Omnibus - anno II - n.4 - 22 gennaio 1938

fCONTllfUJ...Z. Dil Nl;Jl!.Elt.0 PRECEDENTE 1 IA GRIS): la donna che ci ,o. leva per lui uomo e artista. Giulia possedeva l'equilibrio, la di- ,;ciplina1 il metodo. Nipote della famosa Gra~ini, aveva cominciato col dimostrare la propria intelli• genza prendendo dalla zia la voce e la scuola, non i principi morali: La Grassini, infatti, temperamento eclettico, non aveva durato gran fatica a passare dal letto di Napoleone a quello di ½'ellington. \Vaterloo in una visione imparziale. Quando Mario si incontrò con la Crisi al King's Theatre di Londra, nel '39, la gloria di lei era al sommo. La ventenne «Adalgisa> della prima~ burrascosa Norma scaligera, s'era venuta via via affermando sulle maggiori scene di Europa, fino a raccogliere, dopo il trionfo dei Puritani, l'eredità della Pasta e della Malibran. Bellissima donna, come la Malibran, aveva anch'essa trovato il suo poeta. Là De Musset. qui Théophile Gautier: ]'aperçus une /emme. Il me sembla [d'abord, la loge lui formant un cadre de son [bord, que c'itait un tableau de Titien ou [Giorgione, moins la fumie antique et moins le [vernìs jaune ... Ora, c'era un pericolo : che tra Gior. gione e Tiziano e la vernice gialla, una donna così si rivelasse alt'atto pratico un castigo di Dio. Senza contare che nella vita, più ancora che nell'arte, è proprio dall'unione di due esseri privilegiati che vengon fuori i più stonati duetti. Quei due, Mario e la Grisi, vollero fare eccezione anche in questo i ed ecco una coppia che a quella della Barrett con Browning non ha molto da invidiare. L'innamorato fu nei primi anni anche il discepolo. Più musici.sta di lui, attrice consumata, avendo il teatro nel sangue, la Grisi capì immediatamente che cosa poteva rappresentare Mario per la scena lirica in un momento delicato come quello. Delicato, perché in piena trasformazione .. Da una parte, infatti, il tramonto di Rubini voleva dire un addio alla tradizione degli « or• namentalisti » che il bergamasco aveva fatta sua, sia pure introducendovi quelle varianù che il !UO gusto personale e il cantar belliniano e rossiniano imponevano. Dall'altra, con la scoperta del do di petto - ricordarsi del signor Duprez tra gl'inventori ! - si erano spalancate le porte agli urli più inverosimili, alle sonorità più laceranti. Nel punto critico, quando pare che t1 a i due anelli della catena non ci sia rossibilità di saldatura, viene Mario a salvare ogni cosa. Nella patria del canto in pericolo1 egli è come un ministero di concentrazione. A lui le fioriture, i portamenti, le volatine. A lui i suoni squill.inti, gli attacchi impe• tuo.si, il virile martellar della ,;illaba ! Tutto il necessario per cantare, in una medesima stagione, il Barbiue e gli Ugonotti, i Puritani e il Trovatore. .B molto questo. Eppure non è ancora il suo segreto. Il suo segreto è un altro, e gli deriva forse dall'antica passione per le arti figurative. Egli lo possedeva già, quel segreto, quando dipingeva e modellava. Mario ~, insieme, il miniaturista e lo statuario dei tenori. Quel che lo farebbe distinguere tra mille, è la sua tipica colorazione del disegno melodico, il vivido rilievo del suo fraseggio : un modo di cantare pcnonali.ssimo - os,;crva ancora il Manaidi - di cui sarebbe impossibile ten• tare l'imitazìone senza cadere nel ridicolo. Ma non basta. C'è in quest'arte un elemento che soprattutto lì, tra Senna e Tamigi 1 ha importanza grandissima : l'eleganza, « son style élégant », che sul principio può parere smanceria 1 leziosaggine, e che a poco a poco invece