati si fenna qui; ma ai due fratelli di spirito e di sguardo, ecco che improvvisamente si aggiunge un terzo: Edoardo Dc Filippo, questo napoletano più K.araghi6z che Pulcinella, e che in sé raduna secoli di comicità e di tragedia. Nota per i lttton· impreparati: KaraR:hi6z (Ghi6z il Nero) è la maschera turca.~ per la Turchia ciò che Pulcinella è per Napoli, Arlecchino per Venezia, Gioppmo per Bergamo. E nonché in Turchia, ma pres• so i Greci, gli Arabi, gli Egiziani: tutti i popoli del bacino orientale del Mediterraneo. Come Gianduja, anche Karaghi0z ha un figlio: appendice, dipendance del padre. Karaghi0z non vive 8-C non di profilo (il teatro burattinesco turco ripete il sistema delle ombre cinesi), ha l'occhio enorme e a mandorla, e, gibboso come Pulcinella, si gratta la gobba con l'unghia del pollice destro. Per mettere 10 chiaro il • perché • di Edoardo De Filippo, bisogna risalire all'origine sacra della caricatura, La caricatura è • l'idolo profanato•. Una caricatura laica solo il mondo anglosassone e razionale la poteva concepire: caricatura nella quale, mancando 11 sacro, la profanazione diventa msensata. Caricatura come scontro drammatico tra sacro e sacrilegio, è Enea con testa di vitello; è l'Asino adorato dagli onocoèti; è il graffito del Palatino. Una sera, a Parigi, entrammo • Chez Ton-Ton•: una boltt di coridom, i quali a turno 1i mettono in costume, salgono su una pedana e recitano lt songt d'Athali-t e altri squarci di tragedie di Racine e di Comcille con l'enfasi della Comédic-Françaisc, mentre gli altri ~oridoni, dalla sala e in coro,• msultano • la declamazione con parole, gesti <. rumori osceni. Spettacolo tragico e sorprendente. Quei coridoni avvilivano ciò che t venerabile, e, senza averne sospetto, creavano una • caricatura viva •. Edoardo De Filippo è uomo-caricatura • in senso antico e sacro. In lui il conflitto si ripete tutte le sere fra idolo e pro• fanazione, fra dignità umana e avvili. mento dèll'uomo. E non a caso Edoardo De Filippo .trova la sua espressione fatale nei drammi nei quali domina l'avvilimento dell'uomo: Jl berrdto a sonagli di Pirandello, poi L'abito nuovo con trama dello stesso Pirandello e dialogo di Edoardo Dc Filippo, e ora questo Uno coi capelli bianchi, in cui Edoardo, sciolto onnai da asservimenti e collaborazioni, vola libero ... L'esigenza della caricatura impone l'im~ magine dell'asino alato. Dalle scene, dal dialogo di U,10 coi capti/i bianchi la verità viene su a fumo, irrcaistibile e tristissima, come 11 fetore da una hòtola di fogna. Chi non conosce, chi non ha visto in opera questo Gian Battista Grossi, gl'innumerevoli Gian Battista Grossi, questo perfezionamento della mosca cocchiera, questa viva dimostrazione che le tragedie più orrende sono figlie della futilità, questa rivelata coscienza del savio, questo fra,- tello infelice dell'uomo dinamico e fattivo? Cercate tra i vostri parenti. Noi in famiglia ne abbiamo due: un Grossi maschio e un Grossi femmina. Con un tt:sto più studiato, più• voluto•, Uno coi capelli bianchi potrebbe trovar luogo nel teatro di Gogol. Con un testo in martelliani e una spolveratina di tsprit, U110 cai capelli bianrht potrebbe trovar luogo nel teatro di Molière. Lodiamo m ogm modo Edoardo De Ftlippo che, con un'amenità da Shakespeare giovane, propone della stessa commedia due soluzioni al suo pubblico compiaciuto e plaudente. Badi però Karaghi0z a non imborghesirsi. Ingrassata e diventata ricca, ~à. la messinscena non gli somiglia più. A. S. LEO LONGANESI • Direttore responsabile t'ropri,et.) .Ulhllt'■ ,e ltllt'filrl■ rlMr\oH" RIZl.01.1 & L . Afl \lf'r !"Arie del\■ ~1■1npa • \Ul■n., RlrKODCZIU1'1 t,.-.l~t,UITI::: t:oN :i.!AlLRl\1.1 1-0'f(>l,R \Fll"O • n,:RR \'I\•·

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