incatena. Eleganza d'espressione, s'intende, ma anche signorilità di portamento, gusto raffinato nella scelta del co- :stume. In un periodo che si potrebbe c-hi.,mrlfe eroico, quanto a regia, egli è un riformatore, qualcosa come la Siddons rispetto al costume shakespeariano dopo tutte le goffaggini setteccn• teschc. Per Mario, un « Duca di Mantova » è un duca, non un bottegaio in polpe. li « gu.ittismo :t non lo sfiora: egli passa fra gli istrioni come un conestabile di Francia tra i pezzenti della Corte dei Miracoli. Infine - e questo è veramente il più, anzi l'er.scnziale - Mario possiede quel ~nso della poesia IL 11FAUST" AL OOVElfT OABDElf NEL 1863, {11Kargherit.a 11 1 Ad1llnaFatU1 "l'aut", Kario) per cui la parola e lirico», appiccicata quasi sempre a sproposito alla parola «teatro>, riacquista tutto intero il suo significato. Anche qui la testimonianza di Gautier padre non lascia luogo a dubbi: « t un usignolo che canta in un boschetto. Egli eccelle nel rendere i pensieri teneri 1 l'amore e la malinconia, il rimpianto della patria lontana e tutti i dolci sentimenti dell'anima. C'è in lui qualche cosa di pastorale, di bucolico; ci fa pensare a un bel pastore greco che canti, in strofe alterne, ai piedi di un oleandro, Galatea la fuggitiva >. Quando uno è così può avere benissimo, come Mario ebbe, le note di petto più alte - il s-i naturale, il do - un tantino gutturali e sottili; può talvolta, in momenti di stanche7.za, scendere a patti con l'intonazione: come accadde, secondo quella mala lingua di Berlioz, alla prima londinese del Profeta, e anche in qualche Rigoletto parigino, secondo un critico meno feroce, l'Héquct: e ìl lui ichappe de temps à aulre 1we i11to,iatior1uu peu doutewe ... ». Che importa tutto questo? li cantante perfettissimo nella sua meccanica inesorabilità ~ un feticcio da baraccone, un gigantesco e modulato cricri che ha accordato la sua voce sui martelletti della pianola. Uomo tra uomini, l'artista vero è invece quello che noi riconosciamo fallibile, soggetto a pccc.ue, ansioso di redimersi, oscillante fra l'orrido e il sublime, nella sua tonncntata umanità. Accanto a un uomo come questo, che si era scelto per motto « io vivo per cantare e per amare>, le ore dovevano tra.scorrere splendide e pericolol'>ed, ense di gioia1 ma irte di insidie. La Crisi accettò tutto, innamorata e materna. Certo, più di un'ombra dovette velare i suoi grandi occhi bruni in quell'atmosfera eccitata che il A1oniteur Universel descriveva con una frase sola: « Les femmes surtout, aiment mieux voir Mario qu'entendrc tout autre tittor ». Una sera, per esempio, Mario cantava, in un concerto, un'aria popolare di Alary che pareva scritta per lui: La Cha,ison de l'Amoureux. Giun• to alla seconda strofa, che attaccava con impetuosa vibrazione: Ah! Viens au bois, folle maitresse, au bois sombre et mystérieu:c Ah! Viens ou bois... una spettatrice, come trascinata da una forza irresistibile, balzò dalla sedia sian• dandosi verso di lui e gridando: e Eccomi, vengo, eccomi ! ». Come finisse quell'episodio non si sa. Si conosce invece l'epilogo, foscamente romantico, di una persecuzione durata parecchi anni: protagonista un'inglese esaltata che le cronache del tempo chiamano semplicemente Miss Giles. Teatrale in tutto, costei aveva fatto pazzie per Carlo Kean, figlio del grande Edmondo, bel ragazzo più che attore interessante. Vedere Mario e perdere la testa, fu tutt'uno. Insensibile al ridicolo, - gli assidui degli llaliens la chiamavano « il teschio :t - passava tutte le sue sere U1 contemplazione dell'amato. E tutte le sere lanciava sul palcoscenico un fascio di rose. Quando il e re dei tenori » era chiamato al Covent Garden, lei non batteva ciglio, andava ~mplicementc al botteghino del Covent Garden invece Che a quello della Salle Ventadour, dalla fioraia di Leicester Square invece che da quella di rue Le Pelletier: Mario, vedere Mario, sentire Ma• rio, e basta. ~la venne, nel '54, la scrittura d'America, e Mario e la Crisi pensarono d'essersi finalmente l.iberati di quell'ossessione. Ingenui. Non s'erano forse imbarcati sul Ba/tic? Ebbene, il Baltic era il piroscafo favorito di Miss Giles. Jnsomma dovettero tenersela, a bordo, e J)Oida una città all'altra, per tutto il giro. E, certo, a Washington ella assistette a quella rappresentazione all'aperto della Norma, quando, venuto giù un acquazzone improvviso, il pubblico non volle saperne di sgombrare il teatro, e «Norma» e e Pollione » cantarono il tragico duetto finale sotto un gigantesco ombrello. (E a nessuno venne voglia di ridere). Povera Miss Giles, l'acqua non le fece male quella sera. Doveva essere il fuoco a tradirla, allorché tornarono a Parigi. Ma non il gran fuoco che port:.iva dentro. Fiamme vere, fiamme che s'avventarono su di lei da una lampada a pe· trolio rovesciata per caso. Come in una stampa da Emporio pittoresco, morì poco dopo stringendo fra le dita il solo ricordo che aves.sc del suo idolo: un biglietto di visita. L'episodio è ricordato in un libro di memorie apparso anni addietro a cura della figlia di Mario, la signora PearscDe Candia, un po' disordinato ma pieno di notizie interessanti. Per esempio, la versione - truce anche quella - della fine di Nicola ], che Mario rife~ riva sulla scorta di confidenze ricevute alla corte di Russia. Dopo la disfatta in Crimea, pare che lo Zar mandasse a chiamare il proprio tmedico di fidl;lcia e gli ordinasse, pena la morte, di portargli un veleno adatto. Con un uomo come quello, in quello stato d'animo, c'era poco da discutere. Né all'infelice dottore fu concesso di in• tervenire quando, dopo la fatale bevuta, un buon contravveleno avrebbe forse evitato la catastrofe. Cose di Russia. Altra gente, i francesi. Mario era a Parigi durante la rivoluzione del 1848, e assistette di persona alla fuga di Luigi Filippo e della regina Maria Amelia. Niente veleni, stavolta, ma una semplice abdicazione seguita dall'esilio. Solo, il gesto di un qualunque bo,ihomme male interpretato dalla sovrana. Mario ricordava d'aver visto Maria Amelia che cercava di sospingere il re verso una carrozza, mentre quest'ultimo si attardava gridando: « Viva la Francia! » col cappello alzato. La re• gina era visibilmente preoccupata dei pericoli che correva il figlio di FilippoEgaliti. Uno dei presenti, commosso, gli sfiorò la spalla con un gesto di compassione i allora si vide Maria Amelia, col capo eretto e gli occhi fiammeggianti, far scudo al re del proprio cor• po. ~lario diceva che raramente aveva provato un'cmo:zione così profonda, CO• me davanti a quella donna caduta e indifesa che, incurante del pericolo, pensava solo alla salvezza del re. Nicola, Luigi Filippo, ammiratori ~uoi, amici quasi, malgrado la distanza; andati, perduti. Undici anni dopo, il sovrano da lui avvicinato negli anni della tempesta, Carlo Alberto, prendeva la via dell'esilio. Forse era questo, anche per il e re dei tenori>, il momento di riflettere sul• l'incertezza delle cose terrene. Non ci pensò. « Io vivo per cantare e per amare » è un bel programma. Un :icuto e un sorriso, un bacio e un trillo. e un romanzo dell'esistenza che comportereb• be il lieto fine. Invece arriva il momento in cui si dice che sei « ancora > un bel cantante, che « nonostante tutto» è un piacere sentirti, che sei « una cara , cc. chia conoscenza ». Arriva il momento in cui sei costretto a pensare che i critici del passato « se ne intendevano di più». Glorioso Times, che l'indomani degli Ugonotti ospitava su11c sue giuste colonne una prosa come questa : « In Mario c'è il canto di Rubini e l'arte drammatica di Edmondo Kean ! ». E oggi, chi è oggi quel gazzettiere insolente che osa scrivere : « Mario fit une rentrée à l'O pba dans le ròle de Raoul des Huguenots ... Chut ! ,i'en disons rien »? Decisamente Pari<Yiè in decadenza. Forse è in decadenza il mondo. Salvo la Russia, forse, dove il « re dei tenori », ormai alle soglie dei sessant'anni, nella serata d'addio riceve, col bacio di Turgheniev, gli onori del trionfo. Salvo l'Inghilterra, che il 19 luglio del '71, all'ultima rappresentazione della Favo,ita, lo saluta con l'entusiasmo di trent'anni addietro. « Spirto gentil » di un pubblico di conservatori. Ma è tempo di tirare le somme, di fare il bilancio, di contare i milioni. I milioni? C'è qualcuno, per caso, che ha visto i milioni di Mario? Gli ospiti ordinari e straordinari del son~ tuoso palazzetto di Rue des Bassins a ridosso del Bois dc Boulognc, di Mulgrave House sulle rive del Tamigi, di Villa Salviati sui colli fiorentini, gli ospiti crollano il capo. Niente. Forse si tratta di un giuoco di prestigio intitolato « I milioni del tenore». Fatto sta che non ci sono. E nemmeno le migliaia. Niente. C'è, ormai sbandata, la corte alta e bassa di <1uest'altro sovrano. spazzato via dal suo rcgr.o. Ci sono, dispersi per le grandi capitali, i poveri che ricevevano da lui una sterlina di elemosina; gli scrocconi di cui egli finanziò le imprese assurde e truffaldine; i negozianti d'arte che incoraggiarono la sua manìa dei quadri, delle stoffe preziose, delle armi antiche, e smalti e maioliche e miniature; gli esiliati politici, infine, ai quali egli dette sempre, senza misurare, e che soli, forse, saldarono la partita con la calda gratitudine di Mazzini. C'è tutto, ma non ci sono i milioni. Gran meraviglia di chi per un trentennio lo aveva sentito canticchiare tutto il giòmo « all'idea di quel metallo » del Barbiere. Su quel motivo e sul seguente e ecco propizia ... » egli faceva le scale in diversi toni, passando dall'uno all'altro rapidamente per mantenere nitida l'agilità, facile la gola alle più ardue puntature. « All'idea di quel metallo ... ». Ma questo è il grido di Shylock, di Arpagone, non dell'uomo che ha rifiutato l'offerta di 1500 franchi per cantare una romanza nel salotto di una vecchia gentildonna parigina, e che alle proteste del suo amico Engel risponde : < Ma che davvero per 1500 franchi vale la pena d'infilarsi il frac?». Le ceneri <li quella gloria e di quella ricchezza avevano già avuto il loro epitaffio: e a dettarlo era stato lo stesso Mario, nel '65, quando ancora il tramonto mandava qualche bagliore. « Mi dicono che io fumo troppo; ma il sigaro rassomiglia talmente al mio destino di tenore, da costituire per me una forte attrazione. Un buon sigaro è altrettanto raro che un buon tenore: costa molto, e nella sua durata, breve come quella del tenore, è il fiato che lo fa vivere e lo uccide : e dei due non rimane che un po' di fumo e, forse, un gradito ricordo ». Tempo di meditare. Ed eccolo finalmente in Italia, a Roma, dove lo trattennero negli ultimi anni, morta l'adorata Grisi, l'amore per l'archeologia e, pare, la speranza di un impiego prc'sso la direzione delle Belle Arti. L'impiego non venne. Veniva invece, di quando in quando, l'invito a cantare. Ancora, sì. Fece eccezione per la Regina Margherita, ma agli altri oppose sempre un rifiuto. Del resto, anche prima, anche quando era sul serio il « re dei tenori >, in Italia non cantò mai in pubblico. E poco in privato. Solo qualche volta a Villa Salviati, davanti ai suoi ospiti: Massimo d'Azeglio e la contessa di Cal'>tiglione, il principe Eugenio di SJvoia~Carignano e la granduchessa Maria di Russia, l'ammiraglio Acton e Garibaldi. Per Garibaldi, anzi, durante un ricevimento in suo onore - tutta la strada da Porta Sangallo a Villa Salviati era seminata di carrozze - lui e la Grisi cantarono l'inno fam()M),incitando l'illustre platea a far coro. Tempo di meditare; ma anche una sorta di liberazione, di ritorno a se stes.~o,di ritrovamento. Nel minuscolo alloggio di via Ripetta prima, poi nel mezzanino del Corso, sono rimessi in onore gli strumenti che gli furono cari nell'adolescenza : tubetti di colore, pennelli, vernici, stecche per modellare. Vuol rimettersi al lavoro. « Quando uno lavora », dìce, e svaniscono le pene della vita ». Pensa anche 1 per un mo• mento, di scrivere una storia della musica ; e, per un momento, nelle oiccole stanze di via Ripetta, libri e libri si a1111nucchiano in formazioni dolomitiche. Scrivere. lui? Lui che ha odiato la penna durante tutta la sua vi1a, Illi che ha detto invariabilmente « domani » quando c'era una lettera che aspettava una risposta ? Domani, ecco. Ora è meglio andarsene per la campa~na romana, solo, senza mèta1 girellare, perdersi, prender gusto agli incontri più inaspettati. Non è un gusto nuovo. Anzi molto antico: « Fldner was with him a fine art ». Quella dell'andare a zonzo era in lui un'arte raffinata : cc lo dice il suo amico Engel. Una volta, a Osborne, vedendo un albero che lo interessava, una felce, una farfalla - chil',sà? - scese dalla carrozza e comincìò a camminare per viottoli e sentieri, finché smarrì la strada senz'avere una idea di come poter torna.re a casa. Fortunatamente vide in distanza una signora che annaffiava i fiori in un giardino, e ricordandosi a un tratto di quel che doveva fare, si diresse verso di lei : « Sareste cosi gentile da indicarmi la villa della Regina? ». e Che cosa volete da lei? » rispose bonariamente la donna alzando la canna dell'annaffiatoio. « Cerco la regina :t, spiegò lui. e Sono il tenore Mario, e mi è stato detto di presentarmi a Sua Maestà>. «Bene>, disse la donna, « se è pro• prio la regina che cercate, siete arrivato: sono io la regina ». Nacque così quella che si sarebbe potuta chiamare la loro intimità. (Sono di \ "itt<'"iad'In~hiherra que~te parole: e Mario negli Ugonotti era unico; non c'è stato m:.ti oiù nessuno come lui »). Ricordi di Londra, dove gli sarebbe piaciuto di tornare, anche ora, da vecchio, per vivere ancora un poco, non in West End1 ma in una stanzetta vicino al British Museum « dove io potessi recarmi ogni giorno >. Ricordi di Parigi, quando poche ore prima che si levasse il sipario sul Dan Pa.rquale, il 4 febbraio del '43, Donizetti gli mandò per mezzo dcli' Accursi un m10vo pC'zzoda cantare dietro le quinte, accompagnato dall'espertissima chitarra di Lab!ache. E da quella sera, il « Com'è gentil... :t parve l'insegna araldica del più gentile e nobile dei cantanti. Forse l'ultimo ricordo1 quella j!elìda notte del 10 dicembre dell"B~, lo riporta a tanti anni addietro, alle gior• nate londinesi di Garibaldi, allorché, dopo la consegna al Generale della spada d'onore, fu la voce di Mario che intonò davanti all'immensa folla del Palazzo di Cristallo la Garibaldina di Arditi. Dirigeva lo stesso Arditi, il quale a un certo punto, abbassando la bacchetta per rivolgersi al coro, la picchiò con bella energia sulla testa di Mario. Anche ora, qualcuno accanto al letto ha abbassato la bacchetta, troncando quasi le ultime parole del vecchio tenore: « Mi dispiace di morire prima di aver visto il locum uestalium che è stato scoperto al Foro :t. I visitatori non credono che sia morto. Forse, così bianco e solenne, è pronto per il Profeta. Forse, anche ora, un critico dirà di lui che, in qucst'interprcta2ione, pare una figura che si stacchi da un quadro di Van Eyck o di Memling. (fi11e) EUGENIO GARA non Il 11an6a. lavon uno ABBONAME alle pi il brillanti e di1fuse pubblicazioni del B.egno OMNIBUS :!!~~~·s: 1 ~~:1! 'di 11 1;;/:1!,~~j~~,!~:: tura. ~ioria. 1"('011(11111111. arie. ttalro, tnod11, 1·,. nl.'11111, N"C'.; • O111n1h11•" I la i:randc riH•la1io,w giurunl"1ic11 dtl l9}j e Coi,\itu1JCl" un ri11tn,·..c-111pio Ui ,i, .. u11l ,:1ornali~tiu. d1 ch1uc1.,11 ~tih• ,11c•. th JH."rle#IOIIC hpogrofica. lln nu1n. I l Abbo11•11unlo • ll11U• <t C'olo11i,: IIIIIIUCI. 42. ll'm. l. U. t:1ttro: ••rnu" I.. 70. "'In. I,,. :SG BERTOLDO hHf'lt111111n11lc: li c<>llabor11uo i p,u 11r,:uti d,~gnalon (! ..cr11tor1. Prc-'1('11111•.~~1em,• ttl couuncnli ~an,01111li J1•i più l•J►iri 11,,,.n11ntnli, un 1eru11110dc n1l>r1ch._. ~•l•nu,11, Un 1111111rr(o'('nl1...in11 40 Abboni,111n1to • ll•lia ,. Colonif'• an,1110L. 40. n·m I.. 18. f,11,-,0: 111n111io L. 70. ""' L. 38 LADODA ;;tt~~r~~n~ :::f;:..:: 1 ~:1°'1:/~ 1 t':~::1:: lh 111odr1J1lll·r 0(11! lo<'<'ll•WnC l' p('r. ttJltC letti• !;:r·~;.!1~c~l:r 1 t~ ;··l.:n 1 ;:~·~:rt! 1~l~!~;:1~cc,i: PIÙ lllll•rf'•~•nt,, 11rr~foml'llhl J.-11:a <'•~•. t·u• rin11, all<'Hn11coto ~I cdura11one di:!1 b.1u11l1i11i. 1·urc• d'1i;i1•nc. ruhricl1c d·l"<'otu)mia domc-Jlica. ~i1.f.:!~~!.~:,.~:c·. ~;.,~!s~itC~io~i,.~·•nriuo L. 48. •tcm. L. 25. J:'1/~ro: annuo L.. 80, -.•111. L. 31 CDfllMA tnndt _ tn1t1a qu,_ml1rinal_c ili.. cl1_c lr11ll11.1 J1rOhlcm1 lecn,c,. r•tct1c1. 1-ullun,1,. ttono1niri. rd111·11t1>i«.r. del dnrm11. ~~r;~~;"~·' 1 'o~i.~i i'r~':~r,~~idc ~ rj7c1:• 1.!~"/~: 11! cu•IM I. 2 Abbo11am1·11to. lt•II• r Cofrmi,: a111111Q I.. 40. um. L. 22. f;1f,r11: 1on11uu 1,,, 60. •tni. I,,. 3$. Sc~~IO ~~~::t:· <l~' 'j!~rr~l.lu~ff~r di,'i:-;t~: ~felici ,} ~~-i 1 ~1~:;1.;nJ;u~t~n~•~1• o!?t,~!~c,3: dr,unma. 11111,1~·0, r1n,·111a. dan1a. !><'rno,;r•li•. ,ccnotL-<.1uca. 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Abburiamt>nfo • J/all• e Coloni,: •nnlfo L. 20. 1cm. L. li. t:•ltro: an11uo l.. 40. 1tm l.. 21 CINEMAILLUSTRAZIOXZ 1~rr~!: r~~~:~ •• ~ dl'I mn• 1111cotocìnt-mato;r•fico; prln::ildt. lndl- ,rr,•noiu. rom•uzi, ronconi. ecc-. Settimanale. Un numeru t·c·11tr,-1111SiO. Al1/xl,u,m,-11l0 • lt•II• e Colonit': 11111110 I.. 20. wm. l.. 11. ffl,ro; •mwo L.. 40, 1em. L.. 21. PICCOLA JTr:~~~;•,:tccou~':':~~iW1:,t:~,:~~n:!~ H'Hl11r1·. u1r(.11111i. Uu ntuntro c·rntcsimi SO. Abbori•mt,ito • lt•lf• , Coloni,, •nnuo l,. 20. 1,m. I.. Il. Esl,ro: a,wuo I,. 40. 1tm. l,. 21 AIBOllMEWTI CUXULlTlVI !.ro~df.:i1r~~~r.::"•~:: "w~,~~;i,t1i~~j/~hl:I~~\'; comh1ou,.11,n, tli\1'ntrr•nno I M"g11cn1i: On111ib111. IJ,rttJlt/o .. f,a l>o111u1. c1,1,m11 ......... . S, ;,,111rio (C'oma:clia}. Il Svrolo lll111fr•lo . Noutlt• ... '"'·············· C'lntrn• lllu1/r111ion~ Pl«ol•. lt.&lluCoL lauro " tt .. .. Il 17 .. .. " .. " .. Il .. " " .. u " 11 " " .. •• lt tO Il .. tt IO u 10 Il IO " .. 